… E
pensare che a giugno non girava molta voglia di andare in route. Si è cominciato
ad organizzarla quando la scuola non era ancora finita e, tra un esame
di maturità e una verifica di fine quadrimestre, chi aveva voglia
di pensare a chilometri e chilometri da percorrere con zaini in spalla?
La destinazione è la prima cosa a cui si provvede: Gran Sasso e
dintorni. Apri la cartina, ma dov’è? In Abruzzo, è una
montagnona con due cime chiamate Corno Grande e Corno Piccolo, situata
tra L’Aquila e Teramo. Il numero di partecipanti è più vicino
allo zero che altro, ma cinque “pochi ma buoni” e “duri
a morire” si sono presentati la mattina della partenza.
Il bello delle route è che prosciugano il mare che c’è di
mezzo tra il dire e il fare e come niente ci si ritrova lontani da casa con
molte meno certezze di quelle che si credono di avere, distrutti già il
primo giorno, a recuperare il sonno nella calura di un pulmino, per poi
salire su una macchina scassata (con cui la gente spera di raggiungere
la Grecia)
e arrivare al punto di partenza alle pendici del Gran Sasso.
A rimpinguare le magre file monteclarensi si è messo di impegno il clan
del Napoli 3 composto da oltre venti persone dalla carica esplosiva. Carica
che non esplodeva tanto nella velocità del passo, quanto durante
i momenti di relax che, spesso e volentieri, ci si prendeva lungo il
cammino
e la sera,
durante i fuochi di bivacco.
Il primo vero e proprio giorno di route è stato impegnato nella scalata
del Grande Corno che, a detta della nostra guida “San Marco C.A.I.”, è una
passeggiata normalmente affrontata da bambini, i quali la superano in
due o tre orette. Partiti alle nove circa del mattino, siamo arrivati
a circa
le
otto di sera. Una bella passeggiata.
Ci si fermava spesso a osservare quanto noi salivamo e la pianura sprofondava
sotto di noi. L’aria sempre più tersa, il sole sempre più vicino,
più si saliva più il paesaggio si faceva arido, sassoso, privo
di vegetazione. Ed è proprio in una di queste occasioni che lo zaino
di Dino è scivolato rovinando per diversi metri verso valle sotto sguardi
sbigottiti e il ghigno sorpreso del suo padrone… e San Marco C.A.I. con
un gesto eroico è disceso e lo ha ritrovato impigliato da una cinghia
all’unico ramoscello esistente in quella distesa di sassi. Lo zaino è tornato
tra noi con dentro la storica sciarpina del Napoli, tutte le attrezzature comprate
dall’inizio della carriera scout, il pupazzetto attaccato tra i lacci
esterni, che dallo spavento si è disposto a braccia aperte. Ma soprattutto
la macchina fotografica digitale, la cassa di clan, i fogli con le attività dell’intera
route, per non parlare del lettore cd con casse…
Per poi arrivare al giorno degli hike, che purtroppo il più delle volte
non hanno avuto finali rose e fiori. A coppie le ragazze, per la precisione
Maria e Fede, Cate e Roby, e da solo Emanuele, che ha però trovato dolce
compagnia, o così avrebbe voluto, con l’unica ragazza fidanzata
del clan del Napoli…
Distrutte, dopo due ore di cammino sull’asfalto in parte a distese di
campi deserti e bruciati dal sole, tra insetti non meglio identificati e ciò che
di più puzzolente può offrire la natura, si è chiesto
un passaggio. Continua a sorprendere la disponibilità di alcune persone,
che quando offrono non hanno mezze misure. Il problema è come lascia
delusi prendersi una porta in faccia. Più che deluse Fede e Maria si
sono trovate scomode e un po’ assonnate a dormire in una tenda da quattro
posti in sei persone sotto l’acquazzone della sera.
Il giorno seguente, al punto di ritrovo dell’hike, e ultima giornata
da passare con i napoletani, abbiamo ripulito una pineta. Abbiamo pranzato
sul tavolo apparecchiato come una famigliola da otto, con tanto di genitori-capi
che ci preparavano da mangiare. La sera, dopo un esilarante fuoco di bivacco,
il Napoli ha organizzato il gioco notturno. I capi puntavano le pile su chiunque
volesse assaltare una fiaccola nascosta, per impossessarsene e vincere. Erano
stati fatti molti prigionieri quando tra i cespugli si fa largo una scolta
non meglio identificata. Ecco che le viene puntata addosso la pila, Maria scatta
in piedi nel suo pigiama bianco a fiorellini rosa, mani in alto e comincia
un assurdo sproloquio in un tedesco del tutto inventato al momento. Suonava
come un “Ainz-shfanz …” gridato a piena voce seguito da una
delle fragorose risate che solo Maria sa fare. Naturalmente nessuno è riuscito
a raggiungere la fiaccola tanto ambita nonostante piani impeccabili come
un improbabile poncho che avanza nel buio privo di vita o corse a tutta
birra verso la meta.
Il giorno seguente abbiamo lasciato i ragazzi del Napoli con malinconia, sicuri
che ne avremmo risentito in animazione e allegria.
Il sindaco di un paesino di novanta anime, con l’aiuto dell’unico
vigile del suo paese alla guida di una vecchia jeep, ci ha scortato con la
sua auto. Un viaggio di quelli che ti chiedi perché mai siano iniziati,
curve a tutta birra, impostate all’ultimo momento, quando ormai ci si
vedeva stampati lungo la parete rocciosa del tornante. Ridendo il signore sindaco
prendeva in giro il suo carabiniere che non teneva le cinture allacciate, a
cui non s’”appicciavano” la freccia e lo stop. Verso la fine
del viaggetto di circa un’ora, si è vista la testa di Emanuele
uscire dal finestrino per gettare la colazione.
Quindi si è ripartiti dalle pendici del Gran Sasso, dove eravamo arrivati
il primo giorno di cammino per risalire un pezzo e continuare la strada, arrivando
a delle suggestive cascate. Il mal tempo ci ha costretti ad un rifugio a mezz’ora
dal punto di partenza. Un forte temporale si è abbattuto su quella casetta,
in cui non si poteva pernottare se non a pagamento. Ridiscesi verso sera abbiamo
dormito nella sede di un impianto funicolare per gli sciatori. Entrava acqua,
tirava un vento forte, e poi faceva molto, molto freddo. È a causa del
brutto tempo che abbiamo dovuto rinunciare all’itinerario organizzato
per fare volta su L’Aquila e accontentarci di visitare la città,
abbiamo chiesto ospitalità in un oratorio ed è qui che
Maria ci ha deliziato con balli e canti improvvisati.
La route era così in dirittura d’arrivo, quando il giorno dopo
abbiamo preso il pullman che ci ha riportato a Giulianova, località di
mare dove passava il treno del ritorno. Dopo un bel bagnetto abbiamo “fiesteggiato” la
route in mezzo alla passeggiata lungomare a suon di pizza e coca-cola. Aspettando
un treno che non arrivava mai Emanuele si è sbizzarrito in fotografie
impossibili e del tutto inutili.
Non si ha mai voglia di partire per le route e quando si torna ci si
sente anche un po’ sollevati. Non si può negare che ogni volta si torna
un po’ diversi, carichi dell’energia di altre persone che
prima sembravano tanto distanti ma che nella fatica e nel divertimento
hanno saputo
aprirsi e donare tanto.
- Cate -
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Guarda le foto della route!
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