IL VALLO DI ADRIANO

di Tito Livio

Nel secondo secolo dell'era cristiana, sotto l'impero di Adriano, gli avamposti della civiltà romana nel nord della Britannia erano sempre più minacciati dalle scorrerie delle tribù nordiche dei Pitti e degli Scoti. Per risolvere l'annoso problema, pragmatici quali erano, i Romani presero una decisione radicale, quella di mettere una barriera fisica tra loro e gli invadenti vicini.

Costruirono quindi tra la Solway e la Tyne una serie di terrapieni, con fortificazioni collegate da un muro, una sorta di Grande Muraglia, che va sotto il nome di "Vallo di Adriano". Non avevano inventato nulla, visto appunto che i Cinesi ci avevano pensato secoli prima, ma questo i Romani non potevano saperlo, né del resto è molto importante per la Storia.

Fatto sta che questo "vallo" funzionò egregiamente finché Roma ebbe la volontà di farlo funzionare, così come per altre opere difensive analoghe poste lungo i confini dell'Impero.

Passarono gli anni e, al motto di "Ma chi me lo fà fa'...!?", divenuto poi patrimonio genetico della stirpe italica, i Romani decisero di rinunciare alla troppo faticosa opera di difesa dei confini, trovando una geniale soluzione al problema delle popolazioni che premevano per entrare. Invece di continuare a respingerle, oppure di sottometterle imponendo loro imperialisticamente la propria civiltà, pensarono bene di inventare una Cosa chiamata "società multiculturale" (soluzione alla quale i Cinesi non erano arrivati), aprendo cioé le frontiere e concedendo il permesso di soggiorno e poi la cittadinanza a tutti quanti.

L'idea, caldeggiata dai circoli pacifisti e progressisti del Campidoglio e del Quirinale, fu entusiasticamente appoggiata anche dai quartieri al di là del Tevere. Questi anzi, misero subito in piedi una struttura di volontari che, in nome della Caritas romana, si sarebbero prodigati per portare aiuti e battesimo ai nuovi venuti.

Finiva in questo modo la civiltà romana ma in compenso nasceva la civiltà multiculturale, i cui fasti durarono quasi un millennio. Tanto ci volle infatti perché l'umanità ritornasse ai livelli di civiltà che le erano propri al momento della transizione.

Non sappiamo se sia per effetto della ciclicità della Storia, come ipotizzava Giambattista Vico, magari dovuta alla curvatura dell'universo, come rivelato da Einstein, ma ci sembra che oggi si stiano rivivendo quelle stesse vicende sulle due sponde del Tevere.

Al di qua, pacifisti e progressisti d'ogni specie, insediatisi sui sette colli, hanno decretato il passaggio da una "provinciale" società monoculturale ad una società non solo multietnica ma anche multiculturale. Così, dopo aver rinunciato a combattere e a punire gli autori delle scorrerie criminali sempre più frequenti, hanno inventato le sanatorie, con le quali hanno "regolarizzato" tutti quelli che avevano già oltrepassato i confini in barba alle leggi dell'Impero, pardon della Repubblica. Successivamente hanno di fatto liberalizzato l'accesso dei clandestini sulle coste pugliesi ed ora, finalmente, abbattono le frontiere, facendo istallare in Italia i disperati del Kosovo a decine di migliaia (anche qui la Storia sembra ripetersi, seppur in condizioni ben differenti: v. Gli Albanesi in Sicilia nel N.44).

Al di là del Tevere intanto, si stappa champagne. Dopo averci ripetuto che "l'immigrato è un dono di Dio, per chi lo accoglie", hanno scoperto ora che "l'immigrazione è via alla Fede e al Battesimo", come testimoniato dal fatto che ultimamente più del 50% dei battezzati in età adulta ed avviati al catecumenato, cioé alla carriera ecclesiastica, a Roma è un extracomunitario (Notiziario Asca del 22 aprile u.s.). Grazie alla Caritas ed all'imminente Giubileo, questa percentuale salirà certamente più dell'indice Dow Jones.

Finirà in tal modo questa noiosa civiltà monoculturale e nascerà quella multiculturale (v. anche Una società multiculturale nel N°16), i cui fasti dureranno nel tempo?

A scanso di equivoci, parlando poco fa dei disperati del Kosovo, non intendevamo certo alzare egoisticamente le spalle di fronte alla loro drammatica situazione, tutt'altro. Gli è che ci sfugge il perché dovremmo trasferirli in Italia (non prendiamoci in giro sulla provvisorietà del trasloco), visto che abbiamo dichiarato una guerra e che la stiamo sanguinosamente combattendo da un mese e mezzo, proprio ed esclusivamente per consentire a questo popolo di vivere libero e sicuro sul proprio territorio! O forse non abbiamo capito bene lo scopo della guerra?

A questo proposito, ci sia consentito un interrogativo. Non sarebbe stato meglio se tutte le bombe sganciate sulla Serbia fossero state invece sganciate lungo il confine kosovaro? Ci spieghiamo. Con quella potenza distruttiva si sarebbe potuto provocare uno sbancamento tale di terreno, da creare automaticamente una barriera tra Serbia e Kosovo, protetta da un fossato largo chilometri e profondo metri: un "vallo" insomma, che avrebbe potuto proteggere tutto il territorio kosovaro. Una geniale soluzione "alla romana", che sarebbe passata alla Storia come "il vallo di Clinton" (vallo, con la "V"), realizzata a buon mercato con tecnologie ultramoderne. O no?
Meditate gente, meditate!

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