UNA STORIA ITALIANA

di Eros Capostagno

L'odio di cui è fatto oggetto Silvio Berlusconi viene da molto lontano.

Per più di cinquant'anni il Partito Comunista le ha tentate tutte per salire al Potere, arrivandoci pure molto vicino nel '48 e nel '76, quando era al massimo della sua diffusione ed i fasti del comunismo internazionale gli apportavano un indubbio sostegno.

In quelle due occasioni, bastava veramente poco al PCI per diventare il primo partito italiano e, superando la DC, acquisire il diritto ad esprimere il Presidente del Consiglio. Questo successo avrebbe probabilmente attratto sul carro del vincitore molti altri italiani, trasformando così la vittoria in un trionfo. Bastava talmente poco, che un'eventuale cattiveria o addirittura "ferocia" durante le campagne elettorali sarebbero state, se non giustificate, quanto meno comprensibili.

Eppure, in nessuna di queste due campagne elettorali, gli esponenti della sinistra comunista si erano lasciati andare alla delegittimazione, all'insulto, al disprezzo, alla demonizzazione dei leaders avversari o, peggio, alla caccia all'uomo, come sta accadendo in queste settimane a conclusione di sette anni di persecuzione.

Quello a cui la democrazia ci aveva abituato era uno scontro sulle ideologie, sul modello di società e di sviluppo che DC da un lato e PCI dall'altro sostenevano per l'Italia, sull'appartenenza al mondo occidentale o al modello sovietico, su un'economia di mercato o di tipo statale, ma mai era stata messa in causa l'onorabilità e la legittimità dei leaders come persone.

Certo, avremmo preferito in quegli anni sentir parlare un po' più spesso di programmi concreti e un po' meno di ideologie, ma quelli erano i tempi, il mondo si scontrava sulle ideologie. In ogni caso né Scelba né De Gasperi, bestie nere delle sinistre, furono fatti oggetto di killeraggio e di istigazione alla crocefissione come Berlusconi. Il che è tanto più significativo per De Gasperi nel '48, che si trovava alle spalle una guerra civile combattuta con armi vere e sangue vero, e di fronte un Togliatti che negli anni di Stalin non aveva esitato a mandare a morte centinaia di italiani "rifugiatisi" a Mosca.

In effetti, a ben guardare, ci sono state due eccezioni a questo fair-play da parte della Sinistra: Tambroni nel '60 e Craxi ai giorni nostri.

Il primo si trovò ad operare nel momento in cui la sinistra democristiana, ed in particolare il Segretario del partito, Aldo Moro, aveva già deciso di dar luogo alla svolta di centro-sinistra e alle famose "convergenze parallele", ossia all'inserimento dei Socialisti nel Governo e ad un certo coinvolgimento del PCI nel Potere. Pur di ottenere la fiducia per il suo Governo, in un momento di particolare instabilità politica, Tambroni accettò alla Camera i voti del MSI, che risultarono determinanti.

Accusato di voler definitivamente legittimare il MSI come normale partito della democrazia italiana, Tambroni divenne l'obiettivo degli attacchi congiunti della sinistra DC e delle forze socialcomuniste, che temevano di veder allontanare la loro associazione all'area di Governo (e, più a lunga gittata, la creazione del famigerato "Arco Costituzionale"). La posta in gioco era talmente alta che i socialcomunisti non esitarono a creare disordini violenti in varie città d'Italia, e perseguitare poi Tambroni per il suo pugno duro verso i facinorosi, sino a condurlo, con le complicità interne della DC, alle dimissioni ed alla successiva morte per infarto.

Come noto, eliminato Tambroni, i socialisti di Nenni vennero poco dopo associati direttamente al Governo, mentre il PCI, col pretesto dell'Arco Costituzionale, iniziò la sua associazione al Potere, culminata nella tragica (per l'Italia) esperienza del consociativismo.

La seconda eccezione fu quella di Bettino Craxi, reo di aver portato il Partito Socialista da posizioni di totale dipendenza dal PCI, a posizioni di netta chiusura a sinistra e vicine alle moderne socialdemocrazie europee. Finita l'era dei sogni della rivoluzione proletaria, Craxi tagliava in questo modo l'erba sotto i piedi al PCI, costretto ormai a presentarsi sotto le vesti di un partito socialdemocratico per non finire travolto dalla Storia.

Aiutato dalla sua forte personalità e dalle sue indubbie capacità, Craxi cominciò in effetti a drenare voti dal PCI. Il pericolo per il Partito Comunista di essere messo fuori gioco e di ridursi come il Partito Comunista Francese, diveniva reale. Ecco dunque l'ordine di sparare ad "alzo zero" contro Craxi, per fargli fare la fine di Tambroni.

In quest'opera, il PCI/PDS fu aiutato da quei circoli finanziari italiani che avevano sempre determinato le politiche economiche dei vari Governi, sfruttando a proprio vantaggio quanto poteva essere ottenuto dallo Stato, e scaricando su questo tutte le loro inefficienze, difficoltà e fallimenti. Craxi aveva per l'appunto tentato di interrompere questo andazzo perverso, onde ristabilire il primato della Politica e l'interesse reale della collettività sull'interesse dei soliti Poteri Forti.

Come è andata a finire con Craxi, lo sappiamo bene. Come sono finite le proprietà migliori dello Stato, svendute nelle mani di pochi noti (leggi: privatizzazioni), lo sappiamo ugualmente. Come è finita col PCI/PDS/DS, lo sappiamo ancora meglio: tolto Craxi di mezzo, ha coronato nel 1998 la lunga marcia di avvicinamento al Potere iniziata nel 1960, portando D'Alema a Palazzo Chigi.

In realtà c'era stato nel 1994 un ostacolo imprevisto, la scesa in campo di Berlusconi, che aveva scompaginato i programmi di tutte quelle forze che, dopo aver eliminato Craxi, pensavano di aver sistemato definitivamente i loro affari: il PCI/PDS al Potere, con l'avvallo dei soliti Affaristi, i quali in cambio, avrebbero avuto libertà d'azione nel mettere le "mani sul malloppo" (leggi: beni dello Stato) e nel collocare la posizione economico-industriale del Paese in funzione di certe lobbies internazionali di cui essi stessi facevano (fanno) parte.

Siccome non c'è due senza tre, dopo Tambroni e Craxi, fu la volta del Cavaliere ad essere oggetto di demonizzazione da parte delle forze della reazione (che, con la solita mistificazione, si facevano chiamare "progressisti"): le forze di sinistra propriamente dette, la stampa di proprietà dei suddetti Affaristi, esponenti di vertici delle Istituzioni e di certa Magistratura che degli accordi di Potere si erano fatti garanti.

La crocefissione di Berlusconi divenne quindi una crociata, coronata da successo alla fine del '94. L'ordine sembrava dunque ristabilito, un po' come dopo i moti liberali del 1848, schiacciati dall'intervento dell'esercito austriaco, che sembrava aver "ristabilito l'ordine", costringendo all'esilio i rivoluzionari superstiti.

Purtroppo per l'establishment, il Cavaliere è tornato dall'esilio ed in questi anni è riuscito a dimostrare l'imbroglio su cui gli eredi del PCI hanno basato il loro potere, che arrogantemente pretendevano inattaccabile.

Sino alla fine degli anni '80, i comunisti avevano infatti cercato di convincere gli ingenui col miraggio del paradiso comunista. Caduto il bluff, sono stati costretti a ripiegare su qualcosa d'altro e si sono buttati su una presunta "diversità", basata sulla loro presunta limpidezza morale, a sua volta basata, come noto, sulla sagace approvazione della legge che faceva cadere in prescrizione i reati di finanziamento illecito compiuti prima del 1989!

Una volta annientati, anche fisicamente, gli avversari con l'imbroglio della questione morale, hanno assunto il Potere, estendendo il loro controllo su tutti i settori della società italiana, cercando poi di costruire meccanismi (par condicio, ineleggibilità...) che rendessero difficile nel futuro la perdita del Potere stesso. Hanno fatto cioé quello cui si erano preparati negli anni d'oro del comunismo.

Quello che preme sottolineare è che Berlusconi ha messo a nudo in questi anni l'ipocrisia di questa "casta". Il fallimento dell'esperienza di Governo degli eredi del PCI ha fatto il resto. Ecco quindi il consenso che il Cavaliere è riuscito a creare intorno a sé, basandosi sulla forza delle proprie idee e dell'esempio personale, nonché della visione di un futuro per l'Italia fondato su una nuova "filosofia di Governo".

Filosofia di Governo che spazzerebbe via una classe politica già esautorata dalla Storia, e che soprattutto porrebbe fine a quell'asservimento della politica italiana agli interessi di un capitalismo familiare di lunga data. Quel capitalismo familiare che, se ha indubbiamente avuto anche tanti meriti nel passato, purtroppo ha ridotto l'Italia, negli ultimi anni, ad una mera "espressione geografica" dal punto di vista industriale.

A differenza del '94, questa situazione sarebbe oggi pressoché irreversibile, e per la prima volta nel dopoguerra, come giustamente è stato rilevato, una cultura non-comunista prenderebbe il controllo della società italiana. Una rivoluzione, insomma. Donde, consci del pericolo mortale, il "Crucifige!" a tutti i costi, e con l'uso di qualsiasi mezzo, come ad esempio l'uso dello Straniero contro il proprio Paese.

Che fare dunque in queste condizioni, almeno fino al 13 maggio? La tentazione di reagire alla violenza è forte, così come la tentazione, inutile negarlo, di pensare ad un regolamento di conti (che sarebbe pure sacrosanto) dopo le elezioni, ma sappiamo bene che ciò non avverrà, non essendo nella nostra "filosofia". Quello che dovremo fare è impegnarci individualmente, con molta determinazione, per riuscire davvero a cambiare radicalmente l'Italia.

Di tutto il resto, sarà la Storia a fare giustizia.

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