QUINTO RAGIONAMENTO

I movimenti di liberazione nazionale, "sessuale", delle donne, dei bottegai, degli usurai, degli omosessuali, degli studenti, dei preti, delle minoranze etniche, dei "minorati", dei drogati, dei "volontari", degli operai, dei bambini, degli animali, degli impiegati e delle piante "verdi", tutto sommato corporativi e produttori di ideologie della separatezza, pongono dispersione e ostacolo alla ricerca faticosa della conquista o della riconquista della totalità.

Inclusa l’ideologia del teppismo e del furto che, se supera di fatto vecchie armi obsolete della politica militante, opera sulla tendenza rivoluzionaria, che i comportamenti "criminali" e genericamente illegali esprimono, a livello delle scelte individuali, un recupero che ne scarica all’istante ogni tensione positiva.
[j]

Non appena si appaghi di essere trasgressore abituale di ogni norma, il "criminale" affoga il proprio progetto di essere nel semplice e caricaturale non essere ossequiente alla normativa in quanto tale, che ne diviene perciò, e semplicemente, la norma in negativo: l’avere in luogo dell’essere.

La coazione a ripetere è il tratto miseramente maniacale che degrada a routine e a ripetizione nostalgica l’insurrezione del colpo di mano. [j]

Dati i limiti di posizione leninisti, la lotta armata, ancora una volta, ha scritto a lettere di fuoco che "la scorciatoia è impossibile!" Lasciamo ad altri la cronaca.

All’"umanesimo" che chiede ai ricchi per dare ai poveri sperando che qualcosa rimanga attaccata nelle mani, e al laicismo illuminista che percorre gli stessi metodi sperando di averne vantaggi politici e che propone l’investimento del Capitale negli "strati" poveri per ristrutturarli nei suoi interessi accumulativi (i ricchi che danno ai poveri come business...), noi rispondiamo che non abbiamo nulla da chiedere ai ricchi e ai poveri, in quanto, individualmente, scegliamo l’essere* come autenticità esprimibile (non come espressione determinata dal mercato) e l’avere come accesso ai beni sociali per un’autentica possibilità dell’esprimersi individualmente (non l’avere come accaparramento di valori di scambio, quindi denaro che ne è una forma sintetica).

La concezione poc'anzi espressa è chiara ed inequivocabile e consente al lettore di riconoscersi o dissociarsi.

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Note finali:

[*] Nella società del Capitale l'avere e l'essere, come problematiche, devono essere inquadrati sotto una ed una sola lettura:

chi non ha: non è.

Pertanto, cercare di collegare alla nostra riflessione personaggi o teorie (Fromm, Freud ecc.) è fuorviante, riduttivo e, soprattutto, un tentativo mistificatorio antiscientifico.

[j] Qui la nostra posizione coincide con quella di Giorgio Cesarano che in "Apocalisse o rivoluzione" (Dedalo Libri - 1973), giunge alle stesse conclusioni. Non lo citiamo completamente per ragioni di spazio, ma la profondità espressa da queste parole meriterebbe una riscoperta dello scrittore milanese proprio per la controtendenza espressa in un periodo dove l'omologazione letteraria stalinista-borghese era molto vigile ed attenta affinché non si manifestassero controtendenze editoriali.

Cesarano, prima di morire, stava lavorando ad un altro capitolo dell'anticapitalismo, un'opera per il momento a noi sconosciuta o rimasta pressoché inedita: una "Critica dell'utopia capitalista".

Una materia fondamentale, la cui necessitata importanza si rivolge innanzitutto "a sinistra" ed alle utopie borghesi della sinistra.

In secondo luogo ci si rivolge ai "comunisti generici" ed ai "catto-comunisti", la cui folle ingenuità teorica e la misera progettualità non è mai saputa andare oltre alla proposizione di un "comunismo DEL Capitale".