STATO-NAZIONE E MERCATO GLOBALE

di Massimo Galanti


Il mondo sembra trovarsi oggi di fronte ad uno di quei grandi bivi che il Fato talvolta ama porre sul suo cammino come a sfidare la sua capacita’ di raggiungere piu’ alti livelli di sviluppo. Oggi il mondo e’ il teatro di quella che viene definita la sfida economica globale. Un’economia aperta su scala mondiale e’ sempre stata l’aspirazione di ogni sistema economico di matrice liberale. Con il fallimento dei sistemi d’ispirazione comunista, la corsa verso una maggiore liberalizzazione dei mercati ha sperimentato nuovi e maggiori entusiasmi. L’abbattimento di ogni impedimento alla libera circolazione di merci e capitali dovrebbe portare ad una sempre maggiore produttivita’ e quindi alla creazione di nuova ricchezza. Questa sfida dovrebbe avere un esito positivo per tutti i contendenti. Inoltre un mondo sempre piu’ aperto e libero dovrebbe essere immune dalle disastrose guerre nazionali che hanno caratterizzato il recente passato.

Tutto questo nelle intenzioni: nella realta’ purtroppo qualcosa sembra non andare per il verso giusto. In un sistema democratico, il fine di ogni attivita’ economica dovrebbe essere il miglioramento del tenore di vita di ogni singolo cittadino; la globalizzazione sembra aver portato al contrario ad un marcato aumento della disoccupazione, soprattutto nel sistema Europa. L’ aumento drammatico della disoccupazione e’ avvenuto in contemporanea con i seguenti fenomeni:
1) Riduzione della condizione dei cittadini lavoratori al livello di una qualsiasi altra merce,
2) aumento vertiginoso della massa di capitale in libero movimento sui mercati,
3) concentrazione di questo capitale in poche mani, con grande capacita’ di intervento a livello politico, anche attraverso il controllo dei mezzi d’ informazione,
4) riduzione del ruolo dello Stato nazionale.

Lo Stato nazionale avrebbe dovuto servire soprattutto ad assorbire i contraccolpi eventuali causati dalla globalizzazione dei mercati, attraverso l’ istituzione del cosiddetto stato sociale. La mancanza di opportuni meccanismi di protezione sociale era stata proprio una delle cause del fallimento dei precedenti tentativi di liberalizzazione dei mercati, basti pensare ad esempio alla grande crisi del ‘ 29. Una delle cause dell’ attuale situazione e’ stata la formazione di grossi gruppi d’interesse a livello mondiale in cerca solo delle speculazioni piu’ redditizie. Ogni giorno una imponente quantita’ di denaro, molto piu’ importante di quella che puo’ mettere in moto una singola banca nazionale, si muove liberamente sui mercati finanziari, in cerca delle renumerazioni piu’ redditizie. I gruppi d’ interesse di cui sopra, attraverso il controllo della stampa ed attraverso la propaganda di ideologie fiscaliste restrittive che favoriscono la rendita finanziaria, spingono i governi ad adottare politiche che di fatto vanno contro gli interessi dei lavoratori. Un governo che in tali condizioni di mercato si facesse promotore di una politica di sviluppo correrebbe il rischio di essere fortemente punito dalla speculazione internazionale.

Quello che e’ strano, ma fino ad un certo punto, e’ come tali gruppi possano aver trovato degli alleati nei vertici sindacali ed in una parte delle sinistre.

In Italia la situazione e’ particolarmente preoccupante. Una politica di sviluppo dello stato sociale che non ha tenuto conto dei piu’ elementari principi economici per dare solo ascolto ai cantori delle piu’ grossolane e mistificanti teorie pseudoeconomiche e demagogiche, ha portato ad aumenti spaventosi del debito pubblico, che risulta essere ora una delle piu’ importanti fonti di rendita finanziaria speculativa. Basti pensare che lo Stato italiano paga ogni anno qualcosa come 160.000 miliardi di interessi, quasi il 10% del prodotto interno lordo, ma piu’ del 20% del suo budget annuale. E’ evidente che una politica appiattita sugli interessi dei grandi gruppi finanziari internazionali puo’ portare al venir meno di quel patto sociale che e’ alla base degli stati nazionali moderni. Uno stato che pur partecipando alla creazione di nuova ricchezza a livello mondiale non e’ in grado di assicurare un lavoro ai propri cittadini viene meno alla sua ragion d’essere.

Attraverso questi meccanismi, di fatto la nazione esporta la sua ricchezza e si impoverisce. In questo quadro non tutti gli Stati soffrono allo stesso modo: ci sono quelli che riescono meglio ad affrontare questa situazione ed eventualmente cercano di risolverla a loro vantaggio: questi sono gli stati con un piu’ marcato senso di responsabilita’ nazionale e che sono culturalmente piu' preparati a capire il significato delle nuove sfide ed a comportarsi di conseguenza.

Se veniamo alla specifica situazione italiana il quadro e’ desolante. La nostra classe politica, in particolare quella al governo, cerca giornalmente nella risposta dei mercati l’assenso alla propria linea politica. Qualche volta vien da pensare all’inutilita’ delle elezioni: basterebbe chiedere ai mercati quale governo dobbiamo avere e quale politica seguire. Non e’ un caso che tre dei piu’ importanti ministri del governo Prodi siano ex banchieri.
La cultura internazionalista di matrice marxista o cattolica-terzomondista, della nostra classe dirigente non aiuta certo ad affrontare le grandi sfide cui abbiamo accennato, anzi nei fatti si rende complice delle lobbies internazionali. Solo una forte riscoperta dello stato-nazione , non certo la sua dissoluzione, puo’ aiutare ad affrontare le sfide del mercato globale e a combattere la speculazione internazionale. La strada da intraprendere dovrebbe essere quella di un nuovo patto sociale ed una nuova politica di sviluppo che rimetta il lavoro al centro dell’ interesse nazionale. Tutto il contrario di quello che e’ avvenuto a Firenze, dove ancora una volta si e’ privilegiata la scelta di politiche fiscaliste restrittive. La moneta unica, senza il controllo di un nuovo stato-nazione a livello Europeo, lascerebbe l’ UE alla merce’ della speculazione internazionale, ed all’ interno dell’ UE stessa, i paesi piu’ deboli alle dipendenze politico-economiche di quelli piu’ forti.

Il Fato ci ha portato ad un bivio, la strada giusta sta a noi trovarla.





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