IL TRAGHETTATORE

di Eros Capostagno

"Dopo aver traghettato l'Italia in Europa, la mia missione sarà compiuta!", è quanto ha detto in sostanza Prodi la settimana scorsa.

E noi diciamo: no, troppo comodo, non ci sto!

Pensiamo infatti che sia ora di finirla con questi grandi missionari che, ritenuta furbescamente "compiuta la loro missione", lasciano ad altri il compito di sobbarcarsi le conseguenze delle loro grandi opere, senza essere poi chiamati a risponderne. Vediamola dunque questa missione.

All'inizio di questo decennio, con il collasso del comunismo e la riunificazione tedesca, muta completamente il quadro europeo. Dagli interessi eminentemente strategici e di difesa, i governanti europei passano ad occuparsi principalmente delle loro traballanti economie e della crescente disoccupazione.

In Italia, questo medesimo processo si accompagna al dissolvimento della vecchia classe politica, ed al conseguente vuoto politico.
Si presentano i comunisti che, cambiando la sigla e aggiungendosi un prefisso (ex- o post-), si spacciano per nuovi, dopo essere sfuggiti al crollo del sistema in virtù della sapiente occupazione della Magistratura che avevano accuratamente preparato.

Di fronte al ridicolo (storicamente parlando) tentativo dei comunisti di prendere il Potere proprio quando il Comunismo passa alla (tragica) Storia, esce fuori inopinatamente Berlusconi ed ottiene il favore degli elettori. E lo ottiene soprattutto grazie al linguaggio diverso che parla: programmi concreti, impresa e produzione, bilanci ed efficienza, diritti dell'individuo, riduzione dell'invadenza e della prepotenza dello Stato.

Un programma perfettamente in linea con le tendenze de partners europei, che poneva per la prima volta dopo tanti anni, il servizio ai cittadini al di sopra degli intrighi e degli interessi del Palazzo.

Il chiarissimo programma elettorale venne infatti immediatamente avviato alla fase realizzativa con la legge Tremonti e la preparazione della riforma fiscale, basata sull'abbassamento delle aliquote e la riduzione dello sterminato numero di imposte a solamente sei, la riforma della Magistratura in senso garantista per il cittadino, il riassetto strutturale dei conti dello Stato grazie alla riforma delle pensioni, il tentativo di rilancio del Mezzogiorno con le "zone franche" per attirare nuove imprese.

Con questo programma strutturale, il Governo del Polo si proponeva di raggiungere i parametri del trattato di Maastricht, in vista della creazione della moneta unica. Parametri che, è bene sottolineare, erano stati sottoscritti (accettati) con l'abituale leggerezza e pressappochismo dai governi di allora, senza un'attenta e seria valutazione delle implicazioni per l'economia del Paese e senza alcun consulto dei cittadini.

Se il programma economico del Governo del Polo avrebbe consentito il raggiungimento di tali parametri nei tempi fissati per la verifica finale (aprile 98) non sappiamo, inutile fare la Storia con i "se". Tuttavia, sia in caso affermativo che negativo, il Paese si sarebbe presentato in piedi all'appuntamento dell'aprile 98 (volutamente non diciamo "a testa alta" perché vogliamo attenerci ai soli fatti tangibili, senza parlare della "dignità", già oggetto di precedenti articoli).

L'affermativo avrebbe infatti significato un miracoloso risanamento del Paese, grazie allo slancio innovativo dell'imprenditoria italiana ed alla concretezza della pubblica Amministrazione, e quindi la possibilità di trattare con i partners europei senza remore, sapendo di avere un Paese vivo e vegeto alle spalle, pronto ad affrontare qualunque sfida.

Nel negativo, di fronte ad un eventuale irrigidimento dei partners sui parametri, il Paese avrebbe potuto tranquillamente decidere autonomamente di restare fuori dalla prima fase della moneta unica, così come stanno per fare Regno Unito e Danimarca, decidendo poi nel seguito se, come e quando aderirvi, forte di un sistema economico con cui il club dell'Euro avrebbe dovuto comunque fare i conti.

E invece no, le "forze della reazione" hanno avuto il sopravvento. Si elimina il Governo Berlusconi con gli sporchi giochi di Palazzo degli squallidi mestieranti della politica italiana, poi si (ri)conquista democraticamente il Potere presentando agli elettori una coalizione pot-pourri avente un unico punto nel suo programma, riprendere appunto il potere, eliminando il nuovo venuto.

Ad operazione riuscita, questo ricco programma viene messo in atto, procedendo con meticolosa cura all'epurazione di tutti i non-allineati, in ogni settore della società, ed usando il terrorismo giudiziario verso gli avversari ed i giornalisti non osannanti.

Programmi economici? Chiaramente nessuno, a parte le fanfaluche che i veri padroni dell'Ulivo lasciavano dire a Prodi durante le sue passeggiate elettorali.

Così, una volta al Governo, trovandosi a dover pure in qualche modo gestire l'economia del Paese, non hanno saputo fare altro che affidarsi agli unici modelli che la loro formazione dottrinale consentiva: accentramento statalista e distruzione della libera iniziativa, con la conseguente necessità di drenare fiscalmente le risorse economiche dei cittadini, per sopperire alla mancata creazione di ricchezza. Con la parallela creazione invece della classica "nomenklatura" di regime, come le finte privatizzazioni a favore dei propri amici e gli incentivi alla rottamazione dimostrano.

Inutile dilungarsi sulle conseguenze di tali dissennati "programmi" (o "piani quinquennali", come li chiamavano una volta), riassumibili nell'impoverimento progressivo dei singoli cittadini e del Paese nel suo insieme: anche i più renitenti all'evidenza probabilmente sanno, oggi, le condizioni di quei paradisi dei lavoratori, cui si ispira adesso l'Italia, seppure con (colpevole?) ritardo sull'orario della Storia.

Ecco quindi che Prodi & Co. si presentano all'appuntamento dell'Euro sventolando un 3% che gli alchimisti del bilancio hanno ottenuto sulla carta, spogliando i cittadini, tagliando le gambe a imprese, artigiani, commercianti e agricoltori, non pagando i creditori, chiedendo anticipi sulle nuove tasse del 120% (ma ci rendiamo conto!?) e rinunciando a spese e investimenti (tranne i 3500 miliardi dati a Rutelli col pretesto del Giubileo, purché si togliesse dai piedi).

In altre parole, i generali in alta uniforme si presentano al tavolo delle trattative europee dopo aver distrutto il proprio esercito, convinti di essere credibili e di poter trattare da posizioni di forza. Ne devono essere tanto convinti da tremare come le foglie e vibrare di sdegno ogni volta che qualche Pinco Pallino straniero solleva un dubbio su queste posizioni...

A costo di passare per temerari nel conformismo generale degli opinionisti, noi non siamo affatto convinti che l'Italia sarà ammessa all'Euro nell'aprile 98 (il debito pubblico continua ad aumentare, l'appoggio di Jospin potrebbe da questi essere sacrificato alla real politik,...).
Tuttavia, se anche ciò dovesse verificarsi, l'Italia si troverebbe a dover mantenere il rispetto delle clausole di stabilità con un'economia ed una industria distrutte, e non potendo ripetere all'infinito gli artifici contabili di cui sopra. Sarebbe in altre parole quello strangolamento dell'Italia, già evocato in precedenti articoli.

E a quel punto il grande traghettatore avrebbe compiuto la sua missione? Eh no, troppo comodo dicevamo. Il grande traghettatore ed i suoi soci a quel punto dovranno pur rispondere di quello che hanno fatto.

E' fatale che i regimi antistorici prima o poi in qualche modo crollino, lasciando però dietro di sé lacrime e sangue, e non dubitiamo che anche l'attuale regime italiano subirà la stessa sorte.

E allora cominciamo a pensare in quale maniera chiedere i danni a quanti attualmente stanno distruggendo il Paese e/o stanno calpestando i diritti individuali dei cittadini.

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