I dettagli dell’origine antichissima di Potenza non sono ancora stati del tutto chiariti: scavi e ritrovamenti fanno, comunque, risalire al IV secolo a.C. il trasferimento di popolazioni provenienti dall’insediamento preistorico di Vaglio, a nord-est della città.

Da Potenza, l’itinerario si volge a nord, per raggiungere il territorio di produzione della Doc. Non lontano dal capoluogo regionale, sorge il castello monumentale di Lagopesole. Di calcare rossastro, é l’ultimo e il più vasto tra quelli di Federico II. L’imperatore cominciò a farlo costruire otto anni prima della morte e lo lasciò incompiuto. Di fondazione e di aspetto trecentesco, Atella conserva nell’antico nucleo urbano tratti della cerchia muraria medioevale con torri e porte. Nel monastero benedettino sostò prigioniera Giovanna I regina di Napoli, nipote di Roberto d’Angiò, nel viaggio verso Muro Lucano, dove sarebbe stata uccisa.

Rionero in Volture, il maggiore centro di produzione della Doc, si apre sullo sfondo verde di boschi del vulcano, distesa tra due colline rivestite di vigneti, arricchiti dalla fertilità dei terreni e dalla loro favorevole esposizione. La circolazione sotterranea che sgorga in sorgenti di acqua minerali alimenta stabilimenti di imbottigliamento. Antica di aspetto e di memorie storiche, é patria di Giustino Fortunato, lo studioso che aprì la cultura politica italiana all’interesse per la “questione meridionale”. Vi nacque anche Carmine Donatelli, detto Crocco, il brigante leggendario che fu a capo delle bande che operarono a lungo in Basilicata dopo l’Unità d’Italia.

Anche Barile, a pochi chilometri di distanza, è un centro di antichissima tradizione vitivinicola, circondata da vigneti e uliveti. Dopo l’abbandono da parte dei Greci che l’avevano fondata, fu ripopolata da Albanesi di Scutari e Croya che fuggivano i Turchi. Giunsero qui intorno al 1460 e non hanno mai abbandonato le tradizioni culturali e linguistiche della loro terra d’origine. Al rito religioso greco-albanese dovettero, invece, rinunciare nel 1627, quando il vescovo di Melfi lo proibì. Nella periferia dell’abitato si conservano ancora le caratteristiche sheshe, le grotte che i primi albanesi scavarono nel massiccio di tufo, e che sono adibite ancora oggi alla conservazione del prezioso Aglianico.

Rapolla fu fondata dai Romani e conobbe complesse vicende feudali. Nell’intrico delle vie strette, trovano spazio edifici religiosi in cui si riconoscono le successive influenze storiche e culturali.

Le pendici del Vùlture le regalano acque sorgive termali, oltre all’habitat ideale per i vigneti e il vino di antica tradizione. Anche Melfi sorge ai piedi del Vùlture, su un colle vulcanico che nutre le vigne preziose che danno l’ottimo Aglianico. Le tracce imponenti del periodo normanno-svevo testimoniano la storia gloriosa della città. Qui, nel 1059, papa Niccolò II attribuì a Roberto il Guiscardo, duca di Calabria e Puglia, il ruolo di vassallo della Chiesa. Nel castello normanno, che fece costruire, ispirato a impianti difensivi arabi e bizantini, e ampliato e ristrutturato in epoca sveva e angioina, si tennero quattro Concili. In quello del 1089 papa Urbano II bandì la prima Crociata e confermò l’obbligo del celibato ecclesiastico. Fu residenza prediletta dei re normanni e poi di Federico II, che restaurò le mura e costruì il castello. E nel 1231, in un “parlamento” di feudatari, vescovi e rappresentanti delle città demaniali, promulgò le Costitutiones Regni, redatte da Pier delle Vigne. Furono il primo testo organico medioevale a stabilire regole in materia penale e civile nell’anarchia del diritto feudale.

Nel Museo archeologico Nazionale, Melfi conserva il celebre sarcofago di Rapolla, opera originaria dell’Asia Minore, risalente alla seconda metà del II secolo d.C. Almeno sei rovinosi terremoti, negli ultimi cinque secoli e mezzo, hanno duramente colpito il suo assetto urbanistico.

Proseguendo verso nord-est, l’itinerario raggiunge Lavello, centro agricolo di origine antichissima che sorge su uno sperone del Tavolato delle Murge a dominare il corso dell’Ofanto. Conserva i resti di un villaggio dell’età del Ferro e fu abitata dai Dauni e dai Normanni che vi costruirono una fortezza.

Toccato il punto più settentrionale il percorso piega a sud-ovest per Venosa, nel cuore della zona di produzione dell’Aglianico, che allunga l’antico centro su un pianoro a 415 metri di altitudine, al margine orientale del complesso del Vultùre; ovunque si stendono vigneti e si diffondono numerosi impianti vinicoli.

Nel 65 a.C. vi nacque il poeta Quinto Orazio Flacco, e vi compì i primi studi presso un maestro dove andavano “grandi fanciulli nati da grandi centurioni”. Il padre lo portò, poi, a Roma da più grandi maestri, ma egli conservò un forte legame con la sua terra, e nelle opere riservò spesso elogi ai luoghi e al vino amatissimi. Sorta come sito Apulo-Lucano, Venosa si sviluppò come centro commerciale e amministrativo romano in seguito al prolungamento della via Appia da Benevento a Taranto. Fu punto di incontro di molte culture diverse, fra cui un consistente insediamento ebraico.

Un parco archeologico custodisce ciò che rimane della Venusia romana. Vi si conservano i resti di un grande anfiteatro di età imperiale da diecimila posti, un complesso termale, parti dell’abitato con abitazioni e botteghe, alcune tombe, edifici, fra cui la pesunta casa del suo figlio più noto che sembra essere, in verità, un tepidarium. La città era grande, ricca e potente, tra le prime diciotto città della penisola: aveva esercito, senato, diritto di battere moneta. Ma fu smantellata pezzo per pezzo. Un complesso di testimonianze monumentali del Medioevo e del Rinascimento si è sovrapposto alle tracce di epoca romana.

In posizione dominante sull’alta valle del Bradano, su un colle da cui si domina la Murgia pugliese e si arriva fino al golfo di Manfredonia e al Gargano, sorge Acerenza, Celsae nidum Acherontiae, l’oraziano “nido aereo dell’alta Acerenza”.

Ci si arriva attraversando colline ondulate, coperte di vigneti. Sul fianco settentrionale del colle, una miriade di grotte-cantine scavate nella roccia dell’antico vulcano garantiscono al rosso Aglianico la giusta temperatura di conservazione. Architetti francesi chiamati dall’abate di Cluny, qui nominato arcivescovo, e maestranze locali hanno costruito la bellissima cattedrale romanica nel 1080. Sotto il presbiterio, nei primi anni del ‘500, fu costruita una piccola cripta, capolavoro di arte rinascimentale. Anche a Pietragalla antiche cantine scavate nel tufo tramandano la tradizione vinicola.

A Matera fino agli ’50 del Novecento, circa 20.000 persone hanno vissuto in quartieri scavati nella roccia, i “Sassi”. L’insediamento ha accolto una presenza umana continua dalla preistoria a oggi: caso davvero raro, se non unico, nella storia dell’umanità. L’ambiente è il profondo burrone della gravina: la calcarenite che la forma è il familiare tufo, che, al di sopra dei 350 metri, diventa tenero e straordinariamente modellabile. Il canyon è diviso in due da un promontorio roccioso su cui sono sorti il Duomo duecentesco e il rione “Civita” della città.

A sinistra e a destra si aprono i due anfiteatri del Sasso Barisano e del Sasso Caveoso, dominati da una strada che corre lungo la cornice. Le pareti di roccia scoscendono verso un torrente, fittamente intagliate da grotte che penetrano in profondità nelle viscere del monte. Sono le abitazioni, alcune delle quali costruite in muratura nella parte frontale, altre completamente ipogee.

Il tortuoso nucleo urbano, di impianto medioevale, è caratterizzato da un labirinto di vie strette, ripide scalette di collegamento, muretti, cunicoli, minuscole piazze con cisterne, grotte chiuse adibite a magazzini e a frantoi. Tra le grotte di abitazione si aprono quelle dette cellàri, dove il vino percorreva tutto il suo ciclo, dalla pigiatura delle uve alla mescita. Le cavità sono scavate su molti livelli sovrapposti, le abitazioni si arrampicano una sull’altra, i tetti delle une fanno da pavimento alle altre; i comignoli si trovano spesso a livello delle strade; l’unica fonte di luce esterna proviene spesso dalla porta di ingresso. Ma molti accorgimenti ingegnosi erano stati adottati: una estesa e fitta rete di canalizzazioni convogliava l’acqua da cisterne più grandi a quelle dei “vicinati”, i quartieri, e anche all’interno delle abitazioni; un sistema di pozzi successivi ne assicurava la purificazione.

Spesso l’inclinazione delle abitazioni era calcolata in modo che i raggi del sole non superassero l’ingresso in estate, ma penetrassero in profondità durante l’inverno, quando erano più obliqui, e la luce e il calore erano più necessari. L’equilibrio e la abitabilità dell’insediamento decaddero notevolmente nel secolo XVII, quando la popolazione crebbe in misura notevole e lo scarso spazio a disposizione fece sacrificare anche i locali delle cisterne, e fu sempre più condiviso con gli animali da cortile, gli attrezzi da lavoro, le scorte alimentari. Questa città vera e propria custodisce decine di luoghi di culto, spesso di impianto e di fattura pregevoli; alcuni sono ipogei, altri integrati da facciate esterne. Tutti rivelano il forte rapporto con l’ambiente greco-bizantino, e diverse conservano affreschi di grande valore artistico, realizzati fra l’VIII e il XVII secolo.

Nell’inesorabile processo di degrado, alcune chiese divennero, nel tempo, insediamento di contadini e pastori; una cripta è stata trasformata in un palmento destinato alla pigiatura dell’uva. Svuotati della loro popolazione, sottoposti a opere di ristrutturazione e di recupero, i Sassi sono stati il primo insediamento al mondo a ottenere dall’Unesco il riconoscimento di “paesaggio culturale”.

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