DOVE NASCONO I BRIGATISTI

di Tito Livio

Correva l'anno 1974 e nelle auguste stanze del Viminale siedeva uno dei baroni democristiani, il genovese Paolo Emilio Taviani, quale Ministro degli Interni.

Proprio nella città di Genova, un ancora poco conosciuto gruppo rivoluzionario, le "cosiddette" Brigate Rosse, rapirono un magistrato, il dott. Mario Sossi, lo sottoposero ad un "processo proletario" con tanto di foto sotto al loro vessillo, poi lo rilasciarono.

Dai documenti diffusi dai brigatisti, emergevano chiaramente una preparazione ideologica, una conoscenza di fatti e meccanismi, una dialettica tali da rendere evidente la presenza, nel gruppo, di ideologi e strateghi che andavano ben al di là della manovalanza terroristica. Al dott. Sossi andò bene, visto che oggi può portare l'etichetta del "proto-rapito" dalle BR, anziché quella del "proto-martire".

Ad altri non andò così bene. Come noto, l'elenco delle vittime brigatiste, dei rapiti, dei gambizzati, si allargherà infatti a macchia d'olio in altre città ed in altre realtà, culminando, ma non finendo, nella strage di via Fani.

I bersagli del terrorismo assassino non erano scelti a caso: gli strateghi BR miravano a colpire dei personaggi che occupavano posizioni magari non di primissimo piano per il grande pubblico, ma che rivestivano ruoli importanti nella definizione di strategie aziendali, nella definizione di linee politiche, o che ricoprivano ruoli nell'apparato repressivo del terrorismo. Ma non solo.

In quegli anni il Partito Comunista aveva raggiunto l'apice della forza elettorale e, per attrarre anche l'elettorato moderato, aveva spostato il suo asse politico su posizioni più moderate rispetto alla sua tradizione (eurocomunismo, "distinguo" da Mosca,...): come dicevano i comunisti puri e duri, si "era imborghesito" ed aveva perduto la sua spinta rivoluzionaria.

Ecco quindi che nel mirino degli estremisti finirono anche personaggi che, pur appartenendo al mondo della Sinistra, venivano ritenuti dal delirio brigatista, nemici o traditori del movimento operaio, perché ispiratori di linee politiche troppo moderate.

Significativa la rivendicazione BR dell'assassinio a Genova del Procuratore Generale Francesco Coco nel 1976, in cui si legge: "...Chi ritiene oggi che per via elettorale si potranno determinare equilibri favorevoli al proletariato [...] indica una linea avventuristica e suicida. L'unica alternativa al potere è la lotta armata per il comunismo". E ancora, l'anno successivo, la violenta contestazione di Luciano Lama, segretario della CGIL, quando tentò di tenere un comizio agli studenti che occupavano l'Università di Roma.

E' chiaro dunque che il movimento delle BR nacque da una costola della sinistra comunista e cominciò a svilupparsi all'interno della sinistra italiana, almeno sino a quando questa se ne dissociò, e l'attacco brigatista si allargò addirittura alle Istituzioni dello Stato ed in un certo senso allo stesso PCI, per il suo presunto abbandono dell'ortodossia rivoluzionaria.

Non ostante tutto, l'ineffabile Ministro degli Interni, Taviani, è rimasto famoso da allora per la sua acuta osservazione secondo cui "non esistono opposti estremismi, esiste solo il terrorismo di destra!". Oggi non sappiamo più nemmeno se ridere per la sagacia del Ministro o piangere per gli anni di piombo che l'insipienza di siffatti Ministri ci ha fatto passare.

Passano gli anni e finiscono pure i millenni: arriviamo al 1999, e nelle auguste stanze di Palazzo Chigi siede per la prima volta un Premier (ex-)comunista, così come al Ministero del Lavoro siede un altro notabile (ex-)comunista, l'on Bassolino.

Tra i maggiori collaboratori di quest'ultimo, c'è il prof. D'Antona, sconosciuto al grande pubblico, ma elemento di primissimo piano all'interno del Ministero: egli infatti sta elaborando con molta discrezione una revisione del mitico "Statuto dei lavoratori", ormai vecchio di circa trent'anni, per renderlo più consono ad una moderna economia di mercato.

Delitto gravissimo evidentemente, per chi ancora si trastulla coi miti della rivoluzione proletaria, tanto grave da giustificare l'eliminazione fisica di chi ne è responsabile. Né più né meno quello che è toccato in questo secolo ai tanti compagni accusati di "revisionismo", né più né meno quello che accadde ai primordi delle BR coi "traditori" del movimento operaio rivoluzionario.

E' in pratica quello che è stato apertamente dichiarato dagli stessi assassini del prof. D'Antona nel rituale delirante documento di rivendicazione, che tra l'altro attingeva ad informazioni ben precise sull'attività del D'Antona, informazioni provenienti chiaramente dall'interno dello stesso Ministero del Lavoro.

In questo senso, il delitto D'Antona è maturato in seno alle contraddizioni di una classe politica che, per mantenersi al Potere, ha dovuto far coesistere chi tenta di far dimenticare il proprio passato comunista con chi del comunismo si fa ancora vanto e si propone di "rifondarlo", chi rinnega ogni legame col vecchio terrorismo di sinistra con chi opera per portare in Italia i vari Ocalan o va ad accogliere la Baraldini coi fiori in mano.

Problema, quello dei terroristi assaassini, che riguarda tutto il Paese ovviamente, ma che nasce da contraddizioni tutte interne alla Sinistra italiana vecchia e nuova.

In questo senso dunque, parlare di un problema "interno alla Sinistra", come causa scatenante del delirio omicida degli assassini di D'Antona, ci sembra assolutamente appropriato ed abbastanza chiaro per chiunque abbia già vissuto l'esperienza degli anni di piombo.

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