Iakov Levi

 

Nietzsche, gli ebrei e il Padre

 

 

 

A questo punto, dopo aver capito che l’ammirazione di N va a coloro che si separano e che considera “forti”, e il suo disprezzo a coloro che fanno parte del gregge, ci si apre uno spiraglio per decodificare l’intenzione di N, quando dice:

 

Gli Ebrei – un popolo “nato per la schiavitù”, come dice Tacito e con lui tutta l’antichità, “il popolo eletto tra i popoli”, come essi stessi dicono e credono…” (Al di là del bene e del male, par. 195.)

 

E’ molto difficile capire N senza sapere avere presente a quali fonti bibliche o classiche si riferisca. Infatti, ecco cosa ci dice Tacito degli ebrei:

 

Le altre pratiche [dei giudei] sono perverse e infami e si

sono imposte per la loro depravazione. Infatti la peggior feccia di questo

mondo, dopo aver rinnegato le religioni patrie , portava

tributi e denaro: in questo modo la potenza dei Giudei crebbe, anche perché;

tra di loro sono sempre molto leali e molto disponibili al mutuo soccorso,

mentre riserbano il loro odio più aspro a tutti gli altri. Siedono

a mensa separati e, ancora separati, dormono: ma sono uomini di sfrenata

libidine, abituati a non avere rapporti sessuali con donne di altri popoli

e a considerare invece, tutto lecito tra di loro. Hanno istituito l’usanza

della circoncisione, per riconoscersi tra di loro da questo segno distintivo.

Coloro che hanno accettato di condividerne le abitudini, seguono la stessa

pratica e come prima conseguenza imparano a disprezzare gli dei, a rinnegare

la loro patria, a non tenere in alcun conto i rapporti di paternità

di figliolanza e fraternità. I Giudei tengono comunque molto a che

il loro numero si incrementi: è proibito infatti, uccidere uno qualsiasi

dei figli in soprannumero” (Hist. V.5.)

 

Ovvero, Tacito disprezza i Giudei poiché questi “si separano” dagli altri. Per N, invece, la stessa cosa suscita la sua ammirazione. Infatti altrove ci dice: “per necessità di natura i forti tendono tanto a dissociarsi, quanto i deboli ad associarsi” (Genealogia della morale, terza dissertazione, 18).Quindi ci diventa ovvio che N facesse dell’ironia quando riporta la citazione di Tacito: “Gli Ebrei – un popolo “nato per la schiavitù”. Naturalmente N fa dell’ironia anche sugli ebrei quando dice: “il popolo eletto tra i popoli”, come essi stessi dicono e credono…”. Ma non ci deve meravigliare poiché la doppia ironia è la sua maniera peculiare di esprimersi. C’è sempre il doppio senso, una cosa e il suo contrario. Fa sempre dell’ironia su coloro che porta in palmo di mano, come se nello stesso tempo che esprime un opinione, si prendesse gioco anche della propria ammirazione. Infatti: il popolo eletto tra i popoli”, come essi stessi dicono e credono…”      contiene  una doppia valutazione. Vanno ammirati poiché si sentono il popolo eletto, e quindi separato (al contrario del gregge), ma allo stesso tempo li schernisce poiché ovviamente non crede né che esista un dio, né che questi possa aver eletto chichessia. Come in vari altri casi, N non ammira gli ebrei per quello che dicono, ma per la loro attitudine esistenziale. Li ammira proprio perché si sentono il popolo eletto, e proprio perché non crede che lo siano. Ovvero, gli ebrei si sono inventati di essere il popolo eletto come espressione della loro volontà di potenza, contro la quale N inveisce, ma che ammira poiché segno di forza, di volontà di esistere malgrado le condizioni esistenziali ostili. Senza questo accorgimento, e se gli ebrei non avessero sostituito alla morale della natura la morale della Legge, sarebbero periti. Poiché la natura esige l’estinzione di coloro che sono stati sconfitti. Da qui anche la definizione degli ebrei come popolo contro natura. Ma anche questo diventa causa di invettiva, ma anche di ammirazione. Gli ebrei hanno trovato un accorgimento per diventare più forti delle leggi naturali. Da qui La Trasvalutazione di tutti i valori di cui accusa gli ebrei ma per la quale implicitamente anche li ammira.

La mia analisi è confermata da altre citazioni. Per esempio: “Ma la gerarchia che in tal modo, sia pure soltanto per un attimo, era stata messa in questione, era la palafitta su cui il popolo ebraico, in mezzo alle acque protraeva ancora in generale la sua esistenza – l’ultima possibilità faticosamente conquistata di sopravvivere…: un attacco a essa era un attacco al più profondo istinto di un popolo, alla più tenace volontà di vita di un popolo che sia mai esistita sulla terra” (Anticristo, par 27).  L’ebreo è attaccato alla vita con incredibile tenacia” (Frammenti postumi 5[34]).

Quindi, “volontà di vita” e “tenacia” sono gli attributi che più adopera riferendosi agli ebrei.

 

Possiamo evincere quindi che le invettive di N contro gli ebrei siano il prodotto non del disprezzo, ma di una sopravalutazione.

Sul perché N sia arrivato a sopravalutare gli ebrei è un’altra questione, che esige un’analisi psicologica. Anticiperò che, secondo me,  per N gli ebrei rappresentavano l’immagine inconscia del proprio padre, per il quale aveva nutrito grande affetto ed ammirazione. Le invettive sono quindi anche un meccanismo di difesa contro la sopravalutazione che aveva fatto da bambino del proprio padre. Il proprio padre però lo aveva deluso, poiché era morto. Anche per questo vengono le invettive. Un bambino di quattro anni non può superare la morte del proprio padre. Gli viene a mancare un riferimento essenziale, con cui identificarsi. Insieme al lutto, si condensa una profonda ira verso il padre e verso stesso.

Il padre lo aveva deluso, morendo, secondo le leggi di una natura crudele che gli aveva procurato una insostenibile deprivazione. Al padre sostituisce gli ebrei, poiché questi, a differenza del padre, non erano andati secondo le leggi di natura, ma era stati più forti. Erano sopravvissuti, lì dove il padre era perito. Da qui le invettive, ma anche l’ammirazione. Gli ebrei sono un padre che non muore e delude, ma che sopravvive ad ogni costo, anche contro natura. Da qui anche le invettive contro quella classe sacerdotale che trasvalutando tutti i valori era riuscita a conservare un dio che avrebbe dovuto essere messo a morte. Psicoanaliticamente parlando, Dio è sempre il proprio padre. Il proprio padre era morto (da qui: “Dio è morto, lo abbiamo ucciso noi”), ma gli ebrei erano riusciti dove lui aveva fallito: nel conservare in vita il padre amato e ammirato. “Il vecchio Dio non poteva più nulla di ciò che poteva una volta (esattamente come descrive la malattia del padre in “La mia vita”). Lo si sarebbe dovuto abbandonare” (Anticristo, par.25).

Links:

Nietzsche e la psicoanalisi
Nietzsche, Caligula and the Horse


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