UNA LUNGA PAUSA

di Eros Capostagno

Chi ha avuto occasione di conoscere i Paesi dell'Est negli anni '70, ricorderà quella particolare atmosfera di sonnolenza che gravava sulla vita quotidiana della gente. Una burocrazia dirigista caratterizzava quei regimi: qualunque decisione, a tutti i livelli, doveva essere presa da un qualche "Comitato Centrale", che assicurava così il controllo totale sulla società.

Se a questo si aggiunge l'impossibilità di libere manifestazioni del pensiero, data la natura dei regimi vigenti, si comprende come, con l'andare degli anni, era stata indotta in quei popoli una sorta di rassegnata atarassia. Giocoforza era infatti per i cittadini adattarsi a quel poco che i vari Comitati Centrali concedevano, senza correre rischi peraltro inutili.

Le conseguenze di questa organizzazione sociale sono ben note: invece di creare e distribuire ricchezza, quei regimi hanno distrutto le fonti stesse della ricchezza, distribuendo povertà e rassegnazione a tutti, donde quell'atmosfera di torpore di cui dicevamo.

Guardando all'Italia di fine secolo, abbiamo l'impressione che anche il nostro Paese, mutatis mutandis, abbia vissuto negli ultimi anni un lungo periodo di torpore.

Da un lato, l'inconcludenza dei governi via via succedutisi, unitamente allo strapotere concesso a troppe entità locali, una sorta di tanti piccoli "comitati centrali", ha impedito la realizzazione di opere pubbliche e condotto al fallimento di quelle iniziate (da Italia 90 alle mancate opere per il Giubileo a Roma 2000). Dall'altro, la follia legislativa di maggioranze composite, prive di un progetto globale, e attente unicamente alla gestione del Potere, ha portato alla crescita di una burocrazia cancerogena, le cui metastasi hanno di fatto soffocato qualsiasi velleità gli spiriti più intraprendenti potessero avere.

La necessità di ricorrere al prelievo fiscale per compensare la ridotta creazione di ricchezza, ha drenato quelle risorse che, in condizioni virtuose, avrebbero dovuto consentirne la creazione, instaurando così un circolo vizioso da cui povertà e disoccupazione venivano distribuite a piene mani.

L'ideologizzazione della società ha condotto poi ad una intollerabile... tolleranza nei riguardi del crimine e della sicurezza, con la rinuncia alla prevenzione e con l'abolizione di fatto della repressione, sino alle tragicomiche sentenze che mandano liberi i minori assassini perché "non pericolosi socialmente" o perché presunte vittime di una società ingiusta.

Pur prescindendo dalle conseguenze immediate di queste situazioni, disoccupazione, povertà, insicurezza..., l'aspetto più drammatico che l'italiano all'estero ha percepito in questi anni dell'Italia è lo stato di rassegnazione con cui tutto ciò è stato recepito e vissuto dalla gente.

A dispetto della vivacità e delle capacità di reazione, che sono comuni prerogative del popolo italiano, si direbbe che i tanti Comitati Centrali che si sono insediati nella società italiana nell'ultimo decennio, abbiano distribuito a piene mani (soprattutto attraverso il controllo dei mezzi di comunicazione) un potente soporifero, inducendo negli italiani una sorta di rassegnato fatalismo di fronte ad una decadenza ed un imbarbarimento della società quasi ineluttabili.

Un lungo periodo di torpore, una "lunga pausa" durata fino al 13 maggio, quando la sveglia sembra aver finalmente suonato. In vista di una "lunga marcia"? Ce lo auguriamo.

E' vero che, visti i risultati delle urne, si dovrebbe concludere che una considerevole percentuale di italiani sembri non gradire l'ipotesi di un risveglio, preferendo riconoscersi nell'Italia della "lunga pausa", ma questo non deve essere drammatizzato: a fronte di cambiamenti concreti e di un sistema-Italia che si rimetta lentamente in moto, l'entusiasmo e la volontà non dovrebbero tardare a contagiare anche quegli strati della popolazione più assuefatti al torpore generalizzato.

Riduzione dell'imposizione per favorire il benessere individuale e la voglia di investire, riduzione della quantità di leggi/norme che disincentivano la creazione d'imprese, revisione in senso pragmatico dell'istruzione, delega da parte dello Stato di tutte quelle funzioni attualmente inutilmente centalizzate, con l'affermazione in parallelo di un potere centrale sufficientemente forte e legittimato da poter imporre decisioni di interesse generale: se saprà davvero perseguire questo programma, la Casa delle Libertà riuscirà certamente a trascinare l'Italia fuori dalla "lunga pausa".

Cosa che non potrà non avere conseguenze anche a livello europeo, dal momento che anche l'Europa sembra vivere un lungo periodo di torpore.

In effetti, abbiamo visto in questi anni come la costruzione europea sia stata perseguita da governi in gran parte socialisti, che hanno trasferito nell'Unione Europea le loro radici ideologiche, sia politiche che economiche. Ci troviamo quindi in un'Europa le cui strutture sono fortemente centralizate e con tendenza ad un decisionismo di vertice che pretende di imporsi sempre e dovunque sui Parlamenti nazionali. Oltretutto, trattandosi di strutture intrinsecamente deboli e prive di una vera legittimazione popolare, esse sono facile preda di lobbies che le utilizzano per i propri interessi, donde l'emanazione di leggi comunitarie spesso apparentemente incomprensibili per i cittadini, ma emanate a difesa di precisi interessi particolari.

Inoltre un rigido controllo dell'economia, con alti livelli di imposizione fiscale, ha prodotto tassi di disoccupazione intollerabilmente elevati e tassi di crescita ridicoli, almeno rispetto a quelli degli Stati Uniti, e proprio negli anni in cui il ciclo economico mondiale era altamente favorevole.

Particolarmente significativo è che quei Paesi che, pur facendo parte dell'U.E. come l'Irlanda, applicano criteri diversi in economia, mantenendo una propria autonomia, conoscono crescite impressionanti. Quello che è inquietante è che i vertici dell'Unione, invece di correggere le proprie impostazioni, magari sul modello irlandese, sembrano intenzionati ad imporre all'Irlanda i modelli fallimentari del resto d'Europa, per frenarne lo slancio.

Esemplare poi il caso dell'Euro, presentato (chissà poi perché) in funzione antiamericana, come la moneta che avrebbe dovuto schiacciare il dollaro, e che è finita da questo ridicolizzata.

Ecco perché diciamo che anche l'Europa sembra vivere una "lunga pausa", dalla quale crediamo che esistano ormai i presupposti per poterne uscire.

Il Partito Popolare Europeo ha conquistato lo scorso anno la maggioranza al Parlamento Europeo: oggi, con il carisma e la personalità di un Berlusconi, in particolare se accompagnato dal successo della sua ricetta economica e sociale in Italia, il PPE ha per la prima volta la possibilità di orientare la barra dell'Unione Europea su rotte diverse da quelle sinora seguite dalle maggioranze socialiste. Non solamente in campo economico, con un avvicinamento ai sistemi di Irlanda e Gran Bretagna, ma anche su quello politico, con l'abbandono di quell'antiamericanismo strisciante che ha caratterizzato la politica "estera" dell'Europa in questi anni, e su quello sociale, con la rivalutazione degli individui e dei popoli rispetto alle oligarchie finanziarie.

L'Italia uscita dalle elezioni del 13 maggio, l'Italia "sognata" da Berlusconi, potrebbe giocare un ruolo essenziale in quest'Europa nel momento in cui, apprestandosi ad allargarsi ad Est, essa si trova percorsa da fremiti vari, come la crisi di identità politica della Francia associata però ad una notevole aggressività economico-industriale, o le smanie tedesche di porsi come "riferimento" per i Paesi nuovi entranti, o i dissensi sulla conduzione della Banca Centrale, o la tutt'altro che sopita ipotesi di un'Europa a due velocità.

Un ruolo, quello dell'Italia, che potrebbe essere decisivo nello spostare gli equilibri politici dell'Unione. Non è un caso che, fiutato il pericolo, per la prima volta nella storia della costruzione europea, una certa lobby internazionale si sia scatenata nella maniera oscena che abbiamo visto, contro un leader di un Paese membro.

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