IN CHE ANNO SIAMO ?

di Tito Livio

Nel 1936, a soli tre anni dal suo avvento al potere, il cancelliere Adolf Hitler era già diventato uno dei personaggi chiave della politica europea, temuto e riverito dai governanti degli altri Paesi. Non ostante la prudenza che il suo programma ideologico-politico, da lui stesso espresso nel Mein Kampf, avrebbe dovuto suggerire, e l'inquietudine che certi episodi di cronaca avrebbero dovuto creare, il Cancelliere riceveva continui attestati di stima, come quello del premier inglese LLoyd George, che lo definì " l'uomo che dopo la disfatta ha unito il popolo tedesco e gli ha consentito di riprendersi".

Un po' per la rilassatezza dei governi Inglese e Francese, un po' per questo alone di rispetto che si era creato, il Cancelliere fu sempre più convinto della "necessità storica" di procurare alla Germania prima compensi per le inique sanzioni impostegli alla fine della 1a guerra mondiale, poi spazi adeguati alla "grandezza" della stirpe germanica.

Fu così che, inebetiti da questa ambivalenza di ammirazione/timore, Francia, Inghilterra e Italia avvallarono più o meno apertamente le crescenti pretese del Cancelliere di creare una Grande Germania, estendendone l'influenza ai Paesi limitrofi, aventi un qualche supposto carattere di germanicità.

Sempre con l'avvallo, di fatto, degli altri "grandi", pensarono poi i carri armati della Wermacht a curare quell'influenza, sottomettendo tout court l'Austria, i Sudeti, la Boemia e la Moldavia.

Titubante tra l'amore/odio per l'Occidente e l'ammirazione per il Cancelliere, Mussolini finì per cedere all'abbraccio della grande Germania.

Successivamente, in spregio ai trattati di Monaco, mediati trionfalmente dall'Italia con Francia e Inghilterra, il Cancelliere si accordò poi con Stalin per spartirsi la Polonia, e solo a quel punto Francia e Inghilterra trovarono la forza per ribellarsi. La pagarono cara, visto che Parigi fu occupata in meno di un mese e Londra subì i noti bombardamenti. Non parliamo dell'Italia che, dopo aver cercato un posto al sole, entrava in guerra a testa alta onde potersi sedere al tavolo della pace. Ci vollero comunque cinque anni di sangue e orrori (e gli Americani) con tutto il resto, per ricondurre la Germania alla ragione.

Nel 1992, dopo nove anni di ininterrotta guida del suo Governo, il Cancelliere tedesco Helmut Kohl godeva del rispetto e dell'ammirazione di tutti i governanti occidentali, per essere riuscito a risollevare definitivamente la Germania dai postumi della disfatta della 2a guerra mondiale, per averla dotata di una moneta forte e stabile, e soprattutto per essere riuscito nell'incredibile impresa di riunificare le due Germanie, dopo 45 anni.

In realtà la riunificazione dipese dal crollo del Comunismo e dell'URSS, avvenuto soprattutto grazie a Reagan e forse al Papa, ma tant'è: l'aureola di grande statista che già circondava il Cancelliere, crebbe a dismisura.

Fu pertanto facile per la Germania, in quel 1992 nella graziosa cittadina di Maastricht, convincere i governanti degli altri Paesi, grandi e piccoli, che la pace e la stabilità in Europa sarebbero state per sempre garantite da una moneta unica (allora fu chiamata ECU, per far piacere ai francesi) da realzzare in tempi brevisssimi. E per raggiungere la quale, ogni Paese firmatario avrebbe dovuto rivedere le proprie politiche economiche per adeguare certi "parametri" (PIL, Debito Pubblico,...) a dei valori arbitrariamente prefissati, prossimi a quelli esistenti, o facilmente raggiungibili, dalla Germania, essendo questa il modello indiscusso di virtuosità economico-finanziaria.

A questo trattato, l'Inghilterra fece una discreta pernacchia, la Francia aderì entusiasta, convinta di porsi insieme alla Germania in un Direttorio europeo a guida appunto franco-tedesca, i Paesi dell'area del marco aderirono senza problemi, i Paesi dell'area del Mediterraneo, dalle economie arruffone e scassate aderirono giulivi, per sano e convinto europeismo e, almeno l'Italia, senza porsi il problema di cosa significassero nella pratica quei "parametri".

Nello stesso momento l'Italia, costretta alla svalutazione della lira dalla speculazione internazionale che approfittava della sua crisi interna, diventava l'oggetto degli attacchi di Francia e Germania, che vedevano la propria industria penalizzata dalle esportazioni italiane a lira appunto svalutata.

Nel frattempo, sul fronte della geopolitica estera, forte del proprio prestigio, la Germania riconosceva unilateralmente Slovenia e Croazia,con l'arroganza di chi mette il resto dell'Unione Europea difronte al fatto compiuto e pone le basi dei successivi tragici eventi (curioso che anche stavolta dovettero intervenire gli americani per supplire all'incapacità degli europei). Nel frattempo l'Europa si ritrovava i Sudeti, pardon, la Repubblica Ceca, indipendente e separata dalla Slovacchia, come pure la Moldavia indipendente dalla Romania.

Con l'approssimarsi delle scadenze del trattato di Maastricht, il richiamo al rispetto dei parametri si trasformò in minaccia vera e propria da parte della Germania e dei suoi illustri banchieri: non entra nella moneta unica chi non rispetta i parametri, e chi ne resterà fuori o non sarà successivamente in grado di mantenerne il rispetto, verrà economicamente strangolato, nel caso qualche furbo pensasse a delle svalutazioni competitive.

L'Italia, che dai parametri era lontana anni luce, si muoveva in questo scacchiere a tutto campo. Prima cercò la comprensione della Francia di Chirac ottenendone uno sdegnoso rifiuto, poi cercò un'intesa da furbi con la Spagna per boicottare il trattato, senza considerare che nel frattempo la Spagna era diventata una colonia industriale tedesca, ottenendone un fragoroso sputtanamento.

Abbandonata ancora una volta a se stessa dai Paesi occidentali, decise così di abbracciare l'unica potenza rimasta, ancora una volta la solita Germania.

Così, mentre la Francia chiracchiana crollava, il nuovo grande statista dell'Italia nuova, Prodi, folgorato sulla via di Maastricht, si lanciò al seguito del Cancelliere sulla strada delle leggi razz..., pardon marziali in tema di economia, creando la prima recessione del dopoguerra, strangolando l'industria, impoverendo la gente con furibonde mazzate di imposte dirette e indirette, gelando le speranze dei vecchi e nuovi disoccupati, fomentando irresponsabilmente la secessione (ma lasciando inalterate le strutture di potere dello Stato e dell'economia), nell'illusione di raggiungere gli stessi parametri degli alleati e di assicurarsi così "un posto al tavolo dei grandi".

Nel 1997 finalmente, la Germania, liberatosi della Francia e ridotto all'innocuità quel petulante alleato italiano, poté lanciarsi con la forza del marco, ribattezzato EURO, alla conquista dei Paesi della nuova Europa Centrale per lanciarsi poi all'attacco del dollaro, in un'apoteosi finale.

Sappiamo come è andata a finire. Ci vollero degli anni...

Oddio, ma in che anno siamo?

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