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Intervista a Anne Riitta Ciccone

Il Loggione vi propone ancora un'intervista ad un noto personaggio della cultura italiana. Questa volta, a parlarci di cinema, cultura, politica, è la regista cinematografica Anne Riitta Ciccone, nota in Finlandia anche grazie al suo film “L'amore di Marja”.

So che sta lavorando ad un nuovo film.

Sì, sto finendo di girare un film che è una coproduzione Italia-Francia-Finlandia, il cui titolo è “Il prossimo tuo”. Sono tre episodi con storie che si intrecciano, girati a Roma, Parigi e Helsinki. Gli attori sono Jean Hugues Anglade, Maya Sansa, Laura Malmivaara, Sulevi Peltola, Matti Ristinen e Vilma Melasniemi. Fortunatamente ho avuto un valido sostegno in Finlandia dalla Finnish Film Foundation e dalla FS. L’Italia al contrario rimane sempre il paese in cui è difficile poter realizzare qualcosa.

Quando uscirà nelle sale cinematografiche?

Il film sarà pronto a febbraio, ma non si sa al momento quando uscirà in sala.

L’Italia investe sempre meno nella cultura. In Finlandia è praticamente impossibile poter realizzare eventi culturali italiani in quanto mancano i soldi. Il paradosso è che, mentre non ci sono soldi per promuoverli, quegli eventi, i soldi che ci sono vengono utillizzati per pagare stipendi ricchissimi ai dipendenti delle istituzioni, in particolare degli istituti di cultura, e per organizzare cerimonie di cui, spesso, i finlandesi ci ridono in faccia.

Sarebbe interessante venire a conoscenza di come vengono investiti all’estero i soldi per la cultura. Dalla scorsa primavera faccio parte del movimento dei 100 Autori (www.100autori.it) che ha suscitato non poche polemiche in Italia, soprattutto su certa Stampa. Il nostro obiettivo è quello di occuparci dello stato di salute della cultura del Paese. Nel caso specifico, negli ultimi mesi ci siamo battuti per la nuova legge sul cinema e una gestione dei fondi pubblici veramente trasparente e pluralista. Ma è soprattutto la nostra cultura, nello specifico del cinema, che ci interessa. La scorsa estate abbiamo lavorato per la preparazione di un prontuario, andando alla ricerca di dati che ci indicassero quanto viene speso per il cinema in Italia e quanto invece nel resto d’Europa. Ci accusano di volere un cinema assistito, la verità è che l’Italia è uno dei paesi in cui lo Stato supporta meno il cinema.
Ormai in Italia stiamo raggiungendo un dislivello che ci porterà, senza voler essere tragici, a essere un paese del terzo mondo. Come si può accettare che ci sia gente in politica o nelle istituzioni che guadagnano cifre da capogiro e giovani coppie che tirano avanti con 1000 euro al mese e un mutuo di 500 euro per la casa da pagare? È una cosa che mi avvilisce da un punto di vista sociale e civile e non lo dico per invidia, ma perché c’è gente che, diversamente, non può andare in pizzeria neanche una volta al mese. Il guaio è che sinché non ci sarà una crisi profonda, le cose non cambieranno: c’è troppa gente a cui sta bene questo andazzo.

L’attuale governo di centro-sinistra è stato una delusione anche per Anne Riitta Ciccone?

Speravo che il Ministro dei Beni Culturali, Francesco Rutelli, facesse di più. Almeno per il cinema, le cose, ma soprattutto le persone, non sono molto cambiate. Spero comunque che nel prossimo futuro si facciano delle azioni più coraggiosse per cambiare il grande disastro portato nella cultura dal precedente governo.

Perché Ciccone è considerata una combattente del cinema italiano?

In generale sono sempre stata una persona combattente e combattiva. A 18 anni ho scelto di entrare nel mondo del cinema e ho capito subito che si trattava di un ambiente molto duro, anche perché il cinema, come tutto il resto in Italia, è politicamente troppo contaminato. Ebbi subito la sensazione di trovarmi in una fossa di lupi. Caratterialmente non sono una persona che zittisce in presenza di ingiustizie, non amo i compromessi e non sono molto malleabile. Quello del cineasta è un lavoro che si muove tra l’intellettuale e il clown e quindi non va neanche drammatizzato troppo. Ma uno dei nostri compiti è anche quello di denunciare e, personalmente, non ho mai chiuso gli occhi.

Qual è la sua opinione sul cinema americano? I registi d’Oltreoceano sono più bravi di quelli italiani?

Il cinema americano inteso come intrattenimento, per capirci il prodotto da popcorn, non lo amo e non mi interessa. Da laureata in filosofia posso dire che il cinema e appunto la filosofia sono molto simili: lavorano intorno al pensiero, osservano il comportamento dell’uomo cercando di capire e di porre delle domande. A me piace il film che pone domande e fa pensare. C’è chi ama il cinema d’evasione, ma mi permetto una battuta: in questo momento, in Italia, di cervelli evasi ne abbiamo un gran numero, forse è davvero arrivato il momento che si cominci a pensare... Esiste un cinema americano, indipendente, che a me piace molto e lo considero interessantissimo.
I registi americani sono tecnicamente più sostenuti, ma non sono assolutamente superiori a quelli italiani. Il regista fa un lavoro tecnico che si impara in poche settimane, quello che fa di un regista un grande regista, è il suo sguardo, quello che decide di ritagliare dalla realtà che c’è intorno. In ogni inquadratura, ognuno sceglie cosa mettere e cosa non mettere: è questo che fa la differenza. Nel modo di raccontare un momento di tenerezza o un litigio, viene fuori il talento del regista.

Ha letto il libro “Gli Aquiloni non volano più” di Ulderico Munzi?

Ho letto il libro e mi è piaciuto moltissimo. Ci siamo anche incontrati, con Munzi, a casa dell’Ambasciatore finlandese in Italia Pauli Mäkelä ed abbiamo discusso sulla possibilità di realizzare un film. Chiaramente non è il regista che decide di realizzare il film. La cosa più importante è la parte economica, il vero problema del cinema italiano. Trattandosi di un film storico verrebbe ad essere anche abbastanza costoso.

Secondo lei in cosa era diverso Manzocchi, il personaggio del libro, dai giovani di oggi? Tenendo presente che la giovinezza ha una costante psicologica indipendentemente dal palcoscenico storico.

Lui ha vissuto la sua gioventù in un palcoscenico completamente diverso, ma senza voler dire cose banali, in quel periodo c’era una formazione e una realtà completamente diversa dalla nostra, nel bene e nel male. Manzocchi era un giovane fascista ovviamente infarcito di ideologia e di ideali che ha successivamente in qualche modo trasgredito, mostrando quindi un grande spirito critico e una grande libertà interiore. A questo bisogna aggiungere il coraggio che scaturisce dall’incoscienza della sua età. E proprio l’incoscienza è la cosa che forse mi ha fatto più tenerezza di Manzocchi. Rubare un aereo per andare a trovare la ragazza lo trovo anche cinematograficamente molto bello. È in fondo la sua incoscienza che lo porta, in qualche maniera, a diventare un eroe. Da quello che ho potuto intuire, dalla sua biografia, penso che fosse una persona che non si prendeva molto sul serio, e anche questo mi piace molto.

Crede che, un giorno, si potrà realizzare il film su Manzocchi?

Lo spero, perché ho la certezza che ne verrebbe fuori un gran bel film. Da una parte sarebbe molto utile raccontare la Guerra d’Inverno che purtroppo è poco nota al mondo, e dall’altra si avrebbe occasione di poter raccontare senza eccessiva retorica il coraggio di questo ragazzo e del suo spirito libero.

Lei conosce molto bene entrambe le culture, quella italiana e quella finlandese: ritiene che ci sia, in Finlandia, una maggiore obiettività e più libertà di discussione su argomenti che riguardano la politica, la storia e i personaggi della storia?

C’è senz’altro molta più obiettività in Finlandia che in Italia. Penso che in Italia ci siano due linee politiche che considerano il proprio avversario, nemico. Da noi non esiste la discussione, ma la continua polemica e “dalla polemica non è mai nata una buona idea”. In realtà non si cerca la verità o la soluzione, si cerca soltanto di avere ragione. Ma la cosa che fa più male e lo dico da persona che ama in egual misura l’Italia e la Finlandia, è che il sentimento del rispetto, quello che si riconosce al prossimo, a prescindere dal suo ceto sociale, è un sentimento che in Italia si sta completamente atrofizzando. Non c’è rispetto, ma paura e soggezione verso chi ci può fare qualcosa di male.

Sempre meno rispettosi e sempre più servili, come scrivevo qualche tempo fa sul Loggione a proposito dell’intervista rilasciata ad un giornale dall’Ambasciatore Pauli Mäkelä?

È esattamente così.

Un’ultima domanda: la considerazione della donna in Italia è diversa da quella che si ha in Finlandia. Per quanto riguarda l’Italia, la colpa di ciò è da attribuire esclusivamente agli uomini? In Finlandia ci sono molto più donne in politica, nei posti che “contano”. Ma in Finlandia è normale anche entrare in un cantiere e incontrare donne che fanno saldature, lavori di carpenteria ecc. Forse le finlandesi, in più delle italiane, hanno saputo anche conquistarselo il posto che hanno nella società?

Credo che sia una questione storica. La storia remota della Finlandia è fatta di uomini che andavano lontano da casa, in cerca di lavoro e di donne che avevano il compito di dover provvedere a tutto quello che serviva per la propria famiglia. In Italia la donna ha cominciato ad emanciparsi durante la Prima Guerra Mondiale, entrando nelle fabbriche svuotate dagli uomini partiti per il fronte. Una situazione storica e culturale ha fatto in modo che le donne italiane si emancipassero molto più tardi di quelle finlandesi. Oggi le donne italiane sono molto combattive, anche se dall’altra parte c’è una forma di resistenza anche abbastanza agguerrita da parte degli uomini. Diciamo anche che il berlusconismo ha contribuito a ribaltare un po’ la figura della donna combattiva degli anni ’70.

Grazie per l’intervista e arrivederci presto in Finlandia, spero

Vengo spesso in Finlandia a trovare mia madre: certo, potrebbe essere un’occasione per incontrarci. Grazie a voi. Saluto tutti i lettori del Loggione. (28.9.2007)




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