NOTE SUI POETI ARABI

a cura di Pino Blasone


“Adonis”, ‘Ali Ahmad Sa‘id

 

‘Ali Ahmad Sa‘id Isbir è nato nel 1930 in Siria. Ha assunto lo pseudonimo Adonis – o “Adunis”, secondo una migliore traslitterazione – in memoria di Tammuz/Adone, antica divinità semitica e greca della rinascita della vegetazione. “Tammuziani” si dicevano i poeti simbolisti arabi, in consonanza coi quali Adonis esordisce con la raccolta Qasa’id ula (“Prime poesie”, 1957). Laureato in filosofia, a Beirut nel 1957 con Yusuf al-Khal fonda la rivista Shi‘r (“Poesia”). Del 1961 è l’importante raccolta Aghani Mihyar al-dimashqi (“Canti di Mihyar il damasceno”; poi in Al-a‘mal al-shi‘riyya al-kamila, “Opere di poesia complete”, Dar al-Mada, Damasco 1996). Varie altre seguiranno, insieme a scritti teorici quali Al-shi‘riyya al-‘arabiyya (“La poetica araba”, 1985) e Muqaddima li-l-shi‘r al-‘arabi (“Introduzione alla poesia araba”, 1990). Sulla scia dei “tammuziani”, l’intera produzione dell’autore è un sondaggio simbolico e un’interpretazione progressiva dell’inconscio collettivo, non soltanto arabo ma mediterraneo in generale.

 

Al-‘Atahiya, Abu

 

Cultore soprattutto della poesia ascetica, Abu al-‘Atahiya nacque nello Hijaz o a Kufa, in Iraq, forse nel 748. Morì a Baghdad, nell’828. Il suo ascetismo in versi, in particolare l’acuto senso della vanitas vanitatum ovvero della caducità delle cose di questo mondo, così familiare alla sensibilità culturale semitica, fu apprezzato in ambienti religiosi sia musulmani sia arabi cristiani, al punto da destare qualche sospetto di eresia presso i musulmani. In epoca moderna e in una prospettiva laica, esso può risultare piuttosto espressione di un cosmico – angosciato e quasi ossessivo – sentimento di pessimismo, lo stesso che sarà ripreso e sviluppato in senso razionalistico dal siriano Abu al-‘Ala al-Ma‘arri, poeta siriano cieco vissuto dal 973 al 1057.

 

Bsisu, Mu‘in

 

Mu‘in Bsisu nasce a Gaza in Palestina nel 1927, da famiglia cristiana. Studente di giornalismo all’Università Americana del Cairo, viene arrestato per la sua militanza comunista. In seguito, verrà imprigionato più volte per lo stesso motivo. Insegna arabo in Iraq e a Gaza fino al 1967. E’ redattore del maggiore giornale egiziano Al-Ahram, fino al 1970. In Libano fino al 1982, collabora col poeta e amico Mahmud Darwish. Muore esule a Londra nel 1984. Dal 1952 in poi ha pubblicato varie raccolte di versi, tra cui Filastin fi al-qalb (“Palestina nel cuore”, 1965). Fra le opere di teatro si segnala il dramma Shamshun wa Dalila (“Sansone e Dalila”), rappresentato per la prima volta al Cairo nel 1971 e tradotto in italiano nel 1985. Aperta alla lezione internazionale delle avanguardie letterarie del Novecento, la poesia di Bsisu è densa di immagini surreali.

 

Haddad, Jumana

 

Poetessa, giornalista e traduttrice, Jumana Haddad nasce nel 1970 in Libano. A partire dal 1995 pubblica libri di versi, fra cui “Il ritorno di Lilith” (‘Awda Lilit, Dar al-Nahar, Beirut 2004), tradotto in inglese, spagnolo, italiano. “Il ritorno di Lilith” riprende un antico mito ebraico e in generale semitico: Lilith sarebbe stata la prima donna rivale di Eva, trasformatasi poi in demone negativo. Nel poemetto sono percepibili anche echi di antichi testi gnostici, quale Il tuono, la mente perfetta. Il risultato è attualizzato e assume valore simbolico estensivo, secondo un procedimento di rivisitazione dei miti familiare ai poeti simbolisti arabi. Fra questi, l’autrice mostra di apprezzare in particolare Adonis e Yusuf al-Khal; tra le poetesse, Fadwa Tuqan; fra i poeti italiani, Cesare Pavese di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (una percezione viscerale del femminile e una sofferta misoginia, da parte del nostro poeta, paradossalmente si incontrano nella dimensione letteraria).

 

Hawi, Khalil

 

Poeta e pensatore, il libanese di famiglia cristiana Khalil Hawi nasce nel 1919. Si laurea in arabo nel 1955 all’Università Americana di Beirut, con una tesi su “Fede e ragione tra Al-Ghazali e Ibn Rushd” (vale a dire il filosofo arabo andaluso medievale Averroè). Consegue il dottorato nel 1959 all’Università di Cambridge, con una dissertazione sul poeta moderno libanese Jibran Khalil Jibran. Continuerà a insegnare arabo all’Università Americana di Beirut, coltivando nel contempo la poesia e l’interesse per la filosofia. Si uccide nel 1982, durante l’invasione israeliana del Libano. Cinque raccolte di versi lo consacrano fra le voci più alte e inquietanti della poesia araba del Novecento: Il fiume e le ceneri (1957), Il flauto e il vento (1961), Le aie della fame (1965), Il tuono ferito (1979), Dalla commedia dell’inferno (1979). Una raccolta complessiva, Diwan Khalil Hawi (“Canzoniere di Khalil Hawi”, Dar al-‘Awda), esce a Beirut nel 1979 e nel 1993.

 

Al-Haydari, Buland

 

Nato nel 1926, Buland Al-Haydari è iracheno di origine curda. Inizia a scrivere in curdo, ancor prima che in arabo. Insieme a Nazik al-Mala’ika, Badr Shakir al-Sayyab (1926-1964), Abd al-Wahhab al-Bayati (nato nel 1926) e Sa‘di Yusuf (nato nel 1934), dà vita in Iraq a un movimento di poesia modernista che adotta il verso libero. Presto essi vengono imitati nel resto del mondo arabo. La liberazione dalla metrica tradizionale coincide con una maggiore libertà espressiva, fuori dai limiti retorici del classicismo letterario. Il rinnovamento dei temi è evidente nel componimento qui scelto, avverso all’integralismo e all’oscurantismo religiosi. A causa del suo impegno democratico, il poeta trascorre lunghi periodi di esilio in Libano e a Londra, dove muore nel 1996. Gran parte dei suoi versi si trova raccolta in Al-a‘mal al-kamila li-l-sha‘ir Buland al-Haydari (“Le opere complete di Buland al-Haydari”, Dar Su‘ad al-Sabah, Kuwait 1992).

 

El-Houssi, Majid

 

Poeta e romanziere francofono di origine berbera, ‘Abd al-Majid al-Hussi nasce in Tunisia nel 1941 e vive in Italia dal 1962, dove insegna letteratura e linguistica francese nelle università. Studioso di letteratura francofona, ha pubblicato fra l’altro saggi su Tahar Ben Jelloun, Albert Memmi e Albert Camus. E’ autore sia di raccolte di versi sia di romanzi : Je voudrais ésotériquement te conter (1972), Imagivresse (1973), Ahméta-ò (1981), Iris Ifriqiya (1981), Le Verger des poursuites (1992), Des voix dans la traversée (2000), Le regard du cœur (2002), Une journée à Palerme (2004). Il tema della complessa identità culturale e linguistica, la ricerca di elementi comuni o punti di contatto fra diverse e a volte contrastanti civiltà, sono rilevanti nella sua produzione letteraria ed erudita. La poesia qui tradotta è tratta da Ahméta-ò.

 

Hijazi, ‘Abd al-Mu‘ti

 

Poeta e giornalista egiziano, Ahmad ‘Abd al-Mu‘ti Hijazi nasce nel 1935 in un villaggio del delta del Nilo. Già il titolo della prima raccolta di versi, Madina bi-la qalb (“Una città senza cuore”), denota nostalgia per la campagna e per l’ambiente contadino a volte idealizzati. Nelle raccolte di poesie seguenti, alla vena lirica si affiancano temi democratici di impegno e di denuncia, con toni peraltro discreti e garbati. Di origine sociale modesta e militante politico di sinistra, per un lungo periodo emigra a Parigi, dove insegna letteratura araba moderna all’università. Tornato in patria negli anni ’90, riprende l’attività giornalistica culturale, battendosi con tenacia e con coraggio contro l’integralismo religioso e le tendenze governative conservatrici.

 

Jabra, Jabra Ibrahim

 

Poeta, romanziere, traduttore e critico letterario, Jabra Ibrahim Jabra nasce nel 1920 a Betlemme; studia a Gerusalemme, a  Cambridge e a Harvard; dopo il 1948, si stabilisce a Baghdad dove è morto nel 1994. Ha tradotto in arabo Shakespeare, Eliot, Byron, Wilde, Beckett. Ha pubblicato quattro raccolte di versi, una di racconti e sette romanzi, fra cui probabilmente il più noto è Al-safina (“La nave”, 1970). La raccolta di versi Tammuz fi al-madina (“Tammuz nella città”, 1959) suggerisce la stessa denominazione a una generazione di giovani poeti simbolisti, che si diranno “tammuziani”. Per loro, l’antico dio semitico della resurrezione diviene simbolo di rinascita culturale. Fra essi, il palestinese Tawfiq Sayigh, il libanese Khalil Hawi, il siriano ‘Ali Ahmad Sa‘id “Adonis”, l'egiziano ‘Abd al-Mu‘ti Hijazi, l’iracheno Badr Shakir al-Sayyab.

 

Al-Jayyusi, Salma al-Khadra

 

Salma al-Khadra al-Jayyusi nasce a Safad in Galilea nel 1928. Nel 1948 la sua famiglia si rifugia in Siria. Nel 1960 esce la prima raccolta di versi, Ritorno dalla fonte del sogno. Si laurea all’Università Americana di Beirut in letterature araba e inglese. A Londra, discute la tesi di dottorato “Tendenze e movimenti nella poesia araba moderna”. Nel 1982 emigra negli U. S. A., insegna nelle Università e traduce opere di scrittori arabi. In inglese, ha curato le antologie: Trends and Movements in Modern Arabic Poetry (2 voll.), Leiden: E. J. Brill, 1977; Modern Arabic Poetry: An Anthology, New York: Columbia University Press, 1987; Anthology of Modern Palestinian Literature, Columbia University Press, 1992; Modern Arabic Drama: An Anthology (insieme con Roger Allen), Bloomington: Indiana University Press, 1995; Beyond The Dunes: An Anthology of Modern Saudi Literature (con Mansour al-Hazimi e Izzat Khattab), Londra: I. B. Tauris, 2006.

 

Jibran, Jibran Khalil

 

Jibran Khalil Jibran (o Kahlil Gibran) è il più famoso dei poeti arabi moderni, se non altro per aver scritto sia in arabo sia in inglese. Di famiglia cristiana, nato in Libano nel 1883, vive a Boston dal 1894 al 1897. Rientra in patria per un periodo e, dopo un soggiorno a Parigi, torna negli U. S. A. dove muore a New York nel 1931. Fa parte di una tendenza innovatrice e fondante della letteratura araba moderna e contemporanea, sorta in particolare fra gli emigrati siro-libanesi nelle Americhe. I suoi poemi in prosa più noti sono Il Profeta (1923) e Il giardino del Profeta (1932), tradotti in varie lingue. Autore tanto di versi quanto di prose, la sua visione del mondo misticheggiante e panteista risente fra l’altro degli influssi di Rousseau, di Blake e di Nietzsche.

 

Khalid, Khalid Abu

 

Nato a Silat al-Dhahr in Palestina nel 1937, Khalid Abu Khalid ha vissuto da esule in Kuwait, in Libano e in Siria. E’ poeta dai forti effetti drammatici, non privo di riferimenti alla cultura classica come mostra il poemetto “L’odissea”, metafora della forzosa dispersione di parte del suo popolo. A partire dal 1971 ha pubblicato almeno otto raccolte di versi, senza mai trascurare l’impegno politico, tanto che la sua produzione risente a volte di una certa retorica militante. Ma questo è un comprensibile limite, ricorrente in altri poeti palestinesi della sua generazione.

 

Labid ibn Rabi‘a

 

Fra i poeti arabi meglio noti dell’età pre-islamica c’è anche una donna, Tumadir detta Al-Khansa. Tra essi, Labid figlio di Rabi‘a arrivò a vedere gli albori dell’Islam, essendo morto intorno al 661. I loro poemetti erano detti “qasa’id” e le più celebri sono le Mu‘allaqat, ovvero odi scelte. Ce ne sono giunte sette, fra cui quella di Labid. Si tratta di una poesia ancora ricca di oralità, che riflette per lo più i valori e l’ambiente desertico della vita beduina, ma che della tradizione orale conserva e sviluppa tutta la profondità sapienziale. Sia pure in modo un po’ ripetitivo, un ricco immaginario si accompagna alla forza dell’immaginazione e a un acuto senso naturalistico, che in Labid tocca i suoi vertici lirici. Su questo tipo di poesia si sono avuti pareri discordi, dal classicista Petrarca che la disprezzava conoscendola forse poco (in Seniles, XII 2) al pre-romantico Goethe che la esalterà, con esplicito riferimento alle Mu‘allaqat (in West-östlicher Divan, 1819).

 

Al-Mala’ika, Nazik

 

Con le palestinesi Maryam (Mayy) Ziyada e Fadwa Tuqan o con la kuwaitiana Su‘ad al-Sabah, Nazik Al-Mala’ika è tra le poetesse arabe più note del Novecento. Insieme all’iracheno Badr Shakir al-Sayyab, è fra i primi a sostituire il verso libero alla metrica tradizionale. Nata a Baghdad nel 1923, si diploma nel 1944. Nel 1954 si laurea in letterature comparate all’Università del Wisconsin, U. S. A. Scrive su temi letterari e sociali, e sulla condizione della donna. Pubblica le raccolte di versi ‘Ashiqat al-layl (“L’innamorata della notte”, 1947), Shazaya wa ramad (“Schegge e ceneri”, 1949), Yughayyiru alwana-hu al-bahr (“Il mare muta i suoi colori”, 1974 e 1999). Insegna all’Università del Kuwait. Dopo la prima Guerra del Golfo, si trasferisce in Egitto; muore nel 2007. Al Cairo escono “Le opere di poesia complete”: Al-a‘mal al-shi‘riyya al-kamila, 2002.

 

Al-Mutanabbi, Abu al-Tayyib

 

Abu al-Tayyib al-Mutanabbi nacque a Kufa nel 905 e morì a Baghdad nel 965. Personalità a volte contraddittoria, contesa fra la vita brillante delle corti e quella nomade dei beduini, tra apprezzamento dei benefici della civiltà e rimpianto di una purezza tribale, viaggiò e soggiornò in Siria, in Egitto e in Persia. “Un mare mi induce a viaggiare,” egli cantava metaforicamente, “con me recando saggezza, amori, rime. […] E chi quello desidera diserta i piccoli ruscelli”. Iniziò a scrivere versi in prigionia, detenuto per motivi politici e religiosi. Autore tanto di liriche d’amore quanto di encomi (si vedano le sue Sayfiyyat, dedicate a un principe mecenate e guerriero), egli è considerato uno dei massimi poeti arabi del periodo classico. A lui è pure parzialmente ispirato “Il libro” di poesia contemporanea Al-Kitab (1995), di ‘Ali Ahmad Sa‘id “Adonis”.

 

Nejm, Ahmad Fu’ad

 

Poeta e paroliere egiziano, Ahmad Fu’ad Nejm ha composto testi per lo più socialmente impegnati nel dialetto popolare locale, a volte in arabo classico. Essi non rifuggono dalla satira e dall’invettiva, che ha riguardato anche personaggi della scena politica internazionale. Spesso, le sue canzoni sono fatte appunto per essere cantate e accompagnate dalla musica. Lo sono state nel periodo di collaborazione col musicista e cantore cieco Shaykh Imam (Imam Muhammad Ahmad ‘Issa, 1918-1995), riscotendo successo nelle esibizioni pubbliche e grazie alla diffusione discografica pure all’estero. All’epoca, i due hanno subito perfino periodi di detenzione in Egitto, a causa del loro scomodo impegno artistico. Nondimeno la poesia di Nejm è capace di intensi effetti lirici, non disdegnando una scontrosa grazia letteraria, frutto di raffinatezza culturale.

 

Qabbani, Nizar

 

Poeta soprattutto d’amore, il siriano Nizar Tawfiq Qabbani (Damasco, 1923 - Londra, 1998) non ha però trascurato temi di impegno civile e politico. Dopo studi di legge ha intrapreso la carriera diplomatica, viaggiando e soggiornando a lungo all’estero. A partire dal 1944, ha pubblicato circa 34 raccolte di versi. Ha riscosso ampio successo, ma anche suscitato reazioni scandalizzate o polemiche nel mondo arabo, sia per le disinvolte liriche passionali sia per la disinibita critica dei suoi messaggi. Ad esempio il poemetto qui tradotto, Pane, hashish e luna (“Khubz wa hashish wa qamar…”), non ha mancato di sconcertare fin dal suo apparire nel 1956, edito a Beirut dallo stesso autore nella raccolta Qasa’id, “Poesie” (pp. 162-169; cfr. “Le opere di poesia complete”, Al-a‘mal al-shi‘riyya al-kamila, Manshurat Nizar Qabbani, Beirut 1998).

 

Sammud, Nur al-Din

 

Nato nel 1932 a Kelibia in Tunisia, Nur al-Din Sammud ha studiato a Tunisi, al Cairo e a Beirut. Ha insegnato lingua e letteratura araba nelle scuole secondarie tunisine. Parecchie sue liriche sono uscite in riviste arabe, specialmente nella tunisina Al-Fikr. Sotto la superficie di una sensibilità neo-romantica, la mescolanza di riferimenti all’immaginario tradizionale arabo e agli antichi miti mediterranei, sia greci sia semitici, è un motivo ricorrente nella sua poesia. Per il poeta tunisino, la tensione esistente fra immaginazione e immaginario è quasi una seconda realtà, consolatrice ma a volte problematica benché sublimata dall’espressione letteraria. In particolare, si segnalano una raccolta e un’antologia tradotte in francese: Voyage à travers les parfums (1969) e Le destin des poètes (da “Kadar al-shuara”, traduzione dall’arabo di Ahmed Remadi, Tunisi 2002).

 

Sayigh, Tawfiq

 

Di famiglia cristiana, Tawfiq Sayigh (1923-1971) nasce presso il lago di Tiberiade e muore a Berkeley, in California. Studia a Gerusalemme, a Beirut, in Inghilterra, negli U. S. A., e intraprende la carriera universitaria. Dal 1962 al 1967, fonda e dirige la rivista Hiwar, “Dialogo”. Egli si collega ai poeti arabi più colti della sua generazione, quali Jabra Ibrahim Jabra, Salma al-Khadra al-Jayyusi, Khali Hawi, Badr Skakir al-Sayyab. Anglista, traduce in arabo i Quattro quartetti di Thomas Stearns Eliot, contribuendo all’influenza del poeta americano sulla poesia araba. In quanto intellettuale, egli precede certi sviluppi critici dei palestinesi Ghassan Kanafani ed Edward Sa‘id. Esule dalla Palestina dopo il 1948, la sua poesia anticipa motivi militanti propri di poeti quali Mahmud Darwish, Tawfiq Zayyad, Samih al-Qasim. Le sue opere di poesia sono Thalathuna qasida (“Trenta poemi”, 1954), Al-qasida kaf (“Il poema K”, 1960), Mu‘allaqat Tawfiq Sayigh (“Ode di Tawfiq Sayigh”). In inglese è l’ultima opera letteraria, Il sermone sulla montagna.

 

Tuqan, Fadwa

 

Fadwa Tuqan nasce nel 1920 a Nablus nella Palestina giordana, dove è scomparsa nel 2003. Sorella minore di un pioniere della poesia palestinese, Ibrahim Tuqan, ne ha continuato e attualizzato il discorso in senso civile e patriottico. Ma la sua vena originaria resta a sfondo esistenziale, amoroso ed elegiaco (come per l’antica Al-Khansa). La prima raccolta di versi è Wahdi ma‘a al-ayyam (“Sola con i giorni”, Il Cairo 1952). Buona parte della sua produzione poetica è condensata nel Diwan Fadwa Tuqan (“Canzoniere di Fadwa Tuqan”, Beirut 1978). In particolare le “Poesie politiche” sono state edite in volume, Qasa’id siasyyia (Acri, 1980). Dopo Maryam Ziyada e insieme a Salma al-Khadra al-Jayyusi o Mayy Sayigh, in ordine di tempo, Fadwa ha ben rappresentato le voci femminili della poesia araba palestinese moderna e contemporanea.


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