il Rimino 2018

Gambalunga, significava "Valturio" e preside Pian Remigio...

La sede delle "mie" Magistrali di piazzetta Teatini era la più indegna di tutte le scuole cittadine. Eravamo stati abituati ad un vivere spartano fin dalle Elementari nel Borgo San Giovanni. In prima classe mancava addirittura la ringhiera alla scala. In quarta misero la serratura alla porta perché era stata acquistata una radio mediante la raccolta dei fondi tra noi studenti. In quinta andammo alla De Amicis che sembrava una scuola di lusso. Maestoso l'edificio, controllato da una direttrice che fulminava al solo guardarti. In prima Media frequentammo il bel palazzo di via Brighenti, ma la nostra aula era nel cortile in fondo al corridoio, una specie di dependance ridotta all'osso. Per la seconda e la terza fummo ospitati nel palazzo Buonadrata che allora aveva il cortile (dove adesso si trova una banca). Per entrare nelle aule dovevamo transitare lungo un ballatoio che s'affacciava sullo stesso cortile.
La sede di piazzetta Teatini fu dichiarata inagibile dopo la visita di controllo da parte di un tecnico comunale che si mise a saltare sui pavimenti, facendoli ondeggiare in maniera non so se comica o spaventosa. Gli altri tre anni li trascorremmo in via Tempio Malatestiano, a palazzo Visconti divenuto successivamente sede del Museo comunale e quindi passato alla Biblioteca nei piani superiori dove noi avevamo le nostre aule, finalmente pulite ed ariose.

Nel palazzo Gambalunga aveva sede l'istituto Roberto Valturio per ragionieri e geometri presieduto dal prof. Remigio Pian, un personaggio nella vita cittadina al pari di Arduino Olivieri, con la differenza che non è mai finito in un film di Fellini ma ha ricevuto gloria soltanto negli amarcord personali degli studenti ed in quello collettivo della città.
La decisione più memorabile da lui presa, a detta di tutti gli studenti che lo hanno avuto come preside, è diventata un dato ormai classico nella storia pubblica riminese: e riguarda l'obbligo imposto agli allievi d'indossare la cravatta per essere accettati a scuola. Il controllo era suo personale. Il suo ufficio s'affacciava sullo scalone di palazzo Gambalunga. Il preside s'affacciava sull'ufficio e poteva dominare la situazione con la calma fermezza che contraddistingueva ogni sua azione.
Gentiluomo d'antico stampo, di formazione mitteleuropea, portamento naturalmente austero, si esprimeva con abiti solamente scuri quasi da cerimonia. Amante della perfezione e della disciplina, era l'antitesi dell'irruenza giovanile dei suoi studenti. Molti dei quali avrebbero poi rimproverato a quella regola della cravatta obbligatoria, un contenuto classista che essa non aveva per volontà del preside. Ma che finiva inconsapevolmente per essere considerata espressione di una insensibilità verso le condizioni delle famiglie degli alunni, le quali facevano fatica a mettere assieme i soldi per comprare i libri di testo. Figurarsi se riuscivano a pensare anche alle spese ritenute superflue come per quell'ornamento da giorno di festa.

Quando frequentavo nella primavera del 1960 la quarta magistrale, comperai nel mitico negozio dei fratelli Sarti che ne furono i primi importatori, un completo di tela di jeans, giacca e calzoni, che feci debuttare in un tranquillo pomeriggio a scuola. Il preside mi vide all'ingresso, mi tenne d'occhio, e durante la ricreazione venne ad accertarsi della mia tenuta nel corridoio vicino alla nostra aula. Impassibile, mi fece un giro attorno guardando con attenzione (soltanto curiosità e nessuno scandalo, immagino) alla stoffa che indossavo. Racconto l'episodio per spiegare che bastava poco per essere messi sotto osservazione e passare per «gioventù bruciata» come si diceva allora ripetendo il titolo di un celebre film del 1955 con James Dean.
Il rispetto della «disciplina» poteva produrre anche decisioni che poi avrebbero arricchito il repertorio degli aneddoti più citati nello stesso Valturio, dove ho insegnato successivamente per tanti anni. Una volta fu imposto il divieto di fumare per un raggio di 400 metri dal corridoio centrale dell'istituto di palazzo Gambalunga. In tal modo finiva sotto la giurisdizione scolastica del Valturio non soltanto la vicina piazza Ferrari ma persino lo stesso Ospedale civile che si trovava nella sede dell'attuale Museo della Città (ex-convento dei Padri Gesuiti). Ovviamente non c'erano preoccupazioni di tipo sanitario sull'uso ed abuso del tabacco, ma esisteva soltanto la necessità di evitare che qualche sconsiderato scavezzacollo potesse gettare la cenere della sigaretta sul pavimento della scuola che doveva restare immacolato e brillare in ogni attimo della giornata. Ed a tal fine fu preso anche un secondo provvedimento che proibiva agli studenti di mangiare panini nei corridoi. Secondo racconti postumi più o meno fantasiosi, si sarebbe affermato in una circolare fatta girare per le classi, che l'operazione dell'addentare e del masticare una qualsiasi merenda avrebbe provocato la caduta di briciole che avrebbero finito con lo sporcare il «sacro suolo della Scuola».

Infine, per la storia della cravatta obbligatoria al «Valturio» del preside Remigio Pian, un amico mi scrisse che sua madre risolse il problema con il buon senso delle donne e la costrizione della miseria. Disse al figlio di legarsi al collo la cintura dei calzoni. Soluzione pratica per situazione drammatica. Mancavano i soldi per il pane, figurarci se c'erano quelli per la cravatta. Ecco il testo integrale della lettera ricevuta.

Caro Antonio, ho appena terminato di leggere "Per le antiche scale delle nostre scuole"; (il Ponte, 4.6.2006) e mi hai fatto pensare...a mio fratello. Sì, perché anche lui ha frequentato il "Valturio" nel palazzo Gambalunga e ti posso assicurare che il preside Remigio Pian ha impegnato per anni anche...la mia mamma. "Sfollati" in pianura, non è che in casa avessimo tante cravatte, giusto qualche avanzo del babbo, rimasto, tra l'altro nei greppi. Al mattino, la poveretta si affannava a cercare qualche straccetto da mettere al collo "d'che fiol ch'u studieva da ragiugnér", poi soddisfatta lo guardava inforcare la bicicletta acquistata coi soldi della "stagione". Ricordo che un giorno "G-van" (questo il suo nome) era partito senza cravatta e sicura che tornasse a prenderla, ne aveva stirata una (belle le cravatte stirate!) per poi stenderla sul tavolo. Giovanni tornò invece solo al termine delle lezioni e appena lo vide: "Mò cun t'è fat a intrè senza la gravata?" Mio fratello allora raccontò che, accortosi ormai all'entrata di essere senza cravatta, si era fatto un bel nodo con la cintura dei pantaloni, per salutare, ricambiato, il preside Pian. E' stato allora che ho pensato al "Valturio" come a una specie di "Kursaal", dove, però, cambiava e di molto... la musica. Bando agli scherzi, si trattava a detta di mio fratello e di alcuni suoi compagni di classe, anche miei amici, di un'ottima scuola e ben diretta dal "mitico" preside Pian. Il fatto che poi nella vita gli alunni abbiano fatto "riuscita", lo sta a dimostrare. Vincenzo Sanchini

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Antonio Montanari



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