MOVIMENTO FASCISMO E LIBERTA'
COORDINAMENTO REGIONALE
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TESTI PER I CORSI I PREPARAZIONE POLITICA
LA POLITICA SOCIALE DEL FASCISMO

VI.

PREVIDENZA ED ASSICURAZIONI SOCIALI




LA PREVIDENZA SOCIALE

 

LA PREVIDENZA sociale è, tra le manifestazioni della politica sociale del Regime fascista, quella che, forse, più ampiamente e più profondamente ne interpreta le promesse fondamentali e ne realizza i fini. Unitariamente concepita e organicamente attuata, la previdenza sociale ha segnato in Italia, una linea di sviluppo costante. Già nel 1923 l'attenzione del Regime era stata provvidamente rivolta al perfezionamento della previdenza sociale, sia dal punto di vista istituzionale, sia dal punto di vista funzionale, affermandosi fin da allora quell'indirizzo unitario che doveva avere, più tardi, conferma dalla Carta del Lavoro e dalle successive realizzazioni, delle quali la stessa Carta del Lavoro aveva tracciate le linee direttrici di orientamento e di sviluppo. Un notevole e confortevole cammino la previdenza sociale ha compiuto sotto gli impulsi della collaborazione corporativa e della solidarietà che di tale collaborazione è l'espressione migliore.

L'assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi, l'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, lo sviluppo progressivo delle Casse mutue malattie, la più vasta tutela economica e assistenziale alla maternità operaia, l'aumento apportato alla misura delle pensioni, la istituzione della Cassa per gli assegni famigliari agli operai dell'industria, gli aumenti di pensione per i figli a carico, la più vasta assistenza igienica e sanitaria accordata ai lavoratori, sono altrettante manifestazioni di quella integrale difesa del lavoro, che è negli intendimenti della politica sociale del Regime.

L'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza sociale (già Cassa Nazionale per le Assicurazioni sociali) esprime nella sua stessa denominazione l'ampiezza del compito ad esso affidato, l'unità delle direttive, l'economia funzionale. Si riassume, infatti, in esso la gestione di tutta la previdenza sociale, fatta eccezione dell'assicurazione malattie, la quale non ha ancora assunto carattere di assicurazione generale obbligatoria e conserva tuttora le caratteristiche di mutua di categoria, e dell'assicurazione infortuni che, ispirata al concetto del rischio professionale, e come tale a carico esclusivo dei datori di lavoro, ha organi suoi propri di gestione, tuttavia anch'essi di diritto pubblico. L'assicurazione obbligatoria per l'invalidità e la vecchiaia, l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, l'assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi, l'assicurazione obbligatoria per la maternità, la Cassa nazionale di previdenza per la gente di mare, sono le cinque grandi gestioni autonome dell'Istituto; ma l'autonomia di gestione non impedisce il coordinamento più intimo in tutto ciò che riguarda la pratica esplicazione dei compiti connessi alle singole gestioni. Altri speciali fondi di previdenza sono gestiti dall'Istituto: particolarmente importante quello per gli agenti delle ferrovie e tranvie in concessione all'industria privata. È di epoca recente la istituzione, per accordi intervenuti fra le organizzazioni padronali e operaie, della Cassa nazionale per gli assegni familiari agli operai dell'industria, e l'affidamento della gestione relativa all'Istituto della Previdenza sociale, come a quello che per la sua organizzazione e le sue finalità meglio o più economicamente poteva corrispondere alle esigenze del nuovo servizio sociale.

 

L'ASSICURAZIONE PER L'INVALIDITÀ E LA VECCHIAIA

Questa assicurazione sociale fu resa obbligatoria in Italia con la legge del 21 aprile 1919. Essa fu, dal Governo fascista, sostituita con il R. decreto-legge 30 dicembre 1929 con alcune modificazioni ed aggiunte e rappresenta il fondamento della vigente disciplina giuridica all'assicurazione obbligatoria per l'invalidità e vecchiaia.

Tale assicurazione si estende a tutti coloro che lavorano alle dipendenze di altri, esclusi gli impiegati il cui stipendio mensile supera le 800 lire; essa comprende quindi i lavoratori salariati senza limite di guadagno e i piccoli impiegati, appartenenti all'industria, al commercio, ai servizi pubblici (se già non godono di speciale trattamento di riposo), all'agricoltura (esclusi i mezzadri e i piccoli affittuari) e ai servizi domestici.

Scopo dell'assicurazione è di concedere una pensione in caso di invalidità quando risultino corrisposte almeno 240 settimane di contribuzione ed una pensione per vecchiaia dopo almeno 480 settimane di contribuzione e quando sia raggiunta l'età di 65 anni. La pensione di vecchiaia può essere anticipata (dai 60 ai 64 anni) a richiesta dell'assicurato, con una corrispondente riduzione del suo ammontare. In caso di morte è liquidata alla vedova od ai figli minori di 15 anni una indennità di 300 lire divisa in sei quote mensili uguali. L'assicurazione ha come scopo complementare la prevenzione e la cura della invalidità degli assicurati.

Si riconosce il diritto alla pensione di invalidità quando si abbia una limitazione della capacità generica al lavoro tale da ridurre di almeno due terzi il guadagno dell'assicurato in confronto a quello percepito da un lavoratore normale nelle stesse condizioni di lavoro.

Il contributo settimanale che deve essere versato dal datore di lavoro, a carico per metà all'assicurato, è in relazione alla retribuzione complessiva percepita durante la settimana qualunque sia il numero dei giorni di effettivo lavoro.

È documento, inoltre, importantissimo, della vigile premura del Fascismo per le classi lavoratrici il provvedimento legislativo (legge 13 dicembre 1928), col quale iniziandosi l'anno VII del Regime, il duce volle con generoso intendimento fossero aumentate le pensioni operaie.

Secondo tali disposizioni, a decorrere dal 1929, l'importo delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria è aumentato di un decimo per ciascun figlio, a carico dell'assicurato, di età inferiore ai 18 anni. Tale aumento corrisponde mediamente a circa il 5 % dell'importo totale delle pensioni, e a circa il 3 % dei valori di copertura.

Oltre all'assicurazione obbligatoria, l'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza sociale provvede a speciali trattamenti di riposo per determinate categorie professionali. Fra queste hanno particolare importanza i marittimi della marina mercantile, e gli agenti delle ferrovie secondarie e delle tranvie date in concessione all'industria privata. I primi superano di poco i 100.000, con una media di circa sei mesi di navigazione annua per ciascun marittimo. I secondi sono da 38.000 a 40.000. Il trattamento di riposo di tali gruppi professionali, per i quali il contributo varia dal 10 al 15 per cento dello stipendio, comprende la pensione in caso di invalidità e di vecchiaia e la pensione alla vedova ed agli orfani in caso di morte, sia che questa avvenga prima o dopo la liquidazione della pensione all'assicurato.

Sono fra gli indici maggiormente rappresentativi dell'attività e degli sviluppi dell'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza sociale le cifre relative alle pensioni concesse.

Per il complesso delle gestioni che gli sono affidate l'Istituto ha liquidato, dal 1922 al 1934, 475.000 pensioni, per l'annuo importo di 405 milioni di lire, compresi gli aumenti apportati con legge del 13 dicembre 1928, a pagamento delle quali l'Istituto ha erogato, finora, per oltre un miliardo e 700 milioni di lire. Le pensioni in pagamento alla fine del 1934 erano 390.000 per l'annuo importo di 335 milioni, al quale corrispondeva una riserva di copertura (fondo rendite vitalizie) di circa 2 miliardi e mezzo di lire.

Circa 36 milioni sono stati erogati dalla previdenza sociale, nel periodo dal 1922 a tutto il 1934, per assegni, di L. 300 ciascuno, a favore delle vedove, e degli orfani di età inferiore ai 15 anni, di assicurati deceduti prima di avere conseguito il diritto a pensione.

Sono circa 60.000 ogni anno le nuove concessioni di pensione. La consegna dei relativi certificati — pur conservando le pensioni la normale decorrenza di legge — è fatta annualmente in forma solenne, alla presenza delle Gerarchie del Regime e con l'intervento delle forze del lavoro e delle forze giovanili, nella giornata in cui l'Italia fascista celebra il Natale di Roma e la Festa del Lavoro.

Fra non molti anni il numero dei pensionati raggiungerà il mezzo milione. L'importo medio delle pensioni di nuova costituzione sarà ogni anno più elevato man mano che più ci si allontanerà dalla data iniziale dell'assicurazione obbligatoria (1° luglio 1920) e che, di conseguenza, maggiori risulteranno il periodo contributivo e l'importo dei versamenti. La misura della pensione è infatti la risultante di questi due elementi base: la durata del periodo assicurativo e l'importo dei contributi versati. Più precisamente, la pensione è costituita da una quota base pari a cinque volte la media annuale dei contributi versati in tutto il periodo assicurativo, aumentata da una quota pari a tre decimi dell'importo dei versamenti: alla pensione così determinata si aggiunge la quota di concorso a carico dello Stato, nella misura fissa di L. 100, ed eventualmente il supplemento per i figli a carico, di età inferiore ai 18 anni, nella misura di un decimo dell'importo totale della pensione, per ciascun figlio, senza limite di numero.

Nel tradurre in atto il pensiero del duce, la ricordata provvida legge del 13 dicembre 1928 ha pressoché raddoppiata la misura delle pensioni più basse — quelle liquidate con 5 anni di assicurazione — mentre si concreta nel 25 % l'aumento apportato alle pensioni liquidabili col massimo periodo di assicurazione. I criteri seguiti rispondono alla necessità di rendere in qualche modo sufficienti anche le pensioni liquidabili dopo un breve periodo contributivo, e sono coerenti ai principi di mutualità e di solidarietà che nelle assicurazioni sociali obbligatorie hanno il massimo campo di applicazione: mutualità e solidarietà dei lavoratori di tutte le categorie professionali e di tutte le età. Alle provvidenze di ordine economico a carattere strettamente assicurativo, intese cioè come diritto esplicitamente riconosciuto dalle disposizioni di legge, l'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza sociale affianca una notevole attività assistenziale, igienica e sanitaria, attuando una sempre più vasta organizzazione di mezzi intesi a conservare efficienti le forze del lavoro, a preservare i lavoratori dalla invalidità e a ricuperarne fin dove sia possibile la capacità di lavoro e di guadagno nei casi di invalidità in atto. A questo compito di alto valore umano, economico e sociale, l'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza sociale ha dedicato e dedica le sue migliori attenzioni. Solo limite a questa attività assistenziale — concepita come attività marginale, accessoria, ma non per questo meno importante, dalla complessa e vasta attività dell'Istituto — è la necessità di contenere le spese relative nell'ambito delle disponibilità eccedenti gli impegni verso gli assicurati. L'Istituto della Previdenza sociale ha attuato con larghezza di vedute anche questo suo compito assistenziale, obbedendo con ciò, nell'un tempo, agli orientamenti di prevenzione che ogni giorno più vanno assumendo le varie branche della previdenza sociale ed alle direttive della politica assistenziale del Regime, che è soprattutto rivolta alla difesa della sanità fisica della stirpe.

Convalescenziari, stabilimenti e colonie termali, consultori materni e ambulatori antitracomatosi, forniture di protesi agli assicurati, sono altrettante manifestazioni dell'attività assistenziale che l'Istituto della Previdenza sociale prodiga ai suoi assicurati. Ventiduemila lavoratori sono stati assistiti nei cinque convalescenziari dell'Istituto, per un complesso di 500.000 giornate di presenza. Un sesto convalescenziario, capace di 300 letti, è in corso di costruzione a Pratolino (Firenze) per essere destinato alle malattie del lavoro, a quelle malattie che più particolarmente si connettono alla insalubrità di talune lavorazioni e che perciò sono più meritevoli di assistenza riparatrice. Nei vari stabilimenti termali di proprietà dell'Istituto (a Salsomaggiore, a Battaglia, a San Giuliano di Pisa, a Sirmione sul Garda e a Castellammare di Stabia, con un complesso di 1155 posti-letto) e negli stabilimenti dei quali l'Istituto dispone per convenzione (a Cassano Jonio, a Trescore in provincia di Bergamo, a Valdieri in provincia di Cuneo, ad Abano provincia di Padova) sono stati assistiti 27.000 lavoratori, con 375.000 giornate di presenza. A La Grotta, in provincia di Forlì, l'Istituto della Previdenza ha in corso di costruzione un nuovo stabilimento termale, capace di 62 letti.

 

L'ASSICURAZIONE PER LA DISOCCUPAZIONE

Con effetto dal 1° gennaio 1920, fu introdotta l'assicurazione obbligatoria per tutti i prestatori d'opera dipendenti, cioè per tutti coloro che sono soggetti all'assicurazione obbligatoria per l'invalidità e la vecchiaia, eccezion fatta dei lavoratori agricoli e di altre poche categorie professionali (lavoranti a domicilio, persone addette ai servizi domestici, impiegati con stabilità d'impiego).

L'assicurazione per la disoccupazione fu gestita inizialmente dall'Ufficio nazionale per il collocamento e la disoccupazione alle dirette dipendenze del Governo, poi, a decorrere dal 1° gennaio 1924, venne trasferita all'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza sociale, come gestione autonoma.

L'assicurazione ha per iscopo la concessione d'un sussidio giornaliero massimo di L. 3,75 in caso di disoccupazione involontaria per la durata massima di 90 giorni se nei precedenti due anni risultano versati 48 contributi settimanali, e per la durata di 120 giorni se risultano versati nel biennio almeno 72 contributi. È sospeso il sussidio nei periodi di disoccupazione stagionale e durante i periodi di malattia. I contributi settimanali vengono corrisposti dal datore di lavoro, ma per metà sono a carico dell'assicurato. Essi sono di tre classi, secondo la retribuzione giornaliera dell'assicurato, e cioè:

1a classe - lire 0,35 per salario giornaliero fino a lire 4,

2a " - " 0,70 " " " da lire 4 a lire 8,

3 a " - " 1,05 " " " oltre lire 8.

Essi sono riscossi unitamente ai contributi dovuti per altre assicurazioni obbligatorie (invalidità-vecchiaia e tubercolosi) e con gli stessi metodi.

Nel periodo dal 1922 al 1934 sono stati erogati, per assegni di disoccupazione, un miliardo e 100 milioni di lire.

L'assicurazione però non si propone soltanto di concedere sussidi; essa intende concorrere a tutte quelle attività che hanno per iscopo di regolare il collocamento dei disoccupati e vuol essere di ausilio a quelle iniziative che tendano a provocare un maggiore e regolare impiego della mano d'opera.

L'assicurazione è in secondo piano nella lotta contro la disoccupazione, in quanto il Regime ha dato e da, molto opportunamente, importanza maggiore all'azione preventiva, a quella che potremmo chiamare profilassi della disoccupazione.

La disoccupazione deve essere combattuta nelle sue cause, e solo in quanto queste non possono essere del tutto eliminate deve soccorrere l'ordinamento assicurativo con la erogazione degli assegni ai disoccupati. Procede da questo indirizzo la provvida e saggia politica delle opere pubbliche perseguita dal Regime: opere produttive, di potenziamento dell'economia nazionale, di igiene, di benessere collettivo.

L'Istituto ha in questi ultimi anni contribuito con 6 miliardi e mezzo al finanziamento delle opere pubbliche. Intimamente collegata alle altre branche della previdenza sociale, pur avendo un più ristretto campo di applicazione, l'assicurazione contro la disoccupazione ha corrisposto e corrisponde egregiamente alla funzione cui è destinata.

L'imponenza delle somme spese documenta quanto fattiva sia stata e sia l'azione del Regime in questo campo e quanto efficace sia, di riflesso, il suo intervento nella lotta contro la disoccupazione. All'opposto degli altri paesi che si trastullavano nella vana ricerca teorica dei mezzi atti a superare la grave crisi che tormenta, insidia e colpisce la vita dei popoli, l'Italia fascista non si è adagiata nella contemplazione fatalistica degli eventi, ma ha saputo trarre dalle sue stesse forze, dalle energie vive e fresche della nazione la volontà di dominare, e non di subire gli eventi stessi, mettendo in moto con la sua azione diritta ed inconfondibile tutte le capacità e le virtù di disciplina, di adattamento e di sacrificio del popolo.

In relazione dell'enunciato carattere secondario, nell'ambito delle difese apprestate dal Regime per contenere il numero dei disoccupati entro il limite minimo possibile, merita di essere ricordato che lo stesso ordinamento assicurativo è chiamato a contribuire all'attuazione delle iniziative e al funzionamento delle istituzioni che su vie diverse concorrono a combattere ed attenuare la disoccupazione.

L'Istituto della Previdenza sociale concorre infatti al finanziamento dell'attività degli Uffici di collocamento.

Per il periodo 1929-1934 (gli Uffici di collocamento hanno iniziato il loro funzionamento nel 1929) la previdenza sociale ha sostenuto gli Uffici di collocamento con la erogazione di 61 milioni di lire.

L'Istituto della Previdenza ha contribuito, con la erogazione di 5 milioni, alla formazione del capitale costitutivo dell'Ente per la colonizzazione della Libia, costituito, con carattere di ente di diritto pubblico, nel 1931, e contribuisce annualmente, dal 1927, con la erogazione di un milione di lire, al funzionamento del Commissariato per le migrazioni interne, posto alle dirette dipendenze del Capo del Governo.

 

L'ASSICURAZIONE PER LA MATERNITÀ

Il Fascismo ha posto al primo piano la tutela della maternità. Il problema aveva dato luogo, prima dell'avvento del Fascismo, a vari provvedimenti volti a proteggere le madri operaie, ma scarsa fu l'efficacia di tale azione legislativa. Il Regime nel 1929 affronta in pieno il problema non solo ai fini di una maggiore tutela delle madri, ma altresì e soprattutto ai fini superiori dell'integrità, sanità ed incremento della stirpe.

Con legge 18 maggio 1929, venne disciplinata, inspirandosi ai criteri sopra esposti, tutta la materia della protezione e dell'assistenza alle madri lavoratrici.

Tuttavia, nonostante l'esistenza di tali norme, il problema è ritornato all'esame del Consiglio Nazionale delle Corporazioni in sede di revisione della legislazione del lavoro.

Si è voluto in tal modo ancora riordinare e perfezionare le disposizioni in vigore, soprattutto per quanto riguarda l'unificazione del regime assicurativo per la maternità, l'estensione del medesimo alle donne che lavorano a domicilio e l'istituzione facoltativa. È stato soppresso il sussidio di disoccupazione; quello di maternità è stato portato da lire 150 a lire 300, ed è stato mantenuto il contributo annuale di maternità senza alcun aumento. Tutto ciò è stato disciplinato con la legge 22 marzo 1934.

La inscrizione alla Cassa di maternità è obbligatoria per le donne in età da 15 a 50 anni, che siano addette quali operaie o impiegate alle aziende industriali e commerciali, con esclusione delle impiegate che percepiscono retribuzione mensile superiore a lire 800. Il contributo che deve essere corrisposto dai datori di lavoro è di lire 7 all'anno, qualunque sia la durata del lavoro, ed è per lire 3 a carico dell'operaia. Il contributo viene riscosso mediante l'applicazione annua di una marca speciale sulle stesse tessere in uso per le altre assicurazioni obbligatorie.

Ogni anno circa 10 milioni di lire sono dalla Previdenza sociale erogate per assegni di maternità.

I voti della Convenzione di Washington sono adempiuti e superati dalle provvidenze dal Fascismo attuate a favore della maternità.

L'umana e divina missione della maternità è confortata dalle provvidenze assistenziali non meno di quelle di ordine assicurativo.

Nei centri dove più vivo e più sentito è il bisogno di questa assistenza alla maternità operaia, laddove cioè le caratteristiche economiche di ambiente hanno sottratto un maggior numero di donne alle cure domestiche per metterle a servizio dell'industria, ivi più largo e più vivo è l'intervento della previdenza sociale nelle opere di assistenza alla maternità: visite gratuite nei consultori, consigli igienici, assistenza sanitaria, ricoveri in case di cura ed interventi chirurgici, assistenza pediatrica e per l'allattamento. Assistenza gratuita non già intesa nel senso tradizionale di graziosa liberalità, antitetica alle prestazioni di carattere assicurativo, bensì manifestazione progredita della stessa previdenza sociale, la quale ai suoi compiti originari altri ne affianca o sostituisce per evoluzione dell'ordinamento stesso e dei principi della previdenza sociale verso forme nuove e più progredite, meglio rispondenti alle esigenze di tutela dei lavoratori, le quali rappresentano uno degli aspetti di quella giustizia sociale che è fondamento dell'etica fascista: mantenere eguali davanti alla salute e alle scienze della salute tutti coloro che ne sono lontani, prima della nascita, subito dopo e poi. La medicina sociale diviene così, ogni giorno più, medicina politica. La previdenza sociale è posta anch'essa a servizio di questa vasta organizzazione, scientifica e politica insieme, di difesa della pubblica salute; direttamente e indirettamente. Direttamente, l'Istituto della Previdenza sociale interviene con le iniziative assistenziali e con l'azione antitubercolare molto vasta che esso è chiamato a svolgere, su basi assicurative; indirettamente, concorre in forme molteplici, e specialmente col finanziamento dell'edilizia popolare, delle opere di bonifica e delle opere pubbliche in genere, a quel miglioramento generale delle condizioni di ambiente, che è il presupposto essenziale della bonifica umana, verso la quale è tesa la volontà del Regime.

 

L'ASSICURAZIONE PER LA TUBERCOLOSI

Il problema della lotta contro la tubercolosi fu subito avvertito dal Regime fascista, in tutta la sua gravità. Sessantamila morti ogni anno e seicentomila ammalati costituivano, al momento dell'avvento del Fascismo, il triste bilancio della tubercolosi in Italia. Queste cifre documentano, meglio che ogni altra affermazione, che il dilagare della tubercolosi era pressoché incontrastato e che ai progressi della scienza non aveva fatto riscontro l'azione vigile dello Stato, l'apprestamento delle necessarie difese.

Occorrevano mezzi adeguati, ma soprattutto occorrevano una volontà combattiva, un'azione concreta e realizzatrice, l'unità delle direttive, il coordinamento delle iniziative e degli sforzi, la costituzione di un fronte unico di lotta antitubercolare. Furono creati nel 1923 i Consorzi provinciali antitubercolari, col compito appunto di coordinare in unità di direttive, nell'ambito di ciascuna provincia, gli istituti e le iniziative di assistenza antitubercolare. La istituzione di Consorzi fu resa obbligatoria nel giugno del 1927. La Carta del Lavoro aveva intanto, con la XXVII dichiarazione, orientato verso uno speciale ordinamento assicurativo il problema della lotta antitubercolare, in accoglimento anche dei voti espressi nel Congresso di igiene di Torino l'anno innanzi.

L'assicurazione contro la tubercolosi, introdotta con decreto-legge del 27 ottobre 1927, ha come sua caratteristica particolare il concentramento della solidarietà operaia e padronale verso questa che è, senza dubbio, la più grave delle malattie sociali, in quanto colpisce di preferenza i più giovani, nelle età produttive e quindi del massimo valore economico, ed in quanto è malattia soprattutto dell'infanzia e insidia alle radici la sanità fisica della stirpe.

Di fronte alla efficienza delle difese organizzate sul piano assistenziale e su quello assicurativo, la tubercolosi retrocede rapidamente.

Nel 1924, i morti per tubercolosi furono, in Italia, oltre 60.000: nel 1933 si discende a 35.000.

Questi risultati, mentre da un lato sono la conferma evidente di una delle premesse fondamentali della medicina sociale in ordine al problema antitubercolare: la esistenza di un rapporto diretto di interdipendenza fra l'ampiezza dei mezzi a servizio della lotta specifica contro la tubercolosi e la diminuzione della mortalità, la quale peraltro trae grande vantaggio anche dal progressivo miglioramento delle condizioni generali dell'igiene e dal più alto livello del tenore di vita della popolazione, sono, d'altra parte, documento di quanto profondamente umana e santa sia questa battaglia, per la quale il Regime ha mobilitato tutte le forze morali della Nazione.

È ormai comune insegnamento della medicina sociale e politica, che per una efficiente lotta antitubercolare — a parte la organizzazione profilattica — occorra una disponibilità di letti, in ospedali e sanatori, almeno pari al numero annuo dei morti per tubercolosi, potendosi valutare in ragione di tre per ogni caso di morte il numero degli ammalati per i quali è necessario, dal punto di vista clinico, il ricovero, e in ragione di 4 mesi il periodo medio di degenza per ogni ricoverato.

L'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza sociale sta realizzando appunto questa sufficienza di mezzi.

L'assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi ha lo stesso campo di applicazione dell'assicurazione per l'invalidità e la vecchiaia. Sono ad essa soggetti tutti coloro che lavorano alla dipendenza altrui e che abbiano compiuto il 15° anno di età e non superato il 65°.

Il numero degli assicurati si aggira intorno ai 6 milioni e mezzo; l'assicurazione contro la tubercolosi avrebbe mancato al suo scopo se non avesse incluso nella sua sfera di azione anche i familiari dell'assicurato. Raggiunge i 15 milioni il numero delle persone tutelate contro la tubercolosi dall'ordinamento assicurativo.

Dei familiari dell'assicurato sono protetti dell'assicurazione la moglie, i figli e i fratelli e sorelle, di età inferiore ai 15 anni, conviventi e a carico dell'assicurato, gli esposti regolarmente affidati, il marito invalido di donna assicurata.

Il diritto alle prestazioni — le quali comprendono oltre il ricovero in case di cura, la concessione di una indennità di lire 406 giornaliere, a seconda della classe di salario, per gli assicurati con famiglia a carico — è condizionato al versamento di almeno 24 contributi settimanali nel biennio anteriore alla domanda di assistenza.

Perché risulti adeguata al bisogno la sua attrezzatura, sanatoriale diretta, l'Istituto della Previdenza sociale ha disposto, e per molta parte già realizzato, un vasto programma di costruzioni sanatoriali, che consentirà una disponibilità complessiva di 20.400 posti letto in 61 ospedali sanatoriali, costruiti tutti secondo i più moderni impianti tecnici e scientifici.

Meritano particolare segnalazione, per la loro importanza, l'Ospedale sanatoriale "Carlo Forlanini" in Roma e l'annessa clinica della tubercolosi e delle altre malattie dell'apparato respiratorio, con un complesso di 1400 letti; l'Ospedale sanatoriale di Vialba (Milano), con 1100 letti; il villaggio sanatoriale di Sondalo, con 2500 letti. L'Ospedale sanatoriale "Carlo Forlanini", sorge su un'area di circa 280.000 metri quadrati, dei quali 28.200 coperti dai fabbricati. Una superficie di oltre 200.000 metri quadrati è destinata a parco e giardini, con uno sviluppo di strade, viali e vialetti per circa 10 chilometri. Trentuno sanatori, dieci dei quali in padiglioni provvisori, sono già in esercizio con una disponibilità di 9400 posti; alcuni altri sono già ultimati e prossimi ad entrare in funzione; gli altri sono tutti in corso di costruzione; nel 1937 l'Istituto avrà realizzato tutto il suo programma, per il quale avrà speso 600 milioni di lire; 350 milioni sono stati già spesi per le opere ultimate e per quelle in corso.

Dal 1° gennaio 1929 a tutto il 1934 sono stati spesi per l'assistenza agli ammalati 665 milioni. In tutto, già un miliardo di lire direttamente ed esclusivamente impegnato nella lotta contro la tubercolosi, in regime assicurativo.

Sono state assistite 213.000 persone. In questi ultimi anni l'8o % degli assistiti hanno usufruito del ricovero, mentre per il 20 % è stata possibile la cura ambulatoria. La cura a domicilio, resa necessaria, nei primi anni, dalla insufficienza dell'attrezzamento sanatoriale diretto e di quello preesistente di cui l'ordinamento assicurativo poteva disporre per convenzione, è stata quasi del tutto eliminata.

Ecco gli sviluppi dell'assistenza antitubercolare che, assolvendo al nuovo importante compito affidatogli dal Regime, l’Istituto della Previdenza sociale ha dato ai lavoratori di tutte le categorie.

 

L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO

Nel 1879 fu presentato un primo disegno di legge; fu un primo passo nello sviluppo di quella lunga lotta che sulla fine del secolo scorso, doveva dare al Paese la prima timida forma di tutela del lavoro.

Successivamente l'assicurazione contro gli infortuni degli operai del lavoro fu resa obbligatoria, per la prima volta in Italia, nel 1918, con una legge che segnò un progresso notevole nel campo della legislazione sociale.

Fino ad alcuni mesi or sono, la materia era regolata dal testo unico approvato con R. decreto 31 gennaio 1904 e successive modificazioni integrazioni ed estensioni riguardanti le norme per gli infortuni sul lavoro nelle colonie, per gli operai delle zolfare della Sicilia, degli addetti all'agricoltura ed alla navigazione aerea.

Ma tale disciplina legislativa presentava deficienze, interferenze ed imperfezioni e non era più consone ai nuovi bisogni delle classi lavoratrici.

Lo Stato fascista comprese la necessità di uscire da una tale situazione che senza tornare di vantaggio ad alcuno lasciava i lavoratori in uno stato di grave disagio, che si ripercuoteva in altri campi, compromettendo, oltreché le condizioni igieniche della stirpe, le finanze degli enti pubblici, ed indirettamente tornava di danno alla stessa produzione. Ma era necessario procedere in tale materia con molta cautela, per la vastità e complessità del problema. Era necessario anzitutto affermare il principio della necessità della riforma di tali sistemi per procedere passo passo all'attuazione completa del programma.

La Carta del Lavoro con la dichiarazione XXVI aveva affermato che "Lo Stato, mediante gli organi corporativi e le assicurazioni professionali, procurerà di coordinare e di unificare, quanto è più possibile, il sistema e gli istituti della previdenza" mettendo anzi all'ordine del giorno, nella dichiarazione successiva, "il perfezionamento dell'assicurazione infortuni". Ciò spiega la riforma attuata con il R. decreto-legge 23 marzo 1933, riforma che è stata preceduta da una importante discussione svoltasi in seno al Consiglio Nazionale delle Corporazioni e che deve essere considerata come il punto di partenza di provvedimenti più radicali, destinati ad entrare in azione appena le condizioni del Paese lo permetteranno e studiati allo scopo di "tener pronto il congegno nuovo per il momento in cui sarà giudicata possibile la sua applicazione". Tale discussione, preceduta da un'ampia relazione e chiusa da un importante discorso chiarificatore del duce, aveva rilevato una concorde uniformità di vedute circa l'opportunità di lasciare immutato il concetto giuridico di "infortunio sul lavoro", come oggi è fissato dalla vigente legislazione e di estendere la tutela legislativa a tutte le categorie di lavoratori realmente esposte al rischio di infortunio, mediante la formazione di un elenco delle attività produttrici soggette alla legge; aveva invece mostrato l'esistenza di opinioni discordi circa la convenienza dell'istituto unico o della pluralità degli istituti, ed infine circa la questione dell'indennizzo, in capitale o in rendita.

Con il citato decreto-legge, il Governo ha risolto la questione in senso favorevole alla creazione di un grande istituto unico meglio rispondente alla necessità d'impedire l'esacerbarsi di pericolose forme di concorrenza, e ha disposto che l'attuale Cassa nazionale infortuni, ente parastatale, dopo aver assunto la nuova denominazione di "Istituto Nazionale Fascista contro gli infortuni del lavoro", eserciti tutte le assicurazioni degli addetti alle imprese, lavorazioni e costruzioni dell'industria, dei trasporti terrestri e del commercio, attualmente soggette all'obbligo assicurativo degli articoli 1, 6 e 7 della legge (testo unico) 31 gennaio 1904, ferme restando le eccezioni concernenti gli operai dipendenti dalle aziende autonome del Ministero delle Comunicazioni.

Pertanto, con R. decreto 6 luglio 1933, è stato riformato l'ordinamento interno dell'Istituto, ordinamento che, dopo aver fissato gli organi e le loro attribuzioni, contempla altresì la costituzione, su base mutua, di speciali sezioni interne per ogni singola categoria di attività produttiva.

In seguito all'attribuzione all'Istituto del rischio totalitario dell'assicurazione infortuni, si è disposta la liquidazione dei Sindacati di mutua assicurazione, costituiti fra industriali, e del loro Consorzio, nonché il trasferimento all'Istituto di tutti i contratti esistenti presso gli stessi.

Al principio della completa unificazione, però, si è ritenuto necessario porre due limitazioni, e cioè:

1° Conservazione dell'attuale ordinamento per quanto riguarda l'assicurazione infortuni degli addetti ai trasporti marittimi e alla pesca marittima, accogliendo i "desiderata" emersi dalle discussioni avvenute presso le singole sezioni e .presso l'Assemblea del Consiglio Nazionale delle Corporazioni, in cui fu posta in rilievo, da parte delle categorie interessate, la necessità di mantenere l'attuale organizzazione, sia per le peculiari esigenze dell'attività marinara che ha bisogno di una idonea attrezzatura di servizi all'estero, sia perché i tre Sindacati obbligatori attualmente esistenti esercitano altresì l'assicurazione malattie della gente del mare e dell'aria. Tali Sindacati assumeranno soltanto la forma e la denominazione di Casse Mutue.

2° Conservazione, altresì dell'ordinamento attuale nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni in agricoltura, anch'essa invocata dalle associazioni sindacali interessate in considerazione delle particolari esigenze dell'attività agricola. Si è disposto pertanto che anche nelle dieci provincie, raggruppate nei tre compartimenti di Genova, Benevento e Sassari, attualmente amministrate dalla Cassa Nazionale Infortuni, l'assicurazione dovrà essere trasferita alle Casse Mutue per gli infortuni agricoli, in modo da assicurare una identica forma di gestione per tale specifico ramo di assicurazione in tutto il territorio del Regno. Tuttavia sempre al fine di rispettare, nei limiti del possibile e dell'utile, il principio dell'unificazione a cui è informato il provvedimento, e per rendere più economica e uniforme l'applicazione della legge, si è disposto che tanto gli enti assicuratori per la gente di mare che quelli per i lavoratori agricoli dovranno coordinare, con norme da stabilirsi, i loro servizi, specialmente tecnico-sanitari, con quelli dell'Istituto Nazionale.

Una volta risolto il punto più importante e delicato, mediante l'unificazione degli istituti di assicurazione, il Governo, con legge 29 gennaio 1934, n. 333, ha ottenuto dal Parlamento la facoltà delegata di procedere nell'opera di riforma. In virtù di tale delega il Governo con R. decreto 14 ottobre 1935 che, con l'emanazione del Regolamento, entrerà in vigore il 1° luglio 1936, precisa il campo di applicazione della legge e disciplina le garanzie di una più sicura e generale osservanza dell'obbligo dell'assicurazione, la qualità e la entità delle prestazioni, ivi compresa in primo luogo la cura dell'infortunio al fine di limitarne al massimo le conseguenze, fino a toccare le sanzioni penali e l'ordinamento del contenzioso.

I provvedimenti già citati, indubbiamente fondamentali, sono stati preceduti o seguiti da altri, di importanza più limitata.

La legge 26 aprile 1930 che, dando esecuzione alla Convenzione internazionale del 1921, relativa al riconoscimento degli infortuni sul lavoro in agricoltura, viene a confermare l'obbligo di tale assicurazione, già sancito nella nostra legislazione interna da ben tredici anni; né tale conformità può apparire turbata dal fatto che la nostra legge limita l'assicurazione agli individui fra i 12 ed i 65 anni, mentre il testo della convenzione la estende a tutti i salariati, perché, in realtà, gli assicurati agricoli che abbiano superato l'età di 65 anni sono automaticamente coperti da un'altra assicurazione (l'assicurazione per invalidità che comprende quella derivante da infortuni) mentre l'esclusione dei fanciulli di età inferiore ai 12 anni non crea una disparità di trattamenti in confronto agli addetti ai lavori industriali, perché le disposizioni vigenti per la protezione minorile non consentono l'ammissione al lavoro dei fanciulli in età inferiore a quella dianzi indicata.

Inoltre, il decreto 20 marzo 1933 contiene le norme circa le procure per esigere indennità dovute a causa di infortunio, con le quali si mette fine a basse speculazioni che, sotto forma del rilascio di procura, mascheravano vere e proprie cessioni del credito per l'indennizzo, e si stabilisce che l'avente diritto ad indennità non può rilasciare procura se non al coniuge od a un parente ed affine ovvero ad una delle persone con cui sia comune il diritto di esigere l'indennità medesima.

 

L'ASSICURAZIONE PER LE MALATTIE PROFESSIONALI

La Carta del Lavoro, nella dichiarazione XXVII, annunziava il proposito di attuare l'assicurazione contro le malattie professionali, come avviamento all'assicurazione generale contro tutte le malattie.

All'annunzio seguì ben presto l'attuazione, ed invero con R. decreto-legge 13 maggio 1929, in virtù dei poteri conferiti al Governo di emanare disposizioni aventi forza di legge, per la completa attuazione della Carta del Lavoro, fu appunto disposta l'assicurazione contro le malattie professionali, colmandosi così una lacuna del nostro sistema di assicurazioni sociali.

Tale assicurazione, applicandosi alle malattie per intossicazione da piombo o mercurio o loro leghe, amalgame o composti, nonché da fosforo bianco, solfuro di carbonio, benzolo e omologhi, e per anchilostomiasi, riguarda gli operai addetti al trattamento di quei minerali, e comunque a lavorazioni che ne chiedono l'impiego, come da tabella annessa al decreto, ed ha applicazione quando per detti operai sussista l'obbligo dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Ad essa provvede pertanto l'istituto assicuratore ammesso all'esercizio delle assicurazioni contro gli infortuni degli operai sul lavoro, mediante aumento di contributo o premio pagato dai datori di lavoro per l'assicurazione medesima. Si è resa inoltre obbligatoria, per ogni medico che ne riconosca l'esistenza, la denuncia delle malattie professionali.

Tale provvedimento è largamente comprensivo della convenzione internazionale, adottata il 10 giugno 1925 ed approvata con R. decreto 4 dicembre 1933, n. 1792, la quale disciplinando il risarcimento dei danni prodotti dalle malattie professionali, stabilisce in linea di massima che l'ammontare di tale risarcimento non dovrà essere inferiore a quello previsto dalle rispettive legislazioni per i danni derivanti dagli infortuni sul lavoro e definisce come malattie professionali le intossicazioni prodotte dal piombo o dal mercurio, nonché le infezioni di carbonchio come infortuni sul lavoro.

L'assicurazione delle malattie professionali era attesa da lunghi anni in Italia e s'imponeva per ragioni d'ordine giuridico e sociale, dato che esse sono conseguenza indubbia di un lavoro eseguito presso determinate industrie ove vengono prodotte o usate, materie infettanti e tossiche.

Il concetto fondamentale, che ha dato origine a tale forma di previdenza in tutte le Nazioni, che l'hanno attuata, è lo stesso che ha dato luogo all'attuazione dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.

Poiché le malattie professionali infatti derivano e sono conseguenza, come lo si comprende facilmente, della professione esercitata dall'assicurato, è giusto che i danni che provengono dall'esercizio di determinate professioni siano risarciti come lo sono gli infortuni sul lavoro, e cioè da chi gestisce l'industria o l'azienda. Infatti è pacifico che quelle industrie, ove si verificano appunto tali malattie, non darebbero luogo a queste se in esse industrie non venissero eseguite quelle determinate lavorazioni o non venissero impiegate quelle determinate sostanze, che invece le determinano. Pertanto si tratta di rischi che si verificano in occasione di determinate lavorazioni o commerci e quindi è giusto che essi debbano venire risarciti da chi trae lucro da tali gestioni.

Riconosciuto infatti dalla nostra legislazione essere l'infortunio sul lavoro un rischio connesso all'esercizio di determinate attività industriali, e stabilito che il rispettivo risarcimento debba stare a carico del datore di lavoro, non diverso trattamento era da attenersi nei riguardi delle malattie professionali.

La assicurazione di tali malattie è stata attuata dal Regime con vastità di concezione. Mentre infatti ha stabilito che tutti gli operai occupati in industrie presso le quali possano verificarsi malattie professionali, devono essere assicurati, ha fissato una lista di quelle che, agli effetti dell'assicurazione, vanno considerate come malattie professionali. Tale lista è la più vasta forse di quante siano state stabilite in questi ultimi anni e più ampia di quella stessa fissata dalla Conferenza di Ginevra del 1921.

Altro particolare molto importante di tale previdenza è che la cura di tali malattie non è lasciata all'arbitrio del malato, che talora purtroppo non ha i mezzi per provvedervi quando addirittura non tende ad aggravarla, ma è data dagli istituti assicuratori.

L'assicurazione contro le malattie professionali quindi darà la possibilità di applicare mezzi idonei e speciali per la cura e la prevenzione di tutte le malattie dipendenti da determinate lavorazioni. Di conseguenza colla attuazione di questa ultima, saranno anche evitate tutte quelle vertenze che finora venivano promosse dagli operai, colpiti da tali mali, contro i loro datori di lavoro, chiamati civilmente responsabili dei danni da quelli subiti, vertenze queste che dovevano venire regolate in base alle norme comuni sulla responsabilità civile e che davano luogo a contestazioni e a rancori, che era necessario evitare, non solo per rendere giustizia a delle autentiche vittime del lavoro, ma anche per evitare che queste contestazioni avessero a turbare ulteriormente quei rapporti collaborazionistici tra datore e prestatore d'opera, che sono fra le primissime finalità perseguite dal Fascismo. E l'attuazione di tale previdenza infine segna un progresso sensibilissimo nel campo della previdenza sociale anche pel fatto che essa costituirà quel vero e proprio avviamento alla assicurazione generale contro le malattie previsto dalla Carta del Lavoro, avviamento inteso come scuola, come esperienza, come necessaria preparazione dell'ambiente, che renderà possibili ulteriori progressi. 

 

 

LA MUTUALITÀ PER L'ASSISTENZA SANITARIA

Il Fascismo, fin dal suo sorgere, riportando gli spiriti alle più civili espressioni di solidarietà umana, pose al primo piano il problema della mutualità per le malattie. La Carta del Lavoro alla dichiarazione XXVIII stabilisce che "nei contratti collettivi di lavoro sarà decisa, quando sia tecnicamente possibile, la costituzione di casse mutue per malattia, con contributo dei datori di lavoro e prestatori d'opera, da amministrarsi da rappresentanti degli uni e degli altri, sotto la vigilanza degli organi corporativi". E, come ogni principio fascista, anche questo ha trovato immediata pratica attuazione. Al 31 dicembre 1933 risultavano esistenti nel settore dell'industria 1978 casse mutue di malattia con 1.390.895 iscritti; nell'agricoltura sette casse mutue provinciali con 120.000 iscritti; nel commercio una cassa nazionale con 200.000 iscritti; nei trasporti terrestri 14 casse regionali con 27.000 iscritti, e 11 casse autonome dei portuali con oltre 20.000 iscritti e 5 casse dei telefonici con 6000 iscritti.

La mutualità, prefiggendosi, come scopo fondamentale, l'assistenza al lavoratore in caso di sua malattia, risponde ad una funzione sociale della massima importanza e proficuità. Infatti mentre i bisogni del lavoratore aumentano durante la malattia, per la necessità di dover aggiungere alle normali spese quotidiane le spese per assistenza medica e per acquisto di medicinali, manca al lavoratore ogni elementare mezzo per farvi fronte, per il fatto che, richiedendo normalmente la malattia la assenza dal lavoro, gli è impossibile prestare la propria opera e ottenere, in corrispettivo, il salario. La impossibilità di avere tutte le cure necessarie e il bisogno di assentarsi il meno possibile dal lavoro, onde non perdere il salario, provocavano nel lavoratore, prima della sistemazione mutualistica, la tendenza a trascurare il proprio stato morboso, con grave rischio, oltre che per la sua salute, per la integrità fisica della razza; pertanto le norme concernenti la mutualità, costituitasi mediante contratti collettivi di lavoro, non soddisfano solo gli interessi individuali dei singoli, ma anche e principalmente l'interesse collettivo della Nazione.

Le Casse mutue malattia hanno, in base agli statuti, i seguenti scopi fondamentali:

a) garantire all'iscritto, in caso di malattia, la assistenza medica, chirurgica, farmaceutica ed ospitaliera (alla donna, anche l'assistenza ostetrica in caso di parto);

b) provvedere al ricovero in cliniche, case di salute, ecc., degli iscritti, per cui sia riconosciuto il bisogno;

c) corrispondere all'iscritto un sussidio di malattia, decorrente normalmente dal terzo o dal quarto giorno di degenza, per una durata massima determinata (90 o 120 giorni), in misura pari alla metà o ai due terzi del salario percepito dall'operaio (112).

Vicino a tali scopi fondamentali, previsti da tutti gli statuti delle Casse mutue malattia, vengono perseguiti, quando le possibilità economiche lo consentano, scopi accessori, ma sempre inerenti alla tutela della salute fisica del lavoratore e della integrità della razza (assistenza medica ai famigliari, ricoveri in convalescenziari, concessioni di sussidi straordinari, invio di figli degli iscritti alle Colonie marine o montane, ecc.).

Attualmente tale assicurazione non è obbligatoria, eccezion fatta per le Provincie redente e nelle quali si è ritenuto opportuno conservare l'obbligatorietà preesistente sotto il cessato regime austro-ungarico anche per non pregiudicare, anzi per compiere un primo passo verso l'estensione del principio a tutto il territorio del Regno. Per quanto attiene il resto del territorio l'assicurazione per casi di malattia non ha carattere obbligatorio e si provvede alla assicurazione stessa in vari modi e forme. Per quanto però riguarda la gente del mare e dell'aria, l'assicurazione che si esercita nei casi di malattia è obbligatoria. Al riguardo occorre distinguere l'assicurazione che si esercita al di fuori dell'ordinamento sindacale di cui alla legge 3 aprile 1926, n. 563, da quello che a tale ordinamento si connette attuandosi a favore delle categorie organizzate. Nel primo caso gli istituti (casse mutue di malattia, società di mutuo soccorso, ecc.) sorgono ad iniziativa dei singoli o degli enti pubblici interessati; essi funzionano generalmente, in un primo tempo, come istituti di fatto, salvo ad ottenere poi — ove diano garanzia di poter regolarmente funzionare — il riconoscimento giuridico quali enti morali in base ai principi generali del diritto oppure, ove trattisi di Società di Mutuo soccorso fra operai, in base alla legge del 15 aprile 1886, n. 3313.

Nel secondo caso l'assicurazione è esercitata in applicazione della XXVIII dichiarazione della Carta del Lavoro, da Casse mutue malattia, la cui costituzione deriva da apposite norme inserite nei contratti collettivi stipulati fra le associazioni sindacali interessate.

Tali enti sono da considerarsi tra quelli a carattere assistenziale previsti dall'art. 4, ultimo comma, della legge 3 aprile 1926, n. 363, e in base a tale articolo, infatti, viene loro concesso il riconoscimento giuridico ove affidino di poter regolarmente funzionare.

Si soggiunge, peraltro, che l'assicurazione malattie è tuttora nella fase degli studi e degli esperimenti per giungere a quella forma migliore che consenta i più vantaggiosi risultati col minimo costo d'organizzazione.

Distintamente per ciascuna delle grandi organizzazioni di lavoratori accenniamo ai provvedimenti e agli enti relativi all'assicurazione malattie:

a) Gente del mare e dell'aria: L'assicurazione per le malattie e per l'assistenza sociale è gestita dai tre Sindacati obbligatori per l'assicurazione e mutua contro gli infortuni sul lavoro della gente di mare con sede in Genova, Trieste e Napoli. Tale assicurazione è obbligatoria e con R. decreto-legge 17 luglio 1931, n. 1090, ai servizi di essa è stato dato un nuovo ordinamento rispetto a quello già disposto con la legge io gennaio 1929, n. 65;

b) Industria: Provvedono all'assicurazione malattia le casse mutue, costituite come è già stato accennato, e che possono essere aziendali (interne), interaziendali, professionali e interprofessionali.

Il funzionamento di tali Casse è regolato in modo uniforme da uno schema di statuto tipo concordato fra i rappresentanti delle due Confederazioni dell'Industria;

c) Commercio: L'assicurazione è esercitata dalla Cassa Nazionale malattie per gli addetti al commercio cui è stato concesso il riconoscimento giuridico con R. decreto 24 ottobre 1929, n. 1946;

d) Comunicazioni interne: Con accordo stipulato il 10 settembre 1930 fra le due confederazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori delle comunicazioni interne, è stato costituito l'"Ente Nazionale di assistenza fra gli addetti ai trasporti terrestri e alla navigazione interna", con il compito, fra l'altro, di organizzare e coordinare le Casse regionali di malattia cui spetta provvedere, mediante iscrizione resa obbligatoria in forza dei patti collettivi di lavoro, all'assicurazione contro le malattie delle accennate categorie di prestatori d'opera;

e) Agricoltura: Provvedono all'assicurazione dei lavoratori agricoli le casse mutue di malattie riunite nella "Federazione nazionale della cassa mutua di malattia per i lavoratori agricoli" cui è stato concesso il riconoscimento giuridico con R. decreto 23 ottobre 1930, n. 1562. Recentemente sotto gli auspici del Partito le due Confederazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori dell'agricoltura hanno, in adesione alle direttive del Regime per l'assistenza sociale ai lavoratori, istituite, per le categorie dei salariati, dei braccianti e dei compartecipanti e delle maestranze specializzate, trentacinque nuove Casse mutue malattia. Ed allo scopo di sollecitarne ed agevolarne la costituzione ed il funzionamento, i datori di lavoro verseranno alle casse predette un contributo straordinario, corrispondente il 3 per cento dell'importo dei salari delle tariffe, rinunziando per detta annata (1935-36) a trattenere la quota di contributo a carico degli operai.

 

 

PATRONATO NAZIONALE PER L'ASSISTENZA SOCIALE

La legge 3. aprile 1926, fra le condizioni richieste per il legale riconoscimento delle Associazioni sindacali, impone che queste, "oltre gli scopi di tutela degli interessi economici e morali dei loro soci, debbono proporre di perseguire e perseguano effettivamente scopi di assistenza, di istruzione e di educazione morale e nazionale dei medesimi" (art. 1).

La Carta del Lavoro precisa meglio i compiti delle associazioni quando dice: "È compito delle associazioni di lavoratori la tutela dei loro rappresentanti nelle pratiche amministrative e giudiziarie relative all'assicurazione infortuni ed alle assicurazioni sociali" (dichiarazione XXVIII).

"L'assistenza ai propri rappresentati, soci e non soci, è un diritto e un dovere delle assicurazioni professionali. Queste debbono esercitare direttamente le loro funzioni di assistenza né possono delegarle ad altri enti od istituti, se non per obiettivi di indole generale, eccedenti gli interessi delle singole categorie" (dichiarazione XXIX).

Fra i servizi generali di assistenza, creati dalle associazioni, in conformità ai principi sanciti nella legge e nella Carta del Lavoro, bisogna ricordare il Patronato Nazionale per l'assistenza sociale. Il Patronato ha però una sua storia che precede la legge del 3 aprile 1926.

Furono le organizzazioni sindacali fasciste che iniziarono i primi esperimenti di una assistenza sociale fascista e, prima fra tutte, la Federazione Provinciale Genovese che, per disposizioni della Confederazione Corporazioni Sindacali, nel maggio 1922 creava il "Patronato Nazionale Medico-Legale per, gli Infortuni Agricoli, Industriali e per le Assicurazioni Sociali"

Il Gran Consiglio del Fascismo, con deliberazione del luglio 1933 diede incarico alla Confederazione Nazionale dei Sindacati fascisti di riorganizzare presso le dipendenti federazioni provinciali gli uffici tecnici "che, tra i diversi compiti, ebbero anche l'assistenza ai lavoratori relativamente alle assicurazioni sociali. Dimostratisi insufficienti, questi uffici vennero sciolti e sostituiti dal "Patronato Nazionale Medico-Legale per gli infortuni agricoli, industriali e per le assicurazioni sociali", istituito con decreto ministeriale del 26 giugno 1925, a sensi del R. decreto-legge 23 agosto 1917, n. 1450 e del R. decreto 30 dicembre 1923, n. 3184. Così sorsero i primi uffici provinciali del patronato, che dovevano assolvere i compiti sino allora attuati, dai patrocinatori privati con i loro uffici di assistenza infortunistica.

L'emanazione della Carta del Lavoro consigliò la revisione e così, con il decreto ministeriale 24 dicembre 1927 sull'ordinamento del Patronato nazionale per l'assistenza sociale, venne data questa nuova denominazione e nel contempo ne fu modificato lo statuto. Però di fronte all'allargarsi delle provvidenze a favore dei lavoratori e in conseguenza, del loro bisogno di assistenza, i limiti imposti dallo statuto del 1927 sembrarono ugualmente troppo ristretti. Così, col decreto del Ministro per le Corporazioni del 27 settembre 1930, fu approvato il nuovo statuto del P. N. A. S., a termini del quale fu ad esso affidato non solo l'assistenza dei lavoratori nell'ambito delle assicurazioni sociali, ma anche nelle vertenze relative alle assicurazioni infortuni individuali e collettive, stipulati extra legem, nonché l'assistenza ai connazionali rimpatriati e quella generica dei lavoratori.

All'articolo 1 dello Statuto è detto: "Il Patronato Nazionale per l'assistenza sociale costituisce, ai termini della dichiarazione XXIX della Carta del Lavoro, l'organo tecnico a mezzo del quale le Confederazioni nazionali fasciste dei lavoratori adempiono alle funzioni di assistenza e di tutela dei propri rappresentati nelle pratiche amministrative e giudiziarie, relative all'assicurazione infortuni e alle assicurazioni e previdenze sociali in genere".

Questo statuto, che è ancora in vigore, ha dato al Patronato compiti veramente ampi e che sono suscettibili oggi di una maggiore e più organica estensione onde fare di esso l'organo vero e completo di tutta l'assistenza, da quella legale a quella igienico-sanitaria, che le associazioni professionali devono garantire ai propri associati.

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