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mafia

Oggi sono determinanti i contributi di Umberto Santino sulla mafia: Citiamo tra gli altri

La democrazia bloccata, la strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Soveria Mannelli:Rubbettino, 1997 (La strage di   Portella della Ginestra del primo maggio 1947 non fu un fatto isolato, bensì il paradigma della  'democrazia bloccata' )

1) la mafia e' un insieme di associazioni criminali, di cui la piu' importante, ma non l'unica, e' Cosa nostra, denominazione che viene usata dopo le rivelazioni di Buscetta del 1984 e di cui prima non ci sono tracce. In Sicilia, secondo recenti rilevazioni, i gruppi criminali di tipo mafioso sarebbero 181, con circa 5.500 affiliati, cioe' lo 0,11% della popolazione, che ammonta a circa 5 milioni (uno su mille). Oltre a Cosa nostra i gruppi piu' significativi sono le 'Stidde' delle province di Agrigento e Caltanissetta e i clan catanesi non aderenti a Cosa nostra;

2) i gruppi mafiosi agiscono all'interno di un sistema di relazioni, un blocco sociale che attraversa i vari strati della popolazione (dai ceti popolari legati al contrabbando di tabacchi, allo spaccio di droghe e adaltre attivita', ai ceti piu' alti), al cui interno la funzione di comando e' svolta dai soggetti illegali e legali piu' ricchi e potenti: capimafia, politici, imprenditori, professionisti legati ai mafiosi etc. (quella che chiamo borghesia mafiosa). Questo strato dominante comprende alcune decine di migliaia di persone, mentre il blocco sociale si estende ad alcune centinaia di migliaia;

3) la specificità della mafia, rispetto ad altre forme di criminalità, e' data dal ricorso sistematico alla violenza, attuata o potenziale, derivante dal fatto che la mafia ha un suo ordinamento e non riconosce il monopolio statale della forza;

4) l'agire mafioso si concreta nella pratica di attività illegali e legali al fine di accumulare ricchezza ed acquisire e gestire posizioni di potere. Questi aspetti economici e politici si saldano con aspetti culturali (per esempio, la legittimità dell'uso della violenza);

5) i rapporti tra mafia, politica e istituzioni sono complessi. Per un verso, poiché la mafia - come abbiamo già detto - non riconosce il monopolio statale della violenza, essa e' fuori e contro lo Stato, ma essa e' dentro e con lo Stato per una serie di attività, dall'uso del denaro pubblico, per esempio con l'accaparramento degli appalti di opere pubbliche, al controllo delle istituzioni, con il peso rilevante nel procacciamento dei voti e con il condizionamento dei processi decisionali;

6) pertanto si può parlare di doppia mafia in doppio Stato. La doppiezza dello Stato si concreta nella formale proclamazione del monopolio della violenza contraddetta dall'impunita' di cui i delitti mafiosi hanno goduto per lungo tempo, tanto da configurarsi come licenza di uccidere e costituire una vera e propria forma di legittimazione;

7) la mafia si può considerare soggetto politico in duplice senso: essa esercita un potere in proprio, configurabile come signoria su un dato  territorio, con un codice di leggi e un apparato coercitivo per l'applicazione delle sanzioni previste per le trasgressioni, e interagisce con il potere ufficiale secondo le modalità già richiamate [per un approfondimento cfr. La mafia come soggetto politico, 1994];

8) questo quadro sommariamente delineato permette di affermare che nel nostro Paese si e' formato e consolidato nel tempo un blocco dominante al cui interno operava un soggetto criminale e ciò e' tornato utile in tutta la storia dello Stato unitario e particolarmente nella fase della contrapposizione Est-Ovest, durata per mezzo secolo. Anche in altri Paesi, per esempio gli Stati Uniti e vari Paesi dell'America Latina, i gruppi criminali hanno avuto un ruolo importante nell'economia e nel rapporto con le istituzioni, ma l'Italia può considerarsi il Paese occidentale in cui l'interazione crimine-economia-potere ha assunto caratteristiche di vero e proprio modello, per la capillarità e la persistenza di tali collegamenti, per cui si può parlare di una forma Stato profondamente permeata di mafia, fino all'identificazione tra istituzioni e mafia, almeno in alcuni settori;

9) un altro aspetto da mettere in luce e' che la mafia ha goduto e gode di un certo consenso sociale, il che non significa che tutti i siciliani, o quasi, sono mafiosi, complici o sudditi della mafia. Il movimento contadino si batteva contro la mafia; più recentemente, la nascita di gruppi, centri, associazioni e le manifestazioni successive ai grandi delitti, da Dalla Chiesa a Falcone e Borsellino, segnano la ripresa, su basi diverse, dell'impegno antimafia. Tale impegno, nel passato e ancora oggi, si e' scontrato e continua a scontrarsi non solo con l'organizzazione criminale mafiosa, ma con tutta la rete di complicità e di protezione di cui essa gode. E ritorniamo al punto centrale di questo libro: il rapporto mafia-politica-istituzioni".

Evidenziata la complessità e l'articolazione del rapporto tra mafia e politica ("Non c'e' una supercupola, formata da qualche decina di persone misteriose, che impartisce ordini; c'e' invece una serie di relazioni che vanno dall'identificazione tra politici, alta e media borghesia e mafiosi (nel caso di affiliazione formale all'organizzazione mafiosa o compenetrazione organica), alla contiguità e allo scambio, in forme per lo più permanenti e onnicomprensive ma anche episodiche e limitate. Non siamo di fronte a un'isola, ma a un arcipelago o a un continente"), si analizza il rapporto tra mafia e DC con specifico riferimento alla Sicilia, ma anche evidenziando i fattori nazionali ed internazionali. Il giudizio, argomentato con inconfutabili esempi lungo centinaia di pagine, e' che l'equazione DC=mafia "e' scorretta se criminalizza tutto il partito e tutto il suo elettorato, ma e' correttissima se guarda al suo gruppo dirigente, o almeno alla parte più solida, potente e duratura di esso e se, più che configurare un'identificazione totalizzante, riassume una vasta gamma di rapporti con il mondo mafioso e individua una peculiare modalità nell'esercizio del potere".

L'analisi si approfondisce esaminando il rapporto tra corrente andreottiana della DC e mafia. Si evidenzia l'organica alleanza ricostruendo in particolare le vicende che specificamente riguardano Lima ed Andreotti.

Ovviamente nel libro non si nasconde che la piu' rilevante espressione della sinistra politica italiana, il PCI, ha commesso un errore catastrofico nella  sua strategia di ricerca di un compromesso con la DC, e particolarmente con Andreotti, e con le dominanti forze sociali e gli egemonici interessi economici e di potere che DC ed Andreotti rappresentano lungo cinquant'anni di storia repubblicana. Nella parte conclusiva del libro si analizzano i rapporti tra la mafia ed i "nuovi" schieramenti e partiti politici, evidenziando non solo la natura dell'operazione berlusconiana ed i rapporti tra Berlusconi, i suoi manutengoli ed i suoi alleati con personaggi ed interessi legati ai poteri criminali, ma anche come esponenti e intrecci della camarilla andreottiana si siano ricollocati e riprodotti al potere anche nell'area del cosiddetto centrosinistra. 

( bypassiamo la coltre dei luoghi comuni (seguiamo il contributo di Umberto Santino [email protected]  -: www.centroimpastato.it) 

 punti fondamentali di un atteggiamento antimafia per Umberto Santino:  - sul piano conoscitivo, avere una conoscenza adeguata dei fenomeni criminali e della realtà in cui essi si sono formati e sviluppati, fornendosi degli strumenti necessari e contribuendo, sulla base delle proprie conoscenze ed esperienze, ad arricchire il patrimonio di analisi;

- sul piano economico, boicottare le attività illegali e contribuire alla  crescita dell'economia legale, sapendo che il mercato non e' un toccasana e che occorre porre l'accento sulla socialità dell'economia, cioè sulla sua  finalizzazione al soddisfacimento dei bisogni;

- sul piano politico, vivere la democrazia non solo nelle scadenze rituali, ma quotidianamente, cioè sviluppare le forme di partecipazione e di  controllo delle istituzioni, individuare e denunciare tutte le forme di collusione con la criminalità e di criminalità interna, praticare il pluralismo dei poteri (quello che ho chiamato lo 'Stato diffuso'); 

- sul piano sociale, creare e rafforzare il tessuto della società civile, partecipando al controllo del territorio con forme di vigilanza dal basso e con la diffusione della rete di servizi;

- sul piano culturale ed educativo, agire sui comportamenti della vita quotidiana, dare concretezza alla scelta della nonviolenza, democratizzare la scuola ed aprirla al territorio;

- sul piano etico, elaborare e praticare un'etica comune, al di là delle fedi religiose e dei codici ideologici, fondata sul pluralismo e il rispetto delle diversità, sulla concretezza, sul fare e non solo sul non fare, sull'impegno comunitario, sulla radicalità e il conflitto e non sull'unanimismo che rischia di condannare e assolvere tutti, sul qui e ora e non sull'attesa di un improbabile futuro.

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Fonti 

 

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