RITORNO SULLA TERRA

di Eros Capostagno

L'uscita di Fini sull'omosessualità ci offre lo spunto per ritornare sul tema della concretezza nella politica italiana. Indipendentemente dall'oggetto dell'affermazione, abbiamo finalmente visto il leader di un movimento politico precisare in modo chiaro ed inequivocabile la sua posizione su un aspetto pratico della vita sociale del Paese. Data la sua condizione di leader, è logico pensare che la sua posizione caratterizzi di fatto anche il movimento che egli rappresenta.

Di fronte ad una precisa presa di posizione di una forza politica sull'ordinamento della società italiana, le altre forze politiche oltre che il diritto, avrebbero il dovere quantomeno morale di far sapere altrettanto chiaramente agli elettori da che parte stiano, se concordino cioé su tale posizione o se ne abbiano una diversa.

In tal modo il corpo elettorale avrebbe modo di valutare con chiarezza i gruppi che rappresentano davvero i propri convincimenti e di riconoscersi in essi. Da parte loro, i partiti assolverebbero a quella funzione di rappresentazione delle istanze sociali che dovrebbe essere loro proprio, visto che la Costituzione non ne prevede alcun'altra.

Nella realtà, questo prendere posizione con chiarezza è sempre stato visto come fumo negli occhi da parte dei partiti italiani, che preferiscono restare nel vago, parlare di grandi principi e massimi sistemi, non scontentare nessuno con affermazioni categoriche, condizionati più dalla paura di perdere qualche elettore che non dalla ricerca di un elettorato compatto e convinto.

A questo va aggiunto che una posizione troppo chiara e marcata obbligherebbe successivamente alla coerenza, impedendo quei giri di valzer e stravolgimenti di programmi elettorali tanto abituali nei vecchi e nuovi democristiani (vedi Dini e Prodi) guidati dall'unico obiettivo di guadagnare e mantenere il potere.

E ancora, una posizione sfumata, possibilista, aperta a tutte le opzioni, consente di non dichiararsi mai sconfitti, ma sempre più o meno vittoriosi., comunque vadano le cose.

Anche per questo probabilmente il bipolarismo non riesce ad affermarsi in Italia. Effettuare una scelta significa contrapporsi all'avversario, e quindi accettare la logica che, se l'uno vince, l'altro deve necessariamente perdere. Piuttosto che rischiare questa eventualità, meglio dunque accordarsi col "nemico" e spartirsi la torta: tutti un po' meno vincitori ma almeno nessun rischio di essere "perdente".

Alla logica dell'accordo piuttosto che della contrapposizione, si rifanno il consociativismo, l'arco costituzionale, il compromesso storico, i patti di desistenza e quanto altro. Una logica che, impedendo un vero confronto, ha portato alla deresponsabilizzazione della classe politica, solidale al suo interno, verso il Paese reale ed i suoi problemi. L'allontanamento del Palazzo dal Paese reale, la spoliazione delle sue risorse, la sua progressiva "andata in malora", tangentopoli, l'arroganza di certi magistrati, la "man bassa" di certi finanzieri o pseudo-industriali sull'economia, ne sono la tragica quanto inevitabile conseguenza.

Ci sono stati due casi, per la verità, in cui le forze politiche sono state costrette (controvoglia) a schierarsi in maniera inequivocabile, quelli dei referendum radicali sul divorzio e sull'aborto. Come noto, pur sapendo di non avere dalla sua la maggioranza anzi, nemmeno la maggioranza dei suoi elettori, e quindi di essere condannata ad una secca sconfitta, la DC dovette schierarsi ufficialmente contro l'introduzione di questi provvedimenti. La chiara sconfitta su questi due principi morali e sociali, rischiò di diventare , ed in parte diventò, l'inizio della demolizione e delegittimazione della DC tout court.

Possiamo anche sbagliarci, ma la malcelata ostilità con cui i recenti referendum sono stati accolti da tutti i partiti, il tentativo (riuscito) di boicottarli passandoli sotto silenzio, in definitiva la rinunzia a prendere posizione su ciascuno di essi, ci inducono il sospetto che nessun partito volesse (né voglia più) correre il rischio di subire la stessa sorte della DC col divorzio.

Tanto per tornare sul concreto, abbiamo percepito come una "nota stonata" il commento di Berlusconi alla recente accettazione della lira nella moneta unica: mentre Prodi & Co. brindavano al raggiungimento dell'obiettivo che si erano prefissati, il Cavaliere ha rilasciato una dichiarazione del tipo "Sono molto contento, è una vittoria e un riconoscimento per l'Italia"!

Non ci permettiamo di fare un processo alle intenzioni, ma ci sembra chiaro come, consapevole di un'opinione pubblica che, martellata dalla propaganda di regime, dell'EURO non sapeva (sa) assolutamente nulla, tranne che dovrebbe trattarsi di un mitico Eldorado, Berlusconi non se la sia sentita di andare controcorrente e dichiarare qualcosa come "E' una follia per l'Italia aver voluto entrare ora nella moneta unica, visto che il prezzo, senza contropartita, è un drenaggio di risorse dalle tasche dei cittadini ed un blocco totale degli investimenti produttivi".
Aggiungendo magari: "...sarebbe stato più saggio (come lo sarebbe stato anche nel 1939) se avessimo seguito la Gran Bretagna invece di lasciarci trascinare dalla Germania in questa avventura. La Gran Bretagna infatti, pur essendo in linea coi parametri famosi, ne rimane volontariamente fuori, riservandosi di decidere autonomamente se, come e quando aderirvi, in funzione degli interessi della propria economia!".

Certo sarebbe stata un'affermazione tardiva, visto che il Polo si è ben guardato dall'assumere una posizione chiara e precisa nei travagliati mesi precedenti, lasciando colpevolmente soli i vari Martino, Pelanda, Magli e i pochi altri che avevano osato assumere una posizione scettica sull'Euro.

Rinunciare a contrastare la propaganda di regime per paura di fallire, non ci sembra un buon sistema per aggregare intorno a sé una base elettorale solida. Abbiamo detto intenzionalmente "propaganda di regime" e non "opinione pubblica" perché troppo spesso lo starnazzare dell'intellighenzia del regime viene contrabbandato come "opinione pubblica", mentre in realtà la gente comune evita di esprimere dissensi per timore di essere tacciata di ignoranza o grettezza, almeno finché qualcuno non le dia voce.
Come appunto accadde nel '94, quando l'entrata sulla scena di Berlusconi fu accolta come una liberazione da un popolo conscio di non avere più alcuna voce a rappresentarlo nel Palazzo.

Ci auguriamo quindi che le recenti attenzioni di Fini, nel congresso di AN, ai problemi concreti del Paese più che alle bagiannate sugli sdoganamenti, e soprattutto l'ultima sua presa di posizione sugli insegnanti omosessuali, siano il segno di un ritorno del Polo "sulla terra', in mezzo alla gente. Augurio che vale per Fini, il quale negli ultimi tempi dava la sensazione, dietro un eloquio sempre piacevole, di un vuoto di programmi, ma anche per Berlusconi, da tempo risucchiato, certamente suo malgrado, nel "teatrino dela politica".

Vorremmo d'ora in poi che in tutte le sedi, anche al "Maurizio Costanzo" se questo può giovare alla diffusione, gli esponenti del Polo ci dicessero chiaramente quale tracciato intendono proporre per il raddoppio della Firenze-Bologna, con quali strumenti intendono sgominare la criminalità che impedisce e impedirà, checché se ne dica, qualunque attività produttiva nel mezzogiorno, quali fonti di energia intende costruire e dove, come intende eliminare i criminali che nella totale impunità riducono in violenta schiavitù le prostitute di strada, quale piattaforma tecnica intendono perseguire per la TV digitale in Italia, se intendono favorire o abbandonare l'idea del cablaggio del Paese per sviluppare le telecomunicazioni via cavo, e così via (gli argomenti, purtroppo, non mancano).
Che ce lo dicano, senza curarsi delle reazioni isteriche di verdi, rossi, terzomondisti, conflittodicompetenzisti ecc.

Quanto agli insegnanti omosessuali, ognuno la pensi come vuole. Vorremmo però che qualcuno dicesse chiaro e forte che, se gli omosessuali dichiarati hanno il sacrosanto diritto di insegnare, i genitori devono avere l'altrettanto sacrosanto diritto di scegliersi un'altra classe o un'altra scuola se l'insegnante imposto dallo Stato non è di loro gradimento!

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