RESPINTA AL MITTENTE

di Eros Capostagno

Ci siamo già più volte occupati su queste colonne delle vicende tecnico-economiche legate all'evoluzione del sistema televisivo in Italia e delle interferenze politiche che l'hanno spesso condizionato (v. L'Avanguardia nel N.31). Ritorniamo sull'argomento perché un nuovo capitolo è attualmente in corso di redazione, con l'interminabile tormentone della fusione sì-fusione no tra Stream e Telepiù.

Nel dicembre scorso l'Autorità Antitrust (nominata dal precedente Governo) aveva bocciato la richiesta di fusione, dal momento che essa avrebbe creato una situazione di monopolio talmente forte da impedire l'eventuale accesso di altri operatori al mercato della televisione satellitare digitale a pagamento.

Per aggirare l'ostacolo, il gruppo multinazionale francese Vivendi, proprietario di Telepiù, ha ripresentato la richiesta, sostituendo in pratica al termine "fusione" il termine "acquisto". Per chi si delizia con i cavilli giuridici, la differenza è sostanziale. Per chi, come noi, si diletta poco di giurisprudenza, la differenza conta poco, visto che il risultato sarebbe lo stesso. Evidentemente non dobbiamo essere molto lontani dal vero se, come sembra in questi giorni, l'Autorità Antitrust è intenzionata a bocciare anche questa proposta.

Per mettere le mani avanti e tentare probabilmente di condizionare l'Antitrust, il patròn di Vivendi, Jean-Marie Messier, ha emesso l'altro giorno un comunicato in cui minaccia, in caso di mancato benestare alla fusione/acquisto, di abbandonare il mercato televisivo italiano, uscendo da Telepiù, e accusando (ma guarda...) il Primo Ministro italiano, Silvio Berlusconi, di essere il regista occulto del diniego. La ragione? Elementare Watson!: impedendo la nascita di un forte gruppo televisivo (di fatto monopolistico) appartenente a giganti come Murdoch (News Corporation) e Messier (Vivendi), Berlusconi eviterebbe un concorrente al suo presunto monopolio televisivo (Mediaset)!

La capziosità di questa affermazione è stridente, anche se nel pasticciaccio brutto del digitale italiano la confusione è tale che si può anche pescare nel torbido con simili idiozie. Proviamo ad immergerci nel torbido.

Innanzi tutto occorre sgombrare la strada da un equivoco, visto che Mediaset non ha alcun interesse nel digitale satellitare. Infatti, pur essendo stato il primo network italiano ad abbandonare l'analogico per passare al digitale (1997), Mediaset ha rinunciato a costruire un network satellitare, vendendo anche la sua quota in Telepiù, e limitandosi a fornire programmi ai gestori di network satellitari (le attuali trasmissioni satellitari Mediaset non sono destinate al pubblico, ma all'alimentazione dei propri relais terrestri).

Questa decisione è verosimilmente dipesa da considerazioni commerciali: la televisione tradizionale via etere è talmente radicata in Italia ed è fonte di redditi "sicuri" almeno per molti anni ancora, che al Biscione hanno preferito puntare su redditi sicuri nel presente che su forti indebitamenti per investimenti a redditività in un lontano fututro.

E' una decisione che ci lascia perplessi, vista la capacità del Gruppo e del suo fondatore di affrontare simili sfide tecnologiche e commerciali nel campo della TV, e soprattutto la capacità di riuscirvi, ma bisogna tener conto anche degli ululati che si sarebbero levati nell'Italia governata dalla Sinistra e dalle Toghe Rosse, qualora Mediaset si fosse lanciata su quella strada. Non dimentichiamo che l'obiettivo di quella certa Italia era di distruggere Mediaset, altro che farla sviluppare!

Fu dunque così che Telepiù finì sotto il controllo totale di Canalplus francese, gruppo Vivendi.

In quel periodo partì pure Stream, frutto dell'interesse che il magnate televisivo Rupert Murdoch nutriva per le potenzialità del mercato televisivo italiano (la News Corporation di Murdoch detiene attualmente il 50% di Stream). Partenza ad handicap, visto che Telepiù aveva già monopolizzato il piccolo mercato disponibile e che a Stream venivano poste non poche restrizioni da quel medesimo potere politico, che riteneva a giusta ragione di non poter avere su Murdoch quel "controllo" che ha sempre cercato di esercitare sulla comunicazione televisiva (e non). Tra queste restrizioni, la principale fu quella di non poter avere diritti televisivi su oltre un certo numero di squadre di calcio, che, come noto, costituiscono la maggiore fonte di proventi delle televisioni a pagamento.

La situazione precipitò quando nel 2000 Telepiù annunciò la decisione di cambiare lo standard delle proprie trasmissioni, abbandonando la codifica Irdeto, usata anche da Stream, per passare alla codifica Seca. Per Telepiù/Vivendi, lo scopo era duplice. Da un lato il gruppo francese avrebbe imposto lo standard di trasmission Seca del cui brevetto esso è proprietario, facendo quindi crollare i guadagni dei titolari del brevetto Irdeto, dall'altro obbligava i telespettatori satellitari italiani a scegliere l'uno o l'altro dei due network, a meno di dotarsi di due differenti decoder, uno per Stream/Irdeto e l'altro per Telepiù/Seca: tenendo conto dello squilibrio nelle quote di mercato, l'operazione era decisamente perdente per Stream, oltre che intollerabile per i consumatori.

Su spinta delle associazioni dei consumatori, intervenne allora nuovamente il potere politico, in particolare nella persona del sottosegretario diessino Vincenzo Vita (per inciso, uno dei massimi teorici della distruzione di Mediaset), che impose ai due operatori di fornire agli utenti un "decoder unico", in grado cioé di decodificare entrambi gli standard di trasmissione.

Decisione quanto mai ineccepibile, se non fosse per il trascurabile dettaglio che tale "decoder unico" non esisteva, e che bisognava dunque convincere i maggiori fabbricanti (Nokia,...) a inventarlo, risolvendo tra l'altro alcune controversie legali legate all'utilizzo nel medesimo apparecchio di tecnologie protette da brevetti diversi.

Inutile dire che, come accadeva per i piani quinquennali decisi nel chiuso del Cremlino negli anni ruggenti del Comunismo, le scadenze poste velletariamente da Vita per la commercializzazione dei nuovi decoder sono slittate a varie riprese, visto che la scienza (e le ragioni del mercato) non è sempre in grado di seguire le programmazioni dei politburo.

In questa incertezza, il mercato del digitale si è fermato, come era logico che fosse, dal momento che gli utenti italiani attendevano un briciolo di chiarezza prima di gettar via i vecchi decoder e soprattutto prima di comprarne di nuovi per adeguarsi a standard tutt'altro che certi e definitivi. Non dimentichiamo che chi aveva comprato nel 1997 un decoder digitale a 1.800.000 lire, si trovava tre anni dopo a doverlo rottamare a 300.000 lire: questa era infatti l'offerta-rottamazione di Telepiù.

Oltre a favorire il deprecabile fenomeno della pirateria, questa incertezza ha bloccato lo sviluppo del digitale per più di un anno, facendo non diciamo crollare i profitti, ma aumentare i già ragguardevoli passivi dei due network. Ancora una volta, data la differente consistenza delle quote di mercato, a farne le spese è stata maggiormente Stream.

A questo punto il socio italiano di Murdoch in Stream, la Telecom Italia, decise che il business della televisione digitale non era più strategico per lui, e decise quindi di porre in vendita la sua quota. Rimasto solo, ed impossibilitato ad espandersi in virtù delle norme anti-Murdoch introdotte a suo tempo da Vita e compagni, Murdoch iniziò le trattative per vendere Stream ai concorrenti di Telepiù/Vivendi, e lasciare quindi a questi ultimi il monopolio della TV satellitare digitale in Italia. Antitrust permettendo.

Ecco quindi il cerchio che si chiude. E qui occorre forse fare una piccola considerazione, anzi tre.

Una riguarda una certa imprenditoria italiana che, magari fregiandosi anche del titolo di "Ingegnere" si dedica ormai esclusivamente ad esercizi e giochi finanziari, che nulla hanno a che fare con l'imprenditoria e la politica industriale. Il risultato ormai costante di questa imprenditoria è il fallimento dell'attività intrapresa, con la rovina dei piccoli azionisti che vi avevano creduto, la vendita dell'attività a gruppi stranieri, il licenziamento di molti dipendenti e, naturalmente, un cospicuo profitto economico personale. Naturalmente lo scenario non riguarda solo il settore TV, come, ahimé, ben noto.

Una seconda considerazione, profondamente sconsolante, riguarda l'interesse nazionale.

Sono quasi trent'anni che l'Italia, unica in Europa, ha inventato il business della televisione commerciale, sia su scala nazionale che in ambito locale, acquisendo un'esperienza ed una capacità uniche. A parte l'esempio di democrazia e di libertà d'espressione rappresentato dalle circa 800 TV locali che possono fare informazione nella massima indipendenza, trent'anni di esperienza hanno mostrato che per fare una TV a livello nazionale, occorrono sia delle dimensioni minime, al di sotto delle quali non si può sopravvivere, sia la capacità di saper "fare televisione".

Che piaccia o no, tanti industriali e presunti industriali hanno provato a fare televisione, da Agnelli a Tanzi a Rizzoli a Cecchi Gori ed altri, e tutti con risultati fallimentari. Tutti tranne Berlusconi, che anzi ha tentato di esportare l'attività in Francia (La Cinq), in Germania (Telefünf) e in Spagna (Telecinco). Ebbene, invece di considerare l'universo televisivo Mediaset un "patrimonio nazionale" (come ipocritamente ebbe a dire D'Alema) e sostenerne l'espansione come multinazionale italiana (analoga ai gruppi di Murdoch, di Kirch, di Messier), l'odio ideologico portò i vari Vita, Toghe Rosse e compagni a lavorare per il suo ridimensionamento (addirittura tentarono il commissariamento!) e magari a favorire qualche Toga straniera in calore per colpire Berlusconi anche all'estero (vedi il caso di Telecinco).

L'ultima considerazione riguarda l'arroganza del tutto fuori posto che certi francesi stanno mostrando.

Abbiamo preso spunto dall'insinuazione, anzi dall'aperta accusa del patron di Vivendi, Jean-Marie Messier, al Governo Italiano di ostacolare lo sviluppo di Vivendi in Italia per non infastidire Mediaset: proprio lui che ha operato ed opera per estromettere potenziali concorrenti dalla TV digitale e creare un suo monopolio praticamente in tutta Europa (al di fuori di Gran Bretagna e Germania)!

Un'accusa che viene dalla Francia: proprio dal Paese che rifiuta arrogantemente di adeguarsi alla normativa europea sulla liberalizzazione del mercato dell'energia, mantenendo il monopolio di EDF, proprio quell'EDF che ha comprato quote di impianti di produzione di energia in Paesi, come l'Italia, che hanno liberalizzato, forse con troppa precipitazione, il proprio mercato!

Un'accusa che viene dalla Francia, dove la televisione libera di fatto non esiste ed ogni tentativo in tal senso è sempre stato stroncato sul nascere, come nel caso de La Cinq!

Ci auguriamo che il Governo non si lasci condizionare da insinuazioni ed arroganze, così come ha dimostrato di saper fare nel caso dell'Airbus militare, e che sappia rapidamente creare le condizioni più adeguate per la transizione, prima o poi ineluttabile, dalle trasmissioni televisive via etere a quelle satellitari digitali, senza penalizzare ulteriormente le imprese italiane del settore, già sufficientemente penalizzate dall'insipienza, dall'ottusità e dall'incapacità dei governi precedenti.

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