DIETRO LA FACCIATA DEL VOTO ALL'ESTERO

di Calogero

Negli ultimi due anni il Ministero degli Esteri ha profuso molte energie per far giungere la sua voce agli italiani nel mondo. Dopo l'assordante silenzio degli ultimi quarant'anni, ci vediamo ora recapitare frequentemente delle lettere del Ministro Dini, che ci illustrano i suoi discorsi sul voto degli italiani all'estero, o che ci trasmettono il saluto del neo-Presidente della Repubblica agli emigrati, o che infine ci invitano pressantemente ad andare a votare per eleggere i Comites o i parlamentari europei. Invito, quest'ultimo, giustificato dalla necessit� di dimostrare agli scettici che gli italiani all'estero sono davvero interessati alle istituzioni della madrepatria e premiano lo strenuo impegno del Governo in favore della concessione del voto.

Se questo impegno "epistolare" sia il segno di una nuova "attenzione" delle Istituzioni verso le potenzialit� rappresentate dalla presenza italiana nel mondo, oppure un banale tentativo del governo delle sinistre per strappare ad Alleanza Nazionale il monopolio della rappresentanza dell'emigrazione, ora che il voto all'estero sembra divenire una realt�, non sappiamo. Certo abbiamo dei dubbi.

E' stata avanzata su questa rivista (v. Italiani nel mondo nel N� 43) la tesi che, cos� com'� concepito, il voto non solo non risolve nessuno dei problemi dell'emigrazione, laddove ve ne siano davvero, ma non contribuisce nemmeno, se non in misura trascurabile, a permettere all'emigrato di mantenere un legame con la madrepatria. Tesi in apparenza blasfema, ma che metteva in evidenza come dietro il fumo delle parole e i bagliori del "voto all'estero", rischi di rimanere il nulla.

In effetti, al di l� della caccia al voto di qualche nuovo elettore, l'impegno e l'interesse delle Istituzioni per la valorizzazione della presenza italiana all'estero, sembrano rimanere quelli di sempre, anzi...

Prendiamo ad esempio gli organismi che si incaricano all'estero delle "iniziative in favore dei lavoratori italiani e dei loro familiari", in particolare nel campo dell'istruzione. Nati per assicurare la scolarizzazione di base nella lingua italiana, questi organismi si sono via via adeguati alla progressiva evoluzione delle situazioni sociali, ampliando il raggio d'azione alla formazione e riqualifica professionale dei giovani, ai soggiorni di studenti medi presso scuole italiane, alla formazione di insegnanti di Italiano "in loco", alla organizzazione di rappresentazioni teatrali per ragazzi e iniziative che permettessero di mantenere vivo il legame con la cultura (in senso lato) sia italiana che regionale.

Pur nei limiti delle disponibilit� finanziarie definite dai finanziamenti del MAE e del Fondo Sociale Europeo, le possibilit� di intervento sono tante. Se ben gestite, producono anche risultati tangibili, sempre che questi vengano misurati in termini di interesse che riescono a suscitare nei giovani della seconda e terza generazione (definiti "italiani" per via di un doppio passaporto, ma stranieri a tutti gli effetti) o in termini di riscoperta dell'orgoglio dell'origine italiana, e non solo in termini di quantit� di soldi comunque spesi, da indicare su fantasiosi bilanci consuntivi.

"Se ben gestite " dicevamo. E anche questo potrebbe non essere un problema. La presenza italiana in Europa � ormai talmente variegata, che non � impossibile trovare persone disponibili a mettere gratuitamente a disposizione del "sistema" la propria esperienza e le proprie competenze, oltre al proprio tempo libero, per gestire al meglio e con freschezza questi organismi spesso sclerotizzati e non sempre limpidi. Un po' quello che avvenne nel '94, quando il mondo dell'imprenditoria gett� il suo entusiasmo in politica, tramite Forza Italia, nel genuino convincimento di poter contribuire a rinnovare il Paese.

Tutto bene dunque? Purtroppo no. Questo quadro idilliaco si scontra con due grossi ostacoli.

Il primo. Da qualche tempo il MAE non intende avere pi� alcun legame giuridico con questi organismi, nemmeno tramite i consolati: "...{gli Enti} sono invitati a modificare il proprio Statuto, eliminando ogni riferimento alle proprie origini consolari". Essi devono pertanto trasformarsi in Enti di diritto pubblico (Fondazioni, Enti morali,...) nei Paesi in cui operano: "...enti privati, autonomi, anche sul piano patrimoniale, aventi natura giuridica qualificata dall'ordinamento nell'ambito del quale sono stati costituiti". Il solo legame che rimane con le Istituzioni italiane � dunque il finanziamento ricevuto ed i controlli puramente formali che MAE e FSE si riservano di effettuare sui bilanci. Nel caso delle scuole, anche il numero di insegnanti inviati e retribuiti direttamente dal MAE viene progressivamente ridotto, in favore di insegnanti reperiti liberamente sul posto dagli Enti stessi.

Se questo rappresenta un bene per l'autonomia degli Enti stessi, che si svincolano dalle pastoie burocratiche italiane e possono agire con agilit� nell'ambito dei programmi approvati, esso si rivela per� una trappola micidiale.

Infatti, trattandosi di Enti di diritto pubblico, essi devono conformarsi alla legislazione locale, in particolare quella fiscale e del lavoro. Ne consegue che, per ogni insegnante "reperito" in loco, oltre allo stipendio, l'Ente deve erogare i contributi sociali e previdenziali, e dichiararne al fisco i nomi e gli emolumenti.

Questa procedura � di fatto impossibile, e non tanto per il costo, comunque insostenibile per l'Ente a fronte di finanziamenti MAE e FSE limitati, ma per il fatto che in alcune legislazioni, l'impiego di un dipendente per pi� di un anno, obbliga il datore di lavoro a stipulare un contratto di lavoro a vita. E' ovvio che nessun Ente gestore pu� assumersi questo onere, vista l'aleatoriet� dei propri introiti e della propria stessa esistenza.

La soluzione di impiegare dipendenti non retribuiti direttamente, ma forniti da una agenzia di lavoro interinale, non � percorribile, sia per i costi (che farebbero tra l'altro lievitare il costo orario del dipendente oltre i limiti posti dal MAE e dal FSE), sia per il divieto legislativo di impiegare la stessa persona per periodi prolungati. Cambiare continuamente collaboratori, licenziandoli prima della scadenza annuale, � teoricamente possibile, peccato solo che l'anno dopo non vi sarebbe pi� personale disponibile, visto che gli insegnanti qualificati di Italiano reperibili all'estero non sono infiniti.

Resta quindi agli amministratori una scelta obbligata, quella dell'illegalit�, quella cio� di retribuire il personale in nero, esponendosi in prima persona a grossi guai con le Autorit� locali non appena qualcosa non dovesse girare per il verso giusto (un'ispezione, una vertenza,...). Ribadiamo, in prima persona, senza alcuna copertura da parte delle Autorit� italiane.

Il secondo ostacolo. I finanziamenti MAE e FSE sono, come gi� detto, del tutto aleatori. Essi vengono attribuiti anno per anno, sulla base delle richieste (bilanci preventivi) degli Enti gestori, senza che vi sia alcuna certezza sul quanto e sul se verranno concessi, n� tanto meno sul quando. Tanto per intendersi, sempre nel caso della scuola, a fronte di bilanci preventivi trasmessi dagli Enti gestori nel luglio del 1998 per l'anno finanziario 1999, e a fronte di un anno scolastico iniziato a settembre '98 e ormai pressoch� concluso, a tutt'oggi il MAE non ha comunicato quale sar� il finanziamento accordato e, soprattutto, non si � degnato di inviare un solo centesimo quale "anticipo" sul finanziamento stesso.

In altre parole, alcuni Enti hanno dovuto anticipare anche parecchie decine di milioni di lire per retribuire gli insegnanti, affittare le aule, acquistare i libri di testo e finanziare tutte le altre attivit� previste. Col rischio di scoprire, tra qualche settimana o mese, che alcune attivit� gi� svolte o impegnate non sono state approvate dal Ministero e non riceveranno la necessaria copertura finanziaria.

Ci sembra superfluo aggiungere altri dettagli. E sia chiaro che non stiamo affatto parlando di possibilit� teoriche o casi estremi.

Quello che ne deriva � ovvio. I volontari che accettano di sobbarcarsi l'onere della gestione di questi Enti, si mettono in genere al lavoro con entusiasmo, ignari degli aspetti che abbiamo appena descritto, e i risultati concreti, come detto dianzi, non tardano ad arrivare. Dopo qualche mese per�, essi si rendono conto della assurda posizione giuridica in cui si sono posti, e sperimentano cosa voglia dire trovarsi ogni mese in mano mandati di pagamento per decine di milioni da firmare col proprio nome e cognome, e non avere in cassa un centesimo per pagarli.

In meno di un anno, uno dopo l'altro, questi volontari abbandonano la partita e si dimettono, anche per non rimanere l'ultimo (fesso) col cerino in mano. Non andiamo oltre, anche perch� questo voleva essere solo un esempio.

Un esempio di come l'Italia considera coloro che per una volta si sono chiesti "cosa posso fare io per l'Italia ?" piuttosto che chiedersi "cosa f� l'Italia per me?". Un esempio che chiarisce bene quale � il vero (dis)interesse delle Istituzioni per gli Italiani all'estero, dietro la facciata del voto e delle lettere inviate da Dini ai connazionali, e per la diffusione della cultura italiana nel mondo. Con buona pace dei tanti cialtroni che si sciacquano la bocca con la parola "cultura". E con tanti saluti a quegli ingenui che sognano di poter realizzare anche per l'Italia un circuito all'estero del tipo francese dell'Institut Fran�ais e dell'Alliance Fran�aise.

Un esempio per chiarire, se bisogno ve ne fosse, di come l'unica preoccupazione dell'Amministrazione italiana sia quella di scaricarsi di dosso potenziali fonti di lavoro, fatica e scocciature: "Beccati l'elemosina e togliti dai piedi..." sembra essere il motto con cui l'Italia si libera dei petulanti Italiani all'estero!

In questa situazione, qualcuno avrebbe il coraggio di disprezzare quegli italiani "nuovi emigranti, che dell'Italia capiscono (per cos� dire) anche troppo, e cercano di interessarsene il meno possibile" ( per usare le parole dell'amico M. A. in una sua recente comunicazione) ?

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