In una delle omelie pronunciate durante la visita in Calabria della settimana scorsa, il Presidente Scalfaro si è compiaciuto del fatto che "ora Francia e Germania ammirano la nostra ripresa economica, mentre l'anno scorso, quando eravamo in difficoltà, nessuno ci diede una mano".
Dove il Presidente veda la nostra ripresa economica, è difficile dire. Se nell'estate 1994 l'economia italiana in effetti "tirava" talmente, da consentire l'etichetta di "Italia treno dell'Europa" (incremento della produzione industriale quasi dell'8%, aumento del PIL del 3,5%, inflazione al 3,8%, cambio col marco a 950 lire prima dell'effetto Bossi, legge finanziaria per la prima volta senza nuove tasse), le vicende successive, Dini e compagni, hanno così pesantemente stravolto questo stato di grazia sino a farci precipitare sull'orlo della recessione: previsione di crescita del PIL ridotta via via fino all'1%, inflazione che, pur cambiati i parametri, non scende al di sotto del 4%, produzione industriale fino a -4%, nuove tasse su imprese e cittadini. A scanso di equivoci, proprio il giorno seguente l'omelia, l'OCDE ha gettato acqua gelata sui facili entusiasmi, fotografando come disastrosa la situazione economica italiana e definendo imperativa una nuova manovra (una volta la chiamavano "stangata") di almeno 40000 miliardi.
Ciò nonostante, il cambio lira/marco, che ormai sembra diventato per il popolo il termometro della salute nazionale, un po' come il nanocurie all'epoca di Tchernobil, che era precipitato con Dini sino a 1270 , ora va a gonfie vele (1006 il 20 giugnou.s.). Questa situazione non appare comprensibile a prima vista, e vale perciò la pena di fare qualche considerazione.
Da un lato c'è l'effetto trascinante del dollaro, che gode attualmente di buona salute, e del momento difficile dell'economia tedesca. La lira è legata alla moneta americana, così come ad es. il fiorino olandese è legato al marco, seguendone in alto e in basso le quotidiane oscillazioni, fatti salvi naturalmente gli eventi eccezionali. Sono queste le cause delle piccole variazioni giornaliere della lira, e non certo le dichiarazioni più o meno avventate di questo o quel leader politico italiano: basta verificare le variazioni giornaliere della parità marco/dollaro per convincersene.
Ma se questo spiega le piccole oscillazioni, non dà ragione delle variazioni
macroscopiche, così positive di fronte ad una situazione economica così negativa.
Noi, che economisti non siamo, non possiamo fare altro che guardare i fatti per cercare
di capire.
Vediamo i fatti.
1) Francia e Germania stanno da parecchio tempo protestando a Bruxelles
perché la svalutazione complessiva della lira negli ultimi anni si configurerebbe,
a parer loro, come alterazione del mercato interno dell'UE, concorrenza sleale
insomma;
2) i vertici politici di Francia e Germania incoraggiano pubblicamente il rientro della
lira nello SME, obiettivo prioritario di questo Governo, ma a tassi di cambio rivalutati
rispetto agli attuali, onde appunto rendere meno penalizzante la concorrenza
italiana per le loro industrie;
3) la vitalità delle medio-piccole imprese del Nord-Est italiano è una spina nel
fianco per l'industria tedesca che, non ostante l'immagine di affidabilità e solidità
dei propri prodotti, l'uso protezionista dei brevetti ecc., non riesce a tener loro testa;
4) una volta nello SME, il valore della nostra moneta deve rimanere pressoché
costante, dovendo rispettare margini strettissimi di oscillazione dei cambi. Ma attenzione,
questo può avvenire solo:
a - in maniera automatica, in condizioni di economia sana e con i conti pubblici a posto
(ahimé, questa non è certo la situazione attuale, visto che il disavanzo è di 130000 miliardi
e tende ancora a salire), oppure
b - nelle condizioni disastrate attuali, rastrellando soldi dal Paese con stangate fiscali
(che ora va di moda chiamare "manovrine" o "maggiori entrate") del calibro dei
40000 miliardi. Stangate che inevitabilmente vanno a colpire simbolicamente
magari anche i pensionati-da-otto-milioni-l'anno, ma sostanzialmente chi il reddito lo produce,
cioé le imprese. In particolare, quelle che più producono reddito, più verrebbero
penalizzate, finendo col perdere la loro vitalità e concorrenzialità;
5) la settimana scorsa il commissario italiano all'UE, Monti, ha messo in guardia il
Governo circa quest'ultimo punto, pur con i toni sfumati che la sua posizione impone:
un rientro affrettato nello SME nelle condizioni attuali, imporrebbe all'Italia un
innalzamento dei tassi, proprio per sostenere la moneta, con le conseguenze di
cui sopra.
E allora? Allora noi, che economisti non siamo, veniamo rosi da un dubbio. Non sarà che qualcuno sta in questo momento aiutando artificialmente la lira, onde facilitarne il rientro rapido nello SME, per poi lasciarla al suo destino e...?
Se questo ipotetico scenario dovesse realizzarsi, esso equivarrebbe ad una
"svendita" da parte dell'Italia, con il sacrificio della propria industria e del controllo
della propria economia, senza, apparentemente, contropartite.
A meno che per le contropartite, non si debba risalire agli anni 1992/93, governi Amato e Ciampi,
quando, tra crociere d'affari sul panfilo reale Britannia, batoste sulla
lira (80000 miliardi bruciati in una notte per poi svalutare), e suicidi eccellenti, prese
l'avvio un processo che doveva passare per le privatizzazioni, e che fu interrotto
dalla parentesi di Tangentopoli e di Berlusconi, parentesi chiusa il 21 aprile 1996.
Lo sappiamo, è pura dietrologia di chi non è del mestiere, ma come si fa a non ricordare le parole del divo Giulio: "a pensar male si fa peccato, ma..."!