Tartufo di rovere, forte brace monferrina
sepolta sottoterra
che spunti alla rugiada settembrina
Tartufo di rovere
brace odorosa
rosa focosa
tesoro nascosto della mia terra monferrina
Cos� scriveva Vincezo Buronzo, poeta di
Moncalvo.
Dal crepuscolo, quando le nebbie dell'autunno confondono i
contorni
delle colline di Langa, del Roero e del Monferrato, uomini e
cani percorrono itinerari
gelosamente conservati nella memoria, quasi un pellegrinaggio
tracciato
dall'esperienza tra pioppi e tigli e lungo pendii di querce e
salici:
� la ricerca del tartufo, il divino bianco d'Alba od il pi�
umile tartufo nero, che, da Settembre a Dicembre, scatena cani
e "trif�la�" in una gara avvincente e appassionante di cui
si favolegger� nelle osterie per tutto l'inverno.
I greci lo chiamavano Idra, i latini Tuber derivato dal verbo
tumere
(gonfiare) per indicare la forma globosa, gli arabi Ramech
Alchamech
Tufus, Tomer e Kemas, gli spagnoli Turma de tierra o Cadilla de
tierra, i francesi Truffe, dal significato antico di frode, gli
inglesi Truffle, i tedeschi Hirstbrunst oppure Truffel.
Per noi � il Tartufo, parola classica usata dal Mattioli, dal
Pataffio e da Bellincioni da cui � derivata la parola tartufaia
per
indicare il luogo dove si trovano i tartufi, e tartufaio colui
che li
raccoglie e li vende.
Ma ancora nel secolo scorso era per Mantegazza "Mistero poetico
del
mondo gastronomico"; Brillat Savarin lo qualifica "diamante
della cucina";
Alessandro Dumas, il "Sancta Santorum della tavola".
I Romani conoscevano bene questo tubero: viene citato gi� nel
"De Re Coquinariae" di Apicio,
scritto tra il 42 e il 37 a.C.
Da allora, tra le notizie storiche del suo uso ed abuso, spicca
il fatto che nel 1368
il figlio di Edoardo III d'Inghilterra sia morto per
un'indigestione di tartufi.
In merito alla sua origine, i Romani, non riuscendo a capire
quali processi botanici concorressero alla sua formazione,
attribuirono la sua crescita a non ben precisi traumi che il
terreno e le piante
subivano per l'azione devastante dei fulmini.
Nel corso dei secoli il mistero rimase, anche se il tubero
divent� sempre
pi� apprezzato per il suo aroma ed il suo presunto potere
afrodisiaco.
Oggi tutti sanno che il tartufo nasce grazie alla cooperazione
di radici di pioppo, quercia, salice,
nocciolo, tiglio e alcuni affermano anche della vite.
Non si � ancora chiara la ragione del suo particolare sviluppo,
per la variet� Bianca, proprio nel Monferrato.
Il tartufo pu� essere di due tipi: nero e bianco.
La differenza fondamentale � nella diversa intensit� del
profumo, pi� intenso in quello bianco. Una localit� produce
sempre solo e sempre
una qualit� di tartufi.
Oggi le tecniche della micorizzazione consentono anche la
creazione artificiale di tartufaie
(in dialetto pasture).
I primi esperimenti vengono fatti da Michel-Jean De Borch che
mette in guardia contro i tartufi
esteri:
"Qualcuno dice che nel parco di Richmond si trovano tartufi
che hanno lo stesso odore di quelli
del Piemonte? Credo mi sia permesso mettere in dubbio questa
affermazione, poich� non si �
ancora visto in nessuna parte d'Europa un prodotto pari a quello
di certe province piemontesi!"
La ragione un po' fantastica di questa qualit� superiore � da
ricercarsi nelle conchiglie che
si trovano numerose nel sottosuolo di queste terre. Questi resti
fossili assorbono l'acqua
e, secondo i contadini del posto, "rinfrescano la terra".
Dopo la commedia di Moliere "Tartufe" e quella di Broffiero "Il
tartufo politico,"
la parola diventa per francesi e italiani sinonimo di ipocrisia,
d'impostore,
perch� all'aspetto, terroso, corrisponde un profumo inebriante.
I poeti onoravano il tartufo; Giovenale li credeva generati fra
i tuoni e le piogge autunnali;
Marziale preferiva i funghi, ma era un'eccezione; il Pataffio
cantava "tartufi bergamaschi e
pece greca"; Shakespeare nella tempesta fa dire al buffone
Trinculo
"Te ne prego lascia che
ti conduca al pometo selvatico e colle mie lunghe unghia scaver�
la terra per cavarne tartufi"
Castore Durante da Gualdo medico del XVII cos� ne parla:
"...non si trova in loro alcuna apparente
qualit�. Coloro adunque che l'usano ne i cibi, hanno una materia
atta a ricevere tutti i
condimenti che gli si danno,come sono tutte le altre cose che
non hanno in s� qualit� veruna,
e sono al gusto acquose e sciapite."
Gli antichi ateniesi li adoravano al punto tale che conferirono
il diritto di cittadinanza
ai figli di Cherippo per aver inventato una nuova ricetta.
Si racconta di Laerzio Licinio, governatore di Cartagine, che
mordendo un tartufo si ruppe
un dente per una moneta avvolta nel tubercolo.
I romani conoscevano solo i tartufi di Libia e ne erano ghiotti.
Sant'Ambrogio ringrazia san Felice, primo vescovo di Como, per
avergli inviato tartufi di
ammirabile grandezza.
Nei secoli passati il dilemma sulla natura dei tartufi era:
pianta o animale?
Plinio sosteneva che non c'erano dubbi sul fatto che nulla
poteva nascere o vivere
senza radici. Tranne i tuberi ossia i tartufi. Ne descrive due
tipi:
"arenosi che son nemici dei denti ed
altri che no. Distinguonsi ancora per colore rosso,
e nero, e bianco dentro e sono eccellentissimi in Africa"
Il tartufo di cui parla � il Terfezia africanorum che si trova
anche in Sardegna.
Nei pressi di Oristano, nel secolo scorso, se ne raccoglievano
oltre 5000 kg all'anno.
Il Platina lo chiama "callo della terra,"
e a parte la definizione, ripete pi� o meno ci� che ha scritto
Plinio.
Per il Pisanelli, che nel 1587 scrisse un trattato sulla natura
dei cibi e del bere,
per lui i tartufi:
"...nascono dalla pituita che dagli
arbori alle radici si raccoglie e da
grandissimi tuoni si unisce, e si congela nei terreni sabbionici
e dove nascono molti
frutti, e sopra loro non si congela la neve."
Il Mattioli � pi� scientifico e sbrigativo:
"I tartufi sono radici rotonde senza
fusto, senza foglie e biondeggianti."
L'Encyclopedia francese di Diderot cos�
li descrive:
"I tartufi sono composti d'una sostanza
carnosa, fungosa di forma irregolare;
crescono sottoterra, talvolta separati, talvolta riuniti; se vi
sono animali che d'animali
non han quasi l'aspetto, non � a stupire che v'abbiano piante
che di piante non abbian
l'apparenza."
All'inizio dell'800 uno studioso spagnolo cos� li definisce:
"Sostanza globosa, carnosa, consistente,
sotterranea. Semi collocati sottoterra
di dove non escon mai."
Questa teoria era condivisa da molti altri studiosi dell'epoca.
Nel 1873 Carmelo Gorini nel suo manuale di botanica:
"Sorta di funghi i quali svolgonsi ad una
certa profondit� del suolo, perch� nociva
� loro l'azione diretta dei raggi solari e che hanno forma
estremamente varia ed
irregolare per la varia resistenza che oppone il suolo al loro
svolgimento."
Tre anni dopo, nel 1876, il Cazzuola nel Dizionario di botanica,
finalmente li definisce
"Funghi ipogei preziosi."
Era convinzione abbastanza diffusa, nel secolo scorso, che il
tartufo nascesse da una
mosca dalle ali azzurre e dal corpo sottile, che nei mesi di
luglio e di agosto penetra
nel terreno fino ad incontrare le piccole radici della quercia e
di altre piante.
Col pungiglione essa ferisce la radichetta e nella piaga depone
le uova.
Da questa ferita sgorga un umore viscoso che forma il piccolo
tubero. La mosca non
si limita a pungere la radice, ma provvede a che il tubero vi
rimanga attaccato,
"...perch� esso trae dall'umore di quella
i principali elementi della sua composizione"
(prima intuizione della simbiosi).
Le uova deposte dalla mosca restano allo stato d'incubazione
sino a che il tartufo
comincia a maturare: allora esse si schiudono e gli insetti
divorano la loro prigione.
Quando si voleva dare spessore scientifico a questa tesi si
paragonava questo processo
a quello che la natura adopera per formare le noci di galla.
Gli scettici della mosca si chiedevano: " perch� se i mesi di
luglio e agosto sono
asciutti la raccolta dei tartufi � cattiva?".
Gli scienziati ne ignoravano la ragione, ma i fautori della
mosca rispondevano
che ci� avveniva perch� essa non poteva penetrare in un terreno
indurito dalla siccit�.
Il tartufo � un fungo ipogeo, cio� che vive sotto terra, e come
tutti i funghi
ha un apparato radicale costituito da un intreccio spesso fitto,
ramificato
e molto esteso, di filamenti biancastri (ife).
Il frutto, a forma di tubero, � costituito da una massa carnosa,
detta "gleba",
rivestita da una sorta di corteccia chiamata "peridio". Le
caratteristiche di
struttura e il colore di queste parti permettono di distinguere
facilmente i
vari tipi di tartufo.
Le variet� di tartufi pregiati sono il Tuber magnatum (tartufo
bianco
pregiato), il Tuber melanosporum (tartufo nero pregiato), il
Tuber aestivum
(tartufo estivo o scorzone) e, con qualche limitazione il Tuber
albidum
(tartufo bianchetto).
Il tartufo � formato in alta percentuale da acqua e da sali
minerali assorbiti
dal terreno tramite l'apparato radicale dell'albero con cui vive
in simbiosi.
Il tartufo bianco d'Alba assume colorazioni diverse, determinate
proprio dalla
pianta con cui vive e si sviluppa: si va dal bianco a volte con
venature rosate,
al grigio tendente al marrone.
Le radici, attorno alle quali il micelio trova le condizioni per
generare il tartufo,
sono principalmente quelle del pioppo, del tiglio, della
quercia, del salice e,
secondo alcuni, anche delle viti.
Dopo la sua formazione, il tartufo diventa un vero e proprio
parassita, succhiando
la linfa che la radice della pianta simbionte estrae dal terreno
ricavandone profumo,
sapore e colore.
Il tartufo dal profumo pi� persistente e di maggiore
conservazione � quello
cresciuto a contatto con la quercia, mentre pi� aromatico e
chiaro � quello del tiglio.
La sua forma, per lo pi� tondeggiante, dipende invece dalla
natura del terreno:
se questo � soffice diventer� pi� liscio, se al contrario �
compatto, dovr� faticare
a farsi spazio, e diventer� bitorzoluto e nodoso.
La stagione di maturazione va dalla fine di agosto a gennaio e
ogni radice produce,
in genere, un solo tartufo per anno, sempre che essa non venga
tagliata dai
cercatori durante la fase di raccolta o dai bracconieri che
zappano senza l'aiuto
del cane, ma a caso.
L'unit� strutturale del Tuber � rappresentato dalle ife.
Quelle che si originano da una singola spora sono uninucleate,
mentre quelle che formano il micelio ed il corpo fruttifero
sarebbero
fornite di uno o pi� nuclei (Ceruti 1990). Le ife presentano
setti, sono ramificate,
anastomizzate e nel loro insieme costituiscono il micelio del
fungo.
I tartufi sono organismi eterotrofi. Etero deriva dal greco e
significa "altro",
trofo da "trofos "che mangia".
Gli organismi eterotrofi dipendono quindi per la loro nutrizione
da altri organismi,
sono cio� incapaci di fabbricare sostanze organiche partendo da
anidride carbonica,
acqua ed elementi inorganici, come invece fanno le piante
superiori (organismi autotrofi)
che possono sfruttare a tal fine l'energia fornita dal sole.
Essi si nutrono di sostanze organiche che vengono poste a sua
disposizione da una pianta
superiore nell'ambito di un rapporto di mutuo vantaggio definito
simbiosi.
Precisamente, il tipo di simbiosi che interessa il tartufo � una
simbiosi micorrizica.
Per micorriza (dal greco mycos = fungo; rhiza = radice), si
intende un'associazione
simbiontica mutualistica che si realizza tra funghi del suolo e
radici di moltissime piante,
tipica, oltre che nel genere Tuber, anche in molti altri funghi
assai noti
(es. Amanita, Boletus, Russula, Lactarius). In questo rapporto
la pianta ed il fungo
si scambiano nutrienti di fondamentale importanza,
prevalentemente zuccheri e fosfati
con vantaggio reciproco.
Il corpo fruttifero (carpoforo = ascocarpo = sporocarpo) del
Tuber
� costituito da un insieme di apoteci appressati e saldati fra
di loro fino
a formare una struttura a forma di tubero, pi� o meno
sferoidale, l'imenio ascoforo
produce aschi inopercolati, che contengono un numero limitato di
ascospore, la cui
colorazione determina il colore della polpa del tartufo.
Esternamente il corpo fruttifero � delimitato da un involucro
chiamato peridio,
che pu� essere liscio o variamente ornamentato e colorato, e che
pu� assumere una
consistenza rilevante (Tuber aestivum) o pu� essere assai
sottile e liscio (Tuber magnatum, Tuber albidum).
Il peridio racchiude una polpa chiamata gleba, con colore e
struttura caratteristica
nelle diverse specie di tartufo, ma che pu� avere valore
tassonomico solo negli esemplari maturi.
Nella gleba si possono distinguere ad occhio nudo venature scure
(= v.fertili = v. sporofitiche), costituite dagli aschi
contenenti le ascospore,
e venature chiare (= v. sterili = v. esterne = v. areifere),
formate da fasci di ife sterili.
Con il tempo le vene fertili si iscuriscono ed ingrandiscono in
modo tale
da costituire, raggiunta la piena maturazione, la parte pi�
rilevante della gleba.
Le vene sterili sono comunicanti con l'esterno e sono perci�
suscettibili di essere invase da
diversi microorganismi del suolo. Per tale motivo queste vene
sono
fornite di mucillagini ad azione antibiotica (Ceruti, 1990).
L'ambiente ideale del tartufo bianco d'Alba (Tuber magnatum
Pico)
� il bosco di querce, ma lo si pu� trovare anche lungo le sponde
dei corsi d'acqua o dei fossati popolati di salici e di pioppi,
nei giardini e nei viali di tigli.
Le stesse regole valgono per il tartufo nero (Tuber
melanosporum) con la sola
regola che terreni che producono un tipo di tartufo non
producono l'altra.
Ovviamente occorre un terreno adatto;
ideale � quello calcareo oppure argilloso - calcareo con
presenza
di silice.
Ha pure importanza l'altitudine: � molto raro oltre i 600 - 700
metri;
ma il tartufo � imprevedibile, pu� nascere ovunque si trovi
l'apparato
radicale di un albero ad esso congeniale, anche in una vigna,
dove un salice o una quercia abbiano attecchito.
Ma i terreni umidi, ricchi di vegetazione e poco esposti al sole
sono i pi� adatti.
Il cane, con il suo muso quasi piantato per terra, scorrazza e
annusa tra i cespugli,
ritorna sulle sue orme, annusa ancora: poi, d'improvviso, come
folgorato da un istinto
che si ridesta impetuoso, comincia a raspare e a guaire; accorre
il "trif�la�" e con la
zappetta di ferro, il "sapin" lungo e ricurvo, allarga con
delicatezza la piccola buca
appena segnata e con le mani esperte estrae il tartufo e ne
fiuta, appagato, l'intenso
e persistente profumo.
La notte gli � amica, perch� lo mette al riparo da occhi
indiscreti e di notte i profumi
si avvertono meglio ed � pi� semplice anche per i cani.
Poi i "trif�la�" professionisti, segnano su un taccuino luogo,
epoca,
luna e caratteristiche del tartufo, per essere pronti l'anno
successivo ad un nuovo appuntamento.
In Umbria si usano maiali (in particolare le scrofe,
approfittando del fatto che il profumo
del tartufo assomiglia all'odore del verro in calore), ma
nell'Astigiano
protagonista della ricerca del tartufo nell'Astigiano �
soltanto il cane, prezioso quanto insostituibile.
I cani da tartufo non sono quelli di razza che hanno, nel sangue
blu, mille antichit�
di blasoni e spesso di mollezze, ma sono cani da pagliaio, dalle
genealogie incerte e confuse,
frutto di centinaia di incroci, che hanno nel naso l'abitudine
di fiutarsi attorno a
cercare un po' di cibo.
Cani da tartufo si nasce, ma la scuola aiuta e disciplina gli
sforzi.
I "corsi", che cominciano quando finisce l'inverno, durano solo
pochi mesi ma sono
severi e soprattutto basati sulla fame. A forza di tozzi di pane
non si ingrassa,
ma il cane impara che i tartufi vanno al padrone.
Con il cane il "trif�la�" non usa fruste e neppure le botte, che
evita soprattutto
quando lo sta educando.
Se il cane � abituato ad essere picchiato, appena avverte il
tartufo scappa
come di fronte ad un nemico, perch� quel profumo gli ricorda le
percosse e invece d
eve associarlo al cibo: il tozzo di pane, ma oggi anche speciali
biscotti integrali,
concesso a ricompensa della ricerca.
Il trif�la� � di norma un agricoltore non pi� giovane, che
occupa il suo
tempo autunnale alla caccia perenne dell'esemplare che diventi
storico per peso,
forma e profumo. Si distingue dal cercatore occasionale per come
sa muoversi al buio
e confondersi con l'ambiente circostante.
Si racconta di un trif�la� che, privo di lampada, avendo
individuato con il cane un
tartufo in una notte buia, senza luna, nel folto del bosco e
avendo sentore che si
trattasse di un magnifico esemplare, per non rovinarlo non trov�
di meglio che coprirlo
con le foglie e dormirvi accanto aspettando l'alba.
Il tartufo in cucina - Tecniche di
conservazione e ricette
Il tartufo � un elemento vivo.
Per mantenere le sue qualit�, profumo e sapore, occorre
mantenerlo in vita,
e la sua vita � breve.
Per conservarlo occorre avvolgerlo singolarmente - pezzo per
pezzo - in stoffa rude
o in carta leggera ed assorbente, che va cambiata di frequente;
in frigorifero va
tenuto nella parte meno fredda. A condizione
di partire da un prodotto appena raccolto, integro, privo di
parassiti, i
tartufi bianchi (Tuber magnatum) saranno conservabili circa per
una
settimana, mentre quelli neri (Tuber melanosporum) anche per
dieci giorni.
Avendo l'accortezza di utilizzare un contenitore chiudibile
ermeticamente,
si eviter� di aromatizzare con il profumo del tartufo tutti i
cibi
contenuti nel frigorifero.
Per una pi� lunga conservazione ci sono tre metodi:
Metodo della sabbia
Dentro una cassetta di legno ben stagionato, con uno strato di
sabbia di almeno 4 cm,
si dispongono i tartufi in modo che non si tocchino tra loro e
con le pareti della cassetta.
Si aggiunge strato dopo strato fino a che la cassetta non �
piena. Si chiude con il coperchio
e con gesso tutte le fessure conservando in luogo fresco e
asciutto.
La sabbia pu� essere sostituita con cenere, crusca, farina di
granturco, segatura di legno,
grascia e caucci�.
Metodo della cera
Si puliscono e si lavano i tartufi in molta acqua, quindi si
lasciano
asciugare all'aria. Si fa fondere la cera e quando � tiepida vi
si immergono velocemente i tartufi. Quando sono freddi si ripete
l'operazione per altre due o tre volte. Si conservano al fresco
e all'asciutto.
Metodo del vino e dell'olio
Si puliscono i tartufi e si fanno cuocere per un quarto d'ora
nel vino bianco e
sgocciolati che siano si mettono in un vaso di vetro che si
riempie d'olio, chiudendo
ermeticamente. Si possono altres� conservare sott'olio,
all'Appert, all'acqua salata ed al
vino - burro: cio� cotti nel vino, poi, freddi che siano
ricoperti di burro fuso.
Nell'800 la Francia ha il primato della conservazione dei
tartufi del Perigord.
In Italia questo vanto spetta a Cirio che spedisce tartufi
piemontesi conservati
in scatola persino in Russia. Il conte Lattanzio Lattanzi di
Fossombrone,
i fratelli Mazzoneschi di Spoleto ed il municipio di Bagnoli
Irpino sono i monopolisti
del tartufo (a livello industriale) e ne esposero bellissimi
esemplari a Milano nel 1881.
Il tartufo si pulisce spazzolandolo leggermente e usando acqua
il meno possibile e
poco prima di consumarlo; si usa crudo affettandolo con il
tagliatartufi sulle vivande.
Molteplice il suo impiego nella cucina, preferibilmente sui cibi
caldi e
con sughi leggeri: ideale sulla fonduta, sui tajarin al burro e
salvia, sui risotti
alla piemontese, ma anche sulla carne cruda all'albese,
sull'insalata di funghi porcini
o di ovuli reali.
I buongustai sanno apprezzare il tartufo anche sull'uovo al
tegamino.
Qui di seguito alcune ricette con il tartufo come ingrediente
principale.
Le ricette qui riportate sono state raccolte dalla Signora
Ada Urbani e
pubblicate nei volumi: Profuno di Tartufo (Forte Editore,
Milano; 1983) e
Ritratto di Tartufo (Sugarco Edizioni, Milano; 1985)
Antipasto di tartufi ed ovoli reali.
Ingredienti per 4 persone:
500 gr. di ovoli (Ammannita cesarea), 80 gr di tartufi bianchi,
2 uova, 2
limoni, 1 dl di olio extravergine di oliva, sale, pepe.
Procedimento:
Liberare gli ovoli dalla volva (una specie di pellicola esterna
di colore
bianco), ed affettarli. Bollire le uova, lasciarle raffreddare,
eliminare
il guscio e separare il tuorlo dall'albume rappreso; impastare i
tuorli con
una forchetta, aggiungere il succo di limone, l'olio di oliva,
il sale ed
il pepe.
Sbattere tutti gli ingredienti fino ad ottenere una salsa
omogenea. Porre i
funghi in una insalatiera, affettare i tartufi con l'apposita
taglierina e
condire con la salsa precedentemente preparata.
Crostini alla Scheggino.
Ingredienti per 50 crostini:
50 crostini di pane comune, leggermente tostato, 100 gr. di
tartufi neri
grattugiati, 150 gr. di olio di oliva, uno spicchio d'aglio, 2-3
filetti di
acciughe, mezzo bicchiere di vino bianco, un limone.
Procedimento:
indorare in una padella uno spicchio d'aglio schiacciato in olio
d'oliva,
quindi eliminarlo e far raffreddare l'olio. Rimettere la padella
sul fuoco
e far dissolvere nell'olio i filetti di acciuga, lasciare
freddare
nuovamente ed aggiungere i tartufi tritati.
Mescolare con cura e aggiungere il succo del limone, salare,
pepare e
scaldare di nuovo. Bagnare leggermente il pane tostato nel vino
bianco e
spalmarvi sopra la salsa ancora calda.
Spaghettini al burro, parmigiano e tartufi.
Ingredienti per 6 persone:
500 gr di spaghettini, 120 gr di burro, 60 gr di parmigiano
grattugiato, 80
gr di tartufi bianchi puliti e spazzolati, sale.
Procedimento:
Lessare in abbondante acqua salata gli spaghettini e scolarli
quando sono
ancora al dente. Versarli in una terrina dove sia stato fatto
fondere il
burro al calore del vapore della pentola dove sono stati cotti
gli
spaghettini.
Versare sulla pasta i parmigiano grattugiato ed alcune fette di
tartufo
affettato finemente. Mescolare, aggiungere altro tartufo ed
altro formaggio
parmigiano, portare in tavola.
Potage Pompadour.
Ingredienti:
70 gr. di tartufi tagliati, 100 gr. di petto di pollo bollito,
100 gr. di
lingua salmistrata cotta, 100 gr, di burro, un profumo di xerez,
1/2 litro
di consomm�, 2 uova, ristretto di pollo e manzo con aroma di
sedano, 2
cucchiai di fecola, crostini di pane leggermente dorati nel
burro, sale,
pepe.
Procedimento:
Rosolare in una noce di burro i tartufi, il bianco di pollo, e
la lingua
sminuzzati, bagnare con lo xerez e allungare con il consomm�.
Amalgamare la
fecola con una noce di burro, aggiungere alla poltiglia ottenuta
due tuorli
d'uovo, amalgamare di nuovo ed unire alla soupe, perch� si
addensi.
Aggiungere del sale e del pepe, lasciare sobbollire per qualche
minuto,
quindi servire calda, con crostini rosolati.
Polenta al tartufo.
Ingredienti per 6 persone:
600 grammi di farina di mais, un litro e mezzo di acqua o di
brodo di
carne, 100 gr di burro, 200 gr di polpa di vitello macinata, una
carota, un
quarto di cipolla, un gambo di sedano, mezzo bicchiere di vino
bianco, 250
gr di pomodori pelati, 150 gr di parmigiano grattugiato, 100 gr
di tartufi
bianchi freschi, sale, pepe.
Procedimento:
Soffriggere il vitello con cipolla, carota, sedano tritati.
Aggiungere
sale, pepe e un poco di vino, far evaporare, quindi versare
nella teglia la
salsa di pomodoro ed ultimare la cottura.
Mettere a bollire in una pentola dell'acqua o del brodo. Non
appena
comincer� a bollire versare lentamente la farina. Cuocere
lentamente
rimescolando di continuo la polenta per evitare di formare grumi
(un'ora
circa).
Quando la polenta sar� cotta, condirla con il burro ed il
parmigiano,
quindi versarla su sei scodelle calde. Cospargere ogni porzione
di salsa di
pomodoro, parmigiano e sottili fette di tartufo. Servire subito.
Penne alla pietra.
Ingredienti per 6 persone:
500 grammi di penne, 100 gr di olio d'oliva, 50 gr di burro,
alcuni spicchi
d'aglio, sale, pepe, 1/4 di litro di crema di latte, 50 gr di
tartufi neri.
Procedimento:
In una teglia, scaldare senza friggere gli spicchi d'aglio con
l'olio.
Eliminare l'aglio ed aggiungere i tartufi tritati. Riscaldare il
tutto per
un minuto, quindi aggiungere le penne al dente. Mescolare bene,
aggiungere
la panna ed il burro, amalgamare, e servire subito.
Risotto al tartufo nero.
Ingredienti per 6 persone:
500 grammi di burro, 100 gr di parmigiano grattugiato, tre
cucchiai di
crema di latte, sale, 100 gr di tartufi neri tritati.
Procedimento:
Cuocere il riso in abbondante acqua salata. Far fondere un una
zuppiera il
burro amalgamandolo con la crema di latte. Scolare il riso,
versarlo nella
zuppiera, spolverandolo con il parmigiano ed una buona parte di
tartufo
nero tritato. Servire cospargendo ogni piatto con il tartufo
nero rimasto.
Costolette alla Urbani.
Ingredienti per 6 persone:
6 costolette di vitello, 100 gr di burro, due uova, un limone,
pangrattato,
80 gr di tartufi bianchi freschi, sale, pepe.
Procedimento:
Battere le costolette, salare e pepare, passarle nella farina,
quindi nelle
uova precedentemente sbattute e condite con sale, pepe, succo di
limone.
Rigirare le costolette cos� preparate nel pangrattato.
Dorare le costolette in padella con del burro e farle cuocere a
fuoco
lento.
Disporre in bell'ordine le costolette su un piatto di servizio
ben caldo,
affettare sopra il tartufo, servire.
Crocchettine di pollo.
Ingredienti per 6 persone:
3 petti di pollo, 200 gr di polpa di pollo, 150 gr di mollica di
pane, 100
gr di burro, farina, 1 dl di crema di latte, latte, sale, pepe,
50 gr di
tartufi bianchi freschi, (o pat� di tartufo), 50 gr di
mozzarella a dadini,
2 tuorli d'uovo.
Procedimento:
Tritare i petti e la polpa di pollo di pollo a cui si dovr�
aggiungere la
mollica di pane bagnata nel latte e ben strizzata, i tartufi
tritati, la
mozzarella ed una noce di burro fuso. Condire con sale e pepe,
aggiungere
la crema di latte e le uova sbattute.
Modellare delle palline con le mani, infarinarle e soffriggerle
nel burro
caldo, quindi abbassare la fiamma e portarle a cottura. Le
crocchette vanno
servite in un piatto di servizio caldo.
Filetti di bue alla Rossini.
Ingredienti per 6 persone:
6 filetti di bue piuttosto spessi, 6 fette di fegato d'oca
fresco (o in
conserva), 6 fettine di tartufo nero spesse mezzo centimetro,
100 gr di
burro, farina, un mestolo di brodo di carne ristretto, mezzo
bicchiere di
Madera, sale, pepe.
Procedimento:
Scaldare il burro in un tegame, aggiungere i filetti
preventivamente
infarinati e farli dorare da ambo le parti per alcuni minuti.
Togliere i
filetti ed insaporire nel loro intingolo le fette di fegato
d'oca.
Mettere i filetti nel tegame e disporre una fetta di fegato
d'oca e di
tartufo sopra ognuno di essi, bagnare con il brodo ristretto ed
il Madera.
Lasciar cuocere fino a quando il liquido si sar� asciugato,
porre i filetti
su un piatto caldo e servire.
Frittata al tartufo.
Ingredienti per 6 persone:
9 uova, 200 gr di tartufi neri grattugiati, olio di oliva, sale,
pepe, vino
bianco.
Procedimento:
Sbattere in una terrina le uova, aggiungere il sale, ed un
pizzico di pepe,
aggiungere i tartufi grattugiati mescolando. Scaldare l'olio
nella padella,
quindi versarvi il contenuto della terrina. Muovere la padella
per evitare
che le uova si attacchino.
Quando la parte inferiore della frittata sar� cotta, con l'aiuto
di un
piatto rigirarla e porre di nuovo la frittata sul fuoco
spruzzandola di
vino bianco.
Medici ed igienisti del passato si sono molto preoccupati degli
aspetti nutrizionale del tartufo.
Avicenna sosteneva che genera umori atrabiliari e grassi, e son
causa di apoplessia e di paralisi;
il Platina cos� si esprime in merito:
"E' questo un cibo molto nutriente come
crede anche Galeno,
ed � un eccitante della lussuria. Perci� vien servito spesso nei
pruriginosi banchetti di uomini
ricchi e raffinatissimi che desiderano essere molto preparati ai
piaceri di venere."
Il tartufo nero nel medioevo era considerato nocivo perch�
definito sterco del diavolo e cibo
da streghe, oggetto di malefizi. Dice Baldassarre Pisanelli
che i tartufi:
"Nuocciono agli umori, alla complessione
e ai mali melanconici, e con processo di tempo fanno
tristo il fiato della bocca, e sono molto ventosi. Sono pi�
lodati dei funghi perch� questi
non hanno mai ammazzato nessuno. Chi troppo lo usa incorre
col tempo nella paralisia , fanno
venire difficolt� di orinare".
Niente di pi� falso perch� tra i vari composti del tartufo c'�
l'arginina che � un diuretico.
Castore Durante sosteneva che:
"I tartufi son composti di sostanze pi�
terrestre che acquose e son privi d'ogni sapore".
La Cucineria Universale, pubblicata a Trieste da Coen nel 1870,
cosi riporta:
"Il tartufo passa per essere indigesto;
senza voler contraddire nessuno... sono indigesti
se abusati, ma presi moderatamente passano, come suona il volgar
motto, come una lettera per
la posta."
C'erano anche gli entusiasti: il Re dei Cuochi (Milano 1876)
osserva che i tartufi sono pi�
nutienti dei funghi e gli da ragione anche un medico certo Oscar
Giacchi:
"Poche sostanze alimentari lo vincono per
abbondanza di elementi nutritivi, e per facilit�
di digestione. Sprovvisto di fibre resistenti , � quindi
facilmente masticabile ricco d'aroma
stimolante, non pu� che presto e bene prestarsi ai processi
digestivi, � meglio 100 volte dei
filamentosi funghi suoi parenti, verso i quali � tanto
indulgente la pubblica opinione."
Il prof. Lasalle osserva che nessuna sostanza � paragonabile al
tartufo:
"Aroma perfetto,
inimitabile, sapore squisito, digestione facile, nutrizione pi�
completa che con qualunque
altro cibo vegetale, la natura insomma nulla rifiut� a questo
fungo prezioso".
Il Mantegazza sostiene:
"Mangiatene un
poco per volta e vi auguro di poterne
mangiare spesso."
A Gioacchino Rossini i tartufi venivano inviati da un suo amico,
Giovanni vitali di Offida al
quale scriveva lettere di ringraziamento e di lodi:
"La tartufa ascolana mi ha ringalluzzito
e rimbaldanzito..."
L'attribuire al tartufo propriet� afrodisiache non � del tutto
peregrina.
Infatti tra le componenti del tartufo figurano, in una
concentrazione estremamente
bassa sostanze simili al testosterone, dall'odore di urina, pi�
o meno associata ad
altri composti di aromi muschiati.
Nel momento in cui il verro intraprende la conquista di una
scrofa i suoi testicoli
si mettono a sintetizzare queste sostanze che per via sanguigna
giungono fino alle
ghiandole salivari e da qui nella saliva schiumosa dell'animale
in calore.
La scrofa registra il segnale e si prepara all'accoppiamento.
Per questo l'aroma del
tartufo attira la scrofa.
Simili sostanze steroidee odorose (ferormoni) sono presenti
anche nella secrezione ascellare dell'uomo.
Quindi la frase di Brillant Savarin che:
"...i tartufi rendono le donne pi� tenere
e gli
uomini pi� intraprendenti"
ancorch� galante, avrebbe una sua
logica scientifica.
Il testo che segue � stato elaborato sulla base di quanto
riportato nel sito: