INTERNAZIONALE COMUNISTA
documenti vari

 

 

MANIFESTO DI  MARX MANIFESTO DI LABRIOLA
 

 

Il Manifesto

del Partito Comunista

Karl Marx

Prefazione

 

Uno spettro s'aggira per l'Europa - lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi.

Quale partito d'opposizione non � stato tacciato di comunismo dai suoi avversari di governo; qual partito d'opposizione non ha rilanciato l'infamante accusa di comunismo tanto sugli uomini pi� progrediti dell'opposizione stessa, quanto sui propri avversari reazionari?

Da questo fatto scaturiscono due specie di conclusioni.

Il comunismo � di gi� riconosciuto come potenza da tutte le potenze europee.

E` ormai tempo che i comunisti espongano apertamente in faccia a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro fini, le loro tendenze, e che contrappongano alla favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito stesso.

A questo scopo si sono riuniti a Londra comunisti delle nazionalit� pi� diverse e hanno redatto il seguente manifesto che viene pubblicato in inglese, francese, tedesco, italiano, fiammingo e danese.

I. Borghesi e Proletari

 

La storia di ogni societ� esistita fino a questo momento, � storia di lotte di classi.

Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta � finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la societ� o con la comune rovina delle classi in lotta.

Nelle epoche passate della storia troviamo quasi dappertutto una completa articolazione della societ� in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni sociali. In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel medioevo signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba, e, per di pi�, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di queste classi.

La societ� civile moderna, sorta dal tramonto della societ� feudale, non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta.

La nostra epoca, l'epoca della borghesia, si distingue per� dalle altre per aver semplificato gli antagonismi di classe. L'intera societ� si va scindendo sempre pi� in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l'una all'altra: borghesia e proletariato.

Dai servi della gleba del medioevo sorse il popolo minuto delle prime citt�; da questo popolo minuto si svilupparono i primi elementi della borghesia.

La scoperta dell'America, la circumnavigazione dell'Africa crearono alla sorgente borghesia un nuovo terreno. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la colonizzazione dell'America, gli scambi con le colonie, l'aumento dei mezzi di scambio e delle merci in genere diedero al commercio, alla navigazione, all'industria uno slancio fino allora mai conosciuto, e con ci� impressero un rapido sviluppo all'elemento rivoluzionario entro la societ� feudale in disgregazione.

L'esercizio dell'industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava pi� al fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentr� la manifattura. Il medio ceto industriale soppiant� i maestri artigiani; la divisione del lavoro fra le diverse corporazioni scomparve davanti alla divisione del lavoro nella singola officina stessa.

Ma i mercati crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la manifattura era pi� sufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale. All'industria manifatturiera subentr� la grande industria moderna; al ceto medio industriale subentrarono i milionari dell'industria, i capi di interi eserciti industriali, i borghesi moderni.

La grande industria ha creato quel mercato mondiale, ch'era stato preparato dalla scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno sviluppo immenso al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni per via di terra. Questo sviluppo ha reagito a sua volta sull'espansione dell'industria, e nella stessa misura in cui si estendevano industria, commercio, navigazione, ferrovie, si � sviluppata la borghesia, ha accresciuto i suoi capitali e ha respinto nel retroscena tutte le classi tramandate dal medioevo.

Vediamo dunque come la borghesia moderna � essa stessa il prodotto d'un lungo processo di sviluppo, d'una serie di rivolgimenti nei modi di produzione e di traffico.

Ognuno di questi stadi di sviluppo della borghesia era accompagnato da un corrispondente progresso politico. Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, insieme di associazioni armate ed autonome nel Comune, talvolta sotto la forma di repubblica municipale indipendente, talvolta di terzo stato tributario della monarchia, poi all'epoca dell'industria manifatturiera, nella monarchia controllata dagli stati come in quella assoluta, contrappeso alla nobilt�, e fondamento principale delle grandi monarchie in genere, la borghesia, infine, dopo la creazione della grande industria e del mercato mondiale, si � conquistata il dominio politico esclusivo dello Stato rappresentativo moderno. Il potere statale moderno non � che un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese.

La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria.

Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliche. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignit� personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libert� patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libert� di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche.

La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le attivit� che fino allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo della scienza, in salariati ai suoi stipendi.

La borghesia ha strappato il commovente velo sentimentale al rapporto familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto di denaro.

La borghesia ha svelato come la brutale manifestazione di forza che la reazione ammira tanto nel medioevo, avesse la sua appropriata integrazione nella pi� pigra infingardaggine. Solo la borghesia ha dimostrato che cosa possa compiere l'attivit� dell'uomo. Essa ha compiuto ben altre meraviglie che le piramidi egiziane, acquedotti romani e cattedrali gotiche, ha portato a termine ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le crociate.

La borghesia non pu� esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ci� che vi era di corporativo e di stabile, � profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti.

Il bisogno di uno smercio sempre pi� esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni.

Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato un'impronta cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi. Ha tolto di sotto i piedi dell'industria il suo terreno nazionale, con gran rammarico dei reazionari. Le antichissime industrie nazionali sono state distrutte, e ancora adesso vengono distrutte ogni giorno. Vengono soppiantate da industrie nuove, la cui introduzione diventa questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili, da industrie che non lavorano pi� soltanto le materie prime del luogo, ma delle zone pi� remote, e i cui prodotti non vengono consumati solo dal paese stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai vecchi bisogni, soddisfatti con i prodotti del paese, subentrano bisogni nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e dei climi pi� lontani. All'antica autosufficienza e all'antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio universale, una interdipendenza universale fra le nazioni. E come per la produzione materiale, cos� per quella intellettuale. I prodotti intellettuali delle singole nazioni divengono bene comune. L'unilateralit� e la ristrettezza nazionali divengono sempre pi� impossibili, e dalle molte letterature nazionali e locali si forma una letteratura mondiale.

Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civilt� tutte le nazioni, anche le pi� barbare. I bassi prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante con la quale spiana tutte le muraglie cinesi, con la quale costringe alla capitolazione la pi� tenace xenofobia dei barbari. Costringe tutte le nazioni ad adottare il sistema di produzione della borghesia, se non vogliono andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa loro la cosiddetta civilt�, cio� a diventare borghesi. In una parola: essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza.

La borghesia ha assoggettato la campagna al dominio della citt�. Ha creato citt� enormi, ha accresciuto su grande scala la cifra della popolazione urbana in confronto di quella rurale, strappando in tal modo una parte notevole della popolazione all'idiotismo della vita rurale. Come ha reso la campagna dipendente dalla citt�, la borghesia ha reso i paesi barbari e semibarbari dipendenti da quelli inciviliti, i popoli di contadini da quelli di borghesi, l'Oriente dall'Occidente.

La borghesia elimina sempre pi� la dispersione dei mezzi di produzione, della propriet� e della popolazione. Ha agglomerato la popolazione, ha centralizzato i mezzi di produzione, e ha concentrato in poche mani la propriet�. Ne � stata conseguenza necessaria la centralizzazione politica. Province indipendenti, legate quasi solo da vincoli federali, con interessi, leggi, governi e dazi differenti, vennero strette in una sola nazione, sotto un solo governo, una sola legge, un solo interesse nazionale di classe, entro una sola barriera doganale.

Durante il suo dominio di classe appena secolare la borghesia ha creato forze produttive in massa molto maggiore e pi� colossali che non avessero mai fatto tutte insieme le altre generazioni del passato. Il soggiogamento delle forze naturali, le macchine, l'applicazione della chimica all'industria e all'agricoltura, la navigazione a vapore, le ferrovie, i telegrafi elettrici, il dissodamento d'interi continenti, la navigabilit� dei fiumi, popolazioni intere sorte quasi per incanto dal suolo -quale dei secoli antecedenti immaginava che nel grembo del lavoro sociale stessero sopite tali forze produttive?

Ma abbiamo visto che i mezzi di produzione e di scambio sulla cui base si era venuta costituendo la borghesia erano stati prodotti entro la societ� feudale. A un certo grado dello sviluppo di quei mezzi di produzione e di scambio, le condizioni nelle quali la societ� feudale produceva e scambiava, l'organizzazione feudale dell'agricoltura e della manifattura, in una parola i rapporti feudali della propriet�, non corrisposero pi� alle forze produttive ormai sviluppate. Essi inceppavano la produzione invece di promuoverla. Si trasformarono in altrettante catene. Dovevano essere spezzate e furono spezzate.

Ad esse subentr� la libera concorrenza con la confacente costituzione sociale e politica, con il dominio economico e politico della classe dei borghesi.

Sotto i nostri occhi si svolge un moto analogo. I rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di propriet�, la societ� borghese moderna che ha creato per incanto mezzi di produzione e di scambio cos� potenti, rassomiglia al mago che non riesce pi� a dominare le potenze degli inferi da lui evocate. Sono decenni ormai che la storia dell'industria e del commercio � soltanto storia della rivolta delle forze produttive moderne contro i rapporti moderni della produzione, cio� contro i rapporti di propriet� che costituiscono le condizioni di esistenza della borghesia e del suo dominio. Basti ricordare le crisi commerciali che col loro periodico ritorno mettono in forse sempre pi� minacciosamente l'esistenza di tutta la societ� borghese.

Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta non solo una parte dei prodotti ottenuti, ma addirittura gran parte delle forze produttive gi� create. Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che in tutte le epoche precedenti sarebbe apparsa un assurdo: l'epidemia della sovraproduzione. La societ� si trova all'improvviso ricondotta a uno stato di momentanea barbarie; sembra che una carestia, una guerra generale di sterminio le abbiano tagliato tutti i mezzi di sussistenza; l'industria, il commercio sembrano distrutti. E perch�? Perch� la societ� possiede troppa civilt�, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive che sono a sua disposizione non servono pi� a promuovere la civilt� borghese e i rapporti borghesi di propriet�; anzi, sono divenute troppo potenti per quei rapporti e ne vengono ostacolate, e appena superano questo ostacolo mettono in disordine tutta la societ� borghese, mettono in pericolo l'esistenza della propriet� borghese. I rapporti borghesi sono divenuti troppo angusti per poter contenere la ricchezza da essi stessi prodotta. -Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento pi� intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi pi� generali e pi� violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse.

A questo momento le armi che son servite alla borghesia per atterrare il feudalesimo si rivolgono contro la borghesia stessa.

Ma la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che la porteranno alla morte; ha anche generato gli uomini che impugneranno quelle armi: gli operai moderni, i proletari.

Nella stessa proporzione in cui si sviluppa la borghesia, cio� il capitale, si sviluppa il proletariato, la classe degli operai moderni, che vivono solo fintantoch� trovano lavoro, e che trovano lavoro solo fintantoch� il loro lavoro aumenta il capitale. Questi operai, che sono costretti a vendersi al minuto, sono una merce come ogni altro articolo commerciale, e sono quindi esposti, come le altre merci, a tutte le alterne vicende della concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato.

Con l'estendersi dell'uso delle macchine e con la divisione del lavoro, il lavoro dei proletari ha perduto ogni carattere indipendente e con ci� ogni attrattiva per l'operaio. Egli diviene un semplice accessorio della macchina, al quale si richiede soltanto un'operazione manuale semplicissima, estremamente monotona e facilissima da imparare. Quindi le spese che causa l'operaio si limitano quasi esclusivamente ai mezzi di sussistenza dei quali egli ha bisogno per il proprio mantenimento e per la riproduzione della specie. Ma il prezzo di una merce, quindi anche quello del lavoro, � uguale ai suoi costi di produzione. Quindi il salario decresce nella stessa proporzione in cui aumenta il tedio del lavoro. Anzi, nella stessa proporzione dell'aumento dell'uso delle macchine e della divisione del lavoro, aumenta anche la massa del lavoro, sia attraverso l'aumento delle ore di lavoro, sia attraverso l'aumento del lavoro che si esige in una data unit� di tempo, attraverso l'accresciuta celerit� delle macchine, e cos� via.

L'industria moderna ha trasformato la piccola officina del maestro artigiano patriarcale nella grande fabbrica del capitalista industriale. Masse di operai addensate nelle fabbriche vengono organizzate militarmente. E vengono poste, come soldati semplici dell'industria, sotto la sorveglianza di una completa gerarchia di sottufficiali e ufficiali. Gli operai non sono soltanto servi della classe dei borghesi, ma vengono asserviti giorno per giorno, ora per ora dalla macchina, dal sorvegliante, e soprattutto dal singolo borghese fabbricante in persona. Questo dispotismo � tanto pi� meschino, odioso ed esasperante, quanto pi� apertamente esso proclama come fine ultimo il guadagno.

Quanto meno il lavoro manuale esige abilit� ed esplicazione di forza, cio� quanto pi� si sviluppa l'industria moderna, tanto pi� il lavoro degli uomini viene soppiantato da quello delle donne [e dei fanciulli]. Per la classe operaia non han pi� valore sociale le differenze di sesso e di et�. Ormai ci sono soltanto strumenti di lavoro che costano pi� o meno a seconda dell'et� e del sesso.

Quando lo sfruttamento dell'operaio da parte del padrone di fabbrica � terminato in quanto all'operaio viene pagato il suo salario in contanti, si gettano su di lui le altre parti della borghesia, il padron di casa, il bottegaio, il prestatore su pegno e cos� via.

Quelli che fino a questo momento erano i piccoli ordini medi, cio� i piccoli industriali, i piccoli commercianti e coloro che vivevano di piccole rendite, gli artigiani e i contadini, tutte queste classi precipitano nel proletariato, in parte per il fatto che il loro piccolo capitale non � sufficiente per l'esercizio della grande industria e soccombe nella concorrenza con i capitalisti pi� forti, in parte per il fatto che la loro abilit� viene svalutata da nuovi sistemi di produzione. Cos� il proletariato si recluta in tutte le classi della popolazione.

Il proletariato passa attraverso vari gradi di sviluppo. La sua lotta contro la borghesia comincia con la sua esistenza.

Da principio singoli operai, poi gli operai di una fabbrica, poi gli operai di una branca di lavoro in un dato luogo lottano contro il singolo borghese che li sfrutta direttamente.

Essi non dirigono i loro attacchi soltanto contro i rapporti borghesi di produzione, ma contro gli stessi strumenti di produzione; distruggono le merci straniere che fan loro concorrenza, fracassano le macchine, danno fuoco alle fabbriche, cercano di riconquistarsi la tramontata posizione del lavoratore medievale.

In questo stadio gli operai costituiscono una massa disseminata per tutto il paese e dispersa a causa della concorrenza. La solidariet� di maggiori masse operaie non � ancora il risultato della loro propria unione, ma della unione della borghesia, la quale, per il raggiungimento dei propri fini politici, deve mettere in movimento tutto il proletariato, e per il momento pu� ancora farlo. Dunque, in questo stadio i proletari combattono non i propri nemici, ma i nemici dei propri nemici, gli avanzi della monarchia assoluta, i proprietari fondiari, i borghesi non industriali, i piccoli borghesi. Cos� tutto il movimento della storia � concentrato nelle mani della borghesia; ogni vittoria raggiunta in questo modo � una vittoria della borghesia.

Ma il proletariato, con lo sviluppo dell'industria, non solo si moltiplica; viene addensato in masse pi� grandi, la sua forza cresce, ed esso la sente di pi�. Gli interessi, le condizioni di esistenza all'interno del proletariato si vanno sempre pi� agguagliando man mano che le macchine cancellano le differenze del lavoro e fanno discendere quasi dappertutto il salario a un livello ugualmente basso. La crescente concorrenza dei borghesi fra di loro e le crisi commerciali che ne derivano rendono sempre pi� oscillante il salario degli operai; l'incessante e sempre pi� rapido sviluppo del perfezionamento delle macchine rende sempre pi� incerto il complesso della loro esistenza; le collisioni fra il singolo operaio e il singolo borghese assumono sempre pi� il carattere di collisioni di due classi. Gli operai cominciano col formare coalizioni contro i borghesi, e si riuniscono per difendere il loro salario. Fondano perfino associazioni permanenti per approvvigionarsi in vista di quegli eventuali sollevamenti. Qua e l� la lotta prorompe in sommosse.

Ogni tanto vincono gli operai; ma solo transitoriamente. Il vero e proprio risultato delle lotte non � il successo immediato, ma il fatto che l'unione degli operai si estende sempre pi�. Essa � favorita dall'aumento dei mezzi di comunicazione, prodotti dalla grande industria, che mettono in collegamento gli operai delle diverse localit�. E basta questo collegamento per centralizzare in una lotta nazionale, in una lotta di classe, le molte lotte locali che hanno dappertutto uguale carattere. Ma ogni lotta di classi � lotta politica. E quella unione per la quale i cittadini del medioevo con le loro strade vicinali ebbero bisogno di secoli, i proletari moderni con le ferrovie la attuano in pochi anni.

Questa organizzazione dei proletari in classe e quindi in partito politico torna ad essere spezzata ogni momento dalla concorrenza fra gli operai stessi. Ma risorge sempre di nuovo, pi� forte, pi� salda, pi� potente. Essa impone il riconoscimento in forma di legge di singoli interessi degli operai, approfittando delle scissioni all'interno della borghesia. Cos� fu per la legge delle dieci ore di lavoro in Inghilterra.

In genere, i conflitti insiti nella vecchia societ� promuovono in molte maniere il processo evolutivo del proletariato. La borghesia � sempre in lotta; da principio contro l'aristocrazia, pi� tardi contro le parti della stessa borghesia i cui interessi vengono a contrasto con il progresso dell'industria, e sempre contro la borghesia di tutti i paesi stranieri. In tutte queste lotte essa si vede costretta a fare appello al proletariato, a valersi del suo aiuto, e a trascinarlo cos� entro il movimento politico. Essa stessa dunque reca al proletariato i propri elementi di educazione, cio� armi contro se stessa.

Inoltre, come abbiamo veduto, il progresso dell'industria precipita nel proletariato intere sezioni della classe dominante, o per lo meno ne minaccia le condizioni di esistenza. Anch'esse arrecano al proletariato una massa di elementi di educazione.

Infine, in tempi nei quali la lotta delle classi si avvicina al momento decisivo, il processo di disgregazione all'interno della classe dominante, di tutta la vecchia societ�, assume un carattere cos� violento, cos� aspro, che una piccola parte della classe dominante si distacca da essa e si unisce alla classe rivoluzionaria, alla classe che tiene in mano l'avvenire. Quindi, come prima una parte della nobilt� era passata alla borghesia, cos� ora una parte della borghesia passa al proletariato; e specialmente una parte degli ideologi borghesi, che sono riusciti a giungere alla intelligenza teorica del movimento storico nel suo insieme.

Fra tutte le classi che oggi stanno di contro alla borghesia, il proletariato soltanto � una classe realmente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e tramontano con la grande industria; il proletariato � il suo prodotto pi� specifico.

Gli ordini medi, il piccolo industriale, il piccolo commerciante, l'artigiano, il contadino, combattono tutti la borghesia, per premunire dalla scomparsa la propria esistenza come ordini medi. Quindi non sono rivoluzionari, ma conservatori. Anzi, sono reazionari, poich� cercano di far girare all'indietro la ruota della storia. Quando sono rivoluzionari, sono tali in vista del loro imminente passaggio al proletariato, non difendono i loro interessi presenti, ma i loro interessi futuri, e abbandonano il proprio punto di vista, per mettersi da quello del proletariato.

Il sottoproletariato, questa putrefazione passiva degli infimi strati della societ�, che in seguito a una rivoluzione proletaria viene scagliato qua e l� nel movimento, sar� pi� disposto, date tutte le sue condizioni di vita, a lasciarsi comprare per mene reazionarie.

Le condizioni di esistenza della vecchia societ� sono gi� annullate nelle condizioni di esistenza del proletariato. Il proletario � senza propriet�; il suo rapporto con moglie e figli non ha pi� nulla in comune con il rapporto familiare borghese; il lavoro industriale moderno, il soggiogamento moderno del capitale, identico in Inghilterra e in Francia, in America e in Germania, lo ha spogliato di ogni carattere nazionale. Leggi, morale, religione sono per lui altrettanti pregiudizi borghesi, dietro i quali si nascondono altrettanti interessi borghesi.

Tutte le classi che si sono finora conquistato il potere hanno cercato di garantire la posizione di vita gi� acquisita, assoggettando l'intera societ� alle condizioni della loro acquisizione. I proletari possono conquistarsi le forze produttive della societ� soltanto abolendo il loro proprio sistema di appropriazione avuto sino a questo momento, e per ci� stesso l'intero sistema di appropriazione che c'� stato finora. I proletari non hanno da salvaguardare nulla di proprio, hanno da distruggere tutta la sicurezza privata e tutte le assicurazioni private che ci sono state fin qui.

Tutti i movimenti precedenti sono stati movimenti di minoranze, o avvenuti nell'interesse di minoranze. Il movimento proletario � il movimento indipendente della immensa maggioranza. Il proletariato, lo strato pi� basso della societ� odierna, non pu� sollevarsi, non pu� drizzarsi, senza che salti per aria l'intera soprastruttura degli strati che formano la societ� ufficiale.

La lotta del proletariato contro la borghesia � in un primo tempo lotta nazionale, anche se non sostanzialmente, certo formalmente. E` naturale che il proletariato di ciascun paese debba anzitutto sbrigarsela con la propria borghesia.

Delineando le fasi pi� generali dello sviluppo del proletariato, abbiamo seguito la guerra civile pi� o meno latente all'interno della societ� attuale, fino al momento nel quale quella guerra erompe in aperta rivoluzione e nel quale il proletariato fonda il suo dominio attraverso il violento abbattimento della borghesia.

Ogni societ� si � basata finora, come abbiam visto, sul contrasto fra classi di oppressori e classi di oppressi. Ma, per poter opprimere una classe, le debbono essere assicurate condizioni entro le quali essa possa per lo meno stentare la sua vita di schiava. Il servo della gleba, lavorando nel suo stato di servo della gleba, ha potuto elevarsi a membro del comune, come il cittadino minuto, lavorando sotto il giogo dell'assolutismo feudale, ha potuto elevarsi a borghese. Ma l'operaio moderno, invece di elevarsi man mano che l'industria progredisce, scende sempre pi� al disotto delle condizioni della sua propria classe. L'operaio diventa un povero, e il pauperismo si sviluppa anche pi� rapidamente che la popolazione e la ricchezza. Da tutto ci� appare manifesto che la borghesia non � in grado di rimanere ancora pi� a lungo la classe dominante della societ� e di imporre alla societ� le condizioni di vita della propria classe come legge regolatrice. Non � capace di dominare, perch� non � capace di garantire l'esistenza al proprio schiavo neppure entro la sua schiavit�, perch� � costretta a lasciarlo sprofondare in una situazione nella quale, invece di esser da lui nutrita, essa � costretta a nutrirlo. La societ� non pu� pi� vivere sotto la classe borghese, vale a dire la esistenza della classe borghese non � pi� compatibile con la societ�.

La condizione pi� importante per l'esistenza e per il dominio della classe borghese � l'accumularsi della ricchezza nelle mani di privati, la formazione e la moltiplicazione del capitale; condizione del capitale � il lavoro salariato. Il lavoro salariato poggia esclusivamente sulla concorrenza degli operai tra di loro. Il progresso dell'industria, del quale la borghesia � veicolo involontario e passivo, fa subentrare all'isolamento degli operai risultante dalla concorrenza, la loro unione rivoluzionaria, risultante dall'associazione. Con lo sviluppo della grande industria, dunque, vien tolto di sotto ai piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce e si appropria i prodotti. Essa produce anzitutto i suoi seppellitori. Il suo tramonto e la vittoria del proletariato sono del pari inevitabili.

II. Proletari e Comunisti

 

In che rapporto sono i comunisti con i proletari in genere?

I comunisti non sono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai.

I comunisti non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il proletariato.

I comunisti non pongono princ�pi speciali sui quali vogliano modellare il movimento proletario.

I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solo per il fatto che da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalit�, dell'intero proletariato, nelle varie lotte nazionali dei proletari; e dall'altra per il fatto che sostengono costantemente l'interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dalla lotta fra proletariato e borghesia.

Quindi in pratica i comunisti sono la parte progressiva pi� risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, e quanto alla teoria essi hanno il vantaggio sulla restante massa del proletariato, di comprendere le condizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento proletario.

Lo scopo immediato dei comunisti � lo stesso di tutti gli altri proletari: formazione del proletariato in classe, abbattimento del dominio della borghesia, conquista del potere politico da parte del proletariato.

Le proposizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto su idee, su princ�pi inventati o scoperti da questo o quel riformatore del mondo.

Esse sono semplicemente espressioni generali di rapporti di fatto di una esistente lotta di classi, cio� di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi. L'abolizione di rapporti di propriet� esistiti fino a un dato momento non � qualcosa di distintivo peculiare del comunismo.

Tutti i rapporti di propriet� sono stati soggetti a continui cambiamenti storici, a una continua alterazione storica.

Per esempio, la rivoluzione francese abol� la propriet� feudale in favore di quella borghese.

Quel che contraddistingue il comunismo non � l'abolizione della propriet� in generale, bens� l'abolizione della propriet� borghese.

Ma la propriet� privata borghese moderna � l'ultima e la pi� perfetta espressione della produzione e dell'appropriazione dei prodotti che poggia su antagonismi di classe, sullo sfruttamento degli uni da parte degli altri.

In questo senso i comunisti possono riassumere la loro teoria nella frase: abolizione della propriet� privata. Ci si � rinfacciato, a noi comunisti che vogliamo abolire la propriet� acquistata personalmente, frutto del lavoro diretto e personale; la propriet� che costituirebbe il fondamento di ogni libert�, attivit� e autonomia personale.

Propriet� frutto del proprio lavoro, acquistata, guadagnata con le proprie forze! Parlate della propriet� del minuto cittadino, del piccolo contadino che ha preceduto la propriet� borghese? Non c'� bisogno che l'aboliamo noi, l'ha abolita e la va abolendo di giorno in giorno lo sviluppo dell'industria.

O parlate della moderna propriet� privata borghese?

Ma il lavoro salariato, il lavoro del proletario, crea propriet� a questo proletario? Affatto. Il lavoro del proletario crea il capitale, cio� quella propriet� che sfrutta il lavoro salariato, che pu� moltiplicarsi solo a condizione di generare nuovo lavoro salariato, per sfruttarlo di nuovo. La propriet� nella sua forma attuale si muove entro l'antagonismo fra capitale e lavoro salariato. Esaminiamo i due termini di questo antagonismo. Essere capitalista significa occupare nella produzione non soltanto una pura posizione personale, ma una posizione sociale.

Il capitale � un prodotto collettivo e pu� essere messo in moto solo mediante una attivit� comune di molti membri, anzi in ultima istanza solo mediante l'attivit� comune di tutti i membri della societ�.

Dunque, il capitale non � una potenza personale; � una potenza sociale.

Dunque, se il capitale viene trasformato in propriet� collettiva, appartenente a tutti i membri della societ�, non c'� trasformazione di propriet� personale in propriet� sociale. Si trasforma soltanto il carattere sociale della propriet�. La propriet� perde il suo carattere di classe.

Veniamo al lavoro salariato.

Il prezzo medio del lavoro salariato � il minimo del salario del lavoro, cio� � la somma dei mezzi di sussistenza che sono necessari per mantenere in vita l'operaio in quanto operaio. Dunque, quello che l'operaio salariato s'appropria mediante la sua attivit� � sufficiente soltanto per riprodurre la sua nuda esistenza. Noi non vogliamo affatto abolire questa appropriazione personale dei prodotti del lavoro per la riproduzione della esistenza immediata, appropriazione che non lascia alcun residuo di profitto netto tale da poter conferire potere sul lavoro altrui. Vogliamo eliminare soltanto il carattere miserabile di questa appropriazione, nella quale l'operaio vive solo allo scopo di accrescere il capitale, e vive solo quel tanto che esige l'interesse della classe dominante.

Nella societ� borghese il lavoro vivo � soltanto un mezzo per moltiplicare il lavoro accumulato. Nella societ� comunista il lavoro accumulato � soltanto un mezzo per ampliare, per arricchire, per far progredire il ritmo d'esistenza degli operai.

Dunque nella societ� borghese il passato domina sul presente, nella societ� comunista il presente domina sul passato. Nella societ� borghese il capitale � indipendente e personale, mentre l'individuo operante � dipendente e impersonale.

E la borghesia chiama abolizione della personalit� e della libert� l'abolizione di questo rapporto! E a ragione: infatti, si tratta dell'abolizione della personalit�, della indipendenza e della libert� del borghese.

Entro gli attuali rapporti di produzione borghesi per libert� s'intende il libero commercio, la libera compravendita.

Ma scomparso il traffico, scompare anche il libero traffico. Le frasi sul libero traffico, come tutte le altre bravate sulla libert� della nostra borghesia, hanno senso, in genere, soltanto rispetto al traffico vincolato, rispetto al cittadino asservito del medioevo; ma non hanno senso rispetto alla abolizione comunista del traffico, dei rapporti borghesi di produzione e della stessa borghesia.

Voi inorridite perch� vogliamo abolire la propriet� privata. Ma nella vostra societ� attuale la propriet� privata � abolita per i nove decimi dei suoi membri; la propriet� privata esiste proprio per il fatto che per nove decimi non esiste. Dunque voi ci rimproverate di voler abolire una propriet� che presuppone come condizione necessaria la privazione della propriet� dell'enorme maggioranza della societ�.

In una parola, voi ci rimproverate di volere abolire la vostra propriet�.

Certo, questo vogliamo.

Appena il lavoro non pu� pi� essere trasformato in capitale, in denaro, in rendita fondiaria, insomma in una potenza sociale monopolizzabile, cio�, appena la propriet� personale non pu� pi� convertirsi in propriet� borghese, voi dichiarate che � abolita la persona.

Dunque confessate che per persona non intendete nient'altro che il borghese, il proprietario borghese. Certo questa persona deve essere abolita.

Il comunismo non toglie a nessuno il potere di appropriarsi prodotti della societ�, toglie soltanto il potere di assoggettarsi il lavoro altrui mediante tale appropriazione.

Si � obiettato che con l'abolizione della propriet� privata cesserebbe ogni attivit� e prenderebbe piede una pigrizia generale.

Da questo punto di vista, gi� da molto tempo la societ� borghese dovrebbe essere andata in rovina per pigrizia, poich� in essa coloro che lavorano, non guadagnano, e quelli che guadagnano, non lavorano. Tutto lo scrupolo sbocca nella tautologia che appena non c'� pi� capitale non c'� pi� lavoro salariato.

Tutte le obiezioni che vengono mosse al sistema comunista di appropriazione e di produzione dei prodotti materiali, sono state anche estese alla appropriazione e alla produzione dei prodotti intellettuali, come il cessare della propriet� di classe � per il borghese il cessare della produzione stessa, cos� il cessare della cultura di classe � per lui identico alla fine della cultura in genere.

Quella cultura la cui perdita egli rimpiange, � per la enorme maggioranza la preparazione a diventar macchine.

Ma non discutete con noi misurando l'abolizione della propriet� borghese sul modello delle vostre idee borghesi di libert�, cultura, diritto e cos� via. Le vostre idee stesse sono prodotti dei rapporti borghesi di produzione e di propriet�, come il vostro diritto � soltanto la volont� della vostra classe elevata a legge, volont� il cui contenuto � dato nelle condizioni materiali di esistenza della vostra classe.

Voi condividete con tutte le classi dominanti tramontate quell'idea interessata mediante la quale trasformate in eterne leggi della natura e della ragione, da rapporti storici quali sono, transeunti nel corso della produzione, i vostri rapporti di produzione e di propriet�. Non vi � pi� permesso di comprendere per la propriet� borghese quel che comprendete per la propriet� antica e per la propriet� feudale.

Abolizione della famiglia! Anche i pi� estremisti si riscaldano parlando di questa ignominiosa intenzione dei comunisti.

Su che cosa si basa la famiglia attuale, la famiglia borghese? Sul capitale, sul guadagno privato. Una famiglia completamente sviluppata esiste soltanto per la borghesia: ma essa ha il suo complemento nella coatta mancanza di famiglia del proletario e nella prostituzione pubblica.

La famiglia del borghese cade naturalmente col cadere di questo suo complemento ed entrambi scompaiono con la scomparsa del capitale.

Ci rimproverate di voler abolire lo sfruttamento dei figli da parte dei genitori? Confessiamo questo delitto. Ma voi dite che sostituendo l'educazione sociale a quella familiare noi aboliamo i rapporti pi� cari.

E anche la vostra educazione, non � determinata dalla societ�? Non � determinata dai rapporti sociali entro i quali voi educate, dalla interferenza pi� o meno diretta o indiretta della societ� mediante la scuola e cos� via? I comunisti non inventano l'influenza della societ� sull'educazione, si limitano a cambiare il carattere di tale influenza, e strappano l'educazione all'influenza della classe dominante.

La fraseologia borghese sulla famiglia e sull'educazione, sull'affettuoso rapporto fra genitori e figli diventa tanto pi� nauseante, quanto pi�, per effetto della grande industria, si lacerano per il proletario tutti i vincoli familiari, e i figli sono trasformati in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro.

Tutta la borghesia ci grida contro in coro: ma voi comunisti volete introdurre la comunanza delle donne.

Il borghese vede nella moglie un semplice strumento di produzione. Sente dire che gli strumenti di produzione devono essere sfruttati in comune e non pu� naturalmente farsi venire in mente se non che la sorte della comunanza colpir� anche le donne.

Non sospetta neppure che si tratta proprio di abolire la posizione delle donne come semplici strumenti di produzione.

Del resto non c'� nulla di pi� ridicolo del moralissimo orrore che i nostri borghesi provano per la pretesa comunanza ufficiale delle donne fra i comunisti. I comunisti non hanno bisogno d'introdurre la comunanza delle donne; essa � esistita quasi sempre.

I nostri borghesi, non paghi d'avere a disposizione le mogli e le figlie dei proletari, per non parlare neppure della prostituzione ufficiale, trovano uno dei loro divertimenti principali nel sedursi reciprocamente le loro mogli.

In realt� il matrimonio borghese � la comunanza delle mogli. Tutt'al, pi� ai comunisti si potrebbe rimproverare di voler introdurre una comunanza delle donne ufficiale e franca al posto di una comunanza delle donne ipocritamente dissimulata. del resto � ovvio che, con l'abolizione dei rapporti attuali di produzione, scompare anche quella comunanza delle donne che ne deriva, cio� la prostituzione ufficiale e non ufficiale.

Inoltre, si � rimproverato ai comunisti ch'essi vorrebbero abolire la patria, la nazionalit�.

Gli operai non hanno patria. Non si pu� togliere loro quello che non hanno. Poich� la prima cosa che il proletario deve fare � di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in nazione, � anch'esso ancora nazionale, seppure non certo nel senso della borghesia.

Le separazioni e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno scomparendo sempre pi� gi� con lo sviluppo della borghesia, con la libert� di commercio, col mercato mondiale, con l'uniformit� della produzione industriale e delle corrispondenti condizioni d'esistenza.

Il dominio del proletariato li far� scomparire ancor di pi�. Una delle prime condizioni della sua emancipazione � l'azione unita, per lo meno dei paesi civili.

Lo sfruttamento di una nazione da parte di un'altra viene abolito nella stessa misura che viene abolito lo sfruttamento di un individuo da parte di un altro.

Con l'antagonismo delle classi all'interno delle nazioni scompare la posizione di reciproca ostilit� fra le nazioni.

Non meritano d'essere discusse in particolare le accuse che si fanno al comunismo da punti di vista religiosi, filosofici e ideologici in genere.

C'� bisogno di una profonda comprensione per capire che anche le idee, le opinioni e i concetti, insomma, anche la coscienza degli uomini, cambia col cambiare delle loro condizioni di vita, delle loro relazioni sociali, della loro esistenza sociale?

Cos'altro dimostra la storia delle idee, se non che la produzione intellettuale si trasforma assieme a quella materiale? Le idee dominanti di un'epoca sono sempre state soltanto le idee della classe dominante.

Si parla di idee che rivoluzionano un'intera societ�; con queste parole si esprime semplicemente il fatto che entro la vecchia societ� si sono formati gli elementi di una nuova, e che la dissoluzione delle vecchie idee procede di pari passo con la dissoluzione dei vecchi rapporti d'esistenza.

Quando il mondo antico fu al tramonto, le antiche religioni furono vinte dalla religione cristiana. Quando nel secolo XVIII le idee cristiane soggiacquero alle idee dell'illuminismo, la societ� feudale dovette combattere la sua ultima lotta con la borghesia allora rivoluzionaria. Le idee della libert� di coscienza e della libert� di religione furono soltanto l'espressione del dominio della libera concorrenza nel campo della coscienza.

Ma, si dir�, certo che nel corso dello svolgimento storico le idee religiose, morali, filosofiche, politiche, giuridiche si sono modificate. Per� in questi cambiamenti la religione, la morale, al filosofia, la politica, il diritto si sono sempre conservati.

Inoltre vi sono verit� eterne, come la libert�, la giustizia e cos� via, che sono comuni a tutti gli stati della societ�. Ma il comunismo abolisce le verit� eterne, abolisce la religione, la morale, invece di trasformarle; quindi il comunismo si mette in contraddizione con tutti gli svolgimenti storici avuti sinora.

A cosa si riduce quest'accusa? La storia di tutta quanta la societ� che c'� stata fino ad oggi s'� mossa in contrasti di classe che hanno avuto un aspetto differente a seconda delle differenti epoche.

Lo sfruttamento d'una parte della societ� per opera dell'altra parte � dato di fatto comune a tutti i secoli passati, qualunque sia la forma ch'esso abbia assunto. Quindi, non c'� da meravigliarsi che la coscienza sociale di tutti i secoli si muova, nonostante ogni molteplicit� e differenza, in certe forme comuni: forme di coscienza, che si dissolvono completamente soltanto con la completa scomparsa dell'antagonismo delle classi.

La rivoluzione comunista � la pi� radicale rottura con i rapporti tradizionali di propriet�; nessuna meraviglia che nel corso del suo sviluppo si rompa con le idee tradizionali nella maniera pi� radicale.

Ma lasciamo stare le obiezioni della borghesia contro il comunismo.

Abbiamo gi� visto sopra che il primo passo sulla strada della rivoluzione operaia consiste nel fatto che il proletariato s'eleva a classe dominante, cio� nella conquista della democrazia.

Il proletariato adoprer� il suo dominio politico per strappare a poco a poco alla borghesia tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, cio� del proletariato organizzato come classe dominante, e per moltiplicare al pi� presto possibile la massa delle forze produttive.

Naturalmente, ci� pu� avvenire, in un primo momento, solo mediante interventi despotici nel diritto di propriet� e nei rapporti borghesi di produzione, cio� per mezzo di misure che appaiono insufficienti e poco consistenti dal punto di vista dell'economia; ma che nel corso del movimento si spingono al di l� dei propri limiti e sono inevitabili come mezzi per il rivolgimento dell'intero sistema di produzione.

Queste misure saranno naturalmente differenti a seconda dei differenti paesi.

Tuttavia, nei paesi pi� progrediti potranno essere applicati quasi generalmente i provvedimenti seguenti:

1.- Espropriazione della propriet� fondiaria ed impiego della rendita fondiaria per le spese dello Stato.

2.- Imposta fortemente progressiva.

3.- Abolizione del diritto di successione.

4.- Confisca della propriet� di tutti gli emigrati e ribelli.

5.- Accentramento del credito in mano dello Stato mediante una banca nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo.

6.- Accentramento di tutti i mezzi di trasporto in mano allo Stato.

7.- Moltiplicazione delle fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano collettivo.

8.- Eguale obbligo di lavoro per tutti, costituzione di eserciti industriali, specialmente per l'agricoltura.

9.- Unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e della industria, misure atte ad eliminare gradualmente l'antagonismo fra citt� e campagna.

10.- Istruzione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Eliminazione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale. Combinazione dell'istruzione con la produzione materiale e cos� via.

Quando le differenze di classe saranno scomparse nel corso dell'evoluzione, e tutta la produzione sar� concentrata in mano agli individui associati, il pubblico potere perder� il suo carattere politico. In senso proprio, il potere politico � il potere di una classe organizzato per opprimerne un'altra. Il proletariato, unendosi di necessit� in classe nella lotta contro la borghesia, facendosi classe dominante attraverso una rivoluzione, ed abolendo con la forza, come classe dominante, gli antichi rapporti di produzione, abolisce insieme a quei rapporti di produzione le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe, cio� abolisce le condizioni d'esistenza delle classi in genere, e cos� anche il suo proprio dominio in quanto classe.

Alla vecchia societ� borghese con le sue classi e i suoi antagonismi fra le classi subentra una associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno � condizione del libero sviluppo di tutti.

1. Il socialismo nelle sue varie forme

a) Il socialismo feudale.

Data la sua posizione storica, l'aristocrazia francese e inglese era chiamata a scrivere libelli contro la moderna societ� borghese. Nella rivoluzione francese del luglio 1830, nel movimento inglese per la riforma elettorale, l'aristocrazia era soggiaciuta ancora una volta all'aborrito nuovo venuto. Non c'era pi� da pensare a una seria lotta politica. Le rimaneva soltanto la lotta letteraria. Ma anche nel campo della letteratura la vecchia fraseologia dell'et� della restaurazione era ormai impossibile. Per destare qualche simpatia, l'aristocrazia era costretta a distogliere gli occhi, in apparenza, dai propri interessi e a formulare il suo atto d'accusa contro la borghesia solo nell'interesse della classe operaia sfruttata. Cos� essa preparava la soddisfazione di poter intonare invettive contro il nuovo signore, e di potergli mormorare nell'orecchio profezie pi� o meno gravide di sciagura.

A questo modo sorse il socialismo feudalistico, met� lamentazione, met� libello; met� riecheggiamento del passato, met� minaccia del futuro. A volte colpisce al cuore la borghesia con un giudizio amaro e spiritosamente sarcastico, ma ha sempre effetto comico per la sua totale incapacit� di comprendere il corso della storia moderna.

Questi aristocratici hanno impugnato la proletaria bisaccia da mendicante, agitandola come bandiera per raggruppare dietro a s� il popolo. Ma tutte le volte che li ha seguiti, il popolo ha visto sulle loro parti posteriori i vecchi blasoni feudali e s'� sbandato con forti e irriverenti risate.

Una parte dei legittimisti francesi e la Giovine Inghilterra hanno offerto questo spettacolo.

Quando i feudali dimostrano che il loro sistema di sfruttamento era diverso dallo sfruttamento borghese, dimenticano soltanto che essi esercitavano lo sfruttamento in circostanze e condizioni totalmente differenti e che ora han fatto il loro tempo. Quando dimostrano che il proletariato moderno non � esistito al tempo del loro dominio, dimenticano soltanto che la borghesia moderna fu appunto un necessario rampollo del loro ordine sociale.

Del resto, essi celano tanto poco il carattere reazionario della loro critica, che la loro principale accusa contro la borghesia � proprio che sotto il suo regime si sviluppa una classe che far� saltare in aria tutto quanto il vecchio ordine sociale.

Rimproverano alla borghesia pi� il fatto che essa genera un proletariato rivoluzionario che non il fatto ch'essa produce un proletariato in genere.

Nella pratica della vita politica, prendono parte perci� a tutte le misure di forza contro la classe operaia, e nella vita ordinaria, ad onta di tutti i loro gonfi frasari, si adattano a raccogliere le mele d'oro, e a barattare fedelt�, amore, onore col traffico della lana di pecora, della barbabietola e dell'acquavite.

Come il prete si � sempre accompagnato al signore feudale, cos� il socialismo pretesco si accompagna a quello feudalistico.

Non c'� cosa pi� facile che dare una tinta socialistica all'ascetismo cristiano. Il cristianesimo non se l'� presa forse anch'esso con la propriet� privata, con il matrimonio, con lo Stato? Non ha predicato, in loro sostituzione, la beneficenza, la mendicit�, il celibato e la mortificazione della carne, la vita claustrale e la Chiesa? Il socialismo sacro � soltanto l'acquasanta con la quale il prete benedice la rabbia degli aristocratici.

 

b) Il socialismo piccolo-borghese.

L'aristocrazia feudale non � l'unica classe che sia stata abbattuta dalla borghesia e le cui condizioni di esistenza siano deperite e si siano estinte nella societ� borghese moderna. La piccola borghesia medievale e l'ordine dei piccoli contadini furono i precursori della borghesia moderna. Questa classe continua ancora a vegetare accanto alla sorgente borghesia nei paesi meno sviluppati industrialmente e commercialmente.

Nei paesi dove s'� sviluppata la civilt� moderna, si � formata una nuova piccola borghesia, sospesa fra il proletariato e la borghesia, che torna sempre a formarsi da capo, in quanto � parte integrante della societ� borghese; ma i suoi membri vengono costantemente precipitati nel proletariato dalla concorrenza, anzi, con lo sviluppo della grande industria vedono addirittura avvicinarsi un momento nel quale scompariranno totalmente come parte indipendente della societ� moderna, e verranno sostituiti da sorveglianti e domestici nel commercio, nella manifattura, nell'agricoltura.

In paesi come la Francia, dove la classe dei contadini costituisce molto pi� della met� della popolazione, era naturale che alcuni scrittori i quali scendevano in campo per il proletariato contro la borghesia usassero la scala del piccolo borghese e del piccolo contadino per la loro critica del regime borghese e che prendessero partito per gli operai dal punto di vista della piccola borghesia. Cos� s'� formato il socialismo piccolo-borghese. Capo di questa letteratura, non solo per la Francia, ma anche per l'Inghilterra, � il Sismondi.

Questo socialismo ha anatomizzato con estrema perspicacia le contraddizioni insite nei rapporti moderni di produzione. Ha smascherato gli ipocriti eufemismi degli economisti. Ha dimostrato irrefutabilmente i deleteri effetti delle macchine e della divisione del lavoro, la concentrazione dei capitali e della propriet� fondiaria, la sovraproduzione, le crisi, la rovina inevitabile dei piccoli borghesi e dei piccoli contadini, la miseria del proletariato, l'anarchia della produzione, le stridenti sproporzioni nella distribuzione della ricchezza, la guerra industriale di sterminio fra le varie nazioni, la dissoluzione dei vecchi costumi, dei vecchi rapporti familiari, delle vecchie nazionalit�.

Tuttavia, quanto al suo contenuto positivo, questo socialismo o vuole restaurare gli antichi mezzi di produzione e di traffico, e con essi i vecchi rapporti di propriet� e la vecchia societ�, o vuole rinchiudere di nuovo, con la forza, entro i limiti degli antichi rapporti di propriet� i mezzi moderni di produzione e di traffico, che li han fatti saltare in aria, che non potevano non farli saltare per aria. In entrambi i casi esso � insieme reazionario e utopistico.

Corporazioni nella manifattura e economia patriarcale nelle campagne: ecco la sua ultima parola.

Nel suo ulteriore sviluppo questa tendenza � andata a finire in una vile depressione dopo l'ebbrezza.

 

c) Il socialismo tedesco

La letteratura socialista e comunista francese, ch'� sorta sotto la pressione d'una borghesia dominante ed � l'espressione letteraria della lotta contro questo dominio, venne introdotta in Germania proprio mentre la borghesia stava cominciando la sua lotta contro l'assolutismo feudale.

Filosofi, semifilosofi e begli spiriti tedeschi s'impadronirono avidamente di quella letteratura, dimenticando solo una piccola cosa: che le condizioni d'esistenza francesi non erano immigrate in Germania insieme a quegli scritti che venivano dalla Francia. Nei confronti delle condizioni tedesche, la letteratura francese perdette ogni significato pratico immediato e assunse un aspetto puramente letterario. Non poteva non apparire un'oziosa speculazione sulla vera societ�, sulla realizzazione dell'essere umano. Allo stesso modo le rivendicazioni della prima rivoluzione francese avevano avuto per i filosofi tedeschi del secolo XVIII soltanto il senso di essere rivendicazioni della "ragion pratica" in generale, e le manifestazioni di volont� della borghesia francese rivoluzionaria avevano significato ai loro occhi di leggi di pura volont�, della volont� come deve essere, della volont� veramente umana.

Il lavoro dei letterati tedeschi consistette unicamente nel concordare le nuove idee francesi con la loro vecchia coscienza filosofica, o, anzi, nell'appropriarsi delle idee francesi dal loro punto di vista filosofico.

Questa appropriazione avvenne nella stessa maniera che si usa in genere per appropriarsi una lingua straniera: mediante la traduzione.

E` noto come i monaci ricoprissero di insipide storie di santi cattolici i manoscritti che contenevano le opere classiche dell'antichit� pagana. Con la letteratura francese profana i letterati tedeschi usarono il procedimento inverso; scrissero le loro sciocchezze filosofiche sotto l'originale francese. Per esempio, sotto la critica francese dei rapporti patrimoniali essi scrissero "alienazione dell'essere umano", sotto la critica francese dello stato borghese scrissero "superamento del dominio dell'universale in astratto", e cos� via.

Battezzarono questa insinuazione del loro frasario filosofico negli svolgimenti francesi con i nomi di "filosofia dell'azione", "vero socialismo", "scienza tedesca del socialismo", "motivazione filosofica del socialismo" e cos� via.

Cos� la letteratura francese socialista e comunista fu letteralmente evirata. E poich� essa nelle mani dei tedeschi aveva smesso di esprimere la lotta d'una classe contro l'altra, il tedesco era consapevole d'aver superato l'unilateralit� francese, d'essersi fatto rappresentante non di veri bisogni, ma anzi del bisogno della verit�, non degli interessi del proletariato, ma anzi degli interessi dell'essere umano, dell'uomo in genere; dell'uomo che non appartiene a nessuna classe, anzi neppure alla realt�, e appartiene soltanto al cielo nebuloso della fantasia filosofica.

Questo socialismo tedesco, che prendeva cos� solennemente sul serio le sue goffe esercitazioni scolastiche, e tanto ciarlatanescamente le strombazzava, perdette tuttavia, a poco a poco, la sua pedantesca innocenza.

La lotta della borghesia tedesca, specialmente di quella prussiana, contro i feudali e contro la monarchia assoluta, in una parola, il movimento liberale, divenne pi� serio.

Cos� al vero socialismo si offr� l'auspicata occasione di contrapporre le rivendicazioni socialiste al movimento politico, di lanciare i tradizionali anatemi contro il liberalismo, contro lo Stato rappresentativo, contro la concorrenza borghese, contro la libert� di stampa borghese, il diritto borghese, la libert� e l'eguaglianza borghesi; e di predicare alla massa popolare come essa non avesse niente da guadagnare, anzi tutto da perdere con quel movimento borghese. Il socialismo tedesco dimenticava in tempo che la critica francese della quale esso era l'insulso eco, presuppone la societ� borghese moderna con le corrispondenti condizioni materiali d'esistenza e l'adeguata costituzione politica: tutti presupposti che in Germania si trattava appena di conquistare.

Il vero socialismo serv� ai governi assoluti tedeschi, col loro seguito di preti, di maestrucoli, di nobilucci rurali e di burocrati, come gradito spauracchio contro la borghesia che avanzava minacciosa.

Costitu� il dolciastro complemento delle acri sferzate e delle pallottole di fucile con le quali quei governi rispondevano alle insurrezioni operaie.

Mentre il vero socialismo diventava cos� un'arma nelle mani dei governi contro la borghesia tedesca, esso rappresentava d'altra parte anche direttamente un interesse reazionario, l'interesse del popolo minuto tedesco. In Germania la piccola borghesia, che � un'eredit� del secolo XVI, e sempre vi riaffiora, da quell'epoca in poi, in varie forme, costituisce il vero e proprio fondamento sociale della situazione attuale.

La sua conservazione � la conservazione della situazione tedesca attuale. Essa teme la sicura rovina dal dominio industriale e politico della borghesia, tanto in conseguenza della concentrazione del capitale, quanto attraverso il sorgere di un proletariato rivoluzionario. Le sembr� che il vero socialismo prendesse entrambi i piccioni con una fava. Ed esso si diffuse come un'epidemia.

La veste ordita di ragnatela speculativa, ricamata di fiori retorici di begli spiriti, impregnata di rugiada sentimentale febbricitante di amore, questa veste di esaltazione nella quale i socialisti tedeschi avviluppavano il loro paio di ossute verit� eterne, non fece che aumentare lo spaccio della loro merce presso quel pubblico.

Per conto suo, il socialismo tedesco riconobbe sempre meglio la propria vocazione d'essere il burbanzoso rappresentante di questa piccola borghesia.

Esso ha proclamato la nazione tedesca la nazione normale; il filisteo tedesco l'uomo normale. Ha conferito ad ogni abiezione di costui un senso celato, superiore, socialistico pel qual l'abiezione significava il contrario di quel che era. Ed ha tratto le ultime conseguenze prendendo direttamente posizione contro la tendenza brutalmente distruttiva del comunismo e proclamando la propria imparziale superiorit� a tutte le lotte di classe. Quanto circola in Germania di pretesi scritti socialisti e comunisti appartiene, con pochissime eccezioni, alla sfera di questa sordida e snervante letteratura.

 

 

2. Il socialismo borghese

Una parte della borghesia desidera di portar rimedio agli inconvenienti sociali, per garantire l'esistenza della societ� borghese.

Rientrano in questa categoria economisti, filantropi, umanitari, miglioratori della situazione delle classi lavoratrici, organizzatori di beneficenze, protettori degli animali, fondatori di societ� di temperanza e tutta una variopinta gen�a di oscuri riformatori. E in interi sistemi � stato elaborato questo socialismo borghese.

Come esempio citeremo la "Philosophie de la mis�re del Proudhon".

I socialisti borghesi vogliono le condizioni di vita della societ� moderna senza le lotte e i pericoli che necessariamente ne derivano. Vogliono la societ� attuale sottrazion fatta degli elementi che la rivoluzionano e la dissolvono. Vogliono la borghesia senza proletariato. La borghesia si raffigura naturalmente il mondo ov'essa domina come il migliore dei mondi. Il socialismo borghese elabora questa consolante idea in un semi-sistema o anche in un sistema intero. Quando invita il proletariato a mettere in atto i suoi sistemi per entrare nella nuova Gerusalemme, il socialismo borghese non fa in sostanza che pretendere dal proletariato che esso rimanga fermo nella societ� attuale, ma rinunci alle odiose idee che di essa s'� fatto.

Una seconda forma di socialismo meno sistematica e pi� pratica cercava di far passare alla classe operaia la voglia di qualsiasi movimento rivoluzionario, argomentando che le potrebbe essere utile non l'uno o l'altro cambiamento politico, ma soltanto un cambiamento delle condizioni materiali della esistenza, cio� dei rapporti economici. Ma questo socialismo non intende affatto, con il termine di cambiamento delle condizioni materiali dell'esistenza, l'abolizione dei rapporti borghesi di produzione, possibile solo in via rivoluzionaria, ma miglioramenti amministrativi svolgentisi sul terreno di quei rapporti di produzione, che dunque non cambiano nulla al rapporto fra capitale e lavoro salariato, ma che, nel migliore dei casi, diminuiscono le spese che la borghesia deve sostenere per il suo dominio e semplificano il suo bilancio statale.

Il socialismo borghese giunge alla sua espressione adeguata solo quando diventa semplice figura retorica.

Libero commercio! nell'interesse della classe operaia; dazi protettivi! nell'interesse della classe operaia; carcere cellulare! nell'interesse della classe operaia. Questa � l'ultima parola, l'unica detta seriamente, del socialismo borghese.

Il loro socialismo consiste appunto nell'affermazione che i borghesi sono borghesi -nell'interesse della classe operaia

 

 

3. Il socialismo e comunismo critico-utopistico

Qui non parleremo della letteratura che ha espresso le rivendicazioni del proletariato in tutte le grandi rivoluzioni moderne (scritti di Babeuf e cos� via).

I primi tentativi del proletariato di far valere direttamente il suo proprio interesse di classe in un'et� di generale effervescenza, nel periodo del rovesciamento della societ� feudale, non potevano non fallire per la forma poco sviluppata del proletariato stesso, come anche per la mancanza delle condizioni materiali della sua emancipazione, che sono appunto solo il prodotto dell'et� borghese. La letteratura rivoluzionaria che ha accompagnato quei primi movimenti del proletariato � per forza reazionaria, quanto al contenuto; insegna un ascetismo generale e un rozzo egualitarismo.

I sistemi propriamente socialisti e comunisti, i sistemi di Saint-Simon, di Fourier, di Owen, ecc., emergono nel primo periodo, non sviluppato, della lotta fra proletariato e borghesia, che abbiamo esposto sopra (vedi: Borghesia e proletariato).

Certo, gli inventori di quei sistemi vedono l'antagonismo delle classi e anche l'efficacia degli elementi dissolventi nel seno della stessa societ� dominante. Ma non vedono nessuna attivit� storica autonoma dalla parte del proletariato, non vedono nessun movimento politico proprio e particolare del proletariato.

Poich� lo sviluppo dell'antagonismo fra le classi va di pari passo con lo sviluppo dell'industria, essi non trovano neppure le condizioni materiali per l'emancipazione del proletariato, e vanno in cerca d'una scienza sociale, di leggi sociali, per creare queste condizioni.

Alla attivit� sociale deve subentrare la loro attivit� inventiva personale, alle condizioni storiche dell'emancipazione del proletariato, devono subentrare condizioni immaginarie, e alla organizzazione del proletariato in classe con un processo graduale deve subentrare una organizzazione della societ� da essi escogitata a bella posta. La storia universale futura si dissolve per essi nella propaganda e nell'esecuzione pratica dei loro progetti di societ�.

E` vero ch'essi sono coscienti di sostenere nei loro progetti sopratutto gli interessi della classe operaia, come della classe che pi� soffre. Il proletariato esiste per essi soltanto da questo punto di vista della classe che pi� soffre.

Ma � inerente tanto alla forma non evoluta della lotta di classe quanto alla loro propria situazione, ch'essi credano d'essere di gran lunga superiori a quell'antagonismo di classe. Vogliono migliorare la situazione di tutti i membri della societ�, anche dei meglio situati. Quindi fanno continuamente appello alla societ� intera, senza distinzione, anzi, di preferenza alla classe dominante. Giacch� basta soltanto comprendere il loro sistema per riconoscerlo come il miglior progetto possibile della miglior societ� possibile.

Quindi essi respingono qualsiasi azione politica, e specialmente ogni azione rivoluzionaria; vogliono raggiungere la loro meta per vie pacifiche e tentano di aprir la strada al nuovo vangelo sociale con piccoli esperimenti che naturalmente falliscono, con la potenza dell'esempio.

Tale descrizione fantastica della societ� futura corrisponde al primo impulso presago del proletariato verso una trasformazione generale della societ�, in un periodo nel quale il proletariato � ancora pochissimo sviluppato, e quindi intende anch'esso ancora fantasticamente la propria posizione.

Ma gli scritti socialisti e comunisti consistono anche di elementi di critica. Essi attaccano tutte le fondamenta della societ� esistente. Hanno quindi fornito materiale preziosissimo per illuminare gli operai. Le loro proposizioni positive sulla societ� futura, per esempio l'abolizione del contrasto fra citt� e campagna, della famiglia, del guadagno privato, del lavoro salariato, l'annuncio dell'armonia sociale, la trasformazione dello Stato in una semplice amministrazione della produzione, tutte queste proposizioni esprimono semplicemente la scomparsa dell'antagonismo fra le classi che allora comincia appena a svilupparsi, e ch'essi conoscono soltanto nella sua prima informe indeterminatezza. Perci� queste stesse proposizioni hanno ancora un senso puramente utopistico.

L'importanza del socialismo e comunismo critico utopistico sta in rapporto inverso allo sviluppo storico. Nella stessa misura che si sviluppa e prende forma la lotta fra le classi, perde ogni valore pratico, ogni giustificazione teorica quell'immaginario sollevarsi al di sopra di essa, quella lotta immaginaria contro di essa. Quindi, anche se gli autori di quei sistemi erano rivoluzionari per molti aspetti, i loro scolari costituiscono ogni volta sette reazionarie. Tengon ferme contro il progressivo sviluppo storico del proletariato, le vecchie opinioni dei maestri. Quindi cercano conseguentemente di smussare di nuovo la lotta di classe, e di conciliare gli antagonismi. Continuano sempre a sognare la realizzazione sperimentale delle loro utopie sociali, l'istituzione di singoli falansteri, la fondazione di colonie in patria, la creazione di una piccola Icaria, -edizione in dodicesimo della nuova Gerusalemme- e per la costruzione di tutti quei castelli in Ispagna debbono far appello alla filantropia dei cuori e delle borse borghesi. A poco per volta essi cadono nella sopra descritta categoria dei socialisti reazionari o conservatori, e ormai si distinguono da questo solo per una pedanteria pi� sistematica, e per la fede fanatica e superstiziosa nell'efficacia miracolosa della loro scienza sociale.

Quindi si oppongono aspramente ad ogni movimento politico degli operai, poich� esso non potrebbe procedere che da cieca mancanza di fede nel nuovo vangelo.

Gli owenisti in Inghilterra reagiscono contro i cartisti, i fourieristi in Francia reagiscono contro i riformisti.

IV. Posizione dei Comunisti di fronte ai diversi partiti di opposizione

 

Da quanto s'� detto nel secondo capitolo appare ovvio quale sia il rapporto dei comunisti coi partiti operai gi� costituiti, cio� il loro rapporto coi cartisti in Inghilterra e coi riformatori nell'America del Nord.

I comunisti lottano per raggiungere i fini e gli interessi immediati della classe operaia, ma nel movimento presente rappresentano in pari tempo l'avvenire del movimento. In Francia i comunisti si alleano al partito socialista-democratico contro la borghesia conservatrice e radicale, senza per questo rinunciare al diritto d'un contegno critico verso le frasi e le illusioni provenienti dalla tradizione rivoluzionaria.

In Svizzera essi appoggiano i radicali, senza disconoscere che questo partito � costituito da elementi contraddittori, in parte da socialisti democratici in senso francese, in parte da borghesi radicali.

Fra i polacchi, i comunisti appoggiano il partito che fa d'una rivoluzione agraria la condizione della liberazione nazionale. Lo stesso partito che promosse l'insurrezione di Cracovia del 1846.

In Germania il partito comunista combatte insieme alla borghesia contro la monarchia assoluta, contro la propriet� fondiaria feudale e il piccolo borghesume, appena la borghesia prende una posizione rivoluzionaria.

Per� il partito comunista non cessa nemmeno un istante di preparare e sviluppare fra gli operai una coscienza quanto pi� chiara � possibile dell'antagonismo ostile fra borghesia e proletariato, affinch� i lavoratori tedeschi possano subito rivolgere, come altrettante armi contro la borghesia, le condizioni sociali e politiche che la borghesia deve creare con il suo dominio, affinch� subito dopo la caduta delle classi reazionarie in Germania, cominci la lotta contro la borghesia stessa.

I comunisti rivolgono la loro attenzione sopratutto alla Germania, perch� la Germania � alla vigilia d'una rivoluzione borghese, e perch� essa compie questo rivolgimento in condizioni di civilt� generale europea pi� progredite, e con un proletariato molto pi� evoluto che non l'Inghilterra nel decimosettimo e la Francia nel decimottavo secolo; perch� dunque la rivoluzione borghese tedesca pu� essere soltanto l'immediato preludio d'una rivoluzione proletaria.

In una parola: i comunisti appoggiano dappertutto ogni movimento rivoluzionario diretto contro le situazioni sociali e politiche attuali.

Entro tutti questi movimenti essi mettono in rilievo, come problema fondamentale del movimento, il problema della propriet�, qualsiasi forma, pi� o meno sviluppata, esso possa avere assunto.

Infine, i comunisti lavorano dappertutto al collegamento e all'intesa dei partiti democratici di tutti i paesi.

I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Dichiarano apertamente che i loro fini possono esser raggiunti soltanto col rovesciamento violento di tutto l'ordinamento sociale finora esistente. Le classi dominanti tremino al pensiero d'una rivoluzione comunista. I proletari non hanno da perdervi che le loro catene. Hanno un mondo da guadagnare.

 

PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI!

 

 

In memoria del manifesto

dei comunisti

Di qui a tre anni noi socialisti potremo celebrare il nostro giubileo. La data memorabile della pubblicazione del Manifesto dei comunisti (febbraio 1848) ci ricorda il nostro primo e sicuro ingresso nella storia. A quella data si riferisce ogni nostro giudizio ed ogni nostro apprezzamento su i progressi, che il proletariato � andato facendo in questo cinquantennio. A quella data si misura il corso della nuova �ra, la quale sboccia e sorge, anzi si sprigiona e sviluppa dall’�ra presente, per formazione a questa stessa intima ed immanente, e perci� in modo necessario e ineluttabile; quali che sian per essere le vicende varie e le successive fasi sue, per ora di certo imprevedibili. A tutti quelli fra noi, cui prema e giovi di possedere la piena consapevolezza dell’opera propria, occorre di tornare pi� volte col pensiero su le cause e su i moventi, che determinarono la genesi del Manifesto, in quelle circostanze in cui esso per l’appunto apparve, e cio� alla vigilia della rivoluzione, che scoppi� da Parigi a Vienna, da Palermo a Berlino. Soltanto per cotesta via ci � dato di trarre dalla stessa forma sociale, nella quale ora noi viviamo, la spiegazione della tendenza al socialismo; e di giustificare in conseguenza, per la stessa presente ragion d’essere di tale tendenza, la necessit� del suo effettivo trionfo, del quale facciamo tuttod� il presagio.

Quale �, in fatti, se non questo, il nerbo del Manifesto; o la sua essenza, e il suo carattere decisivo?

Sarebbe cosa vana, invero, il voler ci� ricercare invece nelle misure pratiche, che ivi son suggerite e proposte in fine del Capo secondo, come adottabili nella eventualit� di un successo rivoluzionario del proletariato, o nelle indicazioni di orientamento politico, rispetto agli altri partiti rivoluzionarii di allora, che trovansi al Capo quarto. Coteste indicazioni e cotesti suggerimenti, per quanto apprezzabili e notevoli nel tempo e nelle circostanze in cui furon formulati e dettati, e per quanto soprattutto importanti per giudicare in modo preciso dell’azione politica che i comunisti tedeschi spiegarono nel periodo rivoluzionario del 1848-50, non costituiscono oramai pi� per noi un insieme di vedute pratiche, per rispetto alle quali ci tocchi di deciderci, pro o contra, in ogni caso e ricorrenza. I partiti politici, che dal tempo della Internazionale in qua si vennero costituendo in varii paesi su la base del proletariato e in suo nome esplicito e chiaro, ebbero ed hanno, a misura che sorgono e poi si sviluppano, vivo bisogno di adattare e di conformare a varie e multiformi circostanze e contingenze le esigenze e l’opera loro. Ma nessuno di cotesti partiti ha tale coscienza di sapersi ora cos� prossimo alla dittatura del proletariato, da sentire in s� urgente il bisogno, o sia pure il desiderio o la tentazione, di rivedere e di valutare le proposte del Manifesto alla stregua di una verificazione, che paia probabile, perch� ritenuta prossima. Gli esperimenti storici non sono, in verit�, se non quei soli, che la storia stessa fa imprevedutamente, non a disegno, n� di proposito, n� a comando. Cos� accadde ai tempi della Comune, che fu, ed �, e rimane fino ad ora per noi, il solo esperimento approssimativo, sebbene confuso perch� subitaneo e di breve durata, dell’azione del proletariato, che sia messo alla nuova e dura prova d’impossessarsi del potere politico. Esperimento quello non voluto ad arte, n� cercato a disegno, imposto anzi dalle circostanze, ma eroicamente sostenuto; e che ora si converte per noi in salutare ammaestramento. L� dove il movimento socialistico � appena allo stato dell’infanzia, pu� darsi che questi o quegli, in difetto di esperienza propria e diretta, si appelli, come accade spesso in Italia, all’autorit� di un testo, come a precetto: – ma ci� effettivamente non conta proprio nulla.

N� quel nerbo, od essenza, e carattere decisivo sono, a mio avviso, da cercare nella orientazione su le altre forme di socialismo, che il Manifesto reca sotto al nome di Letteratura. Tutto ci� che ivi � detto, al Capo terzo, serve, senza dubbio, a definire mirabilmente, per via di antitesi, e nella forma di brevi, succose e calzanti caratteristiche, le differenze che effettivamente corrono tra il comunismo, che ora, con espressione da molti miseramente abusata, si � soliti di chiamare scientifico, ossia tra il comunismo, che ha per soggetto il proletariato, e per argomento la rivoluzione proletaria, e le altre forme reazionarie, borghesi, semi-borghesi, piccolo-borghesi, utopistiche e cosi via. Tutte coteste forme, meno una, ricorsero e si rinnovarono pi� volte, e ricorrono e si rinnovano anche ora nei paesi nei quali il movimento proletario moderno � appena in sul nascere. Per tali paesi, e in tali circostanze, il Manifesto ha esercitato ed esercita tuttora l’ufficio di critica attuale, e di frusta letteraria. Ma nei paesi nei quali, o quelle forme furon gi� teoricamente e praticamente superate, come � in gran parte il caso della Germania e dell’Austria, o sopravvivono solo allo stato settario e soggettivo, come accade gi� in Francia e in Inghilterra, per non dire delle altre nazioni via via enumerando, il Manifesto, per questo rispetto, ha compiuto oramai tutto l’ufficio suo. E non fa che registrare, come per memoria, ci� cui non occorre pi� di pensare, data l’azione politica del proletariato, che gi� si svolge nel suo normale e graduale processo.

Or questa fu per l’appunto, e come per anticipazione, la disposizione d’animo e di mente di quelli che lo scrissero. Di ci� che avean superato per virt� di pensiero, il quale sopra pochi ma chiari dati di esperienza anticipi sicuro gli eventi, essi non esprimevano, oramai, se non la eliminazione e la condanna. Il comunismo critico - questo � il vero suo nome, e non ve n’� altro di pi� esatto per tale dottrina – non recitava pi� coi feudali il rimpianto della vecchia societ�, per poi fare a rovescio la critica della societ� presente: – anzi non mirava che al futuro. Non si associava pi� ai piccolo-borghesi nel desiderio di salvare il non salvabile: – come ad esempio la piccola propriet�, o il quieto vivere della piccola gente, cui la vertiginosa azione dello stato moderno, che della societ� attuale � l’organo necessario e naturale, torna grave e pesante solo perch� esso stato, rivoluzionando di continuo, reca in s� e con s� la necessit� di altre nuove e pi� profonde rivoluzioni. N� traduceva in arzigogoli metafisici, o in riflessi di morboso sentimento, o di religiosa contemplazione, i contrasti reali dei materiali interessi della vita di tutti i giorni: – anzi questi contrasti rendeva ed esponeva in tutta la prosa loro. Non costruiva la societ� dell’avvenire su le linee di un disegno, in ogni sua parte armonicamente condotto a finimento. Non levava parole di lode e di esaltazione, o di evocazione e di rimpianto, alle due dee della mitologia filosofica, la Giustizia e la Eguaglianza: alle due dee, cio�, che fanno cos� trista figura nella misera pratica della vita cotidiana, quando si riesca ad intendere, come la storia da tanti secoli si procuri l’indecente passatempo di fare e di disfare quasi sempre a controsenso degl’infallibili dettami loro. Anzi quei comunisti, pur dichiarando, con esibizione di fatti che hanno forza di argomento e di prova, che i proletarii fossero oramai destinati a far la parte di sotterratori della borghesia, a questa rendevano omaggio, come ad autrice di una forma sociale, che � in estensione ed in intensit� uno stadio notevole del progresso umano, e che sola pu� far da arena alle nuove lotte promettenti esito felice al proletariato. Necrologia di stile cos� monumentale non fu mai scritta. Quelle lodi rese alla borghesia assumono una certa originale forma di umorismo tragico, e son parse ad alcuno come scritte con intonazione da ditirambo.

Nondimeno quelle definizioni negative ed antitetiche delle altre forme di socialismo allora correnti, e poi dopo, e fino ad ora, spesso ricorrenti, per quanto inappuntabili nella sostanza, nella forma e nello scopo cui mirano, n� pretendono di essere, n� sono, la effettiva storia del socialismo, e non recano, n� la traccia, n� lo schema di questa, se altri voglia scriverla. La storia, in vero, non poggia su la differenza di vero e di falso, o di giusto e d’ingiusto, e molto meno su la pi� astratta antitesi di possibile e di reale; come se le cose stessero da un canto, e avessero dall’atro canto le proprie ombre e fantasmi, nelle idee. Essa � sempre tutta d’un pezzo, e poggia tutta sul processo di formazione e di trasformazione della societ�: il che � da intendere in senso obiettivo, e indipendentemente da ogni nostro soggettivo gradimento o sgradimento. Essa � una dinamica di genere speciale; se cos� piace ai Positivisti, che di tali espressioni tanto si dilettano, e spesso non vanno pi� in l� della parola nuova che mettono in giro. Ora le varie forme di concezione e di azione socialistica, che apparvero e sparirono nel corso dei secoli, con tante differenze nei motivi, nella fisionomia e negli effetti, vanno tutte studiate e spiegate per le condizioni specifiche e complesse della vita sociale in cui si produssero. Ad esaminarle si vede, che non costituiscono un solo insieme di processo continuativo; perch� la serie ne � pi� volte interrotta dal cambiare del complesso sociale, e dall’oscurarsi e spezzarsi della tradizione. Solo dal tempo della Grande Rivoluzione il socialismo assume una certa unit� di processo, che si fa poi pi� evidente dal 1830 in gi�, col definitivo avvento della borghesia al dominio politico in Francia e in Inghilterra, e diventa da ultimo intuitiva e direi palpabile dalla Internazionale in qua. Su questa via, su questo cammino, sta, come gran colonna miliare, il Manifesto, con doppia indicazione, direi cos�, dalle due parti. Di qua � l’incunabulo della nuova dottrina, che ha poi fatto il giro del mondo. Di l� � l’orientazione su le forme che esso esclude, ma di cui non reca l’esposizione e il racconto.

Il nerbo, l’essenza, il carattere decisivo di questo scritto consistono del tutto nella nuova concezione storica, che gli sta in fondo, e che esso stesso in parte dichiara e sviluppa, quando nel resto non vi accenni, e non vi rimandi, o non la supponga soltanto. Per questa concezione il comunismo, cessando dall’essere speranza, aspirazione, ricordo, congettura o ripiego, trovava per la prima volta la sua adeguata espressione nella coscienza della sua propria necessit�; cio� nella coscienza di esser l’esito e la soluzione delle attuali lotte di classe. N� queste son quelle di ogni tempo e luogo, su le quali la storia del passato s’era esercitata e svolta; ma son quelle, invece, che tutte si assottigliano e si riducono predominantemente nella lotta tra borghesia capitalistica e lavoratori fatalmente proletarizzati. Di questa lotta il Manifesto trova la genesi, determina il ritmo di evoluzione, e presagisce il finale effetto.

In tale concezione storica � tutta la dottrina del comunismo scientifico. Da questo punto in poi gli avversarii teorici del socialismo non sono chiamati pi� a discutere della astratta possibilit� della democratica socializzazione dei mezzi di produzione; come se di ci� s’avesse a far giudizio per illazioni tratte dalle generali e comunissime attitudini della cosi detta natura umana. Qui si tratta invece di riconoscere, o di non riconoscere nel corso presente delle cose umane una necessit�, la quale trascende ogni nostra simpatia ed ogni nostro subiettivo assentimento. Trovasi o no la societ� d’essere ora cos� fatta, nei paesi pi� progrediti, da dovere essa riuscire al comunismo per le) leggi immanenti al suo proprio divenire, data la sua attuale struttura economica, e dati gli attriti che questa da s� in se stessa necessariamente produce, fino a far crepaccio e dissolversi? Ecco il soggetto della disputa, dopo che tale dottrina � apparsa. Ed ecco insiememente la regola di condotta, che s’impone all’azione dei partiti socialistici; o che siano essi di soli proletarii, o che accolgano nelle loro file uomini usciti da altre classi, i quali facciano la parte di volontarii nell’esercito del proletariato.

Per ci� noi socialisti, che ci lasciamo ben volentieri chiamare scientifici, se altri non intende per cotal modo di confonderci coi Positivisti, ospiti spesso ma da noi non sempre bene accetti, che a lor grado monopolizzano il nome di scienza, noi non ci battiamo i fianchi per sostenere una tesi astratta e generica, come fossimo causidici o sofisti: n� ci affanniamo a dimostrare la razionalit� degli intenti nostri. I nostri intenti non sono se non la espressione teorica e la pratica esplicazione dei dati che ci offre la interpretazione del processo che si compie attraverso noi e intorno a noi; e che � tutto nei rapporti obiettivi della vita sociale, di cui noi siamo soggetto ed oggetto, causa ed effetto, termine e parte. I nostri intenti son razionali, non perch� fondati sopra argomenti tratti dalla ragion ragionante, ma perch� desunti dalla obiettiva considerazione delle cose; il che � quanto dire dalla dilucidazione del processo loro, che non �, n� pu� essere, un resultato del nostro arbitrio, anzi il nostro arbitrio vince ed aggioga.

Il Manifesto dei comunisti, al quale, quanto a specifica efficacia, non pu� fare da surrogato nessuno degli scritti anteriori o posteriori degli autori stessi, che per estensione e portata scientifica son di tanto maggior peso, ci d� nella sua classica semplicit� l’espressione genuina di questa situazione: il proletariato moderno �, si pone, cresce e si svolge nella storia contemporanea come il soggetto concreto, come la forza positiva, dalla cui azione, inevitabilmente rivoluzionaria, il comunismo dovr� necessariamente resultare. E per ci� questo scritto, cio� per tale enunciazione di presagio teoreticamente fondato ed espresso in detti brevi, rapidi, concisi e memorabili, costituisce un’accolta, anzi un vivaio inesauribile di germogli di pensieri, che il lettore pu� indefinitivamente fecondare e moltiplicare; serbando esso la forza originale ed originaria della cosa nata appena appena, e non ancora divelta e distratta dal campo di sua propria produzione. Osservazione cotesta, che va principalmente rivolta a quelli, che, facendo professione di dotta ignoranza, quando non siano a dirittura fanfaroni, ciarlatani o allegri sportisti, regalano alla dottrina del comunismo critico precursori, patroni, alleati e maestri d’ogni genere, in oltraggio al senso comune e alla volgare cronologia. O sia che inquadrino la nostra dottrina materialistica della storia nella concezione il pi� delle volte fantastica e troppo generica della universale evoluzione, che gi� da molti fu ridotta in nuova metafora di novella metafisica; o sia che cerchino in tale dottrina un derivato del darwinismo, che solo in un certo modo, ma in senso, assai lato, ne � un caso analogico; o che ci favoriscano l’alleanza e la padronanza di quella filosofia positivistica, la quale corre dal Comte, degeneratore reazionario del geniale Saint-Simon, a questo Spencer, quintessenza di borghesismo anemicamente anarchico: il che vuol dire, dare a noi alleati e protettori i dichiarati e decisi avversarii nostri.

Tale forza germinativa, tale classicit� di efficacia, tale compendiosit� di sintesi di molte serie e gruppi di pensieri in uno scritto di cos� poche pagine, son dovute al modo della sua origine.

Due tedeschi ne furono gli autori, ma non vi portaron dentro, n� la sostanza, n� la forma delle personali opinioni, che a quel tempo sapean di solito d’imprecazione, di piato e di rancore in bocca ai profughi politici, o a quelli, che, com’era il caso loro, volontarii abbandonassero la patria, per godere altrove aere pi� spirabile. N� v’introdussero direttamente l’immagine delle condizioni del loro paese, che erano politicamente misere, e socialmente, ossia economicamente, solo per alcuni primi inizii, e solo in certi punti del territorio, confrontabili a quelle che gi� in Francia e in Inghilterra erano ed apparivano moderne. Vi portarono invece il pensiero filosofico, per cui solo la patria loro s’era messa e mantenuta all’altezza della storia contemporanea; di quel pensiero filosofico, che, appunto nelle persone loro, assumeva a quel tempo la notevole trasformazione, per la quale il materialismo, gi� rinnovato da Feuerhach, combinandosi con la dialettica, diveniva capace di abbracciare e di comprendere il moto della storia nelle sue cause pi� intime, e fino allora inesplorate, perch� latenti e non facili a districare. Comunisti e rivoluzionarii ambedue, ma non per istinto, n� per puro impulso o per passione, essi aveano quasi elaborata tutta una nuova critica della scienza economica, e avean compreso il nesso e il significato storico del movimento proletario di qua e di l� della Manica, ossia di Francia e d’Inghilterra, gi� prima che fossero chiamati a dettare nel Manifesto il programma e la dottrina della Lega dei comunisti. Questa, risedendo a Londra con notevoli diramazioni sul continente, avea dietro di s� un buon tratto di vita e di sviluppo proprio, attraverso a diverse fasi. Dei due, l’Engels, autore gi� da qualche tempo di un saggio critico, che, passando sopra ad ogni correzione subiettiva ed unilaterale, per la prima volta ritrae obiettivamente la critica dell’economia politica dalle antitesi inerenti agli enunciati ed ai concetti dell’economia stessa, era poi venuto in fama per un libro su la condizione degli operai inglesi, che � il primo tentativo riuscito di rappresentare i moti della classe operaia come resultanti dal giuoco stesso delle forze e dei mezzi di produzione. L’altro, Marx, avea dietro di s�, in breve corso d’anni, l’esperienza di pubblicista radicale in Germania, e quella del pari di pubblicista a Parigi e a Bruxelles, la escogitazione quasi matura dei primi rudimenti della concezione materialistica della storia, la critica teoreticamente vittoriosa dei presupposti e delle illazioni della dottrina di Proudhon, e la prima dilucidazione precisa della origine del sopravvalore dalla compra e dall’uso della forza-lavoro, cio� il primo germe delle concezioni venute pi� tardi a maturit� di dimostrazioni, di riconnessioni e di particolari nel Capitale. Ambedue congiunti per molte e varie vie di comunicazione ai rivoluzionarii dei vani paesi di Europa, e specie di Francia, del Belgio e dell’Inghilterra, non composero il Manifesto come saggio di personale opinione, ma anzi come la dottrina di un partito, che, nel suo non largo ambito, era gi� nell’animo, negl’intenti e nell’azione la prima Internazionale dei lavoratori.

Di qui comincia il socialismo strettamente moderno. Qui � la linea di delimitazione da tutto il resto.

La Lega dei comunisti era divenuta tale, dopo d’essere stata Lega dei Giusti; e questa alla sua volta s’era gradatamente specificata, per chiara coscienza d’intenti proletarii, dalla lega generica dei profughi, ossia degli sbanditi. Come tipo, che rechi in s� quasi in disegno embrionale la forma d’ogni ulteriore movimento socialistico e proletario, essa avea attraversato le varie fasi della cospirazione e del socialismo egalitario. Avea metafisicato con Gr�n, e utopizzato con Weitling. Avendo sua sede principale a Londra, s’era affiatata, rifluendo in piccola parte sopra di esso, col movimento cartista; il quale esemplificava nel suo carattere saltuario, perch� di primo esperimento, e punto premeditato, perch� non pi� di cospirazione o di setta, la dura e faticosa formazione del partito vero e proprio della politica proletaria. La tendenza al socialismo non giunse a maturit� nel cartismo, se non quando il moto suo fu prossimo a fallire, e di fatti fall� (indimenticabili voi, Jones ed Harney!). La Lega fiutava da per tutto la rivoluzione, e perch� la cosa era nell’aria, e perch� il suo istinto e il suo metodo d’informazioni a ci� la portava: – e, mentre la rivoluzione effettivamente scoppiava, essa si forn� nella nuova dottrina del Manifesto di un istrumento di orientazione, che era in pari tempo un’arma di combattimento. Gi� di fatti internazionale, parte per la qualit� e origine varia dei membri suoi, ma assai pi� ancora per l’istinto e per la vocazione che erano in tutti loro, essa venne a prender posto nel movimento generale della vita politica, qual precorrimento chiaro e preciso di tutto ci� che ora pu� ragionevolmente dirsi socialismo moderno; se cotal parola di moderno non deve esprimere una semplice data di cronologia estrinseca, ma anzi un indice del processo interno, ossia morfologico della societ�.

Una lunga intermissione dal 1852 al 1864, che fu il periodo della reazione politica, e quello in pari tempo della sparizione, della dispersione e del riassorbimento delle vecchie scuole socialistiche, separa la Internazionale appena iniziale dell’Arbeiterbildungsverein di Londra, dalla Internazionale propriamente detta, che dal 1864 al 1873 intese a parificare nelle condizioni di lotta l’azione del proletariato in Europa ed in America. Altre intermissioni ebbe l’azione del proletariato, meno che in Germania e specialmente in Francia, dalla dissoluzione della Internazionale di gloriosa memoria, fino a questa nuova, che ora vive di altri mezzi e si sviluppa con altri modi, consentanei quelli e questi alla situazione politica in cui ci troviamo, e ai suggerimenti di una pi� larga e maturata esperienza. Ma, come i sopravvissuti, tra quelli che fra il novembre e il dicembre del 1847 discussero ed accettarono la nuova dottrina, riapparvero poi su la scena pubblica nella grande Internazionale, e son riapparsi da ultimo in questa nuova, cos� il Manifesto � tornato via via alla luce della pubblicit�, facendo effettivamente quel giro del mondo in tutte le lingue dei paesi civili, che s’era ripromesso ma non pot� compiere al suo primo apparire.

Quello � il vero precorrimento: quelli furono i veri precursori nostri. Si mossero prima degli altri, di buon tempo, con passo affrettato ma sicuro, su quella via che noi appunto dobbiamo percorrere, e che difatti percorriamo. Mal s’attaglia il nome dei precursori a quelli i quali corsero vie, che poi sia convenuto di abbandonare: ossia a quelli i quali, per uscir di metafora, formularono dottrine e iniziarono movimenti, senza dubbio spiegabili per i tempi e per le circostanze in cui nacquero, ma che furon poi tutti superati dalla dottrina del comunismo critico, che � la teoria della rivoluzione proletaria. Non � gi� che quelle dottrine e quei tentativi fossero apparizioni accidentali, inutili e superflue. Nulla v’� di assolutamente irrazionale nel corso storico delle cose, perch� nulla v’� in esso d’immotivato, e perci� di meramente superfluo. N� a noi � dato di giungere, nemmeno ora, alla coscienza del comunismo critico, senza ripassare mentalmente per quelle dottrine, ripercorrendo il processo della loro apparizione e sparizione. Il fatto � che quelle dottrine non sono soltanto passate nel tempo, o dalla memoria, ma furono intrinsecamente sorpassate, e per la mutata condizione della societ�, e per la progredita intelligenza delle leggi su le quali poggia la formazione ed il processo di essa.

Il momento in cui si avvera cotesto passare, che � un sorpassare intrinsecamente, gli � quello appunto in cui il Manifesto apparisce. Come primo indice della genesi del socialismo moderno, questo scritto, che della nuova dottrina non reca se non i cenni pi� generali ossia i pi� facilmente comunicabili, porta in s� le tracce del terreno storico in cui nacque, che fu quello della Francia, dell’Inghilterra e della Germania. Il terreno di propagazione e di diffusione � diventato poi via via pi� largo, ed � oramai tanto vasto quanto � il mondo civile. In tutti i paesi, nei quali la tendenza al comunismo si � venuta successivamente sviluppando attraverso agli antagonismi variamente atteggiati, ma pur ogni giorno sempre pi� chiari, fra borghesia e proletariato, in parte o in tutto s’� andato poi pi� volte ripetendo il processo della prima formazione. I partiti proletarii, che via via si son costituiti, han ripercorso gli stadii di formazione, che i precursori primi percorsero la prima volta: se non che tale processo s’� fatto da paese a paese e di anno in anno sempre pi� breve, e per la cresciuta evidenza, urgenza ed energia degli antagonismi, e perch� assimilare una dottrina o un indirizzo � cosa naturalmente pi� facile, che non sia il produrre la prima volta e quella e questo. Quei collaboratori nostri di cinquanta anni fa, furono anche per questo rispetto internazionali; perch� dettero al proletariato delle varie nazioni, col proprio esempio ed esperimento, la traccia anticipata e generale del lavoro da compiere.

Ma la coscienza teoretica dei socialismo sta oggi, come prima, e come star� sempre, nella intelligenza della sua necessit� storica, ossia nella consapevolezza del modo della sua genesi; e questa si rispecchia, come in breve campo di osservazione e come in compendioso esempio, nella formazione appunto del Manifesto. Esso stesso, per l’intento di battaglia che si propone, non reca in s� apparenti le tracce della sua origine; perch� si esprime in midollo di enunciati e non in apparato di dimostrazioni. La dimostrazione � tutta nell’imperativo della necessit�. Ma la formazione si pu� tutta rifarla; e rifarla vuoi dire ora per noi intendere per davvero la dottrina del Manifesto.

C’� s� un’analisi, che, separando astrattamente i fattori di un organismo, li distrugge in quanto elementi concorrenti nella unit� del complesso: – ma ce n e un’altra di analisi, ed essa sola ha valore per la intelligenza della storia, ed � quella che distingue e separa gli elementi soltanto per ravvisarvi la necessit� obiettiva della concorrenza loro nel resultato. Oramai � opinione popolare, che il socialismo moderno sia un normale e perci� inevitabile portato della storia attuale. La sua azione politica, che ammette, s�, d’ora innanzi indugi e ritardi, ma non pi� riassorbimento totale e annichilimento, cominci� decisamente con la Internazionale. Pi� indietro per� di questa sta il Manifesto. La sua dottrina � innanzi tutto la luce teorica portata sul movimento proletario; il quale, del resto, s’era generato e continua a generarsi indipendentemente dall’azione di ogni dottrina. E poi � pi� che questa luce. Il comunismo critico non sorge se non nel momento in cui il moto proletario, oltre ad essere un resultato delle condizioni sociali, ha gi� tanta forza in s� da intendere, che queste condizioni sono mutabili, e da intravvedere con quali mezzi e in che senso possano essere mutate. Non bastava che il socialismo fosse un resultato della storia; ma bisognava inoltre intendere come fosse intrinsecamente cotale resultato, e a che cosa menasse l’agitazione sua. L’enunciazione di tale consapevolezza, che cio� il proletariato, come resultato necessario della societ� moderna, ha in s� la missione di succedere alla borghesia, e di succederle come forza produttrice di un nuovo ordine di convivenza, in cui le antitesi di classe dovranno sparire, fa del Manifesto un momento caratteristico del corso generale della storia. Esso � una rivelazione, ma non gi� come apocalissi o promessa di millennio. � la rivelazione scientifica e meditata del cammino che percorre la nostra societ� civile (che l’ombra di Fourier mi sia benigna); la quale rivelazione, pei modi come � espressa, assume la parola decisiva e direi fulminea di chi enuncia nel fatto la necessit� del fatto stesso.

A tale stregua il Manifesto ci rid� la storia interna della sua origine, che al tempo stesso ne giustifica la dottrina, e ne spiega il singolare effetto e la maravigliosa efficacia. Senza perderci in molti particolari, ecco le serie e i gruppi di elementi, che, raccolti e trasformati in quella rapida e calzante sintesi, vi rappresentano come il nocciolo d’ogni ulteriore sviluppo del socialismo scientifico.

La materia prossima, diretta ed intuitiva � data dalla Francia e dall’Inghilterra, che avean gi� messo sulla scena politica di dopo il 1830 un movimento operaio, il quale a volte si mescola e a volte si distingue dagli altri movimenti rivoluzionarii, corre per gli estremi dalla rivolta istintiva al disegno pratico del partito politico (p e. la Carta, e la democrazia sociale), e genera diverse forme temporanee e caduche di comunismo, o di semicomunismo, come era quello che allora chiamavasi socialismo.

Per riconoscere in tali moti, non pi� la fugace apparizione di turbamenti meteorici, ma il fatto nuovo della societ� occorreva una teoria, che non fosse, n� un semplice complemento della tradizione democratica, n� la soggettiva correzione degl’inconvenienti oramai riconosciuti della economia della concorrenza: le quali due cose passavano allora, come � noto, per la testa e per le bocche di molti. La nuova teoria fu appunto l’opera personale di Marx e di Engels; i quali trasferirono il concetto del divenire storico per processo di antitesi, dalla forma astratta, che la dialettica di Hegel avea per sommi capi e negli aspetti generalissimi gi� descritta, alla spiegazione concreta delle lotte di classe; e quel movimento storico, che era parso passaggio di una in altra forma di idee, per la prima volta intesero come transizione da una in altra forma della sottostante anatomia sociale, ossia da una in altra forma della produzione economica.

Cotesta concezione storica, elevando a teoria quel bisogno della nuova rivoluzione sociale, che era pi� o meno esplicito nella coscienza istintiva del proletariato, e nei suoi moti passionati e subitanei, nell’atto che riconosceva la intrinseca e immanente necessit� della rivoluzione, di questa stessa cambiava il concetto. Ci� che era parso possibile alle s�tte dei cospiratori, come cosa che possa volersi a disegno e predisporsi a volont�, diventava un processo da favorire, da sorreggere e da secondare. La rivoluzione diventava l’obietto di una politica, le cui condizioni son date dalla situazione complessa della societ�: cio� un resultato, al quale il proletariato deve giungere, attraverso lotte varie e mezzi varii di organizzazione, non ancora escogitati dalla vecchia tattica delle rivolte. E ci� perch� il proletariato non � un accessorio, un amminicolo, una escrescenza, un male eliminabile di questa societ� in cui viviamo; ma � il suo sostrato, la sua condizione essenziale, il suo effetto inevitabile, e, alla sua volta, la causa che conserva e mantiene in essere la societ� stessa: onde non pu� emanciparsi, se non emancipando tutto e tutti, ossia rivoluzionando integralmente la forma della produzione.

Come la Lega dei Giusti era diventata Lega dei comunisti, spogliandosi delle forme simboliche e cospiratorie, e volgendosi verso i mezzi della propaganda e dell’azione politica a grado a grado, e qualche tempo in qua da che l’insurrezione di Barb�s e Blanqui fu fallita (1839), cos� la dottrina nuova, che la Lega stessa accettava e faceva sua, super� definitivamente le idee che guidavano l’azione cospiratoria, e convert� in termine e resultato obiettivo di un processo ci� che i cospiratori pensavano stesse alla punta di un loro disegno, o potesse essere l’emanazione e l’efflusso del loro eroismo.

E in ci� � un’altra linea ascendente nell’ordine dei fatti, un’altra connessione di concetti e di dottrine.

Il comunismo cospiratorio, il blanquismo di allora, ci fa risalire attraverso a Buonarroti, e in parte attraverso a Bazard e alla Carboneria, fin su su alla cospirazione di Babeuf; il quale fu vero eroe di tragedia antica, che d� di cozzo nel fato, per la ignorata incongruenza del proprio disegno con la condizione economica del tempo, non atta ancora a mettere su la scena politica un proletariato fornito di esplicita coscienza di classe. Da Babeuf, attraverso ad alcuni elementi men noti del periodo giacobino, e poi a Boissel e a Fauchet, si risale all’intuitivo Morelly e al versatile e geniale Mably, e, se si vuole, sino al caotico testamento del curato Meslier, ribellione istintiva e violenta del buon senso contro la selvaggia oppressione del povero contadino.

Furon tutti egalitarii cotesti precursori del socialismo violento, protestatario, cospiratorio; come egalitarii furono per la pi� parte i cospiratori stessi. Per un singolare, ma inevitabile abbaglio, essi tutti assunsero ad arma di combattimento, ma interpretandola e generalizzandola a rovescio, quella medesima dottrina della eguaglianza, che sviluppatasi come diritto di natura parallelamente alla formazione della teoria economica, era stata istrumento in mano della borghesia, che conquistava via via la sua attuale posizione, per convertire la societ� del privilegio in quella del liberalismo, del liberismo e del codice civile. Per tale illazione immediata, che era in fondo una semplice illusione, e cio�, che, essendo tutti gli uomini eguali in natura, essi abbiano ad esser tutti eguali anche nei godimenti, si credeva che l’appello alla ragione racchiudesse in s� ogni elemento e forza di persuasione e di propaganda, e che la rapida, istantanea e violenta presa di possesso degli istrumenti esteriori del potere politico fosse il solo mezzo per rimettere a posto i renitenti.

Ma donde nacquero, e come si reggono coteste disuguaglianze, che paion tanto irrazionali alla luce di un cos� semplice e semplicistico concetto della giustizia? Il Manifesto apparve come la recisa negazione del principio della eguaglianza, cos� ingenuamente e cos� grossolanamente inteso. Nell’atto che annuncia come inevitabile l’abolizione delle classi nella futura forma di produzione collettiva, di queste classi stesse, come esse sono, come nacquero e come divennero, d� ragione come di un fatto, che non � l’eccezione o la deroga ad un principio astratto, ma anzi � lo stesso processo della storia.

Come il proletariato moderno suppone la borghesia, cos� questa non vive senza di esso. E l’uno e l’altra sono il resultuto di un processo di formazione, che tutto poggia sul nuovo modo di produrre i mezzi necessarii alla vita; cio� tutto poggia sul modo della produzione economica. La societ� borghese � sorta dalla societ� corporativa e feudale, e ne � sorta lottando, e rivoluzionando ci� che aveva dinanzi a s�, per impossessarsi degl’istrumenti e dei mezzi della produzione, i quali tutti poi culminano nella formazione, nell’allargamento, e nella riproduzione e moltiplicazione del capitale. Descrivere la origine ed il progresso della borghesia, nelle sue varie fasi, esporre i suoi successi nello sviluppo colossale della tecnica e nella conquista del mercato mondiale, indicare le conseguenti trasformazioni politiche, che di tali conquiste sono l’espressione, le difese e il resultato, vuol dire fare al tempo stesso la storia del proletariato. Questo, nella sua condizione attuale, � inerente all’epoca della societ� borghese; ed ebbe, ha ed avr� tante e tante fasi, quante ne ha questa societ� stessa, fino al suo dissolvimento. L’antitesi di ricchi e di poveri, di gaudenti e di sofferenti, di oppressori e di oppressi, non � un qualcosa di accidentale e di facilmente removibile, come era parso agli entusiastici amatori della giustizia. Anzi � un fatto di necessaria correlazione, dato il principio direttivo dell’attuale forma di produzione; il che apparisce nella necessit� del salariato. – Questa necessit� � in s� duplice. Il capitale non pu� impossessarsi della produzione se non a patto di proletarizzare, e non pu� continuare ad esistere, ad esser fruttifero, ad accumularsi, a moltiplicarsi e a trasformarsi, se non a patto di salariare i proletarizzati. E questi, alla lor volta, non possono esistere e rinnovarsi se non a condizione di darsi a mercede, come forza di lavoro, il cui uso � abbandonato alla discrezione, cio� alle convenienze dei possessori del capitale. L’armonia fra capitale e lavoro sta tutta in ci�, che il lavoro � la forza viva con la quale i proletarii di continuo mettono in moto e riproducono, con nuova giunta, il lavoro accumulato nel capitale. Questo nesso, il quale � un resultato di uno sviluppo, che � tutta l’intima essenza della storia moderna, se d� la chiave per intendere la ragion propria della nuova lotta di classe, di cui la concezione comunistica � divenuta l’ausilio e l’espressione, � d’altra parte cos� fatto, che nessuna protesta del cuore e del sentimento, nessuna argomentazione di giustizia pu� risolverlo o disfarlo.

Per tali ragioni, rese qui da me, a quel che spero, con plausibile popolarit�, il comunismo egalitario rimaneva battuto. La sua impotenza pratica era una e medesima cosa con la sua incapacit� teorica a rendersi conto delle cause delle ingiustizie, ossia delle disuguaglianze, che voleva, o coraggiosamente, o spensieratamente atterrare od eliminare d’un tratto.

Intendere la storia diventava da quel punto in poi la cura principale dei teorici del comunismo. E come si potrebbe mai pi� contrapporre alla dura realt� sua, intendo dire della storia, un vagheggiato e sia pure perfettissimo ideale? N� � chi possa affermare, che il comunismo sia lo stato naturale e necessario della vita umana, di ogni tempo e luogo, per rispetto al quale tutto il corso delle formazioni storiche ci debba apparire come una serie di deviazioni e di aberrazioni. N� ad esso si va, o si torna, per spartana abnegazione, o per cristiana rassegnazione. Esso pu� essere, anzi deve essere e sar� la conseguenza del dissolversi di questa nostra societ� capitalistica. Ma in questa la dissoluzione non pu� essere inoculata ad arte, n� importata ab extra. Si dissolver� per il proprio peso, direbbe Machiavelli. Cadr� come forma di produzione, che genera da s� in se stessa la costante e progressiva ribellione delle forze produttive contro i rapporti (giuridici e politici) della produzione; e intanto non continua a vivere, finch� vive e vivr�, se non aumentando con la concorrenza, che genera le crisi, e con la vertiginosa estensione della sua sfera di azione, le condizioni intrinseche della sua morte inevitabile. La morte anche qui nella forma sociale, come � accaduto in altro ramo di scienza per la morte naturale, � diventata un caso fisiologico.

Il Manifesto non dette, n� dovea dare il disegno della societ� futura. Disse, invece, come la presente si dissolver� per la dinamica progressiva delle sue forze immanenti. A intender ci� occorreva principalmente la esposizione dello sviluppo della borghesia; e questa fu fatta in rapidi cenni, che sono un capitolo esemplare di filosofia della storia, capace s� di ritocchi e di complementi, e soprattutto di largo sviluppo, ma che non ammette correzione nel suo intrinseco.

Saint-Simon e Fourier, tuttoch� non riprodotti nel tenore delle loto idee, n� imitati nell’andamento delle loro trattazioni, rimanevano, per tale elevazione teoretica, come giustificati ed inverati. Ideologi ambedue, essi aveano per anticipazione di singolare genialit� superata dentro di s� l’epoca liberale, che nell’orizzonte loro culminava nella Grande Rivoluzione. Il primo capovolse la interpretazione della storia dal diritto all’economia, e dalla politica alla fisica sociale, e, in mezzo a molte incertezze d’intendimento idealistico e d’intendimento positivo, trov� quasi la genesi del terzo stato. L’altro, per ignoranza di particolari, o in genere non noti ancora, o da lui trascurati, e per esuberanza d’ingegno non disciplinato, fantastic� una gran sequela di epoche storiche, vagamente distinte e contrassegnate per certi indici del principio direttivo delle forme di produzione e di distribuzione. E si argoment� poi di costruire una societ� in cui le presenti antitesi sparissero. Di queste antitesi scovr�, con acume di genialit�, e studi� con amore una principalmente: il circolo vizioso della produzione; concorrendo in ci�, senza saperlo, col Sismondi, che nel medesimo tempo, con altro animo e per altre vie, per l’esempio delle crisi e pei denunciati inconvenienti della grande industria e della spietata concorrenza, timido dichiarava il fiasco della scienza economica, appena e da poco arrivata a compimento. Dall’alto della serena meditazione del mondo futuro degli armoniosi, Fourier guard� con sereno disprezzo la miseria dei civilizzati, e scrisse tranquillo la satira della storia. Ignari cos� l’uno come l’altro, perch� ideologi, dell’aspra lotta che il proletariato � chiamato a sostenere, prima di metter termine all’epoca dello sfruttamento e delle antitesi, divennero, per bisogno subiettivo di conchiudere, l’uno progettista e l’altro utopista. Ma per divinazione afferrarono alcuni lati notevoli dei principii direttivi della societ� senza antitesi. Il primo concep� nettamente il governo tecnico della societ�, senza dominio dell’uomo su l’uomo; e l’altro, cio� Fourier, indovin�, intravvide e presag�, attraverso a tante e tante stravaganze della sua lussureggiante e irrefrenata fantasia, non pochi aspetti notevoli della psicologia e della pedagogica di quella convivenza futura, nella quale, secondo l’espressione del Manifesto: il libero sviluppo di ciascuno � la condizione del libero sviluppo di tutti.

Il saintsimonismo s’era gi� dileguato quando il Manifesto apparve. Il foutierismo invece fioriva in Francia, e, per l’indole sua, non come partito, ma come scuola. Quando la scuola tent� di giungere all’utopia mediante la legge, i proletarii parigini erano gi� stati battuti nelle giornate di Giugno da quella borghesia, che, battendoli, prepar� a se stessa il dominio di un sommo ed insigne avventuriero, durato poi venti anni.

Non come voce di una scuola, ma come promessa, minaccia e volont� di un partito, veniva alla luce la nuova dottrina dei comunisti critici. I suoi autori e seguaci non viveano di fantasia del futuro, ma con animo tutto intento alla esperienza e alle necessit� del presente. Viveano della coscienza dei proletarii, cui l’istinto, non sorretto ancora dalla esperienza, spingeva a rovesciare a Parigi e in Inghilterra il dominio della borghesia, con rapidit� di mosse non dirette da una tattica studiata. Quei comunisti diffusero in Germania le idee rivoluzionarie, furono i difensori delle vittime di Giugno, ed ebbero nella “Neue Rheinische Zeitung" un organo politico, che ora, alla distanza di tanti anni, per fino nei brani che qua e l� ne vengon riprodotti, fa scuola. Cessate le contingenze storiche, che nel 1848 spinsero i proletarii sul davanti della scena politica, la dottrina del Manifesto non trov� pi�, n� base, n� terreno di diffusione. Ha aspettato degli anni a diffondersi; perch� sono occorsi degli anni avanti che il proletariato potesse riapparire, per altre vie e con altri modi, su la scena come forza politica, e fare di quella dottrina il suo organo intellettuale, e trovare in essa i mezzi di orientazione.

Ma, dal giorno in cui apparve, essa fu la critica anticipata di quel socialismus vulgaris, che veget� per l’Europa, e specialmente in Francia, dal Colpo di Stato all’apparizione della Internazionale, la quale, del resto, nel breve periodo di sua vita, non ebbe tempo di vincerlo, di esaurirlo, di eliminarlo del tutto. Si alimentava cotesto socialismo volgare, quando non d’altro e di pi� sconnesso, principalmente delle dottrine e assai pi� dei paradossi di Proudhon, il quale, superato gi� da lungo tempo teoricamente da Marx, non fu praticamente battuto se non durante la Comune, quando i seguaci suoi, per la pi� salutare lezione delle cose, furon costretti a fare il contrario delle dottrine proprie e del maestro.

Fin dal primo momento in cui apparve, questa nuova dottrina del comunismo fu la critica implicita di ogni forma di socialismo di stato, da Louis Blanc a Lassalle. Il socialismo di stato, per quanto commisto allora a tendenze rivoluzionarie, si concentrava tutto nella favola, nell’Hokus Pokus, del diritto al lavoro. Questo � termine insidioso, se implica domanda che si rivolga ad un governo, sia pure di borghesi rivoluzionarii. Questo � assurdo economico, se si ha in mente di sopprimere la variabile disoccupazione, che influisce sul variare dei salarii, ossia su le condizioni della concorrenza. Questo pu� essere artificio di politicanti, se � ripiego per sedare le turbolenze di una massa agitantesi di proletarii non organizzati. Questa � una superfluit� teoretica, per chi concepisca nettamente il corso di una rivoluzione vittoriosa del proletariato; la quale non pu� non avviare alla socializzazione dei mezzi di produzione, mediante la presa di possesso di questi: ossia non pu� non avviare alla forma economica, in cui non c’� n� merce n� salariato, e nella quale il diritto al lavoro e il dovere di lavorare fanno uno nella necessit� comune a tutti che tutti lavorino.

La favola del diritto al lavoro fin� nella tragedia delle giornate di Giugno. La discussione parlamentare che se ne fece in seguito fu parodia. Il piagnucoloso e retorico Lamartine, quel grande uomo di occasione, avea avuto la opportunit� di pronunciare l’ultima o la penultima delle sue celebrate frasi: “L’esperienza dei popoli sono le catastrofi"; e ci� bastava per l’ironia della storia.

Ma quello scritto, che era il Manifesto, di cos� piccola mole com’�, e di stile cos� alieno dalla retorica insinuazione di una fede o di una credenza, se fu tante e tante cose come sedimento di pensieri varii ridotti per la prima volta ad unit� intuitiva di sistema, e come raccolta di germi capaci di largo sviluppo, non fu per�, n� pretese di essere, n� il codice del socialismo, n� il catechismo del comunismo critico, n� il vademecum della rivoluzione proletaria. Le quintessenze possiamo ben lasciarle all’illustre Sch�ffle, a cui conto lasciamo anche ben volentieri la famosa questione sociale che � questione di ventre. Il ventre dello Sch�ffle fece per molti anni bella mostra di s� per il mondo, a delizia di tanti sportisti del socialismo, ed a sollievo di tanti poliziotti. Il comunismo critico, in verit�, cominciava appena col Manifesto; doveva svilupparsi, e difatti si � sviluppato.

Il complesso di dottrine, che ora si � soliti di chiamare marxismo, non � giunto invero a maturit�, se non negli anni dal ’60 al ’70. Ci corre di certo molto dall’opuscolo Capitale e lavoro a mercede, nel quale si tocca per la prima volta, in termini precisi, del come dalla compra e dall’uso della merce-lavoro si ottenga un prodotto superiore al costo, il che era il nocciolo della insoluta questione del plusvalore, fino agli amplii, complicati e multilaterali sviluppi del libro del Capitale. Questo libro esaurisce la genesi dell’epoca borghese, in tutta l’intima struttura sua economica; e quest’epoca stessa supera intellettualmente, perch� la spiega ne’ suoi modi di procedere, nelle sue leggi particolari, e nelle antitesi che essa organicamente produce, e che organicamente la dissolvono.

E corre eguale divario dal movimento proletario, che fall� nel 1848, a questo dei nostri giorni, che per entro a molte difficolt�, dopo esser riapparso alla superficie della vita politica, si � venuto sviluppando con tale e tanta costanza di processo, ma con lentezza di studiati movimenti. Fino a pochi anni fa, cotesta regolarit� di movimento progressivo nel proletariato non si notava ed ammirava, se non nella Germania sola, dove la democrazia sociale, come albero da proprio terreno, dalla conferenza operaia di Norimberga del 1868 in poi, era venuta normalmente crescendo con costanza di processo. Ma poi il fatto della Germania si � in varie forme ripetuto in altri paesi.

Ora in questo sviluppo ampio del marxismo, e in questo crescere del movimento del proletariato nei compassati modi dell’azione politica, non c’� stata forse, come molti dicono, una attenuazione del carattere bellicoso della originaria forma del comunismo critico? O che sia stato forse questo un passaggio dalla rivoluzione alla cos� detta evoluzione? o anzi un’acquiescenza dello spirito rivoluzionario alle esigenze del riformismo?

Queste riflessioni ed obiezioni sorsero e sorgono di continuo, cos� nel seno del socialismo, per bocca dei pi� accesi d’animo e di fantasia fra i suoi seguaci, come da parte degli avversarii, cui giova di generalizzare i casi dei particolari insuccessi, delle soste e degli indugi, per affermare, che il comunismo non ha del tutto avvenire.

Chi misuri l’attuale movimento proletario, e il suo corso vario e complicato, alla impressione che di s� dee lasciare il Manifesto, quando la lettura di esso non sia accompagnata da altre conoscenze, pu� facilmente credere, che qualcosa di troppo giovanile e prematuro fosse nella sicura baldanza di quei comunisti di or fa cinquant’anni. Nelle parole loro c’� come un grido di battaglia, e l’eco della vibrata eloquenza di alcuni oratori del cartismo, e l’annuncio quasi di un nuovo ’93, ma cos� fatto, da non dar luogo a un novello Termidoro.

E il Termidoro, invece, � venuto, e s’� ripetuto pi� volte nel mondo, in forme varie, e pi� o meno esplicite o dissimulate; ne fossero autori, dal 1848 in qua, ex-radicali alla francese, o ex-patrioti all’italiana, o burocratici alla tedesca, adoratori in idea del dio stato e in pratica buoni servi del dio danaro, o parlamentari all’inglese, scaltriti negli artifici e ripieghi dell’arte di governo, o perfino poliziotti in maschera di anarchisti di Chicago, e simili. E di qui le molte proteste contro il socialismo, e di qua e di l� le argomentazioni di pessimisti e di ottimisti contro la probabilit� del suo successo. A molti pare che la costellazione del Termidoro non debba pi� sparire dal cielo della storia; ossia, per parlare in prosa, che il liberalismo, che � la societ� degli eguali in diritto presuntivo, segni l’estremo limite della evoluzione umana, e che di l� da esso non possa darsi che regresso. A ci� s’accomodano volentieri tutti quelli, che nella sola successiva estensione della forma borghese a tutto il mondo ripongono la ragione ed il fine di ogni progresso. Ottimisti o pessimisti che siano, trovan tutti le colonne d’Ercole del genere umano. Non rare volte accade che tale sentimento, nella sua forma pessimistica, operi inconsapevolmente su molti di quelli che vanno ad ingrossare, con gli altri d�class�s, le file dell’anarchismo.

C’� poi di quelli che si spingono pi� oltre di cos�, e si metton quindi a teorizzare su la obiettiva inverosimiglianza degli assunti del comunismo critico. L’enunciato del Manifesto, che, cio�, la semplificazione di tutte le lotte di classe in una sola rechi in s� la necessit� della rivoluzione proletaria, sarebbe intrinsecamente fallace per cotesti polemisti che teorizzano. Questa dottrina nostra sarebbe infondata, come quella che pretende di trarre una illazione scientifica ed una regola di condotta pratica dalla argomentata previsione di un presunto fatto, il quale invece, secondo cotesti buoni e pacifici oppositori, sarebbe un semplice punto teorico spostabile e differibile all’infinito. La pretesa inevitabile, e finale, e risolutiva collisione tra le forze produttive e la forma della produzione non verrebbe mai a capo, perch� si disperde difatti, secondo loro, in infiniti particolari attriti, si moltiplica nelle parziali collisioni della concorrenza economica, trova indugio e impedimento nei ripieghi e nelle violenze dell’arte di governo. In altri termini, la societ� presente, anzich� far crepaccio e dissolversi, rinnoverebbe in perpetuo l’opera di sua riparazione e ritocco. Ogni moto proletario, che non venga represso con la violenza, come fu nel giugno del 1848 e nel maggio del 1871, cesserebbe per lenta esaustione, come accadde del cartismo, che fin� nel Trades-Unionismo, cavallo di battaglia di cotesto modo di argomentare, onore e vanto dei volgari economisti e dei sociologi da strapazzo. Ogni moto proletario moderno sarebbe meteorico e non organico, sarebbe un turbamento e non un processo; e noi, la merc� di cotali critici, saremmo, malgrado nostro, tuttora utopisti.

La previsione storica, che sta in fondo alla dottrina del Manifesto, e che il comunismo critico ha poi in seguito ampliata e specificata con la pi� larga e pi� minuta analisi del mondo presente, ebbe di certo, per le circostanze del tempo in cui apparve la prima volta, calore di battaglia, e colore vivissimo di espressione. Ma non implicava, come non implica tuttora, n� una data cronologica, n� la dipintura anticipata di una configurazione sociale, come fu ed � proprio delle antiche e nuove profezie e apocalissi.

L’eroico Fra Dolcino non era sorto di nuovo a levar per le terre il grido di battaglia, per la profezia di Gioacchino di Fiore. N� si celebrava nuovamente a M�nster la risurrezione del regno di Gerusalemme. Non pi� Taborriti o Millenarii, Non pi� Fourier, che aspettasse chez soi, a ora fissa, per degli anni, il candidato della umanit�. Non era pi� il caso che l’iniziatore di una nuova vita cominciasse da s� a mettere in essere, con mezzi escogitati, e in modo unilaterale ed artificiale, il primo nocciolo di una consociazione, che rifacesse, come albero da germoglio, la pianta uomo: – come accadde da Bellers, attraverso Owen e Cabet, fino alla impresa dei fourieristi nei Texas, che fu la catastrofe, anzi la tomba, dell’utopismo, illustrata da un singolare epitaffio, la calda eloquenza di Consid�rant che ammutol�. Qui non � pi� la setta, che in atto di religiosa astensione si ritragga pudica e timida dal mondo, per celebrare in chiusa cerchia la perfetta idea della comunanza; come dai Fraticelli gi� gi� alle colonie socialistiche di America.

Qui, invece, nella dottrina del comunismo critico, � la societ� tutta intera, che in un momento del suo processo generale scopre la causa del suo fatale andare, e, in un punto saliente della sua curva, la luce a se stessa per dichiarare la legge del suo movimento. La previsione, che il Manifesto per la prima volta accennava, era, non cronologica, di preannunzio o di promessa; ma era, per dirla in una parola, che a mio avviso esprime tutto in breve, morfologica.

Di sotto allo strepito e al luccichio delle passioni, su le quali di solito si esercita la cotidiana conversazione, pi� in qua dai moti visibili delle volont� operanti a disegno, che � quello che cronisti e storici vedono e raccontano, pi� in gi� dall’apparato giuridico e politico della nostra convivenza civile, a molta distanza indietro dalle significazioni, che la religione e l’arte d�nno allo spettacolo e all’esperienza della vita, sta, e consiste, e si altera e trasforma la struttura elementare della societ�, che tutto il resto sorregge. Lo studio anatomico di tale struttura sottostante � la Economia. E perch� la convivenza umana ha pi� volte cambiato, o parzialmente o integralmente, nel suo apparato esteriore pi� visibile, e nelle sue manifestazioni ideologiche, religiose, artistiche e simili, occorre di trovare innanzi tutto i moventi e le ragioni di tali cangiamenti, che son quelli che gli storici di solito raccontano, nelle mutazioni pi� riposte, e alla prima meno visibili, dei processi economici della struttura sottostante. Cio�, bisogna rivolgersi allo studio delle differenze che corrono tra le varie forme della produzione, quando si tratti di epoche storiche nettamente distinte, e propriamente dette: – e dove si tratti di spiegarsi il succedersi di tali forme, ossia il subentrare dell’una all’altra, occorre di studiare le cause di erosione e di deperimento della forma che trapassa: – e da ultimo, quando si voglia intendere il fatto storico concreto e determinato, bisogna studiare e dichiarare gli attriti e i contrasti che nascono dai vani concorrenti (ossia le classi, le loro suddivisioni, e gl’intrecci di quelle e di queste), che formano una determinata configurazione.

Quando il Manifesto dichiarava, che tutta la storia fosse finora consistita nelle lotte di classe, e che in queste fu la ragione di tutte le rivoluzioni, come anche il motivo dei regressi, esso faceva due cose ad un tempo. Dava al comunismo gli elementi di una nuova dottrina, e ai comunisti il filo conduttore per ravvisare nelle intricate vicende della vita politica, le condizioni del sottostante movimento economico.

Nei cinquanta anni corsi da allora in qua, la previsione generica di una nuova �ra storica � diventata pei socialisti l’arte minuta dell’intendere caso per caso quel che si convenga e sia dovere di fare; perch� quell’�ra nuova � per se stessa in continua formazione. Il comunismo � diventato un’arte, perch� i proletarii sono diventati, o sono avviati a diventare, un partito politico. Lo spirito rivoluzionario si plasma tuttod� nella organizzazione proletaria. L’auspicata congiunzione dei comunisti e dei proletarii � oramai un fatto. Questi cinquant’anni furono la prova sempre crescente della ribellione sempre cresciuta delle forze produttive contro le forme della produzione.

Fuori di questa lezione intuitiva delle cose, noi non abbiamo da offrire altra risposta, noi utopisti, a quelli che parlano ancora di turbamenti meteorici, che, secondo l’opinione loro, torneranno tutti alla calma di questa insuperata ed insuperabile epoca di civilt�. E tale lezione basta.

A undici anni dalla pubblicazione del Manifesto, Marx racchiudeva in chiara e trasparente formula i principii direttivi della interpretazione materialistica della storia; e ci� nella prefazione ad un libro, che � il prodromo del Capitale. Ecco riprodotto il brano:

Il primo lavoro da me intrapreso, per risolvere i dubbii che mi assediavano, fu quello di una revisione critica della Filosofia del diritto di Hegel; del quale lavoro apparve la prefazione nei “Deutsch-Franz�sische Jahrb�cher" pubblicati a Parigi nel 1844. La mia ricerca mise capo in questo resultato: che i rapporti giuridici e le forme politiche dello stato non possono intendersi, n� per se stessi, n� per mezzo del cos� detto sviluppo generale dello spirito umano; ma anzi hanno radice nei rapporti materiali della vita, il cui complesso Hegel raccoglieva sotto al nome di societ� civile, secondo l’uso dei francesi ed inglesi del secolo decimottavo; e che inoltre l’anatomia della societ� civile � da cercare nell’economia politica. Le ricerche intorno a questa, dopo cominciatele a Parigi, io le continuai a Bruxelles, dove ero emigrato per l’ordine di sfratto avuto dal signor Guizot. Il resultato generale che n’ebbi, e che, una volta ottenuto, mi valse come di filo conduttore dei miei studi, pu� essere formulato come segue:

Nella produzione sociale della loro vita gli uomini entran fra loro in rapporti determinati, necessarii ed indipendenti dal loro arbitrio, cio� in rapporti di produzione, i quali corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle materiali forze di produzione. L’insieme di tali rapporti costituisce la struttura economica della societ�, ossia la base reale, su la quale si eleva una soprastruzione politica e giuridica, e alla quale corrispondono determinate forme sociali della coscienza. La maniera della produzione della vita materiale determina innanzi e soprattutto il processo sociale, politico e intellettuale della vita. Non � la coscienza dell’uomo che determina il suo essere, ma � all’incontro il suo essere sociale che determina la sua coscienza. A un determinato punto del loro sviluppo le forze produttive materiali della societ� si trovano in contraddizione coi preesistenti rapporti della produzione (cio� coi rapporti della propriet�, il che � l’equivalente giuridico di tale espressione), dentro dei quali esse forze per l’innanzi s’eran mosse. Questi rapporti della produzione, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro impedimenti. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Col cangiare del fondamento economico si rivoluziona e precipita, pi� o meno rapidamente, la soprastante colossale soprastruzione. Nella considerazione di tali sommovimenti bisogna sempre distinguer bene tra la rivoluzione materiale, che pu� essere naturalisticamente constatata per rispetto alle condizioni economiche della produzione, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche e filosofiche, ossia le forme ideologiche, nelle quali gli uomini acquistano coscienza del conflitto, e in cui nome lo compiono. Come non pu� farsi giudizio di quello che un individuo � da ci� che egli sembra a se stesso, cosi del pari non pu� valutarsi una determinata epoca rivoluzionaria dalla sua coscienza; anzi questa coscienza stessa deve essere spiegata per mezzo delle contraddizioni della vita materiale, cio� per mezzo del conflitto che sussiste tra forze sociali produttive e rapporti sociali della produzione. Una formazione sociale non perisce finch� non si siano sviluppate tutte le forze produttive per le quali essa ha spazio sufficiente; e nuovi rapporti di produzione non subentrano, se prima le condizioni materiali di loro esistenza non siano state covate nel seno della societ� che � in essere. Per ci� l’umanit� non si propone se non quei problemi che essa pu� risolvere; perch�, a considerare le cose dappresso, si vede, che i problemi non sorgono, se non quando le condizioni materiali per la loro soluzione ci son gi�, o si trovano per lo meno in atto di sviluppo. A guardar la cosa a grandi tratti, le forme di produzione asiatica, antica, feudale, e moderno-borghese possono considerarsi come epoche progressive della formazione economica della societ�. I rapporti borghesi della produzione sono l’ultima forma antagonistica del processo sociale della produzione – antagonistica non nel senso dell’antagonismo individuale, anzi di un antagonismo che sorge dalle condizioni sociali della vita degli individui; – ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della societ� borghese mettono gi� in essere le condizioni materiali per la risoluzione di tale antagonismo. Con tale formazione di societ� cessa perci� la preistoria del genere umano.

Quando Marx cos� scriveva, da parecchi anni gi� era egli uscito dall’arena politica, e non vi rientr� se non pi� tardi, ai tempi della Internazionale. La reazione avea battuto in Italia, in Austria, in Ungheria, in Germania la rivoluzione, o patriottica, o liberale, o democratica. La borghesia, dal canto suo, avea battuto in pari tempo i proletarii in Francia e in Inghilterra. Le condizioni indispensabili allo sviluppo del movimento democratico e proletario vennero d’un tratto a mancare. La schiera, non certo molto numerosa, dei comunisti del Manifesto, che s’era mescolata alla rivoluzione, e poi dopo partecip� a tutti gli atti di resistenza e di insurrezione popolare contro la reazione, vide da ultimo troncata la sua attivit� col memorabile processo di Colonia. I sopravvissuti del movimento tentarono di ricominciare a Londra; ma a breve andare Marx ed Engels ed altri volsero le spalle ai rivoluzionari di professione, e si ritrassero dall’azione prossima. La crisi era passata. Una lunga pausa sopraggiungeva. Ne era indizio la lenta sparizione del movimento cartista, ossia del movimento proletario del paese che � la colonna vertebrale del sistema capitalistico. La storia avea per il momento dato torto alla illusione dei rivoluzionarii.

Prima di dedicarsi quasi esclusivamente alla prolungata incubazione degli elementi gi� da lui trovati della critica dell’economia politica, Marx illustr� in varii scritti la storia del periodo rivoluzionario del 1848-50, e specie le lotte di classe in Francia, documentando cos�, che, se la rivoluzione, nelle forme che essa avea per il momento assunte, era fallita, non rimaneva per ci� solo smentita la teoria rivoluzionaria della storia. La traccia appena indicata nel Manifesto veniva gi� a metter capo nella esposizione piena.

E pi� in qua lo scritto, che ha per titolo: Il diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte, fu il primo tentativo di plasmare la nuova concezione storica nel racconto di un ordine di fatti, che sia chiuso in termini di tempo precisi. Non �, certo, piccola difficolt� quella di risalire dal moto apparente al moto reale della storia, per iscovrirne il nesso intimo. Cio�, ci � grande difficolt� a risalire dagl’indici passionati oratorii, parlamentari, elettorali e simili, all’intimo ingranaggio sociale, per iscovrire in questo, dichiarandoli, i vari interessi dei grandi e dei piccoli borghesi, dei contadini, degli artigiani e degli operai, dei preti e dei soldati, dei banchieri, degli usurai e della canaglia; i quali interessi operano, consapevolmente o inconsciamente che siasi, urtandosi, elidendosi, combinandosi, o fondendosi nella disarmonica vita dei civilizzati.

La crisi era passata, ed era passata precisamente nei paesi, che costituivano il terreno storico dal quale il comunismo critico era sorto. Intendere la reazione nelle sue riposte cause economiche era tutto quello che i comunisti critici potessero fare; perch�, per il momento, intendere la reazione era come continuare l’opera della rivoluzione. Cos� accadde, in altre condizioni e forme, venti anni dopo, quando Marx, in nome della Internazionale, scrisse nell’opuscolo su la Guerra civile in Francia una apologia della Comune, che fu al tempo stesso la critica obiettiva di quella.

L’eroica rassegnazione, con la quale Marx usc� di dopo il 1850 dall’arena politica, ha un riscontro nel suo ritiro dalla Internazionale, dopo il Congresso dell’Aia nel 1872. Ai biografi i due fatti possono interessare per ritrovarvi dentro il suo carattere personale; nel quale, in effetti, e le idee e il temperamento, e la politica e il pensiero facevano tutt’uno. Ma in questi fatti particolari c’� una significazione pi� lata, e di maggior peso per noi. Il comunismo critico non fabbrica le rivoluzioni, non prepara le insurrezioni, non arma le sommosse. �, s�, tutt’una cosa col movimento proletario; ma vede e sorregge questo movimento nella piena intelligenza della connessione che esso ha, o pu� e deve avere, con l’insieme di tutti i rapporti della vita sociale. Non �, in somma, un seminario in cui si formi lo stato maggiore dei capitani della rivoluzione proletaria; ma � solo la coscienza di tale rivoluzione, e soprattutto, in certe contingenze, la coscienza delle sue difficolt�.

Il movimento proletario � venuto crescendo in modo colossale in questi ultimi trent’anni. Attraverso a molte difficolt�, e con molte vicende di passi indietro e di passi in avanti, esso ha via via assunto forme politiche, con metodi a grado a grado escogitati e lentamente provati. I comunisti non hanno evocato tutto ci� con l’azione magica della dottrina, sparsa e comunicata con la virt� persuasiva della parola e dello scritto. Fin dal principio seppero di essere l’estrema ala sinistra di ogni movimento proletario; ma, a misura che questo si sviluppava e si specificava, era necessit� e dovere ad un tempo per loro, di secondare, nei programmi e nell’azione pratica dei partiti, le varie contingenze dello sviluppo economico, e della conseguente situazione politica.

In questi cinquant’anni dalla pubblicazione del Manifesto in qua, le specificazioni e le complicazioni del movimento proletario son divenute tali e tante, che non � oramai mente che tutte le abbracci, e penetri, e intenda, e spieghi nelle loro vere cause e relazioni. L’internazionale unitaria durata nel periodo di tempo del 1864-73, assolto che ebbe l’ufficio suo, che fu quello di un pareggiamento preliminare nelle generali tendenze, e nelle idee comuni e indispensabili a tutto il proletariato, dovette sparire; n� altri penser�, o potr� mai pensare, di rifar nulla che le rassomigli.

Due cause, fra le altre, hanno fortemente contribuito a questa vasta specificazione e complicazione del movimento proletario. La borghesia ha sentito in molti paesi il bisogno di limitare, a propria difesa, molti degli abusi che seguirono alla prima e subitanea introduzione del sistema industriale; e di qui nacque la legislazione operaia, o, come altri pomposamente dice, sociale. La stessa borghesia, o a propria difesa, o sotto la pressione delle circostanze, ha dovuto in molti paesi allargare le generiche condizioni della libert�, e specie estendere il diritto di suffragio. Per queste due circostanze, che han tratto il proletariato entro la cerchia della vita politica di tutti i giorni, la sua capacit� di movimento � grandemente cresciuta; e l’agilit� e pieghevolezza maggiore, di cui esso ora � fornito, gli permettono di contendere con la borghesia nell’arena dei comizi e nelle aule parlamentari. E come dal processo delle cose viene il processo delle idee, cos� a questo multiforme sviluppo pratico del proletariato, che � tanto vario di forme e d’intrecci, che nessuno pu� pi� vederselo innanzi agli occhi e ripensarlo tutto, ha corrisposto un graduale sviluppo delle dottrine del comunismo critico nell’intendere la storia e nell’intendere la vita presente, fino alla minuta descrizione delle pi� piccole parti della economia: – esso, in somma, � diventato una scienza, se tal nome vuoi essere inteso con la debita discrezione.

Ma non c’� forse in tutto ci�, dicono insistentemente alcuni, come uno sviarsi dalla dottrina semplice e imperativa del Manifesto? Quello che si � guadagnato in estensione o complessit�, ripetono altri, non si � forse perduto in intensit� e in precisione?

Coteste domande nascono, a mio avviso, da un erroneo concetto del presente movimento proletario, e da una illusione ottica circa il grado di energia e circa il valore rivoluzionario delle manifestazioni di molti anni fa.

Qualunque concessione la borghesia faccia nell’ordine economico, fino alla massima riduzione delle ore di lavoro, riman sempre vero il fatto, che la necessit� dello sfruttamento, su cui poggia tutto l’ordine sociale presente, ha limiti insormontabili, oltre dei quali il capitale come privato istrumento di produzione non ha pi� la sua ragion d’essere. Se una determinata concessione pu� oggi sedare una immediata forma di inquietezza nel proletariato, la concessione stessa non pu� a meno di destare il desiderio di altre, e nuove, e sempre crescenti. Il bisogno della legislazione operaia, nato in Inghilterra in anticipazione del movimento cartista e sviluppatosi poi con esso, ottenne i suoi primi successi nel periodo di tempo immediatamente posteriore alla caduta del cartismo stesso. I principii e le ragioni di tale movimento furono, nell’intrinseco delle cause e degli effetti, studiati criticamente da Marx nel Capitale, e poi passarono attraverso la Internazionale nei programmi dei partiti socialistici. Ed ecco che da ultimo tutto cotesto processo, concentratosi nella domanda delle otto ore, � diventato nella festa del I� maggio una rassegna internazionale del proletariato, e un modo di raccoglier gl’indici dei progressi di esso. D’altra parte, la giostra politica cui il proletariato s’avvezza, ne democratizza le abitudini, anzi ne fa una vera democrazia; la quale a lungo andare non potr� pi� adagiarsi nella presente forma politica, che, come organo della societ� dello sfruttamento, � una gerarchia burocratica, una burocrazia giudicante, una associazione di mutuo soccorso fra i capitalisti, ed � il militarismo a difesa dei dazii protettori, della rendita perpetua del debito pubblico, della rendita della terra, e cos� via dell’interesse del capitale in ogni altra sua forma. I due fatti, adunque, che hanno apparenza, secondo l’opinione dei furenti e degl’ipercritici, di sviare in infinito le previsioni del comunismo, si convertono invece in nuovi mezzi e condizioni che quelle previsioni confermano. Gli apparenti deviatori della rivoluzione si convertono, in somma, in suoi moventi.

N� bisogna inoltre esagerare la portata della aspettazione rivoluzionaria dei comunisti di cinquanta anni fa. Data la situazione politica dell’Europa d’allora, se fu fiducia in loro, fu quella di esser precursori, e furon di fatti: – se aspettazione fu in loro, era quella che le condizioni politiche d’Italia, d’Austria, di Ungheria, di Germania e di Polonia s’avvicinassero alle forme moderne, e ci� � accaduto poi pi� tardi, almeno in parte, e per altre vie: – se speranza fu in essi, era questa, che il movimento proletario di Francia e d’Inghilterra continuasse e si sviluppasse. La sopraggiunta reazione spazz� via molte cose, e molti impliciti o avviati sviluppi devi� e dilazion�. Ma spazz� anche via dal campo del socialismo la vecchia tattica rivoluzionaria: – e questi ultimi anni ne hanno creata una nuova. Ecco tutto.

N� il Manifesto volle esser altro e di meglio, se non il primo filo conduttore di una scienza e di una pratica, che la sola esperienza e gli anni poteano e doveano sviluppare. Ci� che esso reca intorno al generale andamento del moto proletario concerne, dir� cos�, il solo schema e il solo ritmo. In ci� si riflette, senza dubbio, l’impressione che produceva allora su i comunisti la esperienza dei due movimenti, che appunto cadevano sott’occhi; quello di Francia, cio�, e soprattutto il cartismo, che a breve andare fu colto da paralisi per la non accaduta manifestazione insurrezionale del 10 aprile 1848. Ma in tale schema non � nulla di idealizzato, che poi si converta in una tassativa tattica di guerra; come pi� volte era difatti accaduto, che i rivoluzionari riducessero in anticipato catechismo ci� che non pu� essere se non un semplice portato dello sviluppo delle cose.

Quello schema � diventato poi pi� vasto e pi� complesso, grazie all’allargarsi del sistema borghese, che tanta pi� parte di mondo ha investito e comprende. Il ritmo del movimento � diventato pi� vario e pi� lento, appunto perch� la massa operaia � entrata su la scena come vero e proprio partito politico; il che, cambiando i modi e le scadenze dell’azione, ne cambia le movenze.

Come, innanzi al perfezionamento delle armi e degli altri mezzi di difesa, la tattica delle sommosse � apparsa inopportuna; – come la complicazione dello stato moderno fa apparire insufficiente la improvvisata occupazione di un Hotel de Ville, per imporre ad un intero popolo il volere e le idee di una minoranza, sia pur essa coraggiosa e progressiva: – cos� dal canto suo la massa proletaria non ist� pi� alla parola d’ordine di pochi capi, n� regola le sue mosse su le prescrizioni di capitani, che possano, se mai, su le rovine di un governo di classe o di consorteria, crearne un altro dello stesso genere. La massa proletaria, l� dove essa si � svolta politicamente, ha fatto e fa la sua propria educazione democratica. Cio�, elegge e discute i suoi rappresentanti, e fa sue, esaminandole, le idee e le proposte, che quelli per anticipazione di studio o di scienza abbiano intuito e presagito; e sa gi�, o comincia almeno ad intendere, secondo i varii paesi, che la conquista del potere politico non dee n� pu� esser fatta da altri in nome suo, sia pure da gruppi di coraggiosi antesignani, e che soprattutto quella conquista non pu� riuscire con un colpo di mano. Essa, la massa proletaria, in somma, o sa, o s’avvia ad intendere, che la dittatura del proletariato, la quale dovr� preparare la socializzazione dei mezzi di produzione, non pu� procedere da una sommossa di una turba guidata da alcuni, ma deve essere e sar� il resultato dei proletarii stessi, che siano, gi� in s�, e per lungo esercizio, una organizzazione politica.

Lo sviluppo e l’estensione del sistema borghese furon rapidi e colossali in questi cinquanta anni. Oramai esso corrode la vecchia e santa Russia, e crea, non che nell’America e nell’Australia, e nell’India, ma per fino nel Giappone, nuovi centri di produzione moderna, complicando le condizioni della concorrenza, e gl’intrecci del mercato mondiale. Gli effetti delle mutazioni politiche, o non mancarono, o non si faranno lungamente aspettare. Egualmente rapidi e colossali furono i progressi del proletariato. La sua educazione politica segna ogni giorno un nuovo passo verso la conquista del potere politico. La ribellione delle forze produttive contro la forma della produzione, ossia la lotta del lavoro vivo contro il lavoro accumulato, si fa ogni giorno pi� palese. Il sistema borghese � oramai su le difese, e rivela lo stato e la posizione sua in questa singolare contraddizione, che, cio�, il pacifico mondo della industria � diventato un immane accampamento, entro del quale vegeta il militarismo. L’epoca dell’industria pacifica � diventata, per l’ironia delle cose, l’epoca del continuo ritrovamento di nuovi e pi� potenti mezzi di guerra e di distruzione.

Il socialismo s’� imposto. Per fino i semisocialisti, per fino i ciarlatani che ingombrano di s� la stampa e le assemblee dei nostri partiti, non sempre senza imbarazzo nostro, sono un omaggio che le vanit� e le ambizioni di ogni maniera rendono a modo loro alla nuova potenza che sorge all’orizzonte. Malgrado il divieto anticipato del socialismo scientifico, che non � dato a tutti d’intendere, pullulano e si moltiplicano ogni istante i farmacisti della questione sociale, che han tutti qualcosa di particolare da suggerire o da proporre, per curare od eliminare questo o quel malanno sociale; – nazionalizzazione del suolo; monopolio dei grani da parte dello stato; statificazione delle ipoteche; municipalizzazione dei mezzi di trasporto; finanza democratica; sciopero generale; – e cos� via, da non finirla mai! Ma la democrazia sociale elimina tutte coteste fantasie, perch� l’istinto della propria situazione induce i proletarii, appena si addestrino nell’arena politica, ad intendere il socialismo in modo integrale. A intendere, cio�, che ad una cosa sola essi devono soprattutto mirare: all’abolizione, cio�, del salariato: che una sola forma di societ� � quella che rende possibile, e anzi necessaria, la eliminazione delle classi: e cio� l’associazione che non produce merci; e che tal forma di societ� non � pi� lo stato, anzi � il suo opposto, ossia il reggimento tecnico e pedagogico della convivenza umana, il selfgovernment del lavoro. Non pi� giacobini, n� quelli eroicamente giganti del ’93, n� quelli in caricatura del 1848!

Democrazia sociale! - Ma non � questa, si ripete da molti, una evidente attenuazione della dottrina del comunismo, che fu espressa in termini cos� vibrati e risoluti nel Manifesto?

Non occorre certo di ricordare, come il nome di democrazia sociale avesse in Francia significati di molto varii fra loro dal 1837 al 1848, che tutti poi si diluirono in un vago sentimento. N� giova di spiegarsi, come i tedeschi sian riusciti a esprimere in tale denominazione, il cui significato nel caso loro � da cercare solo nel contesto del fatto stesso, tutto il ricco ed ampio sviluppo del loro socialismo, dall’episodio di Lassalle, oramai superato ed esaurito, fino ai giorni nostri. Certo � che democrazia sociale pu� significare, ha significato e significa tante cose, che n� furono, n� sono, n� saranno mai, n� il comunismo, n� il consapevole avviamento alla rivoluzione proletaria. Certo � del pari, che il socialismo contemporaneo, anche nei paesi dove lo sviluppo suo � pi� chiaro, preciso e progredito, ha sopra di s� di molta scoria dalla quale deve via via liberarsi lungo il suo cammino; e certo �, infine, che a tanti intrusi e ingrati ospiti fra noi fa da scudo e da coverchio la troppo lata denominazione di democrazia sociale. Ma qui preme di dire ben altro, e di fissare l’attenzione sopra un punto di capitale importanza.

Conviene innanzi tutto di accentuare la prima parola del termine composto, non gi� a risolvere ogni questione, ma ad ovviare ad equivoci ed alterazioni. Democratica fu la costituzione della Lega dei comunisti; democratico fu il suo modo di procedere, anche nell’accogliere, discutendola, la nuova dottrina; democratica fu la sua condotta nel mescolarsi alla rivoluzione del 1848, e nel partecipare alla resistenza insurrezionale contro l’invadente reazione; democratico fu, da ultimo, perfino il modo della sua dissoluzione. In quel primo incunabulo dei nostri attuali partiti, in quella, dir� cos�, prima cellula del nostro complesso, elastico e sviluppatissimo organismo, oltre alla coscienza della missione da compiere come precorrimento, era gi� la forma e il metodo di convivenza, che soli convengono ai preparatori della rivoluzione proletaria. La setta era superata di fatto. Il predominio immediato e fantastico dell’individuo era gi� eliminato. Predominava la disciplina attinta alla esperienza della necessit�, e alla dottrina, che di quella necessit� deve essere appunto la coscienza riflessa. Cos� fu parimenti della Internazionale, il cui procedere parve autoritario solo a quelli, che non riuscirono ad introdurvi e a farvi valere l’importuna o fatua autorit� propria. Cos� � e deve essere nei partiti proletarii, e dove ci� non �, o non pu� essere ancora, l’agitazione proletaria, elementare appena e confusa, genera soltanto illusioni, o d� pretesto all’intrigo. Ci� che cos� non �, sar� la conventicola, nella quale accanto all’illuso siede il pazzo e la spia. O sar� la setta dei Fratelli Internazionali, che come parassita si attacc� alla Internazionale, e la espose al discredito. O la cooperativa, che degeneri in impresa, o si venda a un potente. O il partito operaio non politico, che studia fra le altre cose le contingenze del mercato, per introdurre la tattica degli scioperi nelle sinuosit� della concorrenza. O da ultimo l’accozzaglia dei malcontenti, per la pi� parte spostati e piccoli borghesi, che speculano sul socialismo come su di una fra le tante altre frasi della moda politica. Tutti questi ed attrettali impedimenti la democrazia sociale s’� trovato fra i piedi sul suo cammino, e dovette pi� volte, come deve tuttora di quando in quando, sbarazzarsene. N� sempre valse l’arte della persuasione. Il pi� delle volte convenne e conviene rassegnarsi, e aspettare che gli illusi traessero o traggano dalla dura scuola del disinganno l’ammaestramento, che non sempre si riceve volentieri per via dei ragionamenti.

Coteste intrinseche difficolt� del movimento proletario, che la scaltra borghesia pu� spesso fomentare, e difatti sfrutta, formano una non piccola parte della storia interna del socialismo di questi ultimi anni.

Il socialismo non trov� impedimenti al suo sviluppo soltanto nelle condizioni generali della concorrenza economica, e nella resistenza dell’apparato politico; ma anche nelle condizioni stesse della massa proletaria, e nella meccanica non sempre chiara, per quanto inevitabile, dei suoi movimenti lenti, vani, complessi, spesso antagonistici e contraddittorii. E ci� oscura agli occhi di molti la cresciuta ed acuita semplificazione di tutte le lotte di classe, nell’unica lotta tra capitalisti e lavoratori proletarizzati.

Il Manifesto, come non avea scritto, secondo l’uso degli utopisti, l’etica e la psicologia della societ� futura cos� non dett� la meccanica di questo processo di formazione e di sviluppo, in cui noi ci troviamo. Era gi� molto che alcuni pionieri dischiudessero la via, su la quale conviene di mettersi per intenderla e provarla. Del resto, l’uomo � l’animale esperimentale per eccellenza, e perci� ha una storia, anzi perci� solo fa la sua propria storia.

In questo cammino del socialismo contemporaneo, che � il suo sviluppo perch� � la sua esperienza, ci siamo incontrati nella massa dei contadini.

Il socialismo, che si era dapprima praticamente e teoricamente fissato e svolto nello studio e nella esperienza degli antagonismi tra capitalisti e proletarii nell’ambito della produzione industriale propriamente detta, s’� da ultimo appressato alla massa nella quale vegeta l’idiotismo della campagna. Conquistare la campagna � la quistione del giorno: malgrado che il quintessenziale Sch�ffle avesse da gran tempo collocato in quella, a difesa dell’ordine, i cranii anticollettivistici dei contadini. La eliminazione, o l’accaparramento della industria domestica per opera del capitale; l’allargamento della industria agraria nella forma capitalistica; la sparizione della piccola propriet�, o la sua erosione mediante le ipoteche; il dileguarsi dei demanii comunali; l’usura, le tasse e il militarismo; – tutte coteste cose insieme cominciano ad operar miracoli anche in quei cranii, presuntivi custodi della conservazione.

A tale impresa si � messo innanzi tutti il socialismo tedesco, che era portato dal fatto stesso della sua colossale espansione dalla citt� ai piccoli centri, a toccare inevitabilmente i confini della campagna. Le prove saranno lunghe e non facili, anzi dure; il che spiega, e scusa, e scuser� per un pezzo gli errori che furono e saranno commessi ai primi passi. Finch� i contadini non saranno conquistati, noi avremo sempre alle spalle quell’ idiotismo della campagna, che fa o rinnova inconsapevolmente, appunto perch� idiotismo, il 18 Brumaio e il 2 dicembre.

Con questa conquista della campagna andr� molto probabilmente di pari passo lo sviluppo della societ� moderna in Russia. Quando quel paese sar� entrato nell’�ra liberale, con tutti i difetti e gl’inconvenienti che di questa son proprii, ossia con tutte le forme di sfruttamento e di proletarizzazione schiettamente moderne, ma coi vantaggi ed i compensi per� dello sviluppo politico del proletariato, la democrazia sociale non avr� pi� da temere minaccia di improvvisi pericoli esterni; e quelli interni essa si trover� di aver vinto in pari tempo con la conquista dei contadini.

Istruttivo, � senza dubbio, il caso dell’Italia. Questo paese, data che ebbe gi� in su la fine del Medioevo l’avviata all’epoca capitalistica, usc� per secoli dalla circolazione della storia. Caso tipico di decadenza documentata, e studiabile precisamente nelle sue fasi! Rientr� in parte nella storia ai tempi della dominazione napoleonica. Risorta ad unit� e diventata stato moderno, dopo l’epoca della reazione e delle cospirazioni, e nei modi e per le vicende che tutti sanno, l’Italia si � trovata di avere di recente tutti gl’inconvenienti del parlamentarismo, e del militarismo, e della finanza di novello stile, non avendo per� in pari tempo la forma piena della produzione moderna, e la conseguente capacit� della concorrenza a condizioni eguali. Impedita di concorrere coi paesi d’industria avanzata, per la mancanza assoluta del carbon fossile, per la scarsezza del ferro e per la deficiente preparazione delle operosit� e delle attitudini tecniche, aspetta ora, o si lusinga, che le applicazioni della elettricit� le dian modo di riguadagnare il tempo perduto, come si vede per gl’indizii dei varii tentativi da Biella a Schio. Uno stato moderno in una societ� quasi esclusivamente agricola, e in gran parte di vecchia agricoltura: – ci� crea un sentimento di universale disagio, ci� d� la generale coscienza della incongruenza di tutto e d’ogni cosa!

Di qui la incoerenza e la inconsistenza dei partiti, di qui le facili oscillazioni dalla demagogia alla dittatura, di qui la folla, la turba, l’infinita schiera dei parassiti della politica, e poi dei progettisti, dei fantastici e degl’inventori d’idee. Rischiara di luce vivissima questo singolare spettacolo d� uno sviluppo sociale impedito, ritardato, intralciato e perci� incerto, l’acuto ingegno, che se non � sempre frutto ed espressione di molta e vera coltura moderna, reca per� in s�, per vecchio abito di millenare civilt�, l’impronta di un raffinamento cerebrale quasi insuperabile. L’Italia non fu, per ragioni ovvie, terreno proprio di una autogenetica formazione di idee e di tendenze socialistiche. Filippo Buonarroti, italiano, da amico gi� del minore dei Robespierre divenne il compagno di Babeuf, e fu poscia pi� tardi il rinnovatore del babuvismo nella Francia di dopo il 1830! Il socialismo fece la sua prima apparizione in Italia ai tempi della Internazionale, nella confusa e incoerente forma del bakuninismo; e non come movimento di massa proletaria, ma anzi come di piccoli borghesi, di d�class�s e di rivoluzionari per impulso e per istinto. Di recente, in questi ultimi anni, il socialismo vi si � andato fissando e concretando in una forma che riproduce, con molta incertezza per�, ossia con poca precisione, il tipo generale della democrazia sociale.Ebbene, in Italia, il primo segno di vita, che il proletariato abbia dato di s�, � consistito nelle sollevazioni dei contadini di Sicilia, alle quali altre dello stesso tipo ne tennero dietro sul continente, ed altre assai probabilmente ne succederanno in seguito. Non � ci� assai significativo?

Dopo tale scorsa nel campo del socialismo contemporaneo, si torna volentieri col pensiero e con l’animo al ricordo di quei primi precursori nostri di cinquanta anni fa, i quali documentarono nel Manifesto la presa di possesso di un posto avanzato sulla via del progresso. N� ci� � da intendere segnatamente ed esclusivamente per rispetto ai soli teorici della schiera; cio� per Marx ed Engels. L’uno e l’altro avrebbero esercitato in ogni caso e sempre, o dalla cattedra, o dalla tribuna, o con gli scritti, una non piccola influenza su la politica e su la scienza, tale e tanta era in loro la potenza e la originalit� dell’ingegno e la estensione delle conoscenze, quando anche non si fossero imbattuti mai sul cammino della vita nella Lega dei comunisti. Ma intendo dire di quegli uomini, che nel gergo vano ed orgoglioso della letteratura borghese sarebber detti oscuri: – di quel calzolaio Bauer, di quei sarti Lessner ed Eccarius, di quel miniaturista Pf�nder, di quell’orologiaio Moll, di quel Lochner, o come altro si chiamino quei che primi iniziarono consapevolmente il nostro movimento. Sta come indice della loro apparizione il motto: Proletarii di tutto il mondo, unitevi. Sta come resultato dell’opera loro: il passaggio del socialismo dall’utopia alla scienza. La sopravvivenza dell’istinto loro e del loro primitivo impulso nell’opera nostra dell’oggi, � il titolo indimenticabile, che quei precursori si acquistarono alla gratitudine di tutti i socialisti.

Come italiano ritorno io tanto pi� volentieri su questo primo inizio del socialismo moderno, perch�, per la mia parte almeno, non rimanga senza effetto un recente monito dell’Engels:

E cos� la scoverta, che, sempre e da per tutto, le condizioni e gli accadimenti politici trovino la loro spiegazione nelle rispettive condizioni economiche, non sarebbe stata punto fatta da Marx nell’anno 1845, ma anzi dal signor Loria nel r886. Per lo meno egli � riuscito ad imporre tale credenza ai suoi concittadini, e da che il suo libro fu tradotto in Francia, anche ad alcuni francesi, e pu� ora andare attorno per l’Italia tronfio e pettoruto, come scovritore di una teoria che fa epoca; finch� i socialisti del suo paese non trovino il tempo di strappare all’illustre Loria le rubate penne di pavone.

Vorrei finire; ma conviene m’indugi ancora.

Da tutte le parti e da tutti i campi si levano proteste, sorgono lamenti, si affacciano obiezioni contro il materialismo storico. E al coro mescolano, di qua e ai l�, la voce loro i socialisti immaturi, i socialisti filantropici, o i socialisti sentimentali e alquanto isterici. E poi ricomparisce, come monito, la questione del ventre. E son tanti quelli che giuocano di scherma logica con le categorie astratte dell’egoismo e dell’altruismo; e per molti vien sempre in buon punto la ormai inevitabile lotta per l’esistenza!

Morale! Ma non l’abbiamo noi udita da un pezzo gi� la lezione di cotesta morale dell’epoca borghese, dalla Favola delle Api di quel Mandeville, che fu coetaneo della prima formazione della Economia classica? E la politica di cotesta morale non fu spiegata, con caratteri di insuperata ed indimenticabile classicit�, dal primo grande scrittore politico dell’epoca capitalistica, da Machiavelli: non inventore lui, ma anzi fedele ed accurato segretario ed estensore del machiavellismo? E la giostra logica dell’egoismo e dell’altruismo non ci sta tutta sott’occhi, dal reverendo Malthus, a cotesto tenue, vacuo, prolisso e noioso ragionatore, che � l’oramai indispensabile Spencer? Lotta per l’esistenza! Ma volete osservarne, studiarne ed intenderne una, che sia pi� intuitiva per noi di questa che � sorta e giganteggia nell’agitazione proletaria? O � forse che volete voi ridurre la spiegazione di cotesta lotta, – la quale si svolge e si esercita nel campo supernaturale della societ�, che l’uomo stesso si � creato attraverso la storia, col lavoro, con la tecnica e con le istituzioni, e che l’uomo stesso pu� cambiare con altre forme di lavoro, di tecnica e di istituzioni, – semplicemente a quella pi� generale della lotta, che piante ed animali, e gli uomini stessi in quanto sono puramente animali, combattono nell’ambito immediato della natura?

Ma stiamo all’argomento nostro.

Il comunismo critico non si � rifiutato mai, n� si rifiuta, di accogliere in s� tutta la molteplice e ricca suggestione ideologica, etica, psicologica e pedagogica, che pu� venirgli dalla conoscenza e dallo studio di quante mai forme furono di comunismo e di socialismo, da Falea di Calcedonia a Cabet. Anzi gli � precisamente con lo studio e per la conoscenza di tali forme, che si sviluppa e si fissa la coscienza del distacco del socialismo scientifico da tutto il resto. E chi in tale studio vorr� rifiutarsi di riconoscere, ad esempio, che Tommaso Moro fu un animo eroico e uno scrittore insigne del socialismo? E chi vorr� non rendere nel proprio animo un tributo di straordinaria ammirazione a Roberto Owen, il quale primo acquis� all’etica del comunismo questo principio indiscutibile: che il carattere e la morale degli uomini sono il necessario resultato delle condizioni in cui essi vivono, e delle circostanze in cui si trovano e si sviluppano? E inoltre i comunisti critici si credono in dovere, nel ripensare alla storia, di pigliar partito per tutti gli oppressi, quale che fosse la sorte loro; – e fu invero sempre quella di rimanere oppressi, o di aprir le vie, dopo breve ed efimero successo, a nuovo dominio di nuovi oppressori!

Ma c’� un punto in cui i comunisti critici si distinguono nettamente da tutte le altre forme e maniere di comunismo e di socialismo antico, moderno, o contemporaneo: e questo punto � di capitale importanza.

Essi non possono ammettere, che le passate ideologie rimanessero senza effetto, e che i passati tentativi del proletariato fossero sempre superati e vinti, per un puro accidente della storia, o per un capriccio, per cos� dire, delle circostanze. Tutte quelle ideologie, per quanto riflettessero, infatti, il sentimento implicito o diretto delle antitesi sociali, ossia delle reali lotte di classe, con alta coscienza della giustizia e con profonda devozione a un forte ideale, rivelan tutte per� l’ignoranza delle cause vere e della natura effettiva delle antitesi, contro le quali si levavano con atto rapido di ribellione spesso eroica. Di qui il carattere di utopia! E cos� noi ci rendiamo parimenti conto del fatto, che le condizioni di oppressione di altri tempi, per quanto pi� barbare e crudeli, non dessero luogo a quella accumulazione di energia, a quella continuit� di resistenza e di opera, che si trovano, si avverano e si svolgono nel proletariato dei tempi nostri. � il cambiamento della societ� nella sua struttura economica, � la formazione del proletariato nuovo nell’ambito della grande industria e dello stato moderno, � l’apparire di questo proletariato su la scena politica: – sono le cose nuove, in somma, che hanno ingenerato il bisogno di idee nuove. E per ci� il comunismo critico non moralizza, non predice, non annunzia, n� predica, n� utopizza: – ha gi� la cosa in mano, e nella cosa stessa ha messo la sua morale e il suo idealismo.

Per tale nuova orientazione, che ai sentimentali par dura, perch� troppo vera, veristica ed effettuale, noi siamo in grado di rifarci regressivamente su la storia del proletariato, e degli altri oppressi da altri metodi di oppressione, che questo precedettero. E ne vediamo le varie fasi; e ci rendiamo conto dell’insuccesso del cartismo; e poi pi� indietro di quello della cospirazione degli Eguali; e risaliamo ancora pi� in l� alle varie sommosse e resistenze e guerre, come fu quella famosa dei contadini di Germania, e poi pi� in su alla jacquerie, e ai Ciompi, e a Fra Dolcino. E in tutti questi fatti e avvenimenti scorgiamo forme e fenomeni correlativi al divenire della borghesia, a misura che essa dilacera, sconvolge, vince e sfascia il sistema feudale. Lo stesso possiamo fare per le lotte di classe del mondo antico; ma solo in parte, e con minor chiarezza. Questa storia del proletariato e delle altre classi di oppressi, e delle vicende delle loro rivolte, ci � gi� guida sufficiente per intendere come e perch� fossero premature, o immature, le ideologie del comunismo di altri tempi.

La borghesia, se non � giunta ancora e da per tutto al termine della sua evoluzione, � giunta di certo in alcuni paesi quasi all’apice di questa. Subordina, nelle nazioni pi� progredite, le varie e multiformi maniere di produzione di altri tempi, sia per diretto o sia per indiretto, all’azione ed alla legge del capitale. E cos�, o semplifica, o tende a semplificare le varie lotte di classe, che per la loro molteplicit� in altri tempi si elisero, in questa sola tra il capitale, che ogni prodotto del lavoro umano indispensabile alla vita converte in merce, e la massa proletarizzata, che offre a mercede la sua forza di lavoro, diventata anch’essa semplice merce. Il segreto della storia si � semplificato. Siamo alla prosa. E come questa presente, ossia la modernissima lotta di classe � la semplificazione di tutte le altre, cos� il comunismo del Manifesto semplific� in rigidi e generali enunciati teorici la multiforme suggestione ideologica, etica, psicologica e pedagogica delle altre forme di comunismo, non negandole, ma elevandole di grado. Siamo alla prosa; ed anche il comunismo diventa prosa: ossia � scienza. Per ci� il Manifesto non ha retorica di proteste, n� reca piati. Non lamenta il pauperismo per eliminarlo. Non spande lagrime su niente. Le lagrime delle cose si sono gi� rizzate in piedi, da s�, come forza spontaneamente rivendicatrice. L’etica e l’idealismo consistono oramai in ci�: mettere il pensiero scientifico in servizio del proletariato, Se questa etica non pare morale abbastanza ai sentimentali, che sono il pi� delle volte isterici e fatui, vadano a chiedere l’altruismo al gran pontefice Spencer. Ne dar� loro la sciatta, e insipida, e inconcludente definizione: e di ci� si appaghino.

Ma, dunque, si tratta di estendere alla spiegazione di tutta la storia il solo fattore economico?

Fattori storici! Ma questa � espressione da empiristi della ricerca, o da astratti analizzatori, o da ideologi che ripetono Herder. La societ� � un complesso, ovvero un organismo, come dicon quelli che volentieri adoperano cos� ambigua immagine, e si perdon poi ad almanaccare sul valore e su l’uso analogico di tale espressione. Questo complesso si � formato ed ha cambiato pi� volte. Quale la spiegazione di tale mutamento?

Gi� molto prima che Feuerbach desse il colpo di grazia alla spiegazione teologica della storia (l’uomo ha fatto la religione, e non la religione l’uomo!), il vecchio Balzac l’avea volta in satira, facendo degli uomini le marionette di Dio. E non avea gi� Vico ritrovato, che la Provvidenza non opera ab extra nella storia, ma anzi opera come quella persuasione, che gli uomini hanno della esistenza sua? E lo stesso Vico, gi� un secolo avanti al Morgan, non avea ridotto la storia tutta ad un processo, che l’uomo compie da s� come per una successiva esperimentazione, che � ritrovamento della lingua, delle religioni, dei costumi e del diritto? Non era parso a Lessing, che la storia fosse una educazione del genere umano? Non avea Gian Giacomo gi� visto, che le idee nascono dai bisogni? Non tocc� quasi da vicino Saint-Simon, quando non fantasticava di epoche organiche ed inorganiche, la genesi reale del terzo stato: e le sue idee, tradotte in prosa, non dettero in Agostino Thierry, un vero innovatore delle ricerche critiche sul passato?

Nel primo cinquantennio di questo secolo, e specie nel periodo dal 1830-50, le lotte di classe, che gli storici antichi e quelli della Italia della Rinascenza avean cos� vivamente descritte, per quanto ne desse loro occasione di esperienza l’angusto ambito delle repubbliche di citt�, eran cresciute e s’erano ingrandite di qua e di l� dalla Manica in proporzione e in evidenza sempre maggiori. Nate nell’ambito della grande industria, illustrate dal ricordo e dallo studio della Grande Rivoluzione, diventavano esse intuitivamente istruttive, perch�, con maggiore o con minore chiarezza e consapevolezza, trovavano la loro attuale e suggestiva espressione nei programmi dei partiti politici: p. e., libero scambio, o dazii sul grano in Inghilterra, e cos� via. La concezione della storia si cambiava in Francia a vista d’occhi, cos� nell’ala destra come nell’ala sinistra dei partiti letterarii, da Guizot a Louis Blanc, e fino al tenue e modesto Cabet. La sociologia era il bisogno del tempo, e, se cerc� invano la sua espressione teoretica in Comte, scolastico ritardatario, trov� di certo l’artista in Balzac, che fu il vero rinvenitore della psicologia delle classi. Riporre nelle classi e nei loro attriti il subietto reale della storia, e il moto di questa nel moto di quelle, ecco ci� che si andava cercando e scovrendo: e di ci� bisognava fissare in termini la precisa teoria.

L’uomo ha fatto la sua storia, non per metaforica evoluzione, n� per correr su la linea di un presegnato progresso. L’ha fatta, creandone a se stesso le condizioni; cio�, formando a se stesso, mediante il lavoro, un ambiente artificiale, e sviluppando successivamente le attitudini tecniche, e accumulando e trasformando i prodotti della operosit� sua, per entro a tale ambiente. Noi di storia ne abbiamo una sola: n� quella reale, che � effettivamente accaduta, possiamo noi confrontare con un’altra meramente possibile. Dove trovare le leggi di tale formazione e sviluppo? Le antichissime formazioni non ci son chiare alla prima. Ma questa societ� borghese, come nata di recente, e non giunta ancora a pieno sviluppo nemmeno in ogni parte di Europa, serba in s� le tracce embriogenetiche della sua origine e del suo processo, e le mette in piena evidenza nei paesi in cui sorge appena sotto ai nostri occhi, p. e., nel Giappone. Come societ� che trasforma tutti i prodotti del lavoro umano in merci, mediante il capitale, come societ� che suppone il proletariato, o lo crea, e che ha in s� l’inquietezza, la turbolenza, la instabilit� delle continue innovazioni, essa � nata in tempi certi, con modi assegnabili e chiari, per quanto varii. Di fatti, nei diversi paesi ha modi differenti di sviluppo: dove, p. es., comincia prima che altrove, come in Italia., e poi si arresta; e dove, come in Inghilterra, procede costantemente per tre secoli di economica espropriazione delle precedenti forme di produzione, o della vecchia propriet�, come dicesi nella lingua dei giuristi. In un paese essa si fa a grado a grado, combinandosi con le forze preesistenti, e di quelle subisce l’influsso per adattamento, come fu il caso della Germania, ed ecco che in altro paese rompe l’involucro e le resistenze in modo violento, come accadde in Francia, dove la Grande Rivoluzione rappresenta il caso pi� intensivo e vertiginoso di azione storica che si conosca, ed � perci� la pi� grande scuola di sociologia.

In brevi e magistrali tratti, come ho gi� notato, cotesta formazione della societ� moderna, ossia borghese, fu tipicamente rifatta nel Manifesto; dove n’� dato il generale profilo anatomico, negli aspetti successivi di corporazione, commercio, manifattura e grande industria, aggiuntavi la indicazione degli organi ed apparati derivati e complessi, che sono il diritto, le costituzioni politiche e cos� via. Ed ecco che gli elementi primi della teoria per ispiegare la storia col principio delle lotte di classe ci eran gi� implicitamente.

Questa medesima societ� borghese, che rivoluzion� tutte le precedenti forme di produzione, avea fatto luce a se stessa e al suo processo, creando la dottrina della sua struttura, ossia la Economia. Essa difatti non � nata e non si � svolta nella incoscienza che fu propria delle societ� primitive; ma anzi alla luce meridiana del mondo moderno, dalla Rinascenza in qua.

La Economia, come tutti sanno, nacque frammentaria in origine nella prima epoca della borghesia, che fu del commercio e delle grandi scoverte geografiche; ossia nella prima fase del mercantilismo, e poi nella seconda di esso. E nacque, per rispondere dapprima a speciali questioni: – � legittimo l’interesse?; conviene agli stati e alle nazioni di accumular danaro?; e cos� di seguito. Crebbe poi, estendendosi a pi� complessi aspetti del problema della ricchezza, e si svilupp� nella transizione dal mercantilismo alla manifattura, e da ultimo pi� rapidamente e pi� risolutamente nella transizione da questa alla creazione della grande industria. Fu l’anima intellettuale della borghesia che conquistava la societ�. Era gi�, come disciplina, quasi condotta a termine nei suoi principali lineamenti alla vigilia della Grande Rivoluzione; e fu segnacolo alla ribellione contro le vecchie forme del feudo, della corporazione, del privilegio, delle limitazioni al lavoro e cos� via: cio� fu segnacolo di libert�. Perch�, di fatti, il diritto di natura, che si venne sviluppando dai precursori di Grozio fino a Rousseau, a Kant e alla costituzione del ’93, non fu se non il duplicato e il complemento ideologico della Economia; tanto � che, spesso, e cosa e complemento si confondono in uno nella mente e nei postulati degli scrittori, come � il caso tipico dei fisiocratici. Come dottrina scever�, distinse, analizz� gli elementi e le forme del processo della produzione, circolazione e distribuzione, riducendo il tutto in categorie: danaro, danaro-capitale, interesse, profitto, rendita della terra, salario, e cos� di seguito. Corse sicura, con costante incremento di analisi, e pi� spiccatamente da Petty a Ricardo. Padrona essa sola del campo, incontr� rare obiezioni. Lavor� su due presupposti, che poco o punto si dette pensiero di difendere, tanto parevano evidenti: e, cio�, che l’ordine sociale che illustrava fosse l’ordine naturale; e che la propriet� privata dei mezzi di produzione fosse una cosa sola con la libert� umana: il che faceva del salariato, e della inferiorit� dei salariati, condizioni d’essere indispensabili. In altre parole, non vide la condizionalit� storica delle forme che dichiarava e spiegava. Le stesse antitesi che incontr� per via, nei tentativi di una conseguente sistematica pi� volte provata e mai riuscita, cerc� di eliminarle logicamente; come � il caso di Ricardo nel tentativo di combattere la non meritata rendita della terra.

In principio del secolo scoppiano violente le crisi, e quei primi movimenti operai, che hanno la loro origine immediata e diretta nell’acuta disoccupazione. L’illusione dell’ordine naturale � rovesciata! La ricchezza ha generato la miseria! La grande industria, alterando tutti i rapporti della vita, ha aumentato i vizii, le malattie, la soggezione: essa, in somma, � causa di degenerazione! Il progresso ha generato il regresso! Come fare, perch� il progresso non generi altro che progresso; e cio� prosperit�, salute, sicurezza, educazione e sviluppo intellettuale egualmente per tutti? In questa domanda � tutto Owen; che ebbe di comune con Fourier e con Saint-Simon questo carattere: del non richiamarsi oramai pi� all’abnegazione o alla religione, e del volere risolvere e superare le antitesi sociali, senza diminuzione della energia tecnica ed industriale dell’uomo, anzi con l’incremento di essa. Owen divent� comunista per cotesta via; ed � il primo che sia divenuto tale entro all’ambito e per l’esperienza della grande industria moderna. L’antitesi pare dapprima sia tutta riposta nella contraddizione tra il modo della distribuzione e il modo della produzione. Questa antitesi bisogna dunque vincerla in una societ�, che produca collettivamente. Owen divent� utopista. Questa societ� perfetta bisogna sperimentalmente avviarla; e lui ci si mise con eroica costanza, con abnegazione impareggiabile, con matematica precisione di particolari argomentati ed escogitati.

Posta cotesta immediata antitesi tra produzione e distribuzione, si seguirono in Inghilterra, da Thompson a Bray, molti scrittori di un socialismo che non pu� dirsi strettamente utopistico, ma deve dirsi unilaterale, perch� mirante a correggere i rivelati e denunciati vizii della societ� con uno o pi� rimedii. Di fatti, la prima tappa che si faccia da chiunque si metta per la prima volta su la via del socialismo, gli � di mettere in contraddizione la produzione con la distribuzione. E poi nascono spontanee queste ingenue domande: perch� non abolire il pauperismo; non eliminare la disoccupazione; non toglier di mezzo l’intermedio della moneta; non favorire lo scambio diretto dei prodotti in ragione del lavoro che contengono; non dare al lavoratore l’intero prodotto del suo lavoro?, e simili. Queste domande risolvono le cose dure, tenaci e resistenti della vita reale in tanti ragionamenti, e mirano a combattere il sistema capitalistico come fosse un meccanismo, cui si tolgano o si aggiungano, pezzi, ruote ed ingranaggi.

Con tutte coteste tendenze la ruppero recisamente i comunisti critici. Essi furono i successori e continuatori della Economia classica. Questa � la dottrina della struttura della presente societ�. Ora non � dato a nessuno di combattere cotesta struttura praticamente, e rivoluzionariamente, senza rendersi innanzi tutto conto esatto degli elementi, e forme e rapporti suoi, approfondendo appunto la dottrina che la illustra. Queste forme, e elementi, e rapporti si generarono, s�, in date condizioni storiche; ma ora sono, e sono resistenti, e connessi, e correlativi fra loro, e perci� costituiscono sistema e necessit�. Come passar sopra a tale sistema con un atto di negazione logica, e come eliminarlo coi ragionamenti? Eliminare il pauperismo? Ma se � condizione necessaria del capitalismo! – Dare all’operaio l’intero frutto del suo lavoro? Ma dove se ne andrebbe il profitto del capitale? – E dove e come il danaro speso in merci potrebbe crescere di un tanto, se fra tutte le merci che incontra, e con le quali si scambia, non ce ne fosse appunto una, che produce a chi la compra pi� di quel che gli costi; e se questa merce non fosse appunto la forza-lavoro presa a salario? Il sistema economico non � una fila o una sequela di astratti ragionamenti; ma � anzi un connesso ed un complesso di fatti, in cui si genera una complicata tessitura di rapporti. Pretendere che questo sistema di fatti, che la classe dominatrice si � venuto costituendo a gran fatica, attraverso i secoli, con la violenza, con l’astuzia, con l’ingegno, con la scienza, ceda le armi, ripieghi, o si attenui, per far posto ai reclami dei poveri, o ai ragionamenti dei loro avvocati, gli � cosa folle. Come chiedere l’abolizione della miseria, senza rovesciare tutto il resto? Chiedere a questa societ�, che essa muti anzi rovesci il suo diritto, che � la sua difesa, gli � chiederle l’assurdo. Chiedere a questo stato, che esso cessi dall’essere lo scudo e anzi il baluardo di questa societ� e di questo diritto, � volere l’illogico. Cotesto socialismo unilaterale, che, senza essere strettamente utopistico, parte dal preconcetto che la storia ammetta la errata-corrige senza rivoluzione, ossia senza fondamentale mutazione nella struttura elementare e generale della societ� stessa, o � una ingenuit�, o � un imbarazzo. La sua incoerenza con le rigide leggi del processo delle cose si faceva chiara appunto in Proudhon; che, o riproduttore inconsapevole, o diretto ricopiatore di alcuni dei socialisti unilaterali inglesi, voleva intendere, fermare o mutare la storia su la punta di una definizione, o con l’arma di un sillogismo.

I comunisti critici riconobbero il diritto della storia di fare il suo cammino. La fase borghese � superabile, s�, e sar� superata. Ma, finch� dura, ha le sue leggi. La relativit� di queste sta nel fatto, che esse si formarono e si svilupparono in determinate condizioni; ma relativit� non vuol dire semplice opposto di necessit�, ossia fugacit�, mera apparenza, o anzi bolla di sapone. Possono sparire e spariranno, per il fatto stesso del mutarsi della societ�. Ma non cedono all’arbitrio soggettivo, che annunci una correzione, proclami una riforma, o formuli un progetto. Il comunismo sta dalla parte del proletariato, perch� in questo solo consiste la forza rivoluzionaria, che rompe, infrange, sommuove e dissolve la presente forma sociale, e pone dentro di questa via via nuove condizioni; anzi, per essere pi� esatti, col fatto stesso del suo moto dimostra, che le condizioni nuove vi si creano, e fissano, e svolgono fin da ora di gi�.

La teoria della lotta di classe era trovata. Si conosceva da due capi: nelle origini della borghesia, il cui processo intrinseco era gi� reso chiaro dalla scienza dell’economia; e in questa apparizione del nuovo proletariato, condizione ed effetto al tempo stesso della nuova forma di produzione. La relativit� delle leggi economiche era scoverta; ma al tempo stesso era riconfermata la loro relativa necessit�. E in ci� � tutto il metodo e la ragione della nuova concezione materialistica della storia. Errano quelli che, chiamandola interpretazione economica della storia, credono di intendere e di fare intender tutto. Quest’altra designazione qui si conviene meglio a certi tentativi analitici, che, pigliando a parte, di qua i dati delle forme e categorie economiche, e di l� p. e. il diritto, la legislazione, la politica, il costume, studiano poi i vicendevoli influssi dei varii lati della vita cos� astrattamente e cos� soggettivamente distinti. Tutt’altro � il fatto nostro. Qui siamo nella concezione organica della storia. Qui � la totalit� e la unit� della vita sociale che si ha innanzi alla mente. Qui � la economia stessa (intendo dire dell’ordinamento di fatto e non della scienza intorno ad esso) che vien risoluta nel flusso di un processo, per apparir poi in tanti stadii morfologici, in ciascun dei quali fa da relativa sostruzione del resto, che le � corrispettivo e congruo. Non si tratta, in somma, di estendere il cosiddetto fattore economico, astrattamente isolato, a tutto il resto, come favoleggiano gli obiettatori; ma si tratta invece e innanzi tutto di concepire storicamente la economia, e di spiegare il resto delle mutazioni storiche per le mutazioni sue. E in ci� � la risposta a tutte le critiche, che si levano da tutti i campi della dotta ignoranza, o della ignoranza male addottrinata, non escluso quello di quei socialisti, che siano immaturi, o sentimentali, o isterici. E in tale risposta � anche chiarito, perch� Marx scrivesse, nel Capitale, non il primo libro del comunismo critico, ma l’ultimo grande libro intorno alla economia borghese.

Il Manifesto fu scritto quando la orientazione storica non andava ancora pi� in l� del mondo classico, delle antichit� germaniche appena dichiarate, e della tradizione biblica da poco tempo cominciata a ridurre alle condizioni prosaiche di ogni altra storia profana. Altra � ora la orientazione nostra, perch� si risale alla preistoria ariana, e alle antichissime formazioni dell’Egitto, e a quella della Mesopotamia, che precedono ogni ricordo di tradizioni semitiche. E poi si risale pi� indietro, nella linea della cos� detta preistoria, ossia della storia non scritta. La geniale esplorazione e combinazione del Morgan ci ha dato l’intima conoscenza della societ� antica ossia prepolitica, e la chiave per intendere come da quella sian poi sorte le formazioni posteriori, che hanno i loro indici nella monogamia, nello sviluppo della famiglia paterna, nell’apparire della propriet�, dapprima gentilizia, poscia familiare e infine individuale, e nel successivo fissarsi delle alleanze delle genti, nelle quali poi si origina lo stato. E tutto ci� � illustrato, cos� dalla conoscenza del processo della tecnica nella scoverta e nell’uso dei mezzi ed istrumenti del lavoro, come dall’intendimento dell’azione che quel processo esercit� sul complesso sociale, spingendolo su certe vie, e facendogli percorrere certi stadii. Tali scoverte e combinazioni sono ancora capaci di molte correzioni, specie per la varia maniera specifica come pu� essersi avverato in diverse parti del mondo il passaggio dalla barbarie alla civilt�. Sta per� ora indiscutibile il fatto: che noi abbiamo gi� chiare sott’occhi le generali tracce embriogenetiche dello sviluppo umano, dal comunismo primitivo a quelle complesse formazioni, che, come p. e. lo stato di Atene o di Roma con costituzione di cittadini per classi di censo, rappresentavano fino a poco fa nella tradizione scritta le colonne d’Ercole della ricerca. Le classi, che il Manifesto presupponeva, furono oramai risolute nel loro processo di formazione; e gi� in questo si riconosce lo schema generale di ragioni e cause economiche peculiari e proprie, ossia cos� fatte, che non ripetono le categorie della scienza economica di questa nostra epoca borghese. Il sogno di Fourier, d’inquadrare l’epoca dei civilizzati nella serie di un lungo e vasto processo, s’� avverato. Fu scientificamente risoluto il problema della origine della disuguaglianza fra gli uomini, che Gian Giacomo avea tentato con argomenti di geniale dialettica, e con pochi dati di fatto.

In due punti, per noi estremi, ci � chiaro il processo umano. Nelle origini della borghesia, tanto recenti e tanto illustrate dalla scienza dell’economia; e nella antica formazione della societ� a classi, nel passaggio dalla barbarie superiore alla civilt� (ossia all’epoca dello stato), secondo le denominazioni del Morgan. Ci� che sta di mezzo � quello che finora trattarono cronisti e storici propriamente detti, e poi giuristi, teologi e filosofi. Pervadere ed investire tutto cotesto campo di conoscenze con la nuova concezione storica, non � cosa facile. N� conviene darsi fretta, schematizzando. Innanzi tutto conviene di fissare per quanto possibile la relativa economica di ciascuna epoca, per ispiegarsi specificamente le classi che in quella si svilupparono; non astraendo da dati ipotetici od incerti, e non generalizzando le nostre condizioni per estenderle a quelle di ogni tempo. A ci� occorrono falangi di addottrinati. Cos�, ad esempio, � unilaterale ci� che nel Manifesto � detto su la primissima origine della borghesia, come nata dai servi del Medioevo, via via incorporati nelle citt�. Quel modo d’origine fu proprio della Germania, e di altri paesi che ne riproducono il processo. Non risponde al caso dell’Italia, della Francia meridionale e della Spagna, che furon poi i paesi nei quali cominci� appunto la prima storia della borghesia, ossia della civilt� moderna. In questa prima fase sono le premesse di tutta la societ� capitalistica, come Marx avvert� in una nota al primo volume del Capitale. Questa prima fase, che raggiunse la sua forma perfetta nei Comuni italiani, � la preistoria di quella accumulazione capitalistica, che Marx studi� con tanta evidenza di particolari nella serie chiara e compiuta della evoluzione dell’Inghilterra. Ma di ci� basta.

I proletarii non possono mirare che all’avvenire. Ai socialisti scientifici preme innanzi tutto il presente, come quello in cui spontaneamente si sviluppano e maturano le condizioni dell’avvenire. La conoscenza del passato giova ed interessa praticamente, solo in quanto essa pu� dar luce e orientazione critica a spiegarsi il presente. Per ora basta che i comunisti critici, gi� cinquant’anni fa, abbiano escogitato e ritrovato gli elementi primissimi della nuova e definitiva filosofia della storia. A breve andare tale intendimento s’imporr� per la provata impossibilit� di pensare il contrario: e la scoverta parr� l’uovo di Colombo. E forse prima che una schiera di dotti usi ed applichi tale concezione estesamente, plasmandola, cio�, nel racconto continuativo di tutta la storia, i successi del proletariato saranno tali, che l’epoca borghese parr� a tutti superabile, perch� prossima ad essere superata. Intendere � superare (Hegel).

Quando il Manifesto, gi� cinquanta anni fa, elevava i proletarii, da compatiti miseri, a predestinati sotterratori della borghesia, alla immaginazione degli scrittori di esso, che mal dissimulavano l’idealismo della loro intellettuale passione nella gravit� dello stile, assai angusto doveva apparire il perimetro del presagito cimitero. Il perimetro probabile, per figura di fantasia, non abbracciava allora se non la Francia e l’Inghilterra, e avrebbe appena lambito gli estremi confini di altri paesi, come ad esempio della Germania. Ora cotesto perimetro ci appare immenso, per l’estendersi rapido e colossale della forma della produzione borghese, che allarga, generalizza e moltiplica, per contraccolpo, il movimento del proletariato, e fa vastissima la scena su la quale spazia l’aspettativa del comunismo. Il cimitero s’ingrandisce a perdita di vista. Pi� forze di produzione il mago va evocando, e pi� forze di ribellione contro di s� esso suscita e prepara.

A quanti furono comunisti ideologici, religiosi ed utopistici, o a dirittura profetici od apocalittici, parve sempre in passato, che il regno della giustizia, della eguaglianza e della felicit� dovesse avere per teatro il mondo intero. Per ora la conquista del mondo la fa l’epoca dei civilizzati; cio� la societ�, che si regge su le antitesi delle classi, e su la dominazione di classe, nella forma della produzione borghese (il Giappone insegni!). La coesistenza delle due nazioni in uno e medesimo stato, che fu gi� precisata dal divino Platone, si perpetua. L’acquisizione della Terra al comunismo non � cosa del domani. Ma pi� larghi si fanno i confini del mondo borghese, pi� popoli vi entrano, abbandonando e sorpassando le forme inferiori di produzione, ed ecco che pi� precise e sicure divengono le aspettazioni del comunismo: soprattutto perch� decrescono, nel campo e nella gara della concorrenza, i deviatori della conquista e della colonizzazione. La Internazionale dei proletarii, che era appena embrionale nella Lega dei comunisti di cinquanta anni fa, diventata oramai interoceanica, dice ed afferma intuitivamente ogni primo di Maggio, che i proletari di tutto il mondo sono realmente e operosamente uniti. I prossimi o futuri sotterratori della borghesia, e i loro nipoti e pronipoti, ricorderanno in perpetuo la data del Manifesto dei comunisti.

Roma, 7 aprile 1895

 

1. Questo mio scritto non � un rifacimento del Manifesto Comunista, come se volessi adattarlo alle presenti condizioni; n� io ne do qui l’analisi o il commento. Scrivo, come dice il titolo, soltanto in memoria.

2. Intendo dire di quella che ironicamente � chiamata nel Manifesto: del socialismo vero, ossia tedesco. Quel paragrafo che � inintelligibile a chi non sia pratico della filosofia tedesca di allora, specie in certe sue forme di acuta degenerazione, fu opportunamente omesso nella traduzione spagnola.

3. Da parecchi anni – e sono gi� otto – nei corsi universitari che intitolo, o genesi del socialismo moderno, o storia generale del socialismo, o della interpretazione materialistica della storia, ho avuto agio e tempo d’impossessarmi di tale letteratura, e di ridurla ad una certa evidenza prospettica e sistematica. Cosa per se stessa difficile, ma soprattutto in Italia, dove non � tradizione di scuole socialiste, e dove la vita del partito � cos� nuova, da non dare per s� esempio istruttivo di formazione e di processo. Ma questo saggio non � la riproduzione di alcuna delle mie lezioni. Le lezioni non sono i libri che servono a farle; n�, pubblicando delle lezioni, si fanno per davvero dei libri, nel senso esplicito e pieno della parola.

4. Bisogna insistere sulla espressione di democratica socializzazione dei mezzi di produzione, perch� l’altra di propriet� collettiva,oltre a contenere un certo errore teoretico, in quanto che scambia l’esponente giuridico col fatto reale economico, nella mente poi di molti si confonde con l’incremento dei monopoli, con la crescente stratificazione dei servizi pubblici, e con tutte le altre fantasmagorie del sempre rinascente socialismo di stato, il cui segreto � di aumentare in mano alla classe degli oppressori i mezzi economici della oppressione.

5. Pagine 23 in 8� nella edizione originale, London, febbraio 1848, che io devo alla impareggiabile cortesia dell’Engels. Dico qui di passaggio, che ho vinto la tentazione di aggiungere a questo scritto delle note bibliografiche, o di letteratura, o di rinvio, o di citazioni, perch�, a mettermi su cotesta via, ne sarebbe uscito un saggio di erudizione, o a dirittura un libro, anzich� un opuscolo. Ma il lettore vorr� credermi in parola, che non v’� allusione, accenno, o sottinteso in queste pagine, che non si riferisca a fonti e fatti, attinenti al soggetto, e anzi alla totalit� delle fonti e dei fatti.

6. Gli Umrisse zu einer Kritik der Nationaloekonomie apparvero nei “Deutsch-Franz�sische Jahrb�cher", Paris 1844, a pp. 86-114; e il libro col titolo: Die Lage der arbeitenden Klasse in England apparve in prima edizione a Lipsia nel 1845.

7. Fiorirono in questi ultimi anni molti giuristi, i quali cercarono nelle correzioni al Codice Civile i mezzi pratici per elevare la condizione del proletariato. Ma perch� non chiedono al papa che si faccia capo della lega dei liberi pensatori? - Almeno pi� degli altri � il caso di quello scrittore italiano, che, occupatosi di recente della lotta di classe, chiede che, accanto al codice che garentisce i diritti del capitale, ne sorga un altro a garenzia dei diritti del lavoro!

8. Tale sviluppo � il Capitale di Marx, che io non mi perito di chiamare per tale rispetto una filosofia della storia.

9. Non sono alieno dal riconoscere con Anton Merger, che Saint-Simon non fu veramente utopista, come furono in forma spiccata, tipica e classica, Fourier e Owen.

10. Devo al Partei-Archiv di Berlino d’aver avuto per dei mesi a mia disposizione un esemplare completo dell’irreperibile giornale.

11. Mis�re de la philosophie par Karl Marx, Paris et Bruxelles 1847.

12. Dico opuscolo, riferendomi alla forma in cui fu ridotto lo scritto, a scopo di propaganda, nel 1884. In origine furono articoli della “Neue Rheinische Zeitung", aprile del 1849, che riproducevano delle conferenze tenute al “Circolo operaio tedesco di Bruxelles" nel 1847.

13. Capitolo secondo del Manifesto del Partito Comunista.

14. Zur Kritik der politischen Oekonomie, Berlin 1859, pp. IV-VI della prefazione.

15. Quegli articoli apparsi nella "Neue Rheinische Zeitung", Politisch-Oekonomische Revue, Hamburg 1850, furono di recente riprodotti dall’Engels (Berlin 1895) in opuscolo preceduto da una sua prefazione. Il titolo dell’opuscolo � precisamente: Le lotte di classe in Francia nel 1848-50.

16. Questo scritto di Marx apparve a New York nel 1852 in una rivista. Fu riprodotto poscia pi� volte in Germania. Ora pu� leggersi anche in francese: Lille 1891, ed. Delory.

17. Engels tratta a fondo nella prefazione al citato opuscolo, e altrove, dello sviluppo obiettivo della nuova tattica rivoluzionaria.

18. Malon dava a questa parola un altro significato: avvertenza al lettore! E poi, del resto: ne sutor ultra crepidam.

19. La storia delle Trades-Unions insegni; tanto pi� in quanto oscura agli occhi di molti la necessaria evoluzione del socialismo.

20. Nello scrivere la prima volta queste parole intendevo di alludere ai socialisti francesi principalmente. Ma la recente discussione del programma agrario proposto alla democrazia sociale di Germania conferma le origini di fato delle difficolt� da me indicate. (Nota alla 2� ediz., ottobre 1895).

21. Diverso fu il caso della Germania. Ivi, di dopo il 1830, il socialismo venuto di fuori si diffuse come corrente letteraria, e sub� le alterazioni filosofiche di cui Gr�n fu il rappresentante tipico. Ma gi� prima che apparisse la nuova dottrina, il socialismo proletario avea raggiunto nella persona, nella propaganda e negli scritti del Weitling una forma di notevole e caratteristica originalit�. Come Marx diceva nel “Vorw�rts" (Parigi) del 1844, era quello il gigante in culla.

22. Ci� molti chiamano marxismo. Il marxismo �, e rimane dottrina. N� da una dottrina piglian sostanza e nome i partiti. “Moi je ne suis pas marxiste" diceva - indovinate - proprio Marx in persona!

23. Questi stabil� pel primo i rapporti tra la Lega e Marx, e tratt� per la redazione del Manifesto. Mor� poi nella insurrezione del 1849 allo scontro del Murg.

24. Nella prefazione al terzo volume del Capitale di Marx, Hamburg 1894, pp. XIX-XX. La data del 1845 si riferisce principalmente al libro: Die heilige Familie, Frankfurt 1845, che scrissero in collaborazione Marx ed Engels. Quel libro occorre innanzi tutto di leggere, se si vuole intendere la originazione teorica del materialismo storico.

25. Mi fermo a questo nome, perch� Cabet fu contemporaneo appunto del Manifesto. O dovrei forse scendere alle forme sportive di Bellamy e di Hertzka?

26. Come �, p.e., il caso di Mably rispetto a Mercier de la Rivi�re, compendiatore del fisiocratismo; per tacere di Godwin, Hall e di altri.

27. Son quelli che parve anni fa ad Anton Merger li avesse scoverti lui, come autori del socialismo scientifico, e come autori poi plagiati!

28. Perci� i critici alla Wieser e simili propongono di abbandonare la teoria del valore di Ricardo, perch� quella mena al socialismo.

29. Nasceva allora, specie in Prussia, la illusione di un monarcato sociale, che passando sopra all’epoca liberale, armonicamente risolvesse la cos� detta questione sociale. Questa fisima si riprodusse poi in seguito in infinite variet� di socialismo cattedratico, e di stato. Alle varie forme di utopismo ideologico e religioso se n’� aggiunta cos� una nuova: l’utopia burocratica e fiscale; ossia l’utopia dei cretini.

30. Per es. Rogers.

31. Chi avrebbe pensato pochi anni fa alla scoverta ed all’autentica interpretazione di un antico diritto babilonese?

32. Nota 189 a p. 682 della quarta ediz. Tedesca. Corrisponde a p. 315 della trad. francese.

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