MOVIMENTO FASCISMO E LIBERTA'
COORDINAMENTO REGIONALE
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TESTI PER I CORSI I PREPARAZIONE POLITICA
LA POLITICA SOCIALE DEL FASCISMO

III.

LA DISCIPLINA DEL LAVORO




SINDACALISMO FASCISTA E DISCIPLINA GIURIDICA DEI RAPPORTI COLLETTIVI DI LAVORO

IL FASCISMO nella sua travolgente azione nel campo politico risuscitò una parola ed una fede puramente romane; il Fascio Littorio. Nel campo del lavoro risalì alle pure fonti di una tradizione storica italiana e scelse il nome glorioso delle Corporazioni come sintesi di tutti i valori e di tutte le forze produttive operanti in seno alla società nazionale.

Il 23 marzo 1919, nell'adunata costitutiva dei Fasci di Combattimento, tornando sull'idea di un'organizzazione del lavoro aderente alle necessità ed agli interessi superiori della Nazione, il duce ammoniva: "Noi dobbiamo andare incontro al lavoro. Già dal tempo dell'armistizio io scrissi che bisognava andare incontro al lavoro che ritornava dalle trincee, perché sarebbe odioso e bolscevico negare il riconoscimento dei diritti di chi ha fatto la guerra.

"Se la dottrina sindacalista ritiene che dalle masse si possono trarre gli uomini capaci di assumere la direzione del lavoro, noi non potremo metterci di traverso, specie se questo movimento tenga conto di due realtà: la realtà della produzione e quella della Nazione. Noi ci mettiamo sul terreno del sindacalismo nazionale e contro la ingerenza dello Stato quando voglia assassinare il processo di creazione della ricchezza. Combatteremo il retrogradismo tecnico e spirituale. Ci sono degli industriali che sono incapaci, dal punto di vista della tecnica: se essi non troveranno la virtù di trasformarsi saranno travolti. Ma noi dobbiamo dire alla classe operaia che altro è demolire, altro è costruire; che la distruzione può essere opera di un'ora, mentre la costruzione è opera anche di secoli".

In relazione ai principi enunciati più volte dal duce in tema di sindacalismo nazionale, il primo Congresso dei Fasci tenutosi a Firenze il 10 ottobre 1919 delibera la propria volontà di azione sul terreno sindacale. Mentre in tutto il Paese divampa la lotta per cancellare dalla vita della Nazione il veleno disgregatore del sovversivismo italiano, si gettano le basi del sindacalismo fascista. Sulle rovine delle vecchie ideologie vengono costituiti i primi sindacati fascisti non in nome di Marx, non in nome di Lenin, ma nel nome immortale dell'Italia.

Negli anni 1920-21 il movimento si precisa, si consolida, prende radici soprattutto nella Valle Padana, che diventa il centro animatore ed irradiatore del movimento per opera di Edmondo Rossoni.

Ma il sindacalismo fascista trova la sua attuazione e la sua prima sistemazione nazionale nel Congresso di Bologna, presieduto da Achille Starace, il 24 gennaio 1922, ed a cui partecipano i rappresentanti di 200.000 organizzati. Una mozione del Segretario del Partito, Michele Bianchi, fissa le linee fondamentali dell'azione sociale del Fascismo. In essa si afferma:

I. - Il lavoro costituisce il sovrano titolo che legittima la piena e utile cittadinanza degli uomini nel consesso sociale.

II. - II lavoro è la risultante degli sforzi volti armonicamente a creare, a perfezionare, ad accrescere quanto forma benessere materiale, morale, spirituale dell'uomo.

III. - Sono da considerarsi lavoratori tutti indistintamente coloro che comunque impiegano o dedicano la loro attività ai fini suaccennati, e pertanto l'organizzazione sindacale, pur con le opportune distinzioni e varietà di aggruppamenti, deve proporsi di accoglierli senza demagogici ostracismi.

IV. - La Nazione, intesa come sintesi superiore di tutti i valori materiali e spirituali della stirpe, è sopra gli individui, le categorie e le classi. Gli individui, le categorie e le classi sono strumenti di cui la Nazione si serve per il raggiungimento della sua maggiore grandezza. Gli interessi degli individui, delle categorie e delle classi acquistano titolo di legittimità a patto che siano contenuti nel quadro del superiore interesse nazionale.

V. - L'organizzazione sindacale, e cioè lo strumento di difesa e di conquista del lavoro contro tutte le forme del parassitismo, deve tendere a sviluppare negli organizzati il senso della consapevole inserzione dell'attività sindacale nella complicata rete delle relazioni sociali, diffondendo la cognizione che oltre la classe vi sono una Patria ed una Società.

Inspirandosi ai principi fondamentali consacrati nella mozione Bianchi, il Congresso di Bologna proclama costituita la Confederazione Nazionale delle Corporazioni. Il sindacalismo fascista, precisate le sue funzioni ed i suoi compiti, assume nuovo vigore, s'irradia in tutta Italia, irrompe con spirito battagliero nei quadri delle organizzazioni rosse, e conquista i lavoratori all'idea della Patria, penetra nelle coscienze e negli istituti e volgendosi a divenire l'organizzazione totalitaria dei produttori italiani, elabora, al collaudo della realtà, le idee che dovranno poi costituire la base del nuovo ordinamento politico ed economico della Nazione.

Dalla Marcia su Roma alla promulgazione della legge 3 aprile 1926 sulla disciplina dei rapporti collettivi di lavoro c'è tutta una linea di continuità logica e storica, una vigorosa elaborazione di idee, una preparazione spirituale e politica, elementi giusti, vitali e costruttivi per la formazione e l'attuazione dello Stato corporativo fascista.

Il Primo Consiglio Nazionale della Confederazione delle Corporazioni Fasciste tenuto a Roma nel giugno 1923 chiede la validità legale dei contratti di lavoro.

A questa richiesta, che contiene in germe i principi informatori della legge sindacale, il duce non solo consente, ma fa seguire una decisione del Consiglio dei Ministri che afferma la necessità di emanare un provvedimento legislativo con cui siano garantite la disciplina e l'obbedienza di ambo le parti contraenti ai patti di lavoro.

Il Consiglio Nazionale della Confederazione, nell'aprile 1925, riafferma la necessità del riconoscimento giuridico dei Sindacati da parte dello Stato, e propone una riforma del Ministero dell'Economia Nazionale "in modo che la politica fascista della produzione e del lavoro abbia organi adeguati per essere attuata senza indugio e nel modo più efficace".

L'avere costituito un sindacalismo nazionale che alla esaltazione materialistica del bisogno sostituisce la esaltazione idealistica del sacrificio; l'aver affermato che il lavoro non può essere considerato una fatica da schiavi ma un grande dovere e soprattutto una gioia; l'avere riaffermato la superiore necessità di rieducare le classi lavorataci verso migliori capacità produttive e morali, e compresa la radiosa complessità delle armonie che allaccia il lavoro del pensiero a quello del braccio; tutto questo profondo rivolgimento spirituale interiore, lento, aspro e sicuro poteva significare come significò l'aperta ribellione dello spirito contro la materia, un esercizio di volontà operante ai fini di un'ampia visione di giustizia sociale; ma era esclusa a tale movimento, fuori dello Stato, la possibilità di permeare di sé istituti e leggi, di essere chiamato partecipe della vita presente e futura della Nazione.

Era necessaria una norma legislativa, una disciplina giuridica, la codificazione del nuovo diritto balzato vivo dalla decomposizione dello Stato liberale, di quello Stato che il Fascismo aveva preso boccheggiante, roso dalla crisi costituzionale, avvilito dalla sua impotenza organica.

Interprete di queste necessità espresse nei voti delle organizzazioni sindacali fasciste e manifestatesi al vaglio dell'esperienza storica del Fascismo, il duce nella seduta del 6 ottobre 1925 affretta la soluzione, che si presenta chiara e precisa nei suoi termini fondamentali, nella seguente mozione:

1° Il Gran Consiglio Nazionale del Fascismo riconosce che il fenomeno sindacale — aspetto necessario e insopprimibile della vita moderna — deve essere controllato e inquadrato dallo Stato e pertanto che i Sindacati, sia di datori di lavoro che di lavoratori, debbono essere legalmente riconosciuti e soggetti al controllo dello Stato; che il riconoscimento debba aver luogo per un solo Sindacato, per ogni specie di impresa o categoria di lavoratori e precisamente per un solo Sindacato fascista; che i Sindacati legalmente di carattere nazionale, che è quanto dire riconosciuti, abbiano una legale rappresentanza di tutti gli interessi appartenenti alla specie di imprese o categorie di lavoratori per cui sono costituiti e che pertanto essi solo possono stipulare contratti collettivi di lavoro con effetto per tutti obbligatorio; che i Sindacati non legalmente riconosciuti continuino a sussistere come associazioni di fatto, secondo le norme finora vigenti.

2° Il Gran Consiglio ritiene inoltre che i tempi siano maturi per far decidere i conflitti del lavoro da un organo giurisdizionale, emanante dallo Stato, che rappresenti gli interessi generali della Nazione: la Magistratura del Lavoro, forma più perfezionata del semplice arbitrato obbligatorio, e che, pertanto, sia opportuno introdurre nella nuova legislazione, coi necessari temperamenti, la giurisdizione del lavoro.

La legge 3 aprile 1926 ha già i suoi caratteri essenziali chiaramente delineati in questi punti della mozione mussoliniana.

Maturatasi ormai nell'esperienza e nelle coscienze la necessità dell'inserzione dei Sindacati nello Stato, non ci si poteva limitare al loro riconoscimento giuridico, ma occorreva da tale premessa trarre tutte le sue logiche conseguenze, e cioè la facoltà per l'unico Sindacato riconosciuto di rappresentare tutta la categoria, l'efficacia obbligatoria verso tutti dei contratti stipulati dalle Associazioni riconosciute, l'istituzione di una Magistratura del Lavoro capace di giudicare e di decidere sulle inadempienze ai patti di lavoro, e infine il divieto di sciopero e di serrata.

Il Fascismo prima di dettare leggi aveva creato, con la sua azione guerriera, il clima storico per attuarle. La legge è intervenuta per sanzionare uno stato di fatto, per tradurre in norme i bisogni sentiti, le idee mature. Metterla in pratica significa farvi aderire sempre più la coscienza del popolo.

Anche in questo campo la norma giuridica non crea, ma disciplina.

L'inserzione del Sindacato nello Stato, una delle più grandi e originali realizzazioni del Fascismo, ha dunque il suo precedente logico e storico nel programma d'azione del sindacalismo fascista, nella sua volontaria sottomissione allo Stato.

Il riconoscimento giuridico, disciplinato dalla legge 3 aprile 1926, la elevazione del Sindacato a dignità di ente pubblico, non si spiegano senza aver compreso le origini, la dottrina, la prassi del sindacalismo fascista.

Il Sindacato fascista subordina se stesso alla società e allo Stato, riconosce la superiorità del tutto sulla parte e, come conseguenza del dovere compiuto, conquista il diritto, proclamato poi dalla legge 3 aprile 1926, alla sua posizione giuridica privilegiata nello Stato, che si concreta nel riconoscimento di un solo Sindacato per categoria, nella rappresentanza di categoria e nel conferimento dei poteri sindacali al solo Sindacato riconosciuto.

Questa l'origine storica e politica della legge sindacale del Fascismo, talvolta dimenticata dagli stessi giuristi.

Lo Stato fascista che abbiamo realizzato è lo Stato veramente sovrano che domina tutte le forze e le energie del popolo e tutte le indirizza ai fini storici della vita nazionale.

Or bene, era naturale che lo Stato fascista dovesse interessarsi del problema che ha tormentato e tormenta il mondo contemporaneo: i rapporti tra capitale e lavoro; e dovesse questo problema risolvere nell'interesse di una pacifica convivenza fra i gruppi sociali per una sempre maggiore e migliore produzione della ricchezza nazionale.

Lo Stato ha per compito di soddisfare le esigenze fondamentali della vita dei consociati mediante la difesa all'esterno e l'ordine all'interno.

Ma deve lo Stato limitarsi a proteggere la vita e gli averi dei cittadini all'interno ed all'estero? O deve assumersi altri compiti per il bene dei cittadini e la difesa e lo sviluppo della società nazionale?

Lo Stato liberale ha sempre lasciato aperta ed insoluta "la questione sociale". Forte della sua premessa ideologica del lasciar fare e del lasciar passare, lo Stato liberale, trincerato nella semplice difesa dell'ordine pubblico, riduceva il suo compito nel campo sociale ad un affare di ordinaria amministrazione.

Nella concezione fascista lo Stato supera l'esigenza della garanzia giuridica coll'assumere un compito di giustizia negli interessi sociali in conflitto, col promuovere, attraverso un sistema di leggi, di iniziative e di istruzioni, la difesa e lo sviluppo degli individui, non più costituenti una massa grigia ed amorfa di unità numeriche indifferenziate ma una somma di unità organizzate e qualificate per funzioni produttive.

Poiché lo Stato si pone come tutto il popolo organizzato, e poiché tutti i cittadini si sentono e si riconoscono uguali di fronte alla legge, e la Nazione è il risultato, il prodotto della vita e del lavoro di tutti i suoi figli, lo Stato nella forza della sua potestà d'impero non riduce il problema delle sue funzioni ad una semplice difesa dell'ordine all'interno, bensì si assume un compito più vasto di regolare, controllare tutta la vita morale, sociale ed economica del popolo.

Lo Stato — disse il duce, all'Assemblea quinquennale del Regime, il 10 marzo 1929 — "non è il guardiano notturno che si occupa soltanto della sicurezza personale dei cittadini; non è nemmeno una organizzazione a fini puramente materiali, come quello di garantire un certo benessere ed una relativa pacifica convivenza sociale, nel qual caso a realizzarlo basterebbe un consiglio di amministrazione; non è nemmeno una creazione di politica pura, senza aderenze colla realtà mutevole e complessa della vita dei singoli e di quella dei popoli. Lo Stato, così come il Fascismo lo concepisce e lo attua, è un fatto spirituale e morale, poiché concreta la organizzazione politica, giuridica, economica della Nazione; e tale organizzazione è, nel suo sorgere e nel suo sviluppo, una manifestazione dello spirito. Lo Stato è garante della sicurezza interna ed esterna; ma è anche il custode ed il trasmettitore dello spirito del popolo, così come fu dai secoli elaborato nella lingua, nel costume, nella fede. Lo Stato non è soltanto presente, ma è anche passato e, soprattutto, futuro".

Lo Stato, non è tale, cioè non è sovrano se non riesce, come fece con l'autodifesa individuale, a vietare anche l'autodifesa di categoria e di classe ed a porsi come giudice nei conflitti fra le categorie in lotta. Questo concetto è la base della nuova costruzione giuridica che considera la soluzione del problema nei suoi termini integrali.

E così si delineano i principi fondamentali del sistema giuridico della riforma sindacale. Lo Stato concede la personalità giuridica ai Sindacati tanto dei datori di lavoro quanto dei lavoratori, sia per poter esercitare sopra di essi la sua alta vigilanza nell'interesse generale della Nazione, sia per dare loro quella consistenza patrimoniale e quelle funzioni, non solo di natura privata, ma anche di carattere pubblico che valgono a renderli atti alla difesa dei loro rispettivi interessi professionali. Al riconoscimento dei Sindacati poi fa riscontro la disciplina dei contratti collettivi di lavoro, per effetto dei quali i rapporti fra capitale e lavoro vengono trasferiti dal campo delle semplici relazioni private nel campo di un nuovo speciale diritto pubblico.

D'altra parte, negando il diritto di farsi giustizia da sé, cioè il diritto dell'autodifesa nei rapporti fra le classi e le categorie, lo Stato è logicamente condotto e moralmente obbligato a costituire per i conflitti sociali un giudice: dal che consegue da una parte l'istituzione di una magistratura obbligatoria di Stato per la risoluzione di controversie tra associazioni e datori di lavoro ed associazioni di lavoratori e professionisti, e dall'altra la giustificazione del divieto della serrata e dello sciopero.

E così riassumendo, il sistema della disciplina del lavoro s'incardina in questi quattro capisaldi:

1° Riconoscimento giuridico dei Sindacati e loro assoggettamento al controllo dello Stato;

2° Disciplina legislativa dei contratti collettivi di lavoro;

3° Magistratura obbligatoria del lavoro;

4° Divieto della serrata e dello sciopero per la salvaguardia dell'interesse nazionale.

Il Sindacato era un mito, poi è diventato una idea-forza, poi s'è inquadrato nello Stato ed è diventato una cellula di propulsione e di sviluppo dello Stato. Questa è stata la grande impresa compiuta dal Fascismo, questo il fatto nuovo che soltanto la genialità del duce poteva realizzare. Il Sindacato immesso nello Stato costituisce un elemento vivo e fattivo della società nazionale; una forza operante per il benessere di coloro che ne fanno parte e della collettività tutta intera. Non a caso, infatti, la legge del 3 aprile 1926 è considerata oggi più che mai la legge fondamentale del Regime; quella che ha dato la disciplina al lavoro e l'aspetto nuovo e caratteristico al nuovo Stato fascista, arricchitosi di un contenuto e di una pienezza che tutti gli altri tipi di Stato ignorano.

La sfera di azione e di competenza del Sindacato giuridicamente riconosciuto è varia, complessa, piena. Dalla legge sono attribuite al Sindacato funzioni sociali nel campo del contratto collettivo, del collocamento, dell'assistenza e dell'educazione.

Col contratto collettivo di lavoro si concreta la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e lavoratori e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione: con la disciplina della domanda e dell'offerta di lavoro, si afferma la tutela degli interessi economici e sociali degli associati; con l'educazione morale e nazionale si eleva il livello spirituale delle classi, consapevolmente entrate di diritto e di fatto nell'orbita dello Stato fascista; con l'istruzione tecnica e professionale si esercita un'azione selettiva fra i lavoratori migliorandone sempre più la loro capacità professionale; infine con l'assistenza ai propri rappresentati, soci e non soci, assistenza che è un diritto ed un dovere del Sindacato, si cementa fra i singoli il vincolo della solidarietà nazionale ed umana.

La disciplina del lavoro, realizzata con la legge 3 aprile 1936 e con l'azione di tutela, di assistenza e di educazione svolta dalle associazioni professionali, ascende a più alta sfera con la promulgazione della Carta del Lavoro e la costituzione delle Corporazioni.

Dal sindacalismo fascista alla disciplina giuridica del lavoro, dalla Carta del Lavoro all'istituzione delle Corporazioni, il processo di trasformazione e di costruzione è rettilineo, organico, lungimirante. Ecco che l'edificio precisa la sua armonia latina; ma nella sua essenziale struttura ogni elemento ha la sua funzione e la sua responsabilità.

Lo Stato fascista che è espressione della rivoluzione delle Camicie Nere, assume così una funzione ed una missione sociale. Tale funzione è riconosciuta dal Fascismo come fondamentale per l'esistenza dello Stato.

Il duce, nel discorso pronunziato a Roma il 14 novembre 1933-XII all'Assemblea del Consiglio Nazionale delle Corporazioni, disse: "Una rivoluzione per essere grande nella storia, per dare un'impronta profonda alla vita del popolo, deve essere sociale".

Nel pensiero del Capo, espresso nei discorsi pronunciati in questi ultimi anni, c'è una linea chiara e rigorosa della funzione che lo Stato fascista si è assunta ed assolve nel campo sociale. "Il lavoro non è oggetto ma soggetto dell'economia; bisogna che al lavoro vengano riconosciute la dignità morale e la rimunerazione economica che gli spettano; è necessario creare all'interno una organizzazione che raccorci con gradualità ed inflessibilità le distanze tra le possibilità massime e quelle minime o nulle della vita; al principio dell'uguaglianza giuridica davanti alla legge il Fascismo ve ne aggiunge un altro non meno fondamentale: l'uguaglianza degli uomini dinanzi al lavoro inteso come dovere e come diritto, come gioia creatrice che deve dilatare e nobilitare l'esistenza, non mortificarla e deprimerla.

"Tutta l'organizzazione dello Stato fascista è fatta in vista dello sviluppo della ricchezza, della potenza politica, del benessere del popolo".

Attraverso le enunciazioni del duce sono precisati i principi informatori della funzione sociale dello Stato.

Il carattere politico della rivoluzione si innesta e si dilata in un campo più vasto, di difesa, di elevazione, di conquista del popolo. Così lo Stato fascista promuove la giustizia sociale, così il fatto economico si trasferisce su un piano morale e le masse sentono ed avvertono che le realizzazioni compiute e gli istituti creati sono le tappe e gli strumenti del loro benessere e della loro elevazione.

 

LA DISCIPLINA DELLE CONTROVERSIE INDIVIDUALI DI LAVORO

La disciplina delle controversie individuali di lavoro può essere considerata come una delle prime realizzazioni fasciste della Carta del Lavoro. Alla dichiarazione X la Carta del Lavoro stabilisce "che nelle controversie individuali concernenti l'interpretazione e l'applicazione dei contratti collettivi di lavoro, le associazioni professionali hanno facoltà di interporre i loro uffici per le conciliazioni. La competenza per tali controversie è devoluta alla magistratura ordinaria, con l'aggiunta di assessori designati dalle associazioni professionali interessate".

In relazione a tali dettami della Carta del Lavoro, il Governo con R. decreto del 26 febbraio 1928 emanava le norme per la decisione delle controversie individuali di lavoro.

Con esse furono soppressi i collegi di probiviri e le commissioni per l'impiego privato, e la conoscenza delle controversie individuali relative a rapporti di lavoro fu affidata alla Magistratura ordinaria, e cioè ai Pretori e ai Tribunali, nei limiti della loro competenza, assistiti da due cittadini esperti nei problemi del lavoro e appartenenti uno ai datori di lavoro e uno ai lavoratori. Il R. decreto citato regola minuziosamente l'azione, la competenza, la rappresentanza giudiziale, l'intervento in causa, la formazione dell'albo degli esperti, nonché il procedimento nelle sue varie fasi.

Veramente si sentiva il bisogno di riunire le diverse giurisdizioni speciali in materia di lavoro, e di creare accanto alla Magistratura del Lavoro, e in posizione ad essa subordinata, un Tribunale del lavoro di prima istanza. Sicché molto opportuno fu il provvedimento legislativo, il quale riveste una importanza grandissima, sia perché i Pretori e i Tribunali sono competenti a conoscere altresì delle azioni promosse dalle Associazioni professionali legalmente riconosciute contro i singoli datori di lavoro e i singoli lavoratori per la responsabilità civile loro incombente a norma dell'art. 5 della legge del 5 aprile 1926, n. 563, sia anche perché è stato in tal modo stimolato il funzionamento della Magistratura del Lavoro. Ma da tempo si è andata delineando la opportunità di una riforma delle vigenti disposizioni legislative sulle controversie individuali del lavoro, riforma che, mentre è suggerita dalla stessa esperienza acquisita nella pratica applicazione del R. decreto 26 febbraio 1928, n. 171, è, d'altra parte, auspicata da una larga ed autorevole corrente di dottrina e vivamente sollecitata dalle organizzazioni professionali.

Se, infatti, non può disconoscersi che il sistema procedurale dettato dalle disposizioni anzidette abbia conseguito in massima lo scopo di rendere per quanto possibile rapida e sollecita la definizione delle controversie individuali del lavoro, mediante un procedimento che, pur offrendo le debite garanzie ai soggetti contendenti, era nel contempo semplice ed economico e non lasciava adito a manovre defaticanti e a dilatori espedienti, tuttavia non pochi sono stati i dubbi e le questioni sorte nella pratica giudiziaria.

A risolvere gli uni e a dirimere le altre attraverso opportune modificazioni, il Consiglio Nazionale delle Corporazioni elaborò dopo una ampia discussione una riforma che, pur lasciando inalterate le linee fondamentali del sistema e immutate le sue finalità, si propose di tener conto nelle segnalazioni pervenute circa gli inconvenienti cui con maggiore frequenza e generalità l'applicazione delle norme in esame aveva dato luogo, il modo migliore come eliminarli. Nel corso dell'ampio dibattito furono presentati tre ordini del giorno. Il primo fa voti che nella elaborazione del testo definitivo si tenga conto dei seguenti criteri:

a) obbligatorietà della denuncia alle associazioni professionali di tutte le controversie di lavoro comunque verificatesi;

b) obbligatorietà del tentativo di conciliazione davanti alle organizzazioni sindacali delle controversie derivanti da contratti collettivi;

e) riconoscimento del valore di titolo esecutivo al verbale di conciliazione ed obbligo per le commissioni di conciliazione di dare al verbale delle dichiarazioni valore di prova in giudizio;

d) conferimento alle commissioni di conciliazione della raccolta di decidere inappellabilmente le controversie di valore non superiori alle lire 500.

Il secondo fa voti che siano attuati due principi fondamentali:

a) estensione della competenza del magistrato del lavoro a giudicare di tutti i rapporti di lavoro, siano o non siano già regolati in concreto da un contratto collettivo ed indipendente dalla natura dell'ente che assume la figura di datore di lavoro;

b) obbligatorietà dell'intervento dell'associazione sindacale per il tentativo di conciliazione e valore di titolo esecutivo del relativo verbale.

Il terzo fa voti che l'ordinamento del personale di ruolo delle ferrotranvie concesse rimanga in merito alla progettata riforma invariato così nelle sue norme come nei suoi organi.

A conclusione della discussione il duce si dichiarò contrario al comma a) del secondo ordine del giorno ed al comma d) del primo. Relativamente alla inappellabilità delle decisioni pronunciate dalle commissioni terminò ricordando che la giustizia, in questa come in ogni altra materia, "per essere ben amministrata deve essere comoda e rapida".

In relazione ai voti espressi dal Consiglio Nazionale delle Corporazioni e del Parlamento, il Governo con la legge 22 gennaio 1934, n. 76, fu autorizzato ad introdurre nel testo della legge le opportune modificazioni nonché quelle che saranno necessarie per coordinare le norme medesime fra di loro.

In virtù di tali poteri il Governo ha proceduto alla redazione del testo definitivo delle norme con decreto pubblicato il 14 luglio 1934.

Il nuovo testo mantiene nelle sue linee fondamentali il sistema processuale adottato nel 1928, il quale ha dato nel suo complesso risultato soddisfacente. L'esperienza di questi sei anni di applicazioni delle vecchie norme aveva messo però in vista alcune manchevolezze, che sono state eliminate assicurando così ancora maggiore snellezza e rapidità alle decisioni delle controversie individuali sul lavoro. La maggior parte delle modificazioni apportate al testo precedente sono di carattere processuale, colmando alcuni vuoti e chiarendo i dubbi che queste avevano determinato. Il nuovo testo non si è però limitato a questo perfezionamento tecnico del procedimento, utilizzando il largo contributo dottrinale e giurisprudenziale che si è formato durante i sei anni di applicazione delle norme precedenti, ma ha altresì ampliato notevolmente il campo di applicazione delle norme medesime e ha introdotto alcune novità di particolare rilievo, venendo incontro a desideri espressi specialmente dalle organizzazioni sindacali, che ebbero autorevoli manifestazioni nelle discussioni avvenute in seno al Consiglio Nazionale delle Corporazioni.

Secondo il decreto del 1928 le controversie personali del lavoro erano di regola sottoposte alla procedura speciale solo quando derivassero da rapporti per i quali ci fossero in atto contrasti collettivi. In mancanza di questi le controversie dovevano seguire il lento corso della procedura ordinaria. Questa limitazione viene tolta dal nuovo provvedimento, il quale contempla generalmente le controversie derivanti da "rapporti di lavoro o di impiego che sono o possono essere oggetto di contratti collettivi", Non è quindi necessario che vi sia il contratto collettivo perché le controversie derivanti dai rapporti di lavoro possono usufruire dei vantaggi e delle semplificazioni della procedura speciale. Tutte le controversie di lavoro vengono così praticamente comprese nelle nuove norme.

Sono state inoltre espressamente contemplate nel nuovo provvedimento le controversie in materia di mezzadria, delle quali il decreto del 1928 non faceva parola. Poiché la disciplina dei rapporti di lavoro è stata estesa alla materia della mezzadria, era logico estendere anche alle controversie in materia di mezzadria le norme concernenti le controversie in materia di lavoro. Il nuovo provvedimento contiene pure una norma concernente le controversie relative a rapporti di lavoro di dipendenti da enti pubblici. Ma è qui da chiarire che la norma non riflette rapporti di impiego pubblico, per i quali restano immutate le disposizioni ora vigenti, che, com'è noto, deferiscono alla competenza del Consiglio di Stato e della giunta provinciale amministrativa i ricorsi prodotti sugli impiegati pubblici.

La nuova norma si limita a contemplare le controversie concernenti quei rapporti di lavoro che non hanno carattere di impiego. Per effetto di essa i più modesti dipendenti di Enti pubblici potranno usufruire delle facilitazioni processuali delle quali godono i lavoratori privati per le loro controversie di lavoro. Un altro punto assai importante della riforma è costituito dalla maggiore valorizzazione della funzione conciliatrice delle Associazioni sindacali. All'uopo, tenuto conto delle discussioni avvenute in seno al Consiglio Nazionale delle Corporazioni, si è imposto in modo generale l'obbligo di denunciare preventivamente la lite alle organizzazioni sindacali, dichiarandosi obbligatorio il tentativo di conciliazione da parte di questa e si è inoltre attribuita forza esecutiva ai verbali di conciliazione redatti dai segretari delle Associazioni medesime.

La funzione conciliativa delle Associazioni sindacali potrà così svolgersi con maggiore intensità a conseguire pienamente i suoi benefici effetti. Semplificate e chiarite le varie norme che regolano il procedimento per la definizione delle controversie individuali del lavoro, il nuovo provvedimento sarà di grande vantaggio specialmente alle classi lavoratrici per la tutela dei loro diritti e attuerà in pieno il categorico precetto del duce, per cui la giustizia, per essere efficiente, deve essere comoda e rapida: cioè chi chiede giustizia non deve essere soffocato da troppe procedure, e la giustizia deve essere resa nel più breve tempo possibile.

L'importanza della disciplina delle controversie individuali di lavoro è messa in rilievo dalle seguenti cifre.

Gli affari complessivamente trattati e definiti dalla data di attuazione del R. decreto 26 febbraio 1928 al 30 novembre 1933 furono: alle Corti di Appello 14.824, ai Tribunali 35.484, alle Preture 83.991.

Tali cifre mettono in opportuno risalto lo sviluppo assunto dal diritto del lavoro ed il contributo fattivo ed operoso che alla sua elaborazione e interpretazione ha dato la Magistratura, risolvendo punti controversi di alto valore giuridico e di notevole importanza politica.

 

DISCIPLINA DELLA DOMANDA E DELL'OFFERTA DI LAVORO

Poiché lo Stato accerta e controlla il fenomeno della occupazione e della disoccupazione dei lavoratori, indice complessivo della condizione della produzione e del lavoro, la Carta del Lavoro, alla dichiarazione XXIII, stabilisce che "Gli uffici di collocamento sono costituiti a base paritetica sotto il controllo degli organi corporativi dello Stato. I datori di lavoro hanno l'obbligo di assumere i prestatori d'opera pel tramite di detti uffici. Ad essi è data la facoltà di scelta nell'ambito degli elenchi con preferenza a coloro che appartengono al Partito e ai Sindacati fascisti, secondo l'anzianità di iscrizione".

In relazione a tale dichiarazione ed in connessione con lo sviluppo dell'ordinamento corporativo dello Stato, con R. decreto 29 marzo 1928, n. 1003, e successivo regolamento fu provveduto alla disciplina nazionale della domanda ed offerta di lavoro.

In base alle norme contenute in questi due decreti gli Uffici di collocamento vengono costituiti, man mano che se ne riconosca l'opportunità per le singole categorie, con decreti del Ministero per le Corporazioni, sentite le Corporazioni interessate. Il decreto istitutivo di ogni Ufficio di collocamento ne determina la competenza territoriale e quella per categorie professionali e per genere di produzione.

Agli Uffici di collocamento è preposta una Commissione amministrativa presieduta dal Segretario del Partito Nazionale Fascista e composta in base paritetica dai rappresentanti delle Associazioni sindacali interessate dei datori di lavoro e dei lavoratori.

È questa Commissione che sceglie, tra i dirigenti delle Organizzazioni sindacali dei lavoratori, e da queste proposti, i collocatori, i quali sono verso di essa responsabili dell'adempimento del loro compito.

I datori di lavoro hanno l'obbligo di assumere i lavoratori iscritti agli Uffici di collocamento, dandone notizia, entro cinque giorni dall'assunzione, all'Ufficio stesso. D'altra parte i prestatori d'opera disoccupati debbono iscriversi nelle liste degli Uffici di collocamento della circoscrizione in cui essi hanno la propria residenza. Per coloro che non applicano queste disposizioni vengono fissate delle particolari sanzioni. Se ben si osserva, le norme circa l'assunzione contenute nei due regi decreti contrastavano con la regola fissata nella dichiarazione XXIII della Carta del Lavoro. Mentre questa, invero, sanciva l'obbligo del datore di assumere i prestatori d'opera per il tramite degli Uffici di collocamento, i due regi decreti succitati invece ammettevano l'obbligo di assumere i lavoratori iscritti negli Uffici di collocamento ma non per il tramite degli stessi. Varie furono le osservazioni sollevate nel campo sindacale verso le disposizioni legislative in parola, che pure avevano il loro fondamento in considerazioni d'opportunità. E allora con il R. decreto 9 dicembre 1929, n. 2333, è stato fissato l'obbligo dei datori di lavoro di assumere i prestatori d'opera disoccupati per il tramite degli Uffici di collocamento, con facoltà di scelta nell'ambito degli iscritti negli elenchi e con preferenza agli appartenenti al Partito Nazionale Fascista, ai Sindacati e agli ex combattenti.

Il Ministro per le Corporazioni ha facoltà di stabilire nel decreto che istituisce i singoli Uffici o in decreto successivo la data dalla quale l'obbligo suddetto incomincia a decorrere e ha altresì facoltà di determinare le eccezioni che a tale obbligo ritenga necessarie. La mediazione, anche se gratuita, da parte di privati, di associazioni o di enti di qualsiasi natura per il collocamento dei prestatori d'opera disoccupati, è vietata rispetto a quella categoria di datori di lavoro e di prestatori d'opera per le quali vengono istituiti gli Uffici pubblici di collocamento, e nel territorio di competenza degli uffici stessi. Il datore di lavoro è dispensato dall'art. 3 del successivo R. decreto 9 dicembre 1929, n. 2393, contenente norme sulla disciplina della domanda ed offerta di lavoro, dall'obbligo di assumere i prestatori d'opera disoccupati per mezzo degli Uffici di collocamento se i lavoratori siano assunti in servizio per meno di una settimana. Però il Ministro per le Corporazioni è stato autorizzato con il R. decreto 10 luglio 1930, n. 1190, di stabilire delle deroghe a tale dispensa, qualora lo ritenga opportuno. Inoltre con il R. decreto 31 marzo 1932, n. 1003, è stata data facoltà al Ministro per le Corporazioni di disporre, ove lo ravvisi opportuno, che il collocamento dei lavoratori venga effettuato nell'ambito di ciascuna provincia del Regno da un unico Ufficio; e ciò per ragioni di economia.

In conformità delle disposizioni legislative sopraddette, sono stati costituiti gli Uffici di collocamento per i prestatori d'opera dell'agricoltura, dell'industria e del commercio, nonché per quelli addetti alle industrie dello spettacolo, alla raccolta delle ulive, alle risaie, ecc.

Gli Uffici di collocamento sono gratuiti, e per provvedere alla loro istituzione e al loro funzionamento è stato costituito un apposito fondo.

Il problema degli Uffici di collocamento è stato riesaminato recentemente dal Consiglio Nazionale delle Corporazioni, dove in un importante discorso chiarificatore il duce, dopo aver affermato l'opportunità che l'Ufficio di collocamento rimanga presso il Sindacato operaio, ha escluso la eventualità di riforme sindacali, promettendo soltanto un perfezionamento pratico della materia.

Il collocamento della mano d'opera interferisce altresì con le migrazioni interne e con l'assunzione degli invalidi ed orfani di guerra.

Per quanto riguarda le migrazioni interne, la legge 9 aprile 1931, n. 358, dettando norme per la disciplina e lo sviluppo delle medesime, ha stabilito fra l'altro che l'apposito Commissariato deve provvedere, di concerto con il Ministero delle Corporazioni, all'accertamento e alla razionale distribuzione della mano d'opera disponibile, al fine di ottenere il più conveniente impiego nel Regno, ed anche nelle Colonie. A tale scopo è stata assicurata un'intima e proficua collaborazione tra il Commissariato stesso e gli Uffici di collocamento.

Per quanto riguarda gli invalidi e gli orfani di guerra occorre ricordare che, con legge 24 marzo 1930, n. 454, sono state estese ai cittadini divenuti invalidi per la Causa nazionale tutte le disposizioni concernenti la protezione e l'assistenza degli invalidi di guerra. Inoltre con la legge 26 luglio 1929, istitutiva dell'Opera Nazionale per gli Orfani di guerra, è stato disposto che i datori di lavoro ove si trovino nella impossibilità di assumere il numero di invalidi prescritto dalla legge 21 agosto 1921, devono compensare la differenza mediante assunzione di orfani di guerra. Le provvidenze emanate a favore di questi ultimi sono state estese agli orfani e ai congiunti dei caduti per la Causa nazionale.

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