Antonio Montanari

La Biblioteca Malatestiana di Rimini

Ne parliamo dal 2006...


A San Francesco, la biblioteca universitaria
Ritorno all'antico: nel 1400 vi fu quella dei Malatesti,
la prima biblioteca pubblica d'Italia

"Il Ponte", Rimini, 9 aprile 2006

L'antico convento di San Francesco a Rimini, a fianco del Tempio malatestiano, diventerà la Biblioteca Universitaria di Rimini (BUR, immaginiamo...). È un ritorno alle origini. In quei locali confluirono non soltanto i libri dei frati. Il progetto di costituire una biblioteca aperta la pubblico e utile soprattutto agli studenti poveri, è testimoniato nel 1430 per iniziativa di Galeotto Roberto Malatesti che segue una intenzione dello zio Carlo (morto l'anno prima). Sigismondo, lo «splendido» Sigismondo (così lo chiama Maria Bellonci), arricchisce la biblioteca con «moltissimi volumi di libri sacri e profani, e di tutte le migliori discipline». Così testimonia Roberto Valturio (che alla stessa biblioteca lascia i suoi volumi). Sono testi latini, greci, ebraici, caldei ed arabi che restano quali tracce del progetto di Sigismondo per diffondere una conoscenza aperta all’ascolto di tutte le voci, da Aristotele a Cicerone, da Aulo Gellio al Lucrezio del «De rerum natura», da Seneca a sant’Agostino, sino a Diogene Laerzio ed alle sue «Vitae» degli antichi filosofi.
Una biblioteca di famiglia dei Malatesti nel XIV secolo è attestata da una lettera di Francesco Petrarca a Pandolfo («Seniles», XIII, 10). Anche il giureconsulto Rainero Meliorati lascia (1499) i propri testi ai frati di Rimini, mentre vanno (1474) a quelli di Cesena le opere possedute dal medico riminese Giovanni Di Marco (come ringraziamento per un vitalizio ricevuto dal signore di quella città, da lui curato).
Una iscrizione del 1490 (e non 1420 come precisa Antonio Bianchi, 1784-1840, da cui attingiamo queste notizie), ricorda il trasferimento della biblioteca francescana al piano superiore del convento da quello a terra «pregiudizievole a materiali sì fatti» (Angelo Battaglini, 1794).
Nel secolo XVII, aggiunge Bianchi, «della preziosa libreria, che i Malatesti, per conservarla ad utile pubblico, avevano dato in custodia ai frati di San Francesco», restano soltanto 400 volumi per la maggior parte manoscritti. Questo «rimasuglio» va perduto secondo monsignor Giacomo Villani (1605-1690), perché quelle carte preziose finiscono in mano ai salumai («deinde in manus salsamentariorum mea aetate pervenisse satis constat»). Federico Sartoni (1730-86), come riferisce Luigi Tonini, sostiene invece che i frati vendettero la libreria alla famiglia romana dei Cesi, alla quale appartengono i fratelli Angelo (vescovo di Rimini dal 1627 al 1646) e Federico, fondatore dell'Accademia dei Lincei nel 1603.
Nel convento di San Francesco nel 1923 fu trasferita dalla biblioteca Gambalunga la galleria archeologica (che s'affiancava a materiale già collocato nel 1908, scrive P. G. Pasini). Nel 1924 toccò alla pinacoteca. Nel 1938 fu aperto il nuovo museo archeologico ampliato nel 1938 con quello medievale. L'ingresso era nel chiostro a sinistra del Tempio. A. Magini (1934) in una guida della città spiega che alla pinacoteca si accedeva «per un ampio salone settecentesco preceduto da un elegante atrio ad arcate».
Infine, va detto che se la biblioteca Gambalunga (1619) è la terza in Italia ad essere pubblica dopo l’Ambrosiana di Milano (1609) e l’Angelica di Roma (1614), a quella di Francescani e Malatesti del XV secolo spetterebbe il merito di essere stata la prima in assoluto.


2007, patologie riminesi
Vietato parlare della Biblioteca Malatestiana

Alla pagina speciale pubblicata nel 2007.


2009, padre Giambattista Montorsi
San Francesco a Rimini
"Il Ponte", Rimini, 17 maggio 2009

In un lungo articolo dedicato alla presenza di San Francesco a Rimini, padre Giambattista Montorsi parla anche della biblioteca malatestiana che si trovava proprio presso il convento riminese di San Francesco.
Riporto il passo relativo a questa biblioteca.
"La presenza dei francescani, con il passare dei secoli, fu messa in particolare evidenza dalla biblioteca. Vedi «Biblioteca malatestiana di S. Francesco. Notizie e documenti» ("Il Ponte", 9 aprile 2006) di Antonio Montanari.
Il progetto di costituire una biblioteca aperta al pubblico e utile soprattutto agli studenti poveri, è stato realizzato nel 1430 per iniziativa di Galeotto Roberto Malatesti.
Dagli storici si parla di un’intensa attività libraria riminese dopo il 1430 e prima del 1452, quando viene aperta la biblioteca di Cesena. Questa attività è facilmente collegabile alla esistenza della biblioteca dei Malatesti presso il convento di San Francesco di Rimini.
Nel 1455 Roberto Valturio completa il suo De re militari, dove si legge dei «moltissimi volumi di libri sacri e profani, e di tutte le migliori discipline» donati da Sigismondo alla biblioteca del convento di San Francesco. Sempre Valturio nel 1475 lascia alla stessa biblioteca i suoi volumi. Montanari ricorda: «Sono testi latini, greci, ebraici, caldei ed arabi che restano quali tracce del progetto di Sigismondo per diffondere una conoscenza aperta all’ascolto di tutte le voci, da Aristotele a Cicerone, da Aulo Gellio al Lucrezio del “De rerum natura”, da Seneca a sant’Agostino, sino a Diogene Laerzio ed alle sue “Vitae” degli antichi filosofi».
Da un documento pubblicato da Angelo Battaglini nel 1794 veniamo a sapere che nel 1475 esisteva già una libreria del convento di San Francesco, era diventata copiosa a spese di Sigismondo, ed era posta al piano terreno, luogo non adatto per conservare libri. Nel 1490 avvenne il trasporto della «celebre» biblioteca francescana «a più conveniente luogo», secondo le disposizioni di Valturio.
Nel Sito riminese di Raffaele Adimari, stampato a Brescia nel 1616, si legge che presso il convento dei Conventuali esisteva una «sontuosa, et buona libreria». All’inizio del secolo XVII Antonio Bianchi scrive che «della preziosa libreria, che i Malatesti, per conservarla ad utile pubblico, avevano dato in custodia ai frati di San Francesco», restano soltanto quattrocento volumi per la maggior parte manoscritti".
Antonio Montanari


Tama 997, il Ponte, 13.06.2010
Ha ragione Pupi Avati

Sosteneva Federico Fellini che chi ha visto Bologna, ha visto il mondo. Da Bologna magistra, nel suo ricordo, arriva la voce di Pupi Avati, presidente di una fondazione cittadina intestata all'autore di "Amarcord". Voce critica, pungente, amara perché addolorata. Non per vigliaccheria, ma unicamente per mancanza di spazio, tralascio la polemica che riguarda le future sorti della fondazione. Mi soffermo soltanto su di un passaggio dell'intervista che Avati ha concesso a Manuela Angelini del "Corriere Romagna" il 4 giugno. Per mio fatto personale di piccola devozione domestica verso quella frase di Fellini su Bologna custode dei segreti universali, accetto come oro colato l'opinione che Pupi Avati ha espresso sopra la cattiva abitudine riminese di dare ragione a chi parla con la voce più alta.
Avati ovviamente non conosce altri segreti indigeni. Ma la frase da lui pronunciata limitatamente alle vicende della fondazione Fellini, ai miei occhi assume il valore di massima morale capace di sintetizzare costumi e malcostumi molto diffusi. Aggiungerei soltanto che con il passare dei decenni (non sempre il tempo fa migliorare le cose come il vino in cantina), alla pessima abitudine segnalata da Avati, si è aggiunto un altro fatto che chiamerei il servilismo a cottimo. Per cui chi mira a qualche risultato personale, s'abbassa a rendere qualsiasi basso favore a chi manovra i cordoni della borsa o custodisce le chiavi delle segrete stanze del potere.
Il caso concreto. Sulle colonne del Ponte nel 2006 scrissi che se la biblioteca Gambalunga (1619) è la terza in Italia ad essere pubblica dopo l'Ambrosiana di Milano (1609) e l'Angelica di Roma (1614), a quella di Francescani e Malatesti del XV secolo (e futura Universitaria...) spetterebbe il merito di essere stata la prima in assoluto. La mia nota provocò qualche ira nascosta poi divenuta una voce circolante contro il sottoscritto, prendendo corpo in un articolo di giornale tra il folle ed il fantasioso.
Folle perché contro ogni evidenza si negava la biblioteca, attestata da inventario del 1561 edito nel 1901. Fantasioso perché nell'accusarmi di aver scritto la solita "patacata riminese", si aggiungeva che ero attaccato da un "libello" apparso nelle librerie. L'autore dell'articolo mi confidò che non di libello trattavasi ma di una mail giunta in redazione. Orbene se una redazione dà ascolto ad una voce messa in giro, è perché la reputa gridata al punto di essere vera. [997]
Antonio Montanari


2011. La nostra Malatestiana
tra "Le grandi biblioteche pubbliche nel Quattrocento",
in un volume di Christopher S. Celenza e Bridget Pupillo

Dal 1901 si conosce l'inventario perugino (1560) della Biblioteca Malatestiana di Rimini nel Convento di San Francesco (Tempio), edito da Giuseppe Mazzatinti. La Biblioteca era costituita da due file di plutei di venti elementi ciascuna, con "circa" 150 opere nella prima e 123 nella seconda.
L'inventario è sfuggito a Christopher S. Celenza e Bridget Pupillo (della Johns Hopkins University), ai quali va il merito di valorizzare la nostra Malatestiana. Che hanno inserito nel loro saggio su "Le grandi biblioteche pubbliche nel Quattrocento", contenuto nel primo volume sulle origini del Rinascimento (a cura di A. De Vincentiis), del monumentale "Atlante delle letteratura italiana" (2010) ideato da S. Luzzato e G. Pedullà.
I due studiosi statunitensi, non avendo esaminato l'inventario del 1560, scrivono che della Malatestiana di Rimini si ignorano le dimensioni. Ma ricordano che l'umanista Roberto Valturio (1413-83) lasciò ad essa la propria collezione di manoscritti, perché fosse a disposizione dei cittadini. E che nel testamento di Galeotto Roberto Malatesti (1430) "si esprime l'intenzione di seguire la volontà dello zio Carlo" di creare una biblioteca pubblica a Rimini.
Questa data ne fa la prima biblioteca pubblica d'Italia. Altro primato riminese: la Gambalunga (1619), quarta come pubblica dopo Ambrosiana (1609) ed Angelica (1614), è la prima biblioteca civica italiana.
Nel suo testamento (1475) Valturio pone una condizione: i frati dovevano trasferire la Biblioteca dal piano terra a quello superiore, perché i locali originali non erano idonei alla conservazione dei manoscritti. Nel 1794 Angelo Battaglini scrive che il piano terra era "pregiudicevole a materiali sì fatti". Il cambio di locali avviene nel 1490, come ricorda l'iscrizione latina di marmo conservata al Museo di Rimini ("Sotto il principato di Pandolfo. Mentre Galeotto, nato dal sangue di Malatesta, era speranza e padre della Patria. Per tua somma cura, Giovanni Baioti teologo, la biblioteca è stata posta in questo luogo. 1490").
Valturio nel "De re militari" (XII, 13) ricorda che Sigismondo donò alla nostra Malatestiana moltissimi volumi di libri sacri e profani, e di tutte le migliori discipline.
Nel 1560 figura inventariato Nicolò di Lira, con il suo codice "Super Psalmos". Di questo autore sono i tre volumi delle "Postille" completati a Pesaro nel 1402, passati a Mantova (per nozze in casa Gonzaga e poi al convento di San Francesco) ed ora alla John Rylands Library di Manchester.
Antonio Montanari

Bridget Pupillo


Carta canta/3 [2011, "il Ponte"]
Biblioteca Malatestiana di Rimini nel Convento di San Francesco (Tempio), edito da Giuseppe Mazzatinti. La Biblioteca era costituita da due file di plutei di venti elementi ciascuna, con "circa" 150 opere nella prima e 123 nella seconda.
L'inventario è sfuggito a Christopher S. Celenza e Bridget Pupillo (della Johns Hopkins University), ai quali va il merito di valorizzare la nostra Malatestiana. Che hanno inserito nel loro saggio su "Le grandi biblioteche pubbliche nel Quattrocento", contenuto nel primo volume sulle origini del Rinascimento (a cura di A. De Vincentiis), del monumentale "Atlante delle letteratura italiana" (2010) ideato da S. Luzzato e G. Pedullà.
I due studiosi statunitensi, non avendo esaminato l'inventario del 1560, scrivono che della Malatestiana di Rimini si ignorano le dimensioni. Ma ricordano che l'umanista Roberto Valturio (1413-83) lasciò ad essa la propria collezione di manoscritti, perché fosse a disposizione dei cittadini. E che nel testamento di Galeotto Roberto Malatesti (1430) "si esprime l'intenzione di seguire la volontà dello zio Carlo" di creare una biblioteca pubblica a Rimini.
Questa data ne fa la prima biblioteca pubblica d'Italia. Altro primato riminese: la Gambalunga (1619), quarta come pubblica dopo Ambrosiana (1609) ed Angelica (1614), è la prima biblioteca civica italiana.
Nel suo testamento (1475) Valturio pone una condizione: i frati dovevano trasferire la Biblioteca dal piano terra a quello superiore, perché i locali originali non erano idonei alla conservazione dei manoscritti. Nel 1794 Angelo Battaglini scrive che il piano terra era "pregiudicevole a materiali sì fatti". Il cambio di locali avviene nel 1490, come ricorda l'iscrizione latina di marmo conservata al Museo di Rimini ("Sotto il principato di Pandolfo. Mentre Galeotto, nato dal sangue di Malatesta, era speranza e padre della Patria. Per tua somma cura, Giovanni Baioti teologo, la biblioteca è stata posta in questo luogo. 1490").
Valturio nel "De re militari" (XII, 13) ricorda che Sigismondo donò alla nostra Malatestiana moltissimi volumi di libri sacri e profani, e di tutte le migliori discipline.
Nel 1560 figura inventariato Nicolò di Lira, con il suo codice "Super Psalmos". Di questo autore sono i tre volumi delle "Postille" completati a Pesaro nel 1402, passati a Mantova (per nozze in casa Gonzaga e poi al convento di San Francesco) ed ora alla John Rylands Library di Manchester.
Antonio Montanari













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