Antonio Montanari

Galeotto di Pietramala, cardinale "malatestiano"

11. Lo scontro con il papa "romano".

Restiamo su Galeotto di Pietramala per aggiungere notizie che lo riguardano, e che fanno da sfondo alla situazione generale della Chiesa. Galeotto e Pileo da Prata fuggono da Genova ad Avignone, «temendo l'austerità di Urbano VI», non nel maggio 1387 [A. Ciacconius, «Vitae et res gestae Pontificum Romanorum», Romae, MDCXXX, t. 1, col. 1014], ma un anno prima.
Nel 1387 Galeotto ed il collega Pileo da Prata, arcivescovo di Ravenna, sono privati del cardinalato. Per Galeotto c'è l'accusa d'avere avuto intelligenza segreta con lo zoppo cardinal Roberto di Ginevra «screditato per la sua crudeltà», come lo definisce Muratori [«Rerum Italicarum Scriptores», XV, 2, p. 47]. Roberto di Ginevra è in realtà l'antipapa Clemente VII, eletto il 20 settembre 1378.
Aggiunge Muratori [Annali, 8, Milano, p. 300], che avendo quindici cardinali scelto di andare con l'antipapa, il Pontefice “romano” Urbano VI appena eletto si trovò nella necessità di nominarne altri, ovvero quei ventisei tra i quali il nostro Galeotto da Pietramala. Come si è accennato supra, Muratori qui precisa che Urbano VI «fece una promozione di ventinove Cardinali, tutte persone di merito, che a riserva di tre accettarono», dichiarando scomunicati quelli che avevano seguito l'Antipapa. [«Galeottus de Petramala» è cit. in col. 771 degli «Annales» di Milano, R. I. S. XVI, Società Palatina, Milano 1730. Qui, a partire dalla col. 769, si legge l'elenco dei ventinove nuovi cardinali.]
Pileo da Prata per l'obbedienza avignonese, sarà Legato d'Italia dal 4 maggio 1388 al 7 febbraio 1391. Era originario di Patra, località posta nei pressi di Pordenone, da cui prese nome la famiglia feudale a cui appartiene. Quel cognome «Prata» diventa talora «Prasta» [cfr. «Le vite de' Pontefici di Bartolomeo Platina Cremonese», cit., p. 375. Sulla storia della sua famiglia, cfr. F. Sansovino, «Origine e fatti delle Famiglie illustri d'Italia», Combi e La Nou, Venezia 1670, pp. 377-381].
Riferendosi all'eccidio dei sei Cardinali imprigionati l'11 gennaio 1385, Gregorovius [III, p. 1733] precisa che Pileo da Prata e Galeotto erano già partiti da tempo, rispetto alla data in cui avviene l'uccisione dei loro cinque colleghi, la notte del 15 dicembre 1386. Teodorico di Niem, che era segretario pontificio, e quindi persona informata dei fatti, scrive [cfr. «Historiarum sui temporis libri IIII, quorum tres priores de schismate universali», Zetner, Argentorati 1608, p. 67] che Pileo e Galeotto, prima di fuggire da Genova ad Avignone erano stati con papa Urbano «aliquandiu», ovvero per qualche tempo. Gregorovius osserva [pp. 1731-173]) che Teodorico ha descritto da testimone oculare i tormenti dei cardinali condannati, durati giorni e giorni, ritraendosene inorridito.
La comitiva della Curia pontificia con gli stessi Pileo e Galeotto era approdata a Genova il 23 settembre 1385. Partendo da questa data ed arrivando al maggio 1386, si ha perfetta corrispondenza di calcolo rispetto a quell'«aliquandiu» di cui parla Teodorico di Niem.
Il Pontefice romano «si rendé talmente terribile agl'altri», che Pileo e Galeotto «da lui si ribellarono, e accostaronsi a Roberto Antipapa» [L. Agnello Anastasio, «Istoria degli antipapi», Muziana, Napoli 1754, II vol., pp. 184-185].
Scomparso Clemente VII il 16 settembre 1394, Galeotto di Pietramala si trova al conclave per l'elezione del nuovo antipapa (avvenuta il 28 dello stesso mese), Benedetto XIII, l'aragonese Pedro Martínez de Luna.
Poco dopo Galeotto «scripsit gravem epistolam ad cives Romanos; in qua eos primo redarguit quod ipsi fuerint auctores schismatis, deinde hortatur ut eidem Benedico, quen multis laudibus ornat, obedentiam prestent», come leggiamo in Stefano Baluzio [Vitae Paparum Avenoniensium, Muguet, Parigi 1693, col. 1363: «Haec epistola habetur in codice 822 bibliothecae Colbertinae»].
Va ricordato che Urbano VI è l'ultimo Pontefice eletto al di fuori del collegio cardinalizio. Nato in Napoli «secondo Panvinio, da vili parenti»: cfr. P. Giannone, Storia civile del Regno di Napoli, IV, Borroni e Scotti, Milano 1846, p. 95. In Onofrio Panvinio (1530-1568), autore dell'Epitome Romanorum Pontificum, Mantuani, Venezia 1557, p. 250, si legge che la sua famiglia, con un padre «ignobile» napoletano al pari della madre pisana, abitava «in loco qui vulgo Infernus appellatur». In G. A. Summonte, Historia della città e regno di Napoli, III, Raimondi-Vivenzio, Napoli 1748, p. 399, si spiega che quel luogo detto «Inferno» era così chiamato per essere «una grandissima bottega» molto rumorosa in cui abitavano «tutti» i fabbri. Si sa che la madre del Papa si chiamava Margherita Brancaccio. Altre fonti (cfr. G. Pennino, I Prignano. L'assedio del castello di Nocera, Bollettino del Centro Studi Archeologici di Boscoreale, Boscotrecase e Trecase, Fasc. XIII, 2001/2005, pp. 8-12), citano storici salernitani secondo cui «la nobile famiglia Prignano era ricchissima e possedeva i feudi di Acquarola, Sorrento, S. Giorgio, Paternò, Scafati, Castellammare, Somma Vesuviana, Sorrento, il Principato di Aversa e quello di Nocera che giungeva ad Angri, compreso il castello ora Fienga».
Torniamo alle vicende politico-religiose di Papa Urbano VI, per approfondirne alcuni aspetti. Il 15 gennaio 1385 egli scomunica Carlo III d'Angiò Durazzo e la moglie (nonché cugina) Margherita di Durazzo (figlia di Maria d'Angiò, sorella minore della regina Giovanna), e dichiara il re di Napoli decaduto. Carlo III «fu allevato alla corte della regina Giovanna I d'Anjou di Napoli, alla quale fu dal padre praticamente consegnato in ostaggio verso il 1360», e con la quale restò sin verso il 1365 (S. Fodali, Carlo III, DBI, 20, 1977).
Nel «luglio 1385, morto Luigi d'Ungheria, un'ambasceria ungherese viene ad offrire a Carlo di Durazzo la corona di Santo Stefano, per impedire che l'Ungheria angioina cada in possesso di Sigismondo di Lussemburgo, fratello del re di Boemia e sposo di Maria, una delle tre figlie del sovrano defunto, il re napoletano decide di accettare, spinto a questo passo dai mercanti fiorentini e dal contrasto che nel frattempo lo oppone al suo antico protettore, papa Urbano VI, che nel gennaio dello stesso anno aveva scomunicato Carlo e Margherita e bandito una crociata contro i Durazzo. Salpato alla volta dell'Ungheria, Carlo III viene incoronato re a Buda il 31 dicembre 1385, ma muore di lì a poco, assassinato in una congiura ordita dalla fazione favorevole a Maria d'Ungheria». Qui si legge poi che la vedova Margherita era donna «energica ma oberata di debiti e sottoposta alla fiera e intransigente ostilità di papa Urbano VI». Margherita era stata dapprima fidanzata con Federico III d'Aragona; per difficoltà frapposte dalla corte pontificia «gli sponsali non s'effettuarono»: cfr. tavola VII («Ramo d'Angiò di Napoli Duchi di Durazzo») in Annali delle Due Sicilie, II, Fibreno, Napoli 1860, p. 497.)
Giovanna aveva soltanto diciotto anni quando il 18 settembre 1345 fece uccidere il marito Andrea, diciannovenne, figlio del re d'Ungheria Carlo Roberto: «per farsi credere innocente di quel delitto ordinò severe pene pe' colpevoli» [C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Tipografia dell'Aquila, Napoli 1844, pp. 26-27].
Luigi d'Ungheria accusa Giovanna per l'uccisione del fratello Andrea, quando la Corte pontificia dichiara Giovanna innocente: «La vostra vita sregolata, l'autorità del regno ritenuta, la vendetta trascurata, e le vostre scuse provano che siete colpevole», leggiamo in nota alla biografia di Giovanna scritta da Sismondo de Sismondi (1773-1842) e pubblicata nel 1821. Cfr. A. Levati, Dizionario biografico cronologico degli uomini illustri. Donne illustri, I, Bettoni, Milano 1821, p. 91, dove si riporta la fonte: A. Bonsinius, Commentarius de Rebus Hungaricis, Dec. II, Lib. IX: «Iohanna! inordinata vita praeterita, ambitiosa continuatio potestatis, neglecta vindicta, et excusatio subsequta, te viri tui necis arguunt consciam, et fuisse partecipem».
In altre fonti, si precisa che il libro di Bonsinio è il decimo, p. 261. Antonio Bonsinio era ascolano. Delle quattro decadi composte da lui, esistono l'edizione di Basilea del 1568, e quella «Hanoviae, tipys Wechelianis, 1606», entrambe con appendici «Joannis Sambuci», ovvero dell'umanista ungherese Giovanni Sambuco (1531-1584), celebre storiografo imperiale, nonché medico, che si chiamava János Zsámboki.
Il 22 agosto 1347 Giovanna sposa proprio il cugino Luigi di Taranto, fratello maggiore di Andrea, dopo aver dato alla luce il 26 dicembre 1346 Caroberto, l'erede del defunto marito.
Dopo la scomparsa di Luigi, nel 1362 a fine maggio, il 14 dicembre ad Avignone Giovanna sposa Giacomo di Maiorca che muore nel febbraio 1375. L'anno dopo, il 25 marzo, infine si celebra il quarto ed ultimo matrimonio di Giovanna: con Ottone di Brunswick-Grubenhagen. Il quale «aveva mostrato anche capacità di amministratore e, a causa della sua origine da una famiglia quasi sconosciuta, non poteva avanzare alcuna pretesa sulla corona reale» [A. Kiesewetter, Giovanna I d'Angiò, regina di Sicilia, DBI, 55, 2001].
Giovanna nel 1375 si allea contro la Chiesa con i Visconti e la lega delle città toscane riunitesi attorno a Firenze, quando si profila imminente il ritorno della Santa Sede da Avignone in Italia. A Firenze si era seguito «con molta attenzione e sospetto il progredire dell'opera» di formazione «di uno stato unitario e forte in regioni che circondavano territorialmente la Toscana», e nelle quali passavano le vie di comunicazione terrestre [Cfr. G. Fasoli, Profilo storico dall'VIII al XV secolo, in Storia dell'Emilia Romagna, I, Bologna 1976, pp. 397-398].
Nello stesso 1375, Firenze crea una nuova magistratura, «gli Otto della guerra», detti poi «gli Otto Santi». Da loro prende nome la guerra che si combatte fra l'estate del 1375 e quella del 1378. («Anima della guerra fu una particolare magistratura, gli Otto della Guerra, detti poi dal popolo, quando la città fu scomunicata dal papa, gli Otto Santi», cfr. ad vocem, E. Dupré Theseider, Enciclopedia Italiana, 1935. Al proposito, va ricordato il passo di N. Machiavelli, Istorie fiorentine, III, 7, in cui si legge che gli «Otto Santi» erano chiamati così «ancora che avessino stimate poco le censure, e le chiese de' beni loro spogliate, e sforzato il clero a celebrare gli uffici: tanto quelli cittadini stimavano allora più la patria che l'anima». Questa parole sono omesse nella prima edizione delle Istorie, uscita nel 1532, cfr. S. Guarracino, L'Italia disunita. Idee e giudizi da Dante a Gramsci, Milano 2012, par. 3.1, ed. web 2013).
Gregorio XI nel 1376 da Avignone scomunica i fiorentini ed invia il Cardinale Roberto di Ginevra con un esercito di Bretoni a combattere nel Bolognese.
I possessi italiani della Chiesa sono «tra le principali preoccupazioni dei pontefici avignonesi», assicurando così «un costante progresso all'organizzazione della struttura amministrativa dello Stato della Chiesa», con il declino dei liberi Comuni e l'ascesa delle nuove istituzioni signorili. Ma i liberi Comuni non si sottomettono facilmente come testimonia la diffusa e grave ribellione del 1376 [Cfr. E Cuozzo, Lo stato della Chiesa, p. 181-183, Eco VII.].
Nel 1377, il 17 gennaio, Gregorio XI entra a Roma, concludendo il viaggio da Avignone iniziato il 13 settembre dell'anno precedente (un primo ritorno a Roma c'è statocon Urbano V per tre anni, nell'ottobre 1367), e promuove una feroce repressione delle rivolte nei territori della Chiesa: domata Bologna, dai Bretoni è terribilmente saccheggiata Cesena, con più di quattromila cadaveri dissemeniati nelle strade e nel fossati della città, come scrive G. Mollat nella sua storia del Papato avignonese (Les Papes d'Avignon, 1305-1378, Paris 1912, p. 163). A guidare le operazioni militari dei mercenari, abbiamo visto, è il cardinal Roberto da Ginevra, futuro antipapa con il nome di Clemente VII.
I Visconti fanno pace col Papa. Soltanto Firenze resiste. Qui nel 1378 si hanno rivolte popolari. Nello stesso anno muore Gregorio XI.
Con la pace di Tivoli (28 luglio 1378) Firenze «s'impegna di pagare un'indennità di guerra di duecentocinquantamila fiorini, dei quali sborsa effettivamente solo un quinto, e il pontefice toglie l'interdetto dalla città». Le cause vere e remote della «guerra degli Otto Santi» vanno cercate nell'antipatia che Firenze, come tutta l'Italia, nutriva verso il papato avignonese, considerato ormai come straniero, nel timore che la Chiesa pensasse a un'espansione territoriale ai danni della Toscana» (Cfr. S. Bassetti, Erasmo Gathamelata 1370-1443, Milano, 2012, p. 70).
Il 27 luglio 1382 (e non nel settembre 1381, come talora si trova) Giovanna termina tragicamente i suoi giorni: «chi dice, ch'ella fu strangolata, e chi affogata: ma impiccata lo dice solo il Collenuccio» (cfr. Roseo da Fabriano, T. Costo, «Compendio dell'Istoria del Regno di Napoli di Pandolfo Collenuccio da Pesaro», Gravier, Napoli 1770, p. 281).
Il testo di Collenuccio recita: «la regina lo mandò una notte a chiamare sotto specie di alcune importanti occorrenze, e come fu ad un certo verone, ovvero poggiuolo, fu preso e, postoli il laccio al collo, a quel poggiuolo impiccato, di volontá e commissione de la regina. La cagione per molti si dice che fu perché detto Andreasso [Andrea], ancor che fusse molto giovine, non era si ben sufficiente a le opere veneree, come lo sfrenato appetito de la regina aria voluto» [cfr. «Compendio de le istorie del Regno di Napoli», p. 106 dell'ed. elettr. bibliotecaitaliana.it, 2008 da ed. Laterza, Bari 1929].
A farla uccidere è Carlo III, suo nipote, che sarà ripagato con la stessa moneta quattro anni e cinque mesi dopo, il 6 febbraio 1386. [cfr. G. Battaglia, «Giovanna Prima, regina di Napoli. Storia del secolo XIV», Pirotta, Milano 1835, p. 372].
L'uccisione di Giovanna [ib., p. 369] è opera d'un reo pugliese detto Squarciabrigante che la strangola con le sue stesse chiome e poi la affoga «sotto ai piumacci del letto». Sulla morte del primo marito di Giovanna, Andrea, si legge [ib., p. 1] che egli fu vittima di una congiura baronale perché considerato «inetto alle cose del governo e dominato da cortigiani stranieri», «non senza che corresse voce» che pure la regina avesse partecipato al sanguinoso fatto: «Indarno, a rimuovere questo gravissimo sospetto, Giovanna mandò il vescovo di Tropea alla corte di Lodovico re d'Ungheria e fratello dell'estinto Andrea». Infatti Lodovico invade le terre del regno di Napoli, per cui Giovanna si rifugia presso Clemente VI ad Avignone [cfr. p. 2].
Carlo III dapprima costringe il papa a tornare a Napoli nel novembre 1384, poi congiura contro di lui, «onde Urbano VI prese il partito di restituirsi a Nocera» [G. Moroni, «Dizionario di erudizione storico ecclesiastica», vol. XCVII, Tipografia Emiliana, Venezia 1860, p. 137].
A Nocera il re per cinque mesi, a partire dal febbraio 1385, lo fa assediare dalle sue truppe, pubblicando un bando che offre una ricompensa di diecimila fiorini d'oro a chiunque consegnasse il Papa vivo o morto.
Soltanto l'8 luglio 1385 Urbano VI può uscire da Nocera, recandosi a Benevento. [Sull'assedio di Nocera, cfr. G. Franceschini, Brunforte, Villanuccio da, DBI, 14, 1972: «Durante il grande conflitto esploso tra Carlo di Durazzo e Urbano VI il B., il 27 genn. 1385, fu mandato dalla regina Margherita in Puglia in soccorso del re, insieme con Andrea Mormile. In febbraio partecipò all'assedio di Nocera, dove il papa si era rinchiuso».]
Intanto, il 5 luglio sono giunte in Adriatico le dieci galee inviate al Papa dal doge di Genova, Antonio Adorno. Il 24 luglio il Urbano VI si reca a Benevento. Poi s'imbarca sulle galee genovesi tra Barletta e Trani. Arriva a Messina e Palermo, parte per Corneto (l'odierna Tarquinia), donde salpa per Genova, «ove tragicamente fece punire i cardinali ribelli» [Franceschini, ib.], salvandone soltanto uno, l'inglese Easton.
A Genova la comitiva pontificia approda sabato 23 settembre. Il cit. Anastasio, p. 184, riprende dal cap. 80 (p. 265) di P. Gobelinus, Cosmodromium, hoc est chronicon universale, Wecheli, Francoforte 1599, questo passo: «Papa ad hospitale sancti Ihoannis in occidentali burgo situm se contulit captivos Cardinales secom deducendo, quos ibidem carceribus mancipavit», «Il Papa andò all'Ospedale di S. Giovanni situato nel Borgo Occidentale, conducendo seco i Cardinali prigioni, i quali si fece mettere nelle carceri». Nel testo di Anastasio, p. 184, erroneamente si parla del cap. 81 di Gobelinus.)
11. Continua nella scheda su Giovanna I di Napoli, "bella ed ardente".
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