il Rimino Sottovoce 2021

Rimini 1821, la buona sorte delle spie
"il Ponte", 18.07.2021, n. 27, ANNIVERSARI



Lo hanno chiamato esule traditore. Era un impiegato pontificio, Giovanni Manzini. Nel 1820 egli vive a Forlì dove resta senza servizio per la riforma del suo lavoro (che nessuno precisa quale fosse…). Nel 1821 arriva a Rimini con la famiglia. Per sopravvivere si mette a fare la spia, come scrisse Oliverotto Fabretti (1891-1928) in un testo apparso nella "Rassegna storica del Risorgimento" di Roma, III, 1922. Manzini racconta a chi comanda tutto quello che sa sulla Carboneria, a cui aveva aderito nel luglio 1817. Fabretti attinge da un memoriale compilato nel 1832 dallo stesso Manzini ed inviato all'autorità politica forlivese. La quale cercò di favorire l'informatore, promettendogli il posto di tenente nei Carabinieri pontifici. Ma questo impiego fu dato ad altra persona.
A Rimini Manzini continuò a fare la spia: questa volta a danno della "federazione della Giovane Italia" nata nel 1831, facendo conoscere il piano della setta, i segni e le parole di essa, ed alcuni nomi di capi e di associati. Alla fine Manzini fu premiato con un impiego nella dogana di Cesenatico.
A Rimini sanno cosa fanno le spie. Partiamo dal 1802. Dopo le soppressioni napoleoniche degli Ordini religiosi e l'incameramento dei loro beni allo Stato, si decide la demolizione del monastero di Scolca a Rimini, acquistato da un gruppo messo assieme dall'avvocato, Domenico Manzoni, che fa una brutta fine. Nato a Faenza nel 1775, a 25 anni è condannato come giacobino ed eretico, per cui si rifugia a Forlì. Alcuni lo qualificano conte, altri lo dicono commerciante di granaglie. Con le quali fa speculazioni bancarie che gli rendono una fortuna enorme, come osservava lo storico Antonio Drei. Manzoni è ucciso a Forlì il 26 maggio 1817.
Egli era stato in rapporto con Antonio Canova. A cui nel 1814 ordina una statua che arriva alla famiglia dopo la sua morte. La vedova Geltrude Versari nel 1830 la vende ad un principe russo. Se ne sono perse le tracce. Invece di Canova, a Forlì, si conserva tuttora il monumento sepolcrale per Manzoni donato dallo scultore a Geltrude Versari.
Perché Manzoni fa quella fine? Manzoni cade vittima di un regolamento di conti interno al mondo della Carboneria. Il popolo considerava Manzoni un incettatore di grani, un affamatore in quel tempo di carestia. Sospettato di tradimento dai "cugini" (gli affiliati) carbonari, sarebbe stato punito per il suo agire. Nel 1824 un delatore confida alla polizia che il ricco banchiere Manzoni è stato ucciso da Vincenzo Rossi e Pietro Lanfranchi. Lanfranchi è pure lui carbonaro, con il grado di "maestro terribile", ovvero di chi mette alla prova i nuovi soci. E pure lui fa una brutta fine a 35 anni nell'agosto 1822, si disse avvelenato in carcere. Lo piansero come prode guerriero che sotto le armi francesi aveva ricoperto il suo corpo di gloriose cicatrici.
In Romagna e Marche, ha scritto Guido Ratti (2013), "vendette, aggressioni e omicidi erano all'ordine del giorno: l'attività delle Sette (Carboneria e Società guelfa) sfociava sovente in scontri aperti e diretti con l'organizzazione reazionaria dei sanfedisti", manovrata da prelati "zelanti". La Carboneria secondo alcuni (leggiamo in N. Nada, 2012), in origine era stata una società di mutuo soccorso tra i militari dei ranghi inferiori, sorta nell'Italia meridionale e risalente alla settecentesca Charinerie della Franca Contea, la cui capitale è Besançon. Nel 1821 i carbonari sono scomunicati da Pio VII,"nel tentativo di frenarne l'espansione e, se possibile di elimarli dai suoi Stati" (U. Marcelli, 1980).
Secondo P. F. Listri (2011) la Carboneria non era lontana da certi principi della fede cattolica, ed aveva un programma liberale e patriottico: essa "anticipò la nascita, con diverso significato e impegno dei veri e propri partiti politici, e puntava ad ottenere una monarchia costituzionale".
In Romagna tra 1820 e 1821 passano le truppe austriache dirette a Napoli per reprimere i moti che vi erano scoppiati. A Bologna il 28 marzo 1821 è ferito un antico giacobino, Giacomo Greppi, che era divenuto funzionario di polizia ed accanito persecutore dei carbonari (C. Tonini 1896). Secondo A. Cicerchia (2015) nel territorio riminese c'è la presenza di una "rete cospirativa molto attiva".
La lezione politica del 1821 si ripresenta dieci anni dopo, come documenta il prezioso volume "1831: Rivoluzione di Idee", curato da Pierluigi Sacchini (Rimini 2011).
La vicenda di Manzini è riassunta in un'accurata storia della Carboneria riminese pubblicata da Giulio Cesare Mengozzi (1900-1988), uno dei padri nobili del giornalismo romagnolo, nel vol. XXVII (1976) di "Studi Romagnoli", con il titolo "Fra i Carbonari riminesi i Fratelli Mengozzi".
Il 5 maggio 1821 muore Napoleone. Sul fatto Alessandro Manzoni scrive una poesia che non celebra soltanto il condottiero ed il politico, ma ci fa interrogare sul modo di intendere la Storia: lo spirito creatore di Dio dà ad ognuno di noi una impronta per cui (come commentava Mario Pazzaglia, 1979) ogni evento umano è giustificato dalla presenza del divino nel mondo, per poter far trionfare non la violenza delle armi ma il bene voluto per noi dalla Provvidenza.
Antonio Montanari

Archivio. Del saggio di Fabretti abbiamo parlato nel 2011 in queste pagine:
- Risorgimento a Rimini,
- Le colpe della Chiesa. A proposito di processi storici (indice di Controstorie).

Giulio Cesare Mengozzi, "il Ponte", n. 7, 1988



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