IL "FUTURE"

di Tito Livio

Come osservato già in passato da questa rivista (v. Ora le cose vanno meglio... nel n°23), a giudicare dalla rilevanza che i telegiornali danno alle notizie finanziarie, Mibtel, Dow Jones, Futures, T-bond, OPA e altro, sembrerebbe che il popolo italiano sia in larga parte assillato dal probema di come investire i propri capitali.

Per la verità, dalle conoscenze che abbiamo in Italia, dalle cronache quotidiane, dai dati dell'ISTAT su crescita (mancata) e disoccupazione, dalle ripetute grida di allarme del governatore della Banca d'Italia, dai livelli parossistici della fiscalità, dalle pensioni decurtate nel dicembre scorso da trattenute spaventose, l'italiano medio dovrebbe essere più assillato dai problemi del quotidiano presente che non da quelli del future. Ma tant'è.

Noi che di economia ci intendiamo poco, prendiamo per buona la stizza del superministro Ciampi che ha bacchettato i dubbiosi visto che, bontà sua, l'economia ed i conti pubblici non sono mai andati così bene. Dato che il miglioramento del debito è dovuto alla riduzione dei tassi di interesse operata nel '98 (e praticamente irripetibile) ed al blocco degli investimenti, piuttosto che dall'innesco di un ciclo economico virtuoso, saremmo portati a vedere alquanto nero il prossimo future del paese, comunque vadano i Futures alla Borsa di Milano.

Se non fossimo degli ignoranti in economia quali siamo, saremmo anche tentati di augurare al signor superministro un future non proprio elegante.

Nelle stesse circostanze, il Ministro delle Finanze, Visco, ha invitato gli italiani ad essere contenti, visto che la pressione fiscale è, a suo dire, diminuita di circa 1,5%. Ci sembra che questa diminuzione del carico fiscale statale sia dovuta ad una riorganizzazione del sistema tributario, con il trasferimento alle Regioni di un certo numero di imposte.

Andando a ben guardare, sembrerebbe che la diminuzione dell'1,5% sia inferiore a quanto realmente trasferito alle Regioni, mostrando quindi come il signor Ministro abbia approfittato del trasferimento di alcune imposte per introdurne altre. Col risultato che tra Stato e Regioni, chi rimane ancora più schiacciato sono sempre gli Italiani. "Volevate il federalismo fiscale? Eccovi accontentati!" sembra ghignare il Ministro Visco.
Ed anche in questo caso la nostra ignoranza in materia ci impedisce di apprezzare questi sottili meccanismi della fiscalità. Meno male, perché altrimenti saremmo stati tentati di augurare anche a questo signor Ministro un future molto poco elegante.

Altra crassa ignoranza in tema di strategie macroeconomiche ci viene fatta rilevare indirettamente dal prof. Modigliani, l'italo-americano insignito qualche anno fa del premio Nobel per l'economia. Nel '94 si stracciava le vesti per l'infame programma economico Berlusconi/Tremonti, basato sulla riduzione del carico fiscale e sulla riforma del sistema pensionistico. Giorni fa, incredibile!, ammoniva dall'alto della sua autorevole posizione, che non c'è futuro per l'Italia senza una riduzione del carico fiscale ed una riforma del sistema pensionistico! Cosa sia successo in questi quattro anni per far mutare idea all'esimio professore, non riusciamo a capire, data appunto la nostra dichiarata ignoranza.
Dubbio: si può augurare un future anche ai Premi Nobel?

Ma il colmo dell'ignoranza dobbiamo confessarlo nel caso della famosa OPA telefonica. Per quel che ci sembra di ricordare, quando fu privatizzata Telecom, qualcuno (chi?) fece in modo di impedire un accordo con AT&T, colosso planetario delle telecomunicazioni. Parallelamente, con una percentuale risibile di azioni, la Fiat (o chi per essa) riuscì a imporre il suo controllo sulla neo-società. Attualmente la Telecom sta navigamdo molto bene e fa notevoli profitti.

Ancora. Nella primavera del 1994, un minuto prima dello scoccare della mezzanotte, che avrebbe segnato il passaggio delle redini del Governo da Ciampi a Berlusconi, "Cenerentola" Ciampi decretò l'attribuzione della concessione quale secondo gestore della telefonia mobile a Debenedetti (Omnitel), scelto in mezzo ad altri pretendenti. Per dar vita ad Omnitel, l'Ingegnere sbaraccò la Olivetti Computers con tutti i problemi che la gente di Ivrea conosce meglio di noi.

Come noto, Omnitel ha avuto un folgorante successo, sino a diventare uno dei più importanti gestori di telefonia mobile in Europa. Ottenuta poi per Infostrada, altra società del giro, la concessione quale secondo gestore di telefonia fissa, il Gruppo che controlla Omnitel/Infostrada, sembrerebbe non aver nulla da invidiare al gruppo Telecom/Tim, anzi.

Ebbene, all'improvviso il primo decide di vendere interamente una realtà così performante e redditizia come Omnitel/Infostrada ai tedeschi della Mannesmann, per racimolare i soldi necessari per l'acquisto, o il tentativo di acquisto, della Telecom, società che fa le stesse cose di quelle vendute e che produce più o meno gli stessi redditi.

Qual è il senso dell'operazione? Certo non possiamo saperlo noi, ignoranti quali siamo. Quello che siamo riusciti a rilevare è che il Governo D'Alema/Ciampi (toh, ancora lui!) si schiera con Debenedetti o chi per lui (come da bravo Pierino si è lasciato sfuggire D'Alema), mentre Prodi fa subito sapere di schierarsi patriotticamente in difesa di Telecom e contro la discesa dello straniero in Italia. Prodi, proprio lo stesso che appena salito a Palazzo Chigi dichiarò la sua celebre excusatio-non-petita "Di certo non luciderò le maniglie di casa Agnelli!", poco prima di dar vita alla rottamazione auto.

In tutta questa legittima operazione di mercato, l'unica cosa che ci sembra di intuire è che, al di là della pura speculazione finanziaria, non vi sia la benché minima traccia di strategie industriali, e quindi nessuna ricaduta benefica per il Paese, né in termini di investimenti né di occupazione.

Questa "scalata" ci ricorda tanto altri tentativi di scalata, finanziati con la vendita a società estere (Nestlé, tanto per non fare nomi) di imprese italiane (Perugina, tanto per non fare nomi), finite miseramente con la perdita di svariate centinaia di miliardi, con aziende passate sotto controllo straniero, col fallimento di aziende collegate e conseguenti disoccupati, a tutto (e solo) danno della collettività che, generosamente tramite il governo Ciampi, si fece carico del personale scaricato (1600 persone), e dei piccoli azionisti, il famoso "parco buoi".

Ignoranti della materia, saremmo tentati di pensare che più che a strategie industriali, qua ci troviamo difronte a lotte di potere tra "famiglie", quelle che frequentano i salotti buoni, senza alcun riferimento alla realtà imprenditoriale e industriale del Paese. Lotte nelle quali gli interessi del Paese e gli investimenti costituiscono l'ultima delle preoccupazioni. Fantascienza? Forse, ma nomi come Enimont, Gardini, Ferruzzi, Societé Générale de Belgique, Banco Ambrosiano,..., non evocano nulla?
In tutta confidenza, per certe famiglie avremmo in mente un future, ma forse non è elegante dire quale.

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