Strada del Vino Costa degli Etruschi - Toscana - Livorno

Una dolce catena di colline
ricche di boschi incontaminati, borghi medievali
carichi di storia e nei quali la vita scorre
con ritmo umano, una popolazione accogliente
e schietta, la vicinanza di un mare insignito
da numerose bandiere blu.

LE STRADE

DOC BOLGHERI

Durante gli anni Sessanta il Bolgherese si conquistò una certa fama per la consistente produzione del Rosé, commercializzato dagli Antinori.

In quel periodo l'immagine del vino toscano si stava gravemente deteriorando, soprattutto all'estero. Un insieme di fattori quali la caduta dei prezzi del vino con una domanda ancora consistente, l'introduzione dei disciplinari DOC che mantenevano formule di uvaggi ormai superate e rese per ettaro adatte a produrre quantità anziché qualità, la mancanza di ricerca sulla selezione dei cloni, aveva portato il Chianti e, di conseguenza, gli altri vini toscani, in una situazione di profonda crisi sul superamento della quale avrebbero scommesso in pochi.

Invece, grazie all'operato di alcuni personaggi illuminati, tra i quali è d'obbligo citare Mario Incisa della Rocchetta e l'enotecnico Giacomo Tachis, e attraverso la sperimentazione e l'impiego di varietà cosiddette "internazionali", quali Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, e l'uso di barriques secondo le tradizioni francesi, la Toscana ha cominciato a risalire la china del successo, fino ad imporsi agli inizi degli anni Novanta come una delle regioni più interessanti e più dotate dell'intero universo vinicolo.

Ed è interessante notare come il primo di questi vini, che dagli anglosassoni venivano definiti i "Super Vini da Tavola Toscani" (Super Tuscans), fosse proprio il Sassicaia, e come molti tra i più famosi e conosciuti dal mercato internazionale provengano dalla zona toccata dalla "Strada del Vino".

Il Sassicaia, (Cabernet Sauvignon 85%, Cabernet Franc 15%) prodotto a Bolgheri, ideato da Mario Incisa della Rocchetta, il famoso allevatore di Ribot, e perfezionato con la consulenza di Giacomo Tachis, è ormai un mito a livello mondiale. Alcuni episodi hanno dell'incredibile: "I froze my ass for the 81 Sass" (mi sono congelato il sedere per il Sassicaia 81) era scritto su una spilla appuntata sulla giacca di appassionati di vino canadesi. In Canada il vino viene venduto attraverso l'Ente statale e quando si seppe che alla Maison du Vin sarebbe stato messo in vendita il Sassicaia 1981, un gruppo di appassionati si mise in fila fin dalla notte precedente, sfidando la rigida temperatura, pur di accaparrarsi poche bottiglie del vino. Bruce Mather ha dedicato al Sassicaia una composizione per clarinetto e orchestra, affascinato dalle qualità del nettare.

Il Grattamacco di Piermario Meletti Cavallari è stato uno dei primi a porsi sulle orme del Sassicaia, seguito dal Paleo Rosso de Le Macchiole e da Michele Satta.

L'Ornellaia, prodotto nella omonima fattoria di Bolgheri, creata da Lodovico Antinori ed ora di proprietà Mondavi-Frescobaldi, ha ottenuto, agli inizi degli anni 90, dalla prestigiosa rivista inglese "Decanter" il riconoscimento quale migliore Cabernet italiano, mentre il fratello Piero Antinori ha iniziato nel 90 la produzione del Guado al Tasso.

Questa situazione ha reso di fatto necessaria, nel 1994, una completa revisione del disciplinare della DOC di Bolgheri, che prevedeva le sole due tipologie Bianco e Rosato.

DOC MONTESCUDAIO

La presenza della vite a Montescudaio si può far risalire con certezza all'era Etrusca. Ne è prova il ritrovamento del cinerario cosiddetto di Montescudaio del VII sec. a.C.: vi è raffigurato un banchetto funebre con un grosso vaso "cratere" dove veniva mescolato il vino con l'acqua, secondo l'uso greco.

Nel 1092 Gherardo della Gherardesca, dona al monastero da lui stesso fondato, una chiesa, vigneti ed altri benefici, riservandosi il diritto di eleggere la Madre Superiore.

Il vino è da sempre, quindi, uno dei prodotti portanti dell'economia locale di Montescudaio ed, in generale, dei comuni della valle del Cecina. All'inizio del XX secolo costituisce senz'altro, insieme all'olio, il prodotto più importante per incrementare lo scarso reddito delle popolazioni residenti. Ma è solo dopo la seconda guerra mondiale che le cifre si fanno importanti: grazie al miracolo economico ed alla ripresa dei consumi, il vino di Montescudaio è sempre più richiesto, soprattutto come vino sfuso, venduto a botti o damigiane. Dietro la scia della domanda, si piantano nuovi vigneti, si comincia timidamente ad imbottigliare, seguendo l'esempio del più famoso Chianti, e cominciano a germogliare le prime idee di aggregazione tra produttori.

Nasce, così, nel 1968 la Sagra del Vino, voluta da alcuni illuminati produttori, che intuiscono le ottime possibilità di collegare turismo e conoscenza diretta del territorio al vino. Successivamente, nel 1977, Montescudaio ottiene la DOC che prevede due tipologie: un rosso a base di sangiovese, trebbiano, malvasia, e altre varietà come canaiolo e colorino, ed un bianco, a base di trebbiano, malvasia e vermentino, che può essere prodotto anche come Vin Santo, secco, semisecco o dolce. Il territorio interessato è piuttosto vasto, ma è complessivamente caratterizzato dal microclima indotto dal fiume Cecina e dalla presenza di terreni vocati soprattutto sulle fasce collinari, fino a rilevanti altitudini, come ai circa 450 m. di Montecatini Val di Cecina.

La DOC è impostata secondo la più classica delle toscanità vinicole chiantigiane così come erano intese nell'euforia degli anni 60, quando si guardava soprattutto alla quantità prodotta e molto poco alla qualità. L'aggiunta di trebbiano al rosso è molto significativa in questo senso. Oltretutto, la DOC esce in un momento in cui l'espansione dei consumi di vino di scarsa qualità e basso prezzo conosce un'improvvisa interruzione. Occorre arrivare agli anni 90 perché le cose comincino a cambiare in maniera abbastanza radicale.

Nella vicina Bolgheri, il Sassicaia ed i Super Tuscans che lo hanno affiancato, mietono un successo dopo l'altro sui mercati mondiali. Si sono affacciate nuove generazioni di produttori e di enologi, convinti che la strada dell'altissima qualità sia l'unica in grado di mantenere vivo il settore, dimostrando, oltretutto, l'alta capacità di remunerazione dei vini di alta gamma.

Anche a Montescudaio si comincia ad andare in questa direzione. Castello del Terriccio, Sorbaiano, Poggio Gagliardo sono tra i primi ad uscire con vini di taglio moderno che incontrano subito i favori del mercato.

Rispetto a Bolgheri c'è però una differenza sostanziale: mentre i vini bolgheresi sono prodotti in altissima percentuale da uve "francesi" come cabernet sauvignon, cabernet franc, merlot, syrah, con scarsa presenza di sangiovese (Satta con il suo Cavaliere è una delle rare eccezioni), nella DOC Montescudaio la realtà "sangiovese" si affianca e con successo ai nuovi stili a base cabernet.
Questa realtà è recepita dal nuovo disciplinare DOC del 1999, che prevede l'utilizzo dei vitigni cosiddetti "innovativi".

La DOC Montescudaio dimostra in ogni caso, rispetto alle vicine Bolgheri e Val di Cornia, un assetto più meditativo e meno dinamico. In effetti, lo sviluppo della zona è tuttora in fase di decollo: accanto alle tre aziende appena citate, altre tradizionali stanno attrezzandosi per un decisivo miglioramento della qualità: Merlini, Serra del Pino, Ferrari Iris, Santa Maria, mentre si assiste ad un consistente numero di nuovi ingressi, i cui programmi fanno intuire intenzioni molto serie per il prossimo futuro. Siamo così in attesa dei primi prodotti della biodinamica Serra all'Olio, di Riparbella, dei vini della Ginoriana, tratti dagli splendidi vigneti di Querceto, e, più avanti nel tempo, Ferragamo, Saiagricola, D'Attoma, solo per citarne qualcuno.

Tre produttori, invece, hanno già bruciato le tappe, presentandosi sul mercato ed ottenendo immediatamente ottimi consensi: La Regola di Riparbella, La Nocera di Casale Marittimo e l'Aione di Montecatini Val di Cecina.

Da questo fervore si intuisce come le potenzialità della zona siano molto alte, ed anche se il cambiamento ha richiesto tempi più lunghi rispetto alle zone vicine, la strada è ormai imboccata ed ha la maggiore chance di poter giocare ottime carte anche su vitigni tradizionali, quali il sangiovese ed il vermentino, che da sempre sono stati il punto di forza del vino Montescudaio.

DOC VAL DI CORNIA

La vite è presente nel comprensorio Val di Cornia - Elba sin dai tempi degli etruschi, che avevano qui uno dei loro più celebri insediamenti.

In epoca moderna, lo sviluppo di una viticoltura razionale si può datare alla seconda metà del 1500. Nel 1600 il feudo di Sassetta concede terreni nella località Pian delle Vigne, oggi tornata alla ribalta della cronaca grazie all'acquisizione da parte della duchessa di York; nella zona risulta una produzione di 1600 barili di vino da parte di 35 produttori. Nel 1700 sono i della Gherardesca ad estendere la coltura della vite, ma si tratta pur sempre di uno sviluppo contenuto, in quanto la produzione di vino di qualità è riservata ad una ristretta cerchia di consumatori con buone disponibilità di spesa e resta un fenomeno di elite con scarse capacità di esportazione. Per il resto della popolazione il vino è un complemento dell'alimentazione, quando è disponibile, magari anche solo sotto forma di vinella, ottenuta bagnando con acqua le vinacce e facendo rifermentare il tutto.

Nel 1875 risultano all'Archivio di Stato di Pisa, 450 ettari a vite in Campiglia Marittima, 92 a Suvereto e 40 a Piombino: il vino serve soprattutto per l'autoconsumo e solo una piccola quantità è esportata a Pisa, Livorno e Genova e solo sporadicamente in Svizzera o Inghilterra.
Alla fine dell'800 la fillossera costringe a reimpiantare praticamente tutto il vigneto italiano, ma l'attenzione alla qualità, alla provenienza del vino, intesa soprattutto come individuazione del produttore, rimane scarsa fino agli anni '60 del secolo appena trascorso.

Dopo la seconda guerra mondiale si assiste ad una enorme crescita dei consumi, ed il vino non si sottrae a questa tendenza. Gli aiuti Feoga contribuiscono all'incentivazione dell'impianto di nuovi vigneti, ma le attenzioni sono tutte rivolte alla quantità piuttosto che alla qualità. Si impianta per produrre molto e si scelgono di conseguenza cloni, varietà o terreni poco qualitativi. Ma è proprio in questo periodo che si cominciano a percepire quelle che potranno essere le potenzialità della Val di Cornia.

Negli anni '60 e '70, i vini, soprattutto i rossi prodotti nella zona di Suvereto e Campiglia, hanno una struttura possente ed un colore ricco ed impenetrabile. La vinificazione è rozza ed i prodotti che ne risultano sono rustici e tutt'altro che armonici ed eleganti, ma la materia c'è tutta, il vino ha uno spiccato carattere di territorio e, tutto sommato, si presta bene ad accompagnare gli altrettanto rustici piatti della tradizione locale a base dell'onnipresente cinghiale.

Negli anni '80 il consumo del vino comune crolla drasticamente, mentre cominciano ad aumentare le richieste di vini di alta qualità, sulla scia di quanto avviene per il fenomeno Sassicaia, fenomeno destinato a rilanciare l'intera enologia italiana nel mondo.
L'eco di questo successo si diffonde anche in Val di Cornia ed alla fine degli anni '80 si cominciano a piantare, nella zona di Campiglia, le prime viti di cabernet, interpretato, però, sempre come complemento al sangiovese e non come vitigno da vinificare in purezza.

Cabernet e merlot trovano la loro via verso l'eccellenza solo nella metà degli anni '90, quando la vinificazione, al pari del lavoro in vigna, si fa più attenta e rigorosa, abbandonando quei cosiddetti sistemi tradizionali, che della tradizione avevano conservato solo gli aspetti negativi.
Ma, a differenza di Bolgheri, centro di riferimento, per tutti, dei grandi rossi a base cabernet-merlot, apprezzati dal mercato mondiale, qui continua a dare risultati eccellenti anche il sangiovese, che ha una connotazione profondamente differente da quella dei vini della Toscana centrale assumendo un carattere personale molto accattivante.

Accanto al sangiovese, si fanno strada altri vitigni: il montepulciano d'abruzzo, importato da lavoratori marchigiani ed abruzzesi, venuti in Val di Cornia negli anni dell'industrializzazione, il ciliegiolo, che qui, come nella maremma grossetana del sud, sta dimostrando di poter ambire a risultati di grande rilievo, e, per finire, l'aleatico, riconosciuto a DOC nell'ultima revisione del disciplinare, che può competere alla pari con i migliori esemplari elbani e che si è rivelato un delizioso partner del cioccolato amaro.

Per dovere di completezza, occorre citare un discreto sviluppo nei vini bianchi a base di vermentino, accompagnato da una interessante e ormai centenaria presenza della clairette.

DOC ELBA

Per molti anni parlare di vino dell'Elba ha significato un immediato riferimento all'aleatico ed ai vini passiti prodotti con uve moscato o ansonica.

All'inizio del secolo erano circa 800 gli ettari coltivati a vigneto.
Alla fine degli anni settanta gli ettari si erano ridotti ad un centinaio e trovare un vero aleatico era un'impresa degna di un esploratore livingstoniano.
L'esplosione del turismo balneare ha distolto, a partire dagli anni 60, molte risorse da un settore duro come quello agricolo, reso oltretutto ancora più ostico dalle particolari condizioni ambientali tipiche delle piccole isole, dove i vigneti più vocati sorgono in zone impervie e difficili da lavorare.

Per fortuna negli ultimi anni si è cominciato ad assistere ad un lento, ma costante "rinascimento" della vitivinicoltura elbana. Grazie ad alcuni produttori volonterosi ed illuminati si è cominciato a modernizzare la tecnica di produzione, a lavorare duramente e meticolosamente sia in vigna che in cantina. I risultati ottenuti fanno vedere chiaramente quelle che sono le reali potenzialità dei vini elbani, e non solo dei più famosi aleatici e passiti, ora reperibili con una certa facilità, ma anche dei bianchi e dei rossi. Dotati tutti, comunque, di quel carattere e di quella tipicità che solo il particolare insieme di terreno, microclima e pratiche colturali caratteristico di una piccola isola può loro conferire.

In questi anni si sta inoltre consolidando il settore del turismo enogastronomico che vede nella Strada del Vino lo strumento più adatto per coniugare il prodotto agroalimentare di alta qualità con l'ambiente che lo origina e con la cultura e le tradizioni del luogo stesso.
Il percorso elbano della Strada del Vino Costa degli Etruschi si snoda su di un territorio dotato di attrattive ambientali di rara bellezza e permette di entrare in contatto con gli attori principali della filiera produttiva di questi vini di razza fiera e marinara.

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