ITALIANI NEL MONDO - N°2

di Calogero

Nel numero precedente abbiamo stigmatizzato l'attitudine delle autorità italiane che, mentre a parole vorrebbero favorire la diffusione della cultura italiana ed il riavvicinamento alla madrepatria degli emigrati e dei loro discendenti, di fatto sembrano operare in direzione opposta (v. Dietro la facciata del voto all'estero). Su tale argomento abbiamo ricevuto una gradita nota dell'amico M.A., di cui riteniamo interessante pubblicare la parte concernente gli Enti che all'estero si incaricano delle iniziative per la promozione della lingua e della cultura italiane:

"Anche se incalzato da molti impegni, non posso fare a meno di commentare le osservazioni di Calogero sul n. 46 di Italia Osservatorio Politico Estero. Chi ha letto Newsitaliapress del 10 giugno, vi ha trovato importanti accenni a una mia recente esperienza proprio in questo campo, in cui peraltro opero fin dai primi anni '80. Premesso che la situazione in Europa è molto diversa - e in fondo più controllabile - che nel resto del mondo, ma aggiunto che ormai i maggiori finanziamenti sul cap. 3577 sono diretti proprio verso l'America del Sud e l'Australia, devo subito dire che il sistema di affidare questi servizi a enti privati, nacque appunto per sottrarre lo Stato e in particolare i suoi organi periferici (Consolati) a impegni considerati troppo rischiosi, e quindi scaricare questi impegni e i rischi connessi - in particolare connessi alla assunzione di personale locale - su dei "prestanome". Un modo di agire e di pensare che fin dall'inizio era e apparve a dir poco vergognoso. Inevitabile contropartita di questa "privatizzazione" perversa (perchè basata sulle amicizie, sugli equivoci e sulle furberie, non certo su gare e trasparenti contratti di appalto), era e in genere è ancora, che i prestanome in questione disponessero di ampi margini di guadagno per "assicurarsi" contro le scocciature e i rischi che si assumevano al posto di una amministrazione incapace. Da queste premesse, a seconda delle situazioni locali, sono poi derivate, e spesso si sono incancrenite, situazioni altro che "poco limpide"! Situazioni di cui recentemente il nuovo CGIE - in cui per la prima volta gli "enti gestori" non sono riusciti a pilotare completamente le elezioni, grazie anche al coraggio insolitamente dimostrato da qualche console e persino da qualche ambasciatore - sta tentando di aprire un dibattito, in particolare su iniziativa di Carlo Consiglio di Toronto. Ciò evidentemente non toglie che fra i "gestori" ci siano anche - specialmente in Europa - degli ingenui o entusiasti in buona fede, che alla fine rischiano di rimetterci di persona".

Siamo totalmente d'accordo con M.A. sull'analisi del "mongolismo dalla nascita" da cui sono affetti gli Enti gestori, e delle relative conseguenze, ed è solo per pudore che ci eravamo limitati ad usare l'eufemismo di "organismi non sempre limpidi".

Siamo meno d'accordo sulla conclusione che ne tira:

"...non sarebbe meglio rinunciare a quel tipo di stato postnapoleonico che da noi non funziona, e organizzarci in altri modi, inediti, che in parte già traspaiono sotto la dura e inutile scorza burocratica?"

Non è del tutto chiaro a quale modello di stato si faccia riferimento, non vorremmo però che nel buttar via questo Stato con tutti i suoi pannolini, si buttasse via anche il bébé.

Le recentissime elezioni europee, col sostanziale fallimento del voto italiano all'estero (~16%) ci hanno confermato quanto abbiamo ripetutamente sostenuto: gli italiani all'estero, ed in particolare i loro discendenti, non sanno cosa farsene di "rappresentanti", siano essi eletti al Parlamento europeo o al Parlamento nazionale, trattandosi di personaggi che emanano o che comunque sono legati alle Istituzioni di un Paese, l'Italia, che hanno certamente presente nel cuore ma che sentono lontanissimo dalla loro vita. Né sarà differente il giorno in cui dovranno eleggere i rappresentanti della "Circoscrizione Estero", teoricamente di estrazione locale. Basta infatti guardare ai Comites, sempre più somiglianti a quei soldati giapponesi invecchiati nella giungla in attesa della fine della seconda guerra mondiale.

Viceversa, tutti vorrebbero sentire l'Italia un po' meno lontana, e questo è possibile, a nostro avviso, solo con un'accorta politica culturale. Dopodiché ben venga anche il voto per chi si trova all'estero, anche se con opportune limitazioni. Per fare questo, non è necessario riformare lo Stato (cosa peraltro assolutamente indispensabile, ma per ben altre ragioni), è necessario invece che chi di dovere si decida ad aprire tutt'e due gli occhi e a dare un taglio netto alle connivenze, alle complicità, alle situazioni notoriamente "poco limpide". Taglio netto facilmente realizzabile con un drastico taglio di fondi, laddove un serio controllo abbia riscontrato irregolarità, ma certamente non con un taglio indiscriminato.

In queste condizioni, lo Stato potrebbe benissimo continuare ad assumere le sue responsabilità, senza scaricarle su prestanome, furbi approfittatori o ingenui o fessi entusiasti secondo i casi.

Non si vede infatti perché questi Enti debbano essere trattati diversamente, con maggiore magnanimità, dagli Istituti di Cultura che, a fronte di ampi margini discrezionali nella scelta dei programmi culturali, sono comunque sottoposti al rigido controllo della Corte dei Conti.

A meno che non si debba ammettere che della cultura italiana all'estero in realtà non importi un fico a nessuno, e che questi Enti debbano continuare ad esistere solo per coprire i finanziamenti che, seppure con maggiori difficoltà rispetto al passato, i partiti vogliono far arrivare a certi loro circoli all'estero.

Quanto a gare e contratti d'appalto, li vediamo di difficile attuazione pratica, in quanto pressupporrebbero l'esistenza di una "imprenditoria culturale", di cui non ci sembra di vedere traccia, a meno di pensare a istituti scolastici già esistenti sul territorio. In quest'ultimo caso, si potrebbe anche immaginare che questi assumano la gestione di una scuola italiana, quale fonte di profitto, in qualche grande città, mentre ci sembra irrealistico pensare che vogliano dedicarsi all'organizzazione di corsi sparsi su tutto il territorio di un Paese.

In fondo, anche le sezioni dell'Alliance Française funzionano grazie all'opera e alla gestione di volontari. Che certamente possono essere degli ingenui o degli entusiasti in buona fede, cosa disdicevole in un Paese di furbi (o presunti tali) come l'Italia.

Eppure, è solo grazie all'azione di un ingenuo ed entusiasta in cerca di guai che, checché se ne dica, l'Italia può sperare di cambiare, come dimostra l'assatanato fuoco di sbarramento, mai visto nella storia repubblicana, che le forze della conservazione gli hanno lanciato contro dal momento della sua discesa in campo.

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