il Rimino Sottovoce 2018

Quel Crocefisso sepolto in Gambalunga
in tempo di guerra

"Presenti il Prof. Carlo Lucchesi, Direttore della Biblioteca Civica Gambalunga, il Prof. Gino Ravaioli, R(egio) Ispettore on.(orario) ai monumenti, il Geom. Cesare Mengozzi, assistente presso la civica biblioteca, Mussoni Luigi inserviente della stessa e i muratori Lunedei Cesare e Paci Dino che hanno eseguito il lavoro, si è proceduto al recupero del Crocifisso d’oro della maniera di Benvenuto Cellini."
E’ il 21 agosto del ’45, la guerra è terminata da alcuni mesi e Carlo Lucchesi, direttore della Biblioteca Civica Gambalunga, ritiene, dopo il dramma del passaggio del fronte e i 382 bombardamenti che hanno devastato la città, sia venuto il momento di recuperare uno dei reperti più preziosi della storia di Rimini, quel Crocifisso d’oro attribuito a Benvenuto Cellini donato al Comune di Rimini dal cardinale Michelangelo Tonti dopo la sua elezione a Vescovo di Cesena il 27 marzo 1612.
Un bene preziosissimo che "il Prof. Lucchesi nell’ottobre del 1943 – si legge nel verbale che attestava il recupero depositato negli archivi della Biblioteca Civica Gambalunga sottoscritto dai sei presenti – aveva sotterrato in un angolo del cortiletto della biblioteca suddetta, diligentemente racchiuso in una cassetta di zinco saldata con fiamma autogena".

Così leggiamo in un comunicato dell’Ufficio Stampa del Comune di Rimini che prosegue nella parte che riproduciamo qui sotto.

E’ una delle tante storie che a 400 anni dalla sua nascita la Biblioteca Civica Gambalunga, la prima biblioteca pubblica d’Italia, conserva tra il proprio patrimonio di conoscenza insieme a tanta parte della storia cittadina.
Nella storia del "Cristo d’Oro" compare anche l’esistenza di una traccia, probabilmente una piantina, nascosta tra gli archivi della biblioteca che Lucchesi tracciò per far sì che in qualsiasi caso, in qualunque frangente rimanesse una traccia che consentisse di recuperare il prezioso crocifisso dopo averlo nascosto in un punto segretissimo e inaccessibile del Palazzo Gambalunga: "Solo ne lasciai cenno, per umana prudenza, negli atti della Biblioteca". Un accorgimento che oggi può far sorridere ma che letto con gli occhi d’allora, non dovette apparire assolutamente superfluo, anzi. Rimini dal novembre 1943 al settembre ’44 fu sottoposta a 396 bombardamenti aerei, navali, terrestri, il primo dei quali il 1° novembre del ’43 a solo poche settimane dall’avventuroso sotterfugio. Le bombe furono impietose, ben poco della città fu risparmiato e tra questi, fortunatamente, il Palazzo Gambalunga e quella parte del suo patrimonio inestimabile che non era stata portata al sicuro, a Covignano prima e a Torricella poi. Una fortuna immensa se si pensa alla sorte che toccò alla seminario vescovile, solo dall’altra parte di via Tempio malatestiano che lo stesso Alessandro Gambalunga racconta nel suo testamento di vedere dalle stanze da basso della "sua" biblioteca "che sono dirimpetto all’habitazione del Seminario."

Fu il Commissario Prefettizio Bianchini – racconta Lucchesi rispondendo formalmente al Sindaco Arturo Clari che subito all’indomani della Liberazione, nel dicembre del ’44, chiedeva conto del crocifisso – che, quando la Cassa di Risparmio avvertì il Comune che declinava ogni responsabilità inerente al deposito, "volle affidare personalmente a me il prezioso oggetto affinché cercassi in ogni maniera di salvarlo; e io, chiusolo in una scatola di zinco ermeticamente sigillata con saldatura autogena, lo collocai in un punto segretissimo ed inaccessibile del palazzo Gambalunga, che è rimasto inviolato."

Un punto segretissimo che Lucchesi condivise prudentemente, oltre con il segno nascosto nell’archivio, con il solo Augusto Campana "col vincolo dell’assoluto segreto". Scelse così di "sotterrarlo in un cortiletto interno a Palazzo Gambalunga che serve da ripostiglio per i rifiuti della Biblioteca." E continua – "Fingendo pertanto di dover esplorare le fondamenta del palazzo e usando molteplici accorgimenti, condussi il lavoro in modo che né i muratori da me adibiti, né gli impiegati stessi della Biblioteca seppero o sospettarono mai la realtà della cosa."


Sulla figura di Giulio Cesare Mengozzi, cfr. questa pagina del 1988 ("il Ponte"), che riproduco qui.


Giulio Cesare Mengozzi
La passione per la Storia di Rimini
"il Ponte", n. 7, 1988

Giulio Cesare Mengozzi è scomparso mercoledì 4 febbraio all'età di 88 anni. È doveroso ricordarlo non soltanto per la sua lunga militanza giornalistica sulle colonne dei giornali cittadini, ed in particolare di quelli cattolici, ma soprattutto per la meritoria passione con cui sin dalla giovinezza ha saputo coltivare gli studi storici, raggiungendo in essi una rara competenza.
Egli sapeva metterla a frutto, oltre che per sé e per le pagine che componeva con una diligenza che mai soffocava il guizzo narrativo ed il gusto della notizia, anche per quanti, e sono sempre stati molti, gli chiedevano un suggerimento, un'informazione con cui aprire una pista di ricerca oppure compilare una lista di testi da esaminare.
Aveva lavorato per molti anni nella nostra grande Gambalunghiana, e come pochi altri ne aveva esplorato gli angoli più nascosti. Cito un saggio sulle biblioteche appartenute agli Ordini monastici soppressi in età napoleonica, apparso nella locale Rivista Diocesana, che in poche pagine offriva un nuovo strumento d'indagine a proposito di quel grande mare inesplorato e pieno di sorprese che sono appunto le collezioni di testi.
Anche laicamente bisogna forse credere alle «vocazioni». Mengozzi l'aveva per tutto quanto costituiva la vita della città, il suo presente ed il suo passato. Come pochi altri, egli ha sempre avuto forte e pulsante lo spirito della memoria che, per avere significato e forza, deve tradursi non in un gesto di gratuita erudizione, ma in una testimonianza dell'ieri nell'oggi, per non dimenticare chi aveva dato il meglio di sé nei vari settori della nostra realtà sociale, politica o culturale, senza pregiudizi di sorta nella scelta delle figure e degli eventi.
Dove si parlava di stampa e di storia cittadina, Mengozzi non poteva mancare, con il suo entusiasmo, la sua capacità di organizzare, di costruire assieme ad altre persone (ricorderemo ad esempio la sua fraterna amicizia con Flavio Lombardini, un altro innamorato della carta scritta e della vita 'civile', non dico soltanto politica, di Rimini). Le pagine dei giornali e dei suoi lavori dell'anteguerra raccontano direttamente il lavoro di Mengozzi. Per esperienza personale posso riferire della sua dedizione, nei primi anni Sessanta, ad un'iniziativa che le nuove leve non hanno saputo rinnovare, l'Associazione della Stampa riminese, che pubblicava dignitosi «Quaderni», curava interessanti manifestazioni giocate su due toni, la celebrazione di qualche gloria locale, ed il lancio di nuove firme, individuate in quel mondo della scuola che cominciava a dare i suoi primi segni di insofferenza verso la vita placida della Rimini di allora, che scendeva nei letarghi invernali dopo gli splendori delle 'stagioni' balneari.
Mengozzi, Lombardini, Luigi Pasquini e Davide Minghini amavano la cultura riminese e si adoperavano per migliorarla. C'è un valore altamente morale nel loro operato, nella loro volontà di agire senza alcun interesse pratico, senza alcuna finalità volta alla ricerca di un qualche prestigio, desiderando unicamente di essere paghi di aver fatto qualcosa di utile per tutti.
In quei primi anni Sessanta ricordo Mengozzi che al Carlino riminese sostituiva come capo-pagina Amedeo Montemaggi quando questi andava in vacanza. Arrivava nella metà del pomeriggio, chiedeva a Gianni Bezzi, vice di Montemaggi, qualche notizia sul secondo "fuori-sacco" per il treno per Bologna delle 19, non interferiva sul lavoro della redazione, che seguiva con attenzione ma senza pedanteria. Insomma, non ci metteva mai a disagio. E la serata si chiudeva sempre con qualche arguzia, che Mengozzi si divertiva ad esporre come noi ad ascoltare.
Lungo decenni di letture e raccolte di notizie, egli aveva formato un archivio di fonti poi utilizzato per lavori pubblicati in sede locale (come le storie del nostro turismo ed alcune piccole e preziose guide a qualche chiesa), od apparsi su pubblicazioni di prestigio come i volumi della Società di Studi Romagnoli, quelli di «Ravennatensia» (l'antica Provincia religiosa ravennate), e quelli della Storia di Rimini moderna, edita da Bruno Ghigi proprio vent'anni fa.
Per Ghigi, Mengozzi firmò assieme a Luigi Lotti, Angelo Varni e Piergiorgio Grassi La storia politica, occupandosi precisamente in un lungo saggio di «Figure e vicende del Risorgimento». Il Risorgimento fu una costante delle pagine di Mengozzi, perché in esso trovava importanti motivazioni ideali.
Nel 1988, in occasione dell'Anno Mariano, il nostro giornale aveva ospitato sette suoi supplementi speciali dedicati ai santuari mariani della Diocesi.
Mengozzi aveva l'abitudine di scrivere di Storia senza contorcimenti accademici, ma con una chiarezza cronistica che sapeva esporre fatti, soltanto fatti, davanti ai quali il lettore raccoglieva il risultato di una documentazione ineccepibile.
Mengozzi è anche stato sempre assiduo redattore della «Piê», la rivista fondata da Spallicci e che compendia ancora con successo umori, stranezze e virtù della nostra terra di Romagna. Sia nell'impegno per i saggi di valore, sia in queste attività minori, Mengozzi (che spesso usava lo pseudonimo Ariminello), ha sempre lasciato il segno del suo lavoro di storico e di giornalista. A lui, che spese tante energie nel ricordo delle generazioni passate (nel quale ricordo faceva consistere l'intrinseca eticità di quello stesso lavoro), speriamo sia ricambiata la memoria per quanto realizzato durante la sua lunga vita. Per questo, nello stringerci affettuosamente ai figli ed ai famigliari tutti, vogliamo auspicare che di Giulio Cesare Mengozzi le nostre istituzioni culturali possano occuparsi con un omaggio alla sua figura che sia pure l'occasione per far rivivere una civiltà intellettuale che, con l'aria che tira nei giornali e nella vita cittadina, corre il rischio di svanire in una pigra, malinconica nebbia.
Antonio Montanari
Un altro mio testo in cui tratto di Mengozzi.

Rimini 150. In poche parole
12. 1936, si pensa al 1831


Aprile 1936, "il Diario" dell'Azione Cattolica di Rimini, pubblica un articolo di Giulio Cesare Mengozzi sul vescovo della città nel 1831, mons. Ottavio Zollio, passato alla storia per il proclama del 19 febbraio, pubblicato nel bel mezzo della tempesta rivoluzionaria, avviatasi pacificamente da Bologna il 4. La sommossa interessa tutti i territori emiliano-romagnoli dello Stato della Chiesa da Piacenza alla Cattolica, e culmina nella sconfitta militare alle Celle di Rimini, il 25 marzo.
Zollio nel proclama rassicura che ordine, concordia e pace regnavano tra gli insorti. E raccomanda di mantenere la quiete necessaria a rifiutare i cattivi consigli di quanti miravano al caos.
Torniamo al 1936. Già nel 1931 l'Azione cattolica riminese ha subìto una persecuzione politica (in linea con le direttive di governo): sacerdoti minacciati, oratorii devastati, circoli degli scouts chiusi. C'è pure l'arresto del presidente dei giovani cattolici, Luigi Zangheri che (ricordava Sergio Ceccarelli nel 1983), deve attraversare il Corso in mezzo ai poliziotti come un malfattore qualsiasi. La cattura di Zangheri è giustificata ufficialmente dal fatto che nei circoli cattolici si erano infiltrati gli antifascisti.
Nel "Diario" dello stesso 1936 il sacerdote don Giovanni Montali pubblica tra maggio e luglio due articoli che sono una pungente satira nei confronti della nuova mistica fascista. Ed approdano ad un'invocazione al duce, chiamato il "chirurgo provvidenziale" cui toccava il compito di risanare la gioventù italica. Don Montali il 20 giugno 1944 è avvisato da un capo fascista che stanno per catturarlo e fargli la pelle: "Scappi via...". E lui va a San Marino, dai frati di Valdragone. Al ritorno a casa, dopo la liberazione di Rimini (21.9.1944), ritrova in un pozzo i propri fratelli Giulia e Luigi, 59 e 66 anni, uccisi dai nazi-fascisti.
Nell'articolo di Mengozzi, mons. Zollio appare il simbolo della cultura cattolica liberale capace di intendere soltanto la voce del Vangelo e non gli obblighi del potere temporale. Mengozzi apparteneva ad una famiglia in cui ideali risorgimentali e valori religiosi convivevano, con diretta assunzione di pubbliche responsabilità.
In una breve antologia sui cento anni dell'azione cattolica riminese (1968), Mengozzi ricordava per il 1937 l'intervento di Benigno Zaccagnini al fianco di Carlo Alberto Balducci, e per il 1938 la presenza di Augusto Baroni, poi docente di Storia della Pedagogia al Magistero di Bologna.
Antonio Montanari



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2811, 17.11.2018