MAO TZE TUNG

di Eros Capostagno

Vogliamo rimediare ad una svista in cui siamo incorsi poco tempo fa, a settembre dello scorso anno. Ci è sfuggito infatti uno di quegli anniversari che normalmente non passano inosservati: parliamo del ventesimo anniversario della morte di Mao Tze Tung, il Grande Condottiero.

Che sia sfuggito a noi, che del pensiero di Mao abbiamo anche allora colto nient'altro che il ridicolo e delle conseguenze delle sue opere a livello planetario nient'altro che l'aspetto tragico, passi. Ma che sia stato lasciato passare sotto silenzio dai nostri attuali governanti, intellettuali organici e stampa fiancheggiatrice, è un po' più strano.

In quei "formidabili anni", tra il '66 ed il '76, sotto la guida del Grande Condottiero ed armate del famoso "libretto rosso" con le sue massime, le Guardie Rosse procedevano con la Rivoluzione Culturale ad un'opera di distruzione e di sterminio in tempo di pace, che non ha precedenti nella storia dell'umanità, con un totale di cinesi messi a morte pari a ben 20 milioni, secondo le ultime stime. E questo solo per parlare delle vittime umane, tralasciando cioé le distruzioni a livello di cultura (libri, monumenti, vestigia dell'impero,...), di agricoltura e industria.

Queste cifre si andavano ad aggiungere ai quaranta milioni di cinesi rimasti vittime nel decennio precedente dell'altra follia di Mao, il cosiddetto "Grande Balzo in Avanti".

Mentre tutto ciò avveniva all'interno delle frontiere impenetrabili della Cina, in Europa e soprattutto in Italia, si scatenavano i "cinesi" nostrani che, propugnando modelli maoisti, cercavano l'autogestione nelle fabbriche, nelle scuole e nell'Università, la distruzione dei mezzi di produzione capitalisti, la lotta armata e "continua" donde il terrorismo, e tutte quelle leggendarie imprese che gli imbecilli di sempre ricordano ora come "Quei Favolosi Anni"...
Quegli stessi imbecilli che inneggiavano a Castro, ai Vietcong ed ai Kmehr Rossi, liberatori dei popoli invasi dagli ameriKani.

I più furbi tra questi cinesi nostrani si ritrovano oggi in posizioni "borghesi", di punta in settori della vita politica, del giornalismo e naturalmente della scuola e Università, ed i partiti di sinistra più o meno estrema di allora si ritrovano oggi al potere.

Possiamo quindi anche capire un certo imbarazzo nel commemorare il ventennale della morte del "simbolo" di quegli anni eroici, anche se per la verità il comunismo ci ha abituato a condanne (postume) dei suoi miti e a riabilitazioni (ahimé postume) delle loro vittime.

Quello che ci lascia perplessi però è il sospetto che non si tratti affatto di imbarazzo, ma solo di opportunismo, alla luce anche di un paio di situazioni degli ultimi giorni, che rivelano come le "tare ideologiche" siano resistenti ad ogni evidenza della Storia e della dignità.

Parliamo per primo delle manifestazioni di solidarietà ad Adriano Sofri, leader a suo tempo di Lotta Continua, culminate con una manifestazione promossa addirittura da un'ottantina di parlamentari della Repubblica, dai soliti intellettuali organici e da quegli stessi di cui sopra.

Solidarietà che, invece di andare alle vedove e orfani delle vittime di allora, va a chi è stato responsabile di manifesti che dicevano, in riferimento al Commissario Calabresi: "Noi, di questi nemici del popolo vogliamo la morte!", e che questi atteggiamenti cinesi non ha mai rinnegato.

Meno truculento, ma in prospettiva anche peggiore, il caso della riforma scolastica proposta dal ministro Berlinguer che ripropone, a distanza di venticinque anni, la cogestione nelle scuole ("gli studenti possono decidere il riesame di decisioni già assunte dai docenti") in ricordo forse della Rivoluzione Culturale cinese. Andando al capitolo "Cultura e Arte" del famoso Libretto Rosso di Mao, nella versione italiana edita da Longanesi & C. nel 1967, apprendiamo infatti che:

"Nel mondo attuale tutta la cultura, tutta la letteratura e l'arte sono di determinate classi, sono di determinate linee politiche. L'arte per l'arte, l'arte al di sopra delle classi e l'arte parallela o indipendente dalla politica, sono cose che in realtà non esistono. L'arte e la letteratura proletarie sono una parte dell'intera causa rivoluzionaria del proletariato; esse sono, come ha detto Lenin, ingranaggi e viti di tutta la macchina rivoluzionaria (citazione dai "Discorsi al Dibattito di Yenan sulla letteratura e sull'arte" del maggio 1942).

E così capiamo tutto.

Chi invece non riesce ancora a capire è la Frankfurter Allgemeine Zeitung, nell'articolo intitolato "Rifondazione Comunista" dell' 8 febbraio u.s.

L'articolo apre rilevando come chi creda che Bertinotti e i suoi seguaci, dopo il crollo dei regimi comunisti dell'Est, siano come Don Quichotte e Sancho Panza ("relitti di un'epoca tramontata, in lotta contro i mulini a vento, e quindi da non prendersi sul serio"), si sbagli ed è bene che cambi idea.

Dopo aver esposto il peso di RC nelle decisioni del Governo e quindi delle sorti del Paese, il Frakfurter analizza la logica dei Rifondatori, in particolare quale emana dalla difesa a oltranza del cosiddetto Stato Sociale: che importa al beneficiario dello Sato Sociale da dove provengano i soldi, se il Capitalismo non è più capace di finanziare lo Stato Sociale, ebbene, che il Capitalismo vada al diavolo!

Da questa acuta analisi, discende la domanda che chiude l'articolo: come facciano questi veterocomunisti a convivere nello stesso Governo con il rigore finanziario di un Ciampi ed il liberalismo economico di un Dini, resta un mistero italiano.

Mistero italiano? No, almeno per chi sa come l'attaccamento ad una Poltrona di Potere sia da noi più forte di ogni coerenza e di ogni attaccamento al bene del Paese.

Quello che l'articolo non dice esplicitamente, ma lo diciamo noi, è che sono proprio questi misteri, assai più del 3% di Maastricht, che ci provocano l'ostilità dell'Europa.

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