ANSALDO

di Eros Capostagno

Abbiamo già accennato su questa rivista alla storia dell'ANSALDO di Genova, azienda del gruppo Finmeccanica che appare oggi incredibilmente decotta nonostante abbia avuto un posto importante nell'industria italiana di questo secolo.

Leader nel campo dell'energia, sia come sistemista/impiantista che nella manifattura, negli ultimi dieci anni è stata lasciata colpevolmente deperire, nonostante le classiche "ristrutturazioni" cui è stata sottoposta. Per limitarci all'Ansaldo ENERGIA (una delle divisioni in cui è stata suddivisa), diciamo che essa si trova ora con un buco di circa 1200 miliardi ed un portafoglio di ordini pari praticamente a zero. Come questo sia potuto accadere è presto detto.

Finito il nucleare in Italia col referendum del 1987, si è praticamente chiuso quel settore aziendale che costituiva sino ad allora una grossa voce nel bilancio. Niente di grave si potrà obiettare, restavano i programmi energetici dell'ENEL, che in quel momento prevedevano la conversione al carbone di una tranche di otto centrali a olio combustibile (il porto carbonifero di Gioia Tauro fu pensato a questo scopo) nonché la costruzione di un certo numero di centrali policombustibile, in ottemperanza al piano energetico nazionale.

Con questi programmi l'Ansaldo avrebbe avuto di che sfamarsi ma, manco a dirlo, essi vennero rimessi in discussione. Anzi, non furono affatto rimessi in discussione, furono dall'ENEL cancellati sic et simpliciter, dopo che l'Ansaldo aveva già provveduto alla riconversione a carbone della prima centrale ENEL del programma, i due gruppi da 75 Mw di Bastardo (Umbria).

Chiuso anche questo settore, crollarono quindi per l'Ansaldo pure gli ordini esteri, essendo abbastanza evidente che non si può pensare di vendere all'estero un prodotto virtuale di cui non si è in grado di mostrare un esemplare in funzione nemmeno nel proprio Paese!

Se a questo si aggiunge che, essendo parte del gruppo Finmeccanica, fu possibile per i vertici di questa utilizzare gli utili dell'Ansaldo per coprire le falle di altre aziende del gruppo, vedi Alenia, e che certo alto management aziendale vantava una notevolissima esperienza nelle realizzazioni industriali "a parole", ma un po' meno in quelle "con il ferro", si comprende quasi tutto.

Quasi, non tutto.

Sino alla prima metà degli anni 80, l'Ansaldo si era costruita in campo internazionale una reputazione più che buona. Ciò aveva fatto sì che delle importanti multinazionali come Siemens e soprattutto Asea Brown Boveri (ABB) fossero interessate a portarla nella loro orbita, con l'acquisto o con joint ventures. Queste trattative, stranamente, sono state sempre condotte da parte della Finmeccanica con ritmi bizantini e non hanno mai condotto ad alcun accordo, se si eccettua la vendita della "Franco Tosi" all'ABB.

Una situazione analoga, l'Ansaldo la sta vivendo adesso. La DAEWOO coreana, azienda manifatturiera in molti settori industriali diversi, non disponendo di una propria divisione "sistemistica" (ricorre attualmente a strutture esterne) ha pensato di utilizzare proprio l'Ansaldo comer suo "sistemista", con una operazione di acquisto o di partnership, trovandosi tra l'altro in concorrenza con la Siemens, interessata anch'essa seriamente all'Ansaldo.

Ottimo riconoscimento per le capacità dell'azienda e occasione notevole per uscire da una situazione davvero critica e rilanciarsi alla grande sul piano mondiale, con la benedizione tra l'altro dei normalmente ottusi sindacati nostrani, che vedevano mantenuta l'integrità dell'azienda, minacciata viceversa di una svendita a piccoli pezzi.

Ebbene, a trattative che sembravano avviate alla conclusione, venne "inventata" in fretta e furia una cordata con FIAT capofila, interessata all'acquisto dell'Ansaldo, in concorrenza con Daewoo. La trattativa con quest'ultima naturalmente si blocca, mentre quella con la FIAT si rivela inconsistente e pretestuosa.

Ma non basta. Nonostante la crisi finanziaria del Sudest asiatico, la Daewoo continua a mostrarsi ostinatamente interessata all'acquisizione. Si verificano a questo punto due fatti interessanti. Nel bel mezzo della trattativa, il Presidente e capo carismatico dell'Ansaldo, Bruno Musso, ideatore e paladino di questa trattativa, viene licenziato in tronco dai nuovi padroni ulivisti della Finmeccanica, malgrado poco prima gli fosse stato attribuito il premio "Manager dell'anno"! E non viene nemmeno sostituito nella delegazione che svolge la trattativa! Parallelamente, viene annunciato un piano di cassa integrazione per più di 2000 (diconsi duemila) dipendenti e viene pubblicizzato il profondo rosso dei bilanci.

Se si volesse spaventare un acquirente, presentandoli un'immagine da disfatta, certo non si potrebbe escogitare di meglio.

L'abbiamo fatta lunga, sintetizziamo perciò senza tanti giri di parole. Non sappiamo come andrà a finire la storia con la Daewoo, comunque è noto che questa produce anche automobili e si è recentemente lanciata sul mercato italiano con una notevole campagna pubblicitaria sia televisiva che calcistica (sponsorizza proprio la Sampdoria di Genova!). E' chiaro che questo disturba i "poteri forti" del Paese ( FIAT, Mediobanca,...) così come li avrebbe disturbati l'acquisto dell'Alfa Romeo da parte della FORD, nel momento oltretutto ove, per tirare avanti, occorre farsi dare da Prodi incentivi sulla rottamazione e finanziamenti col pretesto di studi su auto cosiddette "ecologiche". In sintesi: la Daewoo non deve entrare in Italia, potendosi configurare come un cavallo di Troia, per l'industria torinese dell'auto, e chissenefrega dell'Ansaldo, dei suoi dipendenti, dell'industria italiana!

Che i "poteri forti" perseguano i propri interessi personali e aziendali è, sia chiaro, del tutto logico e legittimo. Quello che non è logico ed è anzi decisamente censurabile è che il Governicchio italiano si renda ancora una volta complice e schiavo di questi interessi, sacrificando gli interessi più generali del Paese a quelli della Grande Finanza, in cambio di quel sostegno che gli è indispensabile per mantenersi al Potere.

Proprio quel Governo il cui leader piccino piccino, aveva proclamato nei giorni dell'insediamento, gonfiando il petto come si conviene: "Io non luciderò di certo le maniglie di casa Agnelli!". Proprio quel Governo la cui unica vera componente, quella di tradizione marxista, ha per circa un secolo infiammato il suo popolo con programmi del tipo: "I capitalisti stessi finiranno per venderci la corda con la quale li impiccheremo!".

Non a caso, SuperMinistro dell'Economia è quel Ciampi che della Grande Finanza è il proconsole in seno al Governo e che dovrebbe sapere qualcosa della non-abbastanza-famosa crociera sul panfilo Britannia nel 1993 (vedi Britannia, nel N.3), ove fu probabilmente decisa (ci sembra sempre più evidente) la de-industrializzazione dell'Italia.

Abbiamo già detto che l'ostilità a Craxi, finita ai giorni nostri con un ignobile quanto ipocrita "Crucifige!", e soprattutto la violentissima guerra a Berlusconi con tutti i mezzi possibili, legali e illegali, costituzionali ed incostituzionali, non si spiega se non con il fatto che, timidamente il primo e apertamente il secondo, si opponevano (oppongono) a questi piani scellerati.

Fu probabilmente per questo che poco a poco l'Olivetti esce dai Personal Computers nel momento del boom Internet, la Montedison dismette ogni attività nella chimica uscendo dalla Montell, la Pirelli sembra voglia uscire dalla produzione degli pneumatici, si spalancano le porte alla France Telecom e alla Deutsche Telecom, ..., con grande gaudio del Governo e della Grande Finanza (gaudio al quale non possono più prendere parte, purtroppo per loro, personaggi come Gardini...).

A questo grande gaudio partecipano invece tutte quelle aziende ed enti pubblici o finto-privatizzati, ai cui padroni e managers non sembra vero di non doversi più occupare di progettare, costruire, fornire servizi ecc., quando possono più semplicemente e con meno grattacapi, dedicarsi a più redditizie attività economico-finanziarie.
Vediamo così l'ENEL (di nuovo lei!) dimenticare che il suo scopo primordiale sarebbe quello di assicurare la produzione di energia per il Paese, preferendo invece lanciarsi nel business della telefonia.

Sarà vero che con tutte le pastoie burocratiche di sindaci, verdi e imbecilli vari, l'ENEL non riusciva più a piantare un chiodo per terra, figuriamoci costruire centrali elettriche, sarà anche vero che in un paese in via di de-industrializzazione, il fabbisogno energetico magari non crescerà, ma siamo sicuri che un Ente pubblico di servizi debba "abbandonare" i suoi compiti per lanciarsi in un settore che non gli compete e che dovrebbe essere di esclusiva competenza dei privati? O non sarà magari che , tramite l'ENEL, si vogliano favorire o proteggere gli interessi di qualcuno?

In fondo, nel grosso business della telefonia, non è forse vero che la finta privatizzazione di Telecom ha condotto i signori della FIAT (ancora loro!) a controllare il relativo gruppo con solo lo 0,6% del capitale azionario?

E che dire della "Società Autostrade"? Non riesce a provvedere all'illuminazione delle autostrade a rischio nebbia nel Nord Italia, però dispone ora delle risorse per lanciarsi anch'essa nelle gare per il terzo o quarto gestore della telefonia!

Intendiamoci, anche negli altri paesi, delle società di servizi si sono aggregate per proporre autonomi servizi nella neoliberalizzata telefonia fissa e mobile: la piccola differenza è che si tratta di società private, che utilizzano la telefonia come investimento (attualmente redditizio) per finanziare e migliorare i servizi di base che sono loro propri e che per di più sono già in generale piuttosto efficienti. Sistema virtuoso che, oltre ad abbattere i costi per l'utenza grazie alla concorrenza, genera lavoro e migliora i servizi, in una spirale appunto virtuosa.

Da noi invece, si lasciano degradare sempre di più i servizi già inefficienti, per consentre agli Enti pubblici e ai loro soci in affari di "fare profitto"!

Se tutto questo è stato deciso in una qualche Yalta da una finanza sovranazionale ed accettato dai piccoli lacché della nomenklatura italiana; se nella nuova geopolitica europea, all'Italia è stato affidato il ruolo di comprimario, di fornitore di pezzi di ricambio per l'industria tedesca, di area turistica e magari anche di ghetto per la criminalità e l'immigrazione; se i giornalisti di regime fingono di non vedere pur di avere delle briciole dalla mensa dei signori; se l'Italia è stata "commissariata" per la storia della moneta unica; se quanti, tenuti per cinquant'anni nell'ignoranza della realtà e spinti a sognare l'avvento liberatore del comunismo, continuano ancora oggi (un terzo degli elettori) a bere di questa speranza, fenomeno unico nel mondo occidentale; ebbene, saremmo tentati di dire, diano pure per immutabile questo quadro e che guazzino pure nella loro broda.

Resta il fatto che il 51% degli elettori italiani non si riconosce in tutto questo. E allora vi diciamo, signor Fini, signor Berlusconi, signor Casini, basta! Togliamoci la giacca blu e andiamo a riprenderci quello che ci appartiene!

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