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Damiano al tempio Zen Hokoku-ji di Kamakura, 18 dicembre 2000.
Giovedì 14 dicembre 2000: Il lungo volo.
Il viaggio inizia all'Aeroporto
Malpensa di Milano, Giovedì 14 dicembre 2000, quando io e il mio
collega Fabio partiamo infine per il nostro viaggio lavorativo a Tokyo,
con l'intenzione di approfittare della conferenza per una breve vacanza
in Giappone.
Cominciamo con un volo Alitalia
che in realtà è un volo Japan Airlines, a seguito di una
convenzione tra le due compagnie. Il viaggio è molto lungo, e i
posti molto spaziosi aiutano a rendere il volo meno traumatico. Le hostess
sono gentili e piacevoli come e più che nelle altre compagnie in
cui abbiamo volato (Alitalia, SAS, KLM, Canadian Airlines, Air France…).
Molte indossano grembiulini decorati a fiori e altro, e l'hostess "capo"
ci dà personalmente il benvenuto a bordo con inchino. Siamo gli
unici occidentali in quella parte dell'aeromobile, gli altri passeggeri
essendo tutti giapponesi con una preponderanza di donne. Un rapido esame
delle viaggiatrici contrasta con alcune immagini stereotipate della donna
orientale che noi occidentali abbiamo. Chi sono queste donne che viaggiano
in business class con oggetti d'arte e altra mercanzia apparentemente pregiata
come bagaglio a mano? Donne manager? Rampolle di famiglie miliardarie?
Semplici lavoratrici che rientrano da una vacanza?
Il viaggio procede bene con due
pasti. Dura circa 14 ore. Partiamo da Milano alle 19.30 e atterriamo a
Tokyo (ora locale) alle 17.00 circa del 15 dicembre. Siamo un po' storditi
dal lungo volo e dal cambio di fuso orario.
All'aeroporto iniziamo le procedure
di sbarco con una coda di venti minuti circa per il controllo passaporti,
un po' stupiti dalla ridotta efficienza nella procedura di smistamento.
Poi alla dogana bagagli un poliziotto apre un fascicolo e ce lo sottopone.
Il quaderno ci mostra immagini di droghe varie, donne seminude in pose
inequivocabili e altro…
"Ma che diavolo…?!?!?"
Il poliziotto ci chiede se siamo
in Giappone per quei motivi, e quando gli diciamo che no, certo, siamo
in Giappone solo come speaker e ascoltatori di un convegno, e al più
come turisti, annuisce e ci perquisisce per vedere se portiamo armi. Peccato
che non controlli lo zainetto: avrei potuto nasconderci un arsenale e non
se ne sarebbe accorto, data anche l'assenza del metal detector in uscita.
All'ufficio di informazione turistica (TIC) dell'aeroporto raccogliamo
documentazione su possibili escursioni turistiche, e poi procediamo al
treno "Narita express" che ci porterà alla stazione ferroviaria
di Tokyo. I punti di accesso al treno sono tutti marcati a bordo binario
e i giapponesi si mettono ordinatamente e automaticamente in file indiane
nei corrispondenti tratti, in attesa dell'arrivo del treno. Quasi non mi
accorgo delle file, abituato ai tipici assalti al treno italiani di stampo
western, ma poi ci accodiamo evitando la relativa figuraccia.
Arriviamo alla Tokyo Eki, la stazione
centrale che una volta usciti scopriremo essere costruita sul modello di
quella di Amsterdam che ancora ricordo bene, e prendiamo l'uscita Marunouchi
nord, come da istruzioni.
Venerdì 15 dicembre: Il primo impatto... Marunouchi hotel e in giro per Roppongi.
Raggiungiamo l'hotel Marunouchi
senza problemi. I ragazzi in divisa che fanno da portieri si lanciano ad
aiutarci con i bagagli, mostrando la foga tipicamente "manguesque" di questo
popolo con un senso di responsabilità che noi giudichiamo spesso
eccessivo. Un facchino ci strappa i bagagli, intanto noi ci registriamo
e un cartello informa di non dare mance perché tanto verrà
aggiunto il dieci per cento al conto finale a titolo di mancia globale
sintetica. Raggiungiamo le stanze appena assegnateci, dove il ragazzo in
divisa mi elenca i servizi fondamentali e gli orari, prima di andarsene
con un inchino. Le sistemazioni si rivelano più che adeguate ma
abbastanza canoniche, con l'eccezione forse della vestaglia da camera e
delle pantofole nuove che in genere non fanno parte del servizio standard
internazionale. Sorrido ripensando a qualche anno prima, quando facevo
parte dell'ambiente accademico e dormivo in pensioncine o piccoli hotel
durante le conferenze... la vita tutto sommato non era molto diversa eccetto
che per piccoli particolari come questi, ai quali, ora come allora, attribuisco
scarsa importanza. Appena riposti i bagagli, mi stendo sul letto per un
breve riposo.
Quindi mi rinfresco un po', faccio
una doccia e ci incontriamo nell'atrio all'ora stabilita scendendo nella
stazione metro più vicina con l'idea di andare a Roppongi, il quartiere
dove i Gaijin (stranieri) sono maggiormente presenti. Non vediamo nessun
altro occidentale in giro, solo giapponesi. Strano, paragonato al numero
di orientali che si vedono nelle nostre città e nella metropolitana
milanese in particolare. Alle macchinette automatiche per i biglietti ci
confondiamo e mettiamo dentro banconote per un valore di 80.000 lire senza
riuscire ad avere alcun biglietto. Arriva un signore sui quarantacinque
e gli chiediamo se parla inglese ma lui nega molto veementemente e poi
aggiunge "sorry". Evidentemente è di fretta e non può aiutarci.
Poi arrivano due ragazze, e chiediamo loro se parlano inglese. Fanno cenno
con la testa per dire "molto poco", poi vedono l'importo che abbiamo messo
dentro e scoppiamo tutti a ridere. Diciamo "Roppongi" e loro, dopo averci
corretto la pronuncia sostituendo la "g" molla con quella dura, ci indicano
il bottone da 160 yen (cira 3200 lire) Per fortuna la macchina ci dà
i biglietti ma anche il resto delle 80.000, fino all'ultimo yen. Queste
macchine automatiche per i biglietti mi ricordano, come aspetto, i classici
calcolatori "main frame" degli anni settanta, con finiture massicce e spartane,
colori metallici e poca grazia. Tuttavia, sono efficientissime e a quanto
pare, pur essendo in funzione da molti anni, si guastano raramente. Ci
produciamo in "Arigato" a profusione e cenni di inchino verso le due ragazze
e ci avviamo finalmente a prendere la metropolitana. Vediamo la manutenzione
fare pulizie con dedizione, come se fosse la cosa più importante
del mondo. Un passeggero per sbaglio rompe una bottiglia sulla pensilina
e in pochi secondi una squadra di pulizia arriva scendendo le scale e rimuove
i frammenti di vetro, pulendo il pavimento.
Arrivati, cominciamo a girare per
Roppongi.
Roppongi, 15 dicembre 2000. La pasticceria "Almond" in rosa shocking e' visibile sulla destra
Appena usciti dalla metropolitana
ci affacciamo su Roppongi crossing, con la pasticceria in rosa shocking
"Almond", classico punto d'incontro per la gente. Grossa calca, traffico
stradale all'ennesima potenza, luci dappertutto, insegne che scorrono,
schermi giganti che trasmettono gli ultimi video musicali... si direbbe
di essere a Manhattan o in qualche mega metropoli americana. La gente è
dappertutto, e cominciamo infine a vedere qualche faccia straniera. Notiamo
subito l'abbigliamento dominante nelle ragazze giapponesi che girano per
la zona: capelli tinti, spesso castano chiaro, stivali con tacchi e zeppe
altissime, i cosiddetti "zatteroni", che in Italia mettono solo le ragazze
più "esagerate", borsetta di marca, telefonino di dimensioni più
grandi dei nostri ma sempre con dei ninnoli personalizzanti agganciati
all'antennina o altrove... Sono discrete nell'uso del telefono però,
dato che non si sente mai la suoneria e parlano quasi sottovoce.
Ho letto sulla stampa del problema che i giapponesi sentono di avere con
l'attuale generazione delle giovani donne nel loro paese. Sembra esserci
il fenomeno che i giapponesi stessi hanno denominato "fenomeno delle parassite",
ragazze che finita la scuola si sistemano con i genitori e pensano solo
allo shopping con le amiche per le strade del centro, non cercano un lavoro
serio, lavorando solo saltuariamente, e alla famiglia non pensano neanche
lontanamente. Il fenomeno è in crescita preoccupante, dicono i giornali.
Cerco di bilanciare questo con la condizione femminile tradizionale in
giappone, ma fatico a mettere tutto in prospettiva.
A Roppongi ceniamo in bistro relativamente
tranquillo con cucina pseudo-indiana. Siamo seduti vicino a una signora
che indossa un impermeabile viola e un cappello sgargiante che scende ai
lati del viso coprendole parte della faccia. La televisione è posta
in alto sopra i tavolini e trasmette video musicali. Finito di mangiare
facciamo una passeggiata per la zona. Lungo una delle strade principali
vediamo la Torre di Tokyo sullo sfondo, illuminata nella notte, ma decidiamo
di lasciarla per più avanti.
Statua di Batman con stelle di natale al Warner Shop di Ginza, e Damiano con la Torre di Tokyo sullo sfondo a Roppongi.
Notiamo gran presenza di automobili Mercedes e BMW ultimo modello, macchinoni di ogni genere, locali con ingressi strani, uno dei quali con un ragazzo in costume da bagno (in dicembre!) che finge di nuotare davanti alla porta (uno strano modo per attirare i clienti!), vari topless bar e le solite cose tipiche della vita notturna. Ora che è tardi, notiamo a Roppongi crossing la presenza di ragazze vestite in modo sofisticato e anche appariscente per certi aspetti, con buon sospetto che alcune possano essere "di servizio" o che almeno fungano da specchietto per le allodole per i numerosi locali della zona. Rientriamo in albergo subito dopo questo giro, anche perché l'indomani ci aspetta la conferenza.
Sabato 16 dicembre. Il Life Insurance Building: Conference, day one.
Sabato 16 dicembre è il primo
giorno della conferenza. Ci alziamo, procediamo a una colazione esagerata
e poi ci incamminiamo verso il grattacielo della conferenza. Le istruzioni
dicono otto minuti a piedi, ma noi quasi di corsa ce ne mettiamo quindici.
Arriviamo giusti alle 8.55, e fuori dall'edificio ci aspetta un ragazzo
che ci indirizza subito al piano giusto. L'organizzazione appare molto
coordinata ed efficiente. Saliamo e la segretaria Keiko ci dà il
benvenuto e l'attrezzatura: Un cartellino di riconoscimento con nome e
affiliazione che funge anche da pass, da non perdersi assolutamente, un
volume di proceedings, una scatoletta radio con una cuffia per la traduzione
simultanea di quei pochi interventi che verranno fatti in giapponese, e
biglietti vari per pranzi e party. A un certo punto dobbiamo gettare via
una carta e non vediamo un cestino. Chiediamo lumi a Keiko, la quale si
inchina con mani a coppa e ci prega di darla a lei, che se ne occuperà
immediatamente. Un po’ stupiti da questa cortesia forse eccessiva per i
nostri standard, la ringraziamo scherzando. Durante la conferenza gli assistenti
alla regia, i curatori dei microfoni e il resto del personale di supporto
sono attentissimi e quasi esagerati. A dieci minuti dalla fine del tempo
di ciascun intervento lo speaker viene avvisato da un campanello, che poi
suona due volte a meno cinque minuti e più volte a tempo scaduto.
Non si guarda in faccia a nessuno, anche gli speaker più celebri
e lo stesso organizzatore vengono trattati così. Quando qualcuno
chiede il microfono per fare domande a intervento concluso, i ragazzi a
bordo sala si lanciano in una corsa pazza per porgere il microfono a chi
ha chiesto di intervenire nel minor tempo possibile. Uno di questi ragazzi
è vestito con completo a doppiopetto e cravatta, ma in scarpe da
tennis bianche sfavillanti, il classico "pugno su un occhio". Le
mosse esagerate e le corse da forsennati di questi ragazzi sono degne di
una staffetta 4x400 e ricordano un Samurai nella sua ultima battaglia,
mostrando quanto tutto sia serio per loro.
A pranzo un ingegnere finanziario
giapponese ci raggiunge dicendo che vorrebbe approfondire un nostro modello
matematico apparso in passato, e poi ci raggiunge anche il professor Daiba
di Tokyo (si chiama come il pupillo di Capitan Harlock, che però
risulta essere un nome comune in Giappone), che è stato sposato
per anni con una Francese ma che ora vive in Giappone e si è risposato
con una Giapponese. Daiba ci sembra un Giapponese particolare, scherzando
dice che all'università giapponese si lavora a ritmi più
che accettabili e si è pagati bene, e parlando di cose varie ci
dice anche che le ragazze italiane e francesi parlano troppo e sono molto
problematiche (ci vengono subito in mente certe amiche che avrebbero reagito
a questa affermazione con una scarica di mitra). Alcuni suoi studenti stanno
lavorando sulle implicazioni di un nostro lavoro passato e avrebbe piacere
se in futuro potessimo chiarire i loro dubbi in un seminario da tenersi
a Tokyo. Precisiamo che per noi il viaggio è abbastanza pesante,
essendo in effetti ancora intontiti dal cambio di fuso orario, ma che l'idea
è buona.
Nel pomeriggio il nostro primo
intervento scorre liscio, e la sera ci aspetta un party. Accompagnati da
un collega giapponese che si perde (a seguito della mancanza di nomi e
numeri nelle vie, una caratteristica che continua a stupirmi in un popolo
per altri versi così pragmatico) trovo la strada con la mia mappa
e arriviamo. Parliamo con un sacco di gente, compreso uno dei referee anonimi
del nostro libro per la Springer che getta la maschera, e ci facciamo una
prima idea un po' più approfondita dei giapponesi. Parlo un po'
anche con Keiko, e poi con una moltitudine di studenti che mi chiedono
di tutto. Purtroppo in generale l'Inglese è capito poco, e fanno
fatica a capirmi, però è sempre un piacere aiutarli. Scambiamo
freneticamente biglietti da visita, un rituale che la mia guida giudicava
importante in Giappone. Ricevuto ciascun biglietto, lo leggo un attimo
mostrando interesse, e a mia volta ne porgo uno mio alla persona di turno.
Nella confusione porgo un biglietto anche a una persona che poi mi accorgo
immediatamente essere una sorta di super-cameriere addetto all'organizzazione
del party, al quale chiaramente non potrebbe interessare di meno il mio
biglietto, ma quando faccio per scusarmi lui sorride e si inchina, mettendo
via il biglietto invece di restituirmelo, che immagino costituirebbe una
scorrettezza. Guardando gli studenti e i giovani professionisti giapponesi,
che conversano con noi intrattenendoci, viene anche da pensare che è
sabato sera e che probabilmente avrebbero di meglio da fare che stare lì
a chiacchierare. Per noi è il nostro lavoro, ma per loro…. Poi però
penso a tutti gli interventi e conferenze che mi sono sorbito in vita mia
e dei quali mi interessava poco e concludo che queste cose rischino di
essere inevitabili.
Finito il party andiamo a bere
qualcosa a Ginza con dei colleghi americani e australiani. A un'occhiata
superficiale Ginza sembra molto Manhattan.
Ginza di notte, 16 dicembre 2000, e Shibuya di giorno, 19 dicembre.
Grattacieli e centri commerciali di lusso, esplosioni di insegne luminose dappertutto, meglio e peggio di Times Square. Qui affittare un negozio costa il triplo che nella Rodeo Drive di Beverly Hill. A Ginza c'è il terreno più caro del mondo. La gente qui si scatena a fare shopping. Noi beviamo e rientriamo in albergo stanchi. Il jet lag fa il resto e andiamo a letto alle 23.00, riuscendo a dormire ininterrottamente fino alle 7.50 della mattina dopo, domenica 17, secondo giorno della conferenza.
Domenica 17 dicembre. Il Life Insurance Building: Conference, day two.
Il secondo giorno procede bene,
pranziamo ancora col professor Daiba e altri, e nel pomeriggio presento
il nostro secondo intervento. Alla fine della conferenza usciamo dalla
stanza dopo la "closing speech". Keiko ci saluta tutti con la consueta
cortesia quasi esagerata, stringendo le mani a tutti i partecipanti in
uscita. Io ho entrambe le mani occupate nel reggere le trasparenze dell'intervento
e altri oggetti, perciò chiude singolarmente ciascuna delle mie
mani tra le sue, prima la sinistra e poi la destra, mentre continuo a reggere
gli oggetti. Mi sembra un po' triste come "stretta di mano", quindi la
saluto all' "occidentale" con un bacio per guancia, sperando di non contravvenire
qualche sofisticata etichetta orientale.
Torniamo in albergo e decidiamo,
dopo un riposino di un paio d'ore, di passare la serata a Ginza. La raggiungiamo
a piedi, guidati da un enorme edificio moderno dall'architettura interessante
e grandiosa, il centro di esposizioni internazionali di Tokyo, e cominciamo
a passeggiare. Non ci sono nomi e numeri delle vie, quindi siamo costretti
a cercare edifici di riferimento sulla mappa. Scambio un edificio cilindrico
sulla mappa per una torre di trasmissione e ci perdiamo. Chiediamo spesso
ai locali, che a volte ci aiutano e altre volte ridono! Raggiungiamo presto
l'edificio del teatro Kabukiza, nei pressi del quale la nostra guida segnala
un interessante ristorante indiano. Comunque, il problema è che
molti ristoranti sono chiusi e non riusciamo a trovare niente che sia aperto
la domenica sera alle 22.00. Strano, paragonato a Milano o a Roma. Andiamo
avanti, tornando verso la stazione, e guardiamo i prezzi dei vestiti e
delle scarpe italiani nelle vetrine delle boutique presenti a Ginza. I
prezzi sono proibitivi, e capiamo perché spesso i giapponesi assalgano
i negozi di via Montenapoleone a Milano. Torniamo verso la stazione, mentre
il quartiere muore sempre di più… la sera tardi di domenica non
è proprio la serata giusta per girare Ginza se non si ha una meta
specifica in mente.
Alla fine troviamo un caffè
aperto vicino alla stazione, dove ordiniamo una tazza di tè, un
cappuccino (!) e due fette di torta. Ci sono molte ragazze sole o in gruppo
in questo locale. Parlano spesso fittamente a distanza ravvicinata, come
se si stessero scambiando impressioni o confidenze. A prima vista sembra
che le ragazze escano più dei ragazzi, ma per il resto l'ambiente
non sembra molto diverso da quanto si vede dalle nostre parti. Purtroppo
la ragazza che serve ai tavoli parla molto poco inglese e dunque ci porta
davanti alle torte per scegliere indicando col dito. Continuo a stupirmi,
pensavo l'inglese fosse molto più diffuso, almeno tra i giovani.
Torniamo quindi in albergo e andiamo a dormire, preparandoci per la vacanza
vera e propria.
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