"La campana dell'arciprete" a puntate su "Il giornale di Brescia
Presentazione di Marco Bertoldi

 

"Ci sono due giovani innamorati il cui matrimonio è ostacolato e ci sono anche un signorotto arrogante e sopraffatore, una suora senza vocazione, un sacerdote buono e generoso e la Provvidenza che mette a posto tutto... Ma stia tranquillo, non l’ha già letto.".

Con questa arguta presentazione che poteva far pensare ai "Promessi sposi" manzoniani Danila Comastri Montanari si rivolse a Umberto Eco inviandogli una copia de "La campana dell’arciprete. Saga contadina con delitto" pubblicata da l’editore Garzanti. E'La professoressa e scrittrice di Bologna Danila Comastri Montanari che i lettori del nostro giornale conoscono assai bene avendo letto nel supplemento estivo i suoi gialli ambientati nella Roma imperiale con protagonista il senatore Publio Aurelio Stazio e che i suoi ammiratori hanno avuto modo di incontrare a Brescia nel marzo scorso, nel primo appuntamento del festival "A qualcuno piace... in giallo".

Come si evince subito,"La campana dell’arciprete" (il cui titolo fa riferimento ad un’iscrizione in latino alquanto sibillina che compare sul campanile della chiesa di San Procolo a Bologna), porta ad altri tempi e ad altre atmosfere e proprio sull’inserto che accompagnerà i lettori durante questa estate verrà pubblicata, sempre a puntate per concessione dell’editore Garzanti (che tra qualche mese lo riproporrà nella collana economica Gli elefanti).

Publio Aurelio tornerà l’anno prossimo con il nono romanzo del ciclo, ma quanti amano quel personaggio non resteranno delusi. Si tratta solo di un cambiamento di luogo e d’epoca, la vicenda si svolge infatti nella Pieve di San Giovanni in Trario, nei pressi di Minerbio, località del Bolognese nel 1824, all’indomani della restaurazione dello Stato pontificio dopo la bufera napoleonica. Ma non un cambiamento di mano: la Comastri è sempre quella, abile nel creare il plot giallo, nel dar vita a personaggi a tutto tondo con la loro umanità (e magari anche qualche tocco d’ironia), ma anche nella precisione con cui rievoca i tempi lontani. E i suoi gialli sono sempre all’insegna dei buoni sentimenti ai quali, in questo caso, si aggiunge un forte senso di fede.

Pur decisa a proseguire la sua serie, la Comastri Montanari ha scelto di prendersi una vacanza, o meglio di cambiare epoca ed è nato così un nuovo "giallo storico", ambientato però nel Bolognese, quando ancora faceva parte dello Stato pontificio e la cappa della restaurazione era calata opprimente dopo la tempesta portata da Napoleone.

Stavolta l’investigatore d’occasione è un anziano arciprete, don Priamo Gasparri, che sta trascorrendo i suoi giorni nella quiete sonnolenta di un paesino di campagna in cui i nobili sono ricchi e sfruttatori, oltre che cacciatori di gonnelle locali ed i contadini sopravvivono fra stenti e miserie. Un personaggio che si imprime vivido nella mente del lettore questo sacerdote col debole della buona tavola che ha rifiutato le pompe della curia romana e che ha per amico in medico giacobino. Don Priamo sembra però aver perso la fede di un tempo, ma non è così: essa cova sotto la cenere e rifulgerà vivida quando verrà ritrovato il cadavere di una ragazza proprio nella cella campanaria della chiesa parrocchiale. Il vecchio prete non crede alla disgrazia, come fa sveltamente la milizia, e testardamente si mette ad indagare portando alla luce tanti piccoli e grandi crimini, ma, come faceva il Padre Brown di Chesterton, non perché il colpevole sia punito, ma perché un’altra anima si salvi.

Tale occasione è fornita dal ritrovamento del cadavere di una ragazza proprio nella cella campanaria della chiesa parrocchiale: don Priamo non crede alla disgrazia, come fa sveltamente la milizia, ma testardamente si mette ad indagare e porta alla luce tanti piccoli e grandi crimini, sia nel palazzo, sia nelle cadenti case coloniche, sino a scoprire chi sia l’assassino e perché.

Se nei gialli romani della Comastri Montanari si può ritrovare un po’ di "Satyricon", in questo invece si respirano atmosfere che rimandano in parte a Chesterton ed al suo Padre Brown (non conta scoprire il colpevole per consegnarlo alla giustizia, ma per salvare la sua anima) ed al Guareschi di "Mondo Piccolo": Don Priamo, anche se di stazza e modi ben diversi, può apparire una sorta di Don Camillo ante litteram (anche il "pretone" del resto amava mangiare bene, salvo poi digiunare per far penitenza delle proprie colpe), mentre a far la parte dell’amico-nemico Peppone c’è il medico giacobino Cesare Cantalupi, che sfida l’autorità ecclesiastica vaccinando le famiglie di contadini contro il vaiolo (la Chiesa, che di errori nel "terreno" ne ha spesso commessi, lo aveva proibito) e che ama discutere con l’arciprete e giocare a tressette con lui, salvo poi finire sempre battuto.

Due eccellenti figure originali (non inganni il paragone precedente: i due sono diversi da Don Camillo e Peppone, non è una mera operazione di ricalco, casomai simile è l’amore per la campagna e a sua gente) così come lo sono quelle di contorno in un contesto che potrebbe offrire ad un autore in vena di scandalo un catalogo di turpitudini, ma che la Comastri Montanari tratta, così come aveva del resto fatto nei gialli romani, dove lo scabroso c’è, ma è sempre trattato con estrema delicatezza e il senso di misura di un’insegnante, propone senza falsi pudori, ma neppure accentuazioni morbose. La carne è debole, ma lo spirito è forte e non a caso, come per la altre, si può parlare di romanzo in cui prevalgono i buoni sentimenti e trionfano morale e giustizia, nel quale magari il torbido si stempera nell’amore, qualche peccatore si pente e due donne su cui pareva essersi abbattuta la sventura e che avevano suscitato passioni malvage trovano invece la felicità ed uno sposo innamorato.

Marco Bertoldi

 

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