«Papà mio, dove lo portate?»
Nella notte sul 13 luglio 1944, i repubblichini sequestrano e torturano Duilio Paolini, il sarto di Montelicciano. Il suo corpo non sarà mai ritrovato. E la figlia Ines, di 14 anni, impazzisce per il dolore.

I giorni dell’ira, 1. "il Ponte", 03.12.1989
1. Una ragazza.
Estate 1944. Sulla strada che da Fiorentino porta verso Mercatino Conca, in comune di Montegrimano, alla curva dopo il paese di Montelicciano, al Poggio, c'è la casa di Anna Ceccolini, detta Netta. Vi è ospitato un confinato politico marchigiano, proveniente da Roma: il sarto Duilio Paolini, 49 anni, che ha con sé due figli, Elio nato nel 1927 ed Ines nel 1930.
La sera del 12 luglio, un nuovo rastrellamento dei repubblichini nella zona mette a soqquadro il piccolo paese. È da poco passata mezzanotte quando colpi di accetta demoliscono la porta d'ingresso dell'abitazione di Anna Ceccolini.
Duilio Paolini è in casa con la ragazza. Elio invece è alla macchia.
Sentendo i primi spari, Elio ha deciso di andarsi a nascondere ed ha pregato inutilmente il padre di seguirlo. Il sarto è stanco, e spera che non gli accada nulla. Resterà a dormire nel suo letto.
Verso le tre del mattino, il giovane Paolini ritorna a casa, insospettito dai colpi uditi distintamente. Trova segni di devastazione non soltanto sulla porta, ma anche all'interno delle loro stanze.
Lo accoglie la sorella. Ines piange, stravolta. Tra singhiozzi irrefrenabili, racconta la cattura del padre. Lo hanno preso mentre dormiva. Lo hanno legato con una corda alle mani ed ai piedi, «alla maniera degli animali», sussurra con un filo di voce la ragazza, impietrita dal dolore. Poi lo hanno caricato sopra un'auto targata San Marino, portando via anche i tagli di stoffa e gli abiti in prova che erano nel laboratorio.
La ragazza continua a disperarsi. Elio chiede altre notizie ad una vicina, la signora Severi che racconta: Ines è corsa dietro a suo padre in preda al panico, ed urlando ha continuato a chiedere: «Papà mio, dove lo portate?». I fascisti l'hanno cacciata indietro con i moschetti.
Ines Paolini, da quella notte, vivrà sempre con gli occhi rivolti alla tragedia della sua famiglia. La sua coscienza è stata annientata dalle immagini strazianti che mai la lasceranno.
Suo padre fu portato vicino al cimitero del paese, e lì i fascisti lo hanno torturato. Nascosto dietro un covone di grano, Galliano Severi assiste impotente alla ferocia dei repubblichini contro il sarto di Montelicciano.
Sanguinante, colpito a morte, forse già senza vita, Paolini è ricaricato sull'auto sammarinese. Di lui non si avranno più notizia. Il suo corpo non è mai stato ritrovato. La lapide che a Montegrimano ricorda le vittime della guerra, reca sotto il nome di Duilio Paolini sotto la scritta «disperso civile», assieme a quello di Tommaso d'Antonio.
Ines Paolini trascorrerà il resto della sua vita all'ospedale di Santa Maria della Pietà, dove è tuttora ricoverata.

2. Simbolo di una storia.
La storia di Ines Paolini, con il segno del duplice martirio nella carne del padre e nelle mente della figlia, spiega il titolo di queste ricostruzioni storiche. «I giorni dell'ira» sono i lunghi mesi che vissero le popolazioni della nostra zona fra il settembre 1943 e lo stesso mese del 1944.
Un anno fatto di bombardamenti, di lotta tra due eserciti nemici, ma soprattutto di una guerra civile, la cui dimensione di tragedia collettiva è talora trascurata.
Fu una violenza perfida e continua, quella che si scatenò allora, in tutta la sua bestialità primordiale, mietendo vittime innocenti tra chi non volle credere ai miti ed ai riti della Repubblica di Salò. Il fratello divenne ostile al fratello.
Non vogliamo riaprire processi o instaurarne di postumi, ma semplicemente raccontare fatti, convinti che la conoscenza degli orrori della guerra civile possa mostrarci strade da non percorrere più.
Nei momenti nodali della Storia, la violenza che si scatena come un torrente irrefrenabile, lascia detriti e distrugge senza pietà.
Raccontare i drammi del passato più recente, caratterizzati da quella violenza, osservare le ferite forse appena rimarginate o del tutto ancora aperte per molti, non significa rinfocolare vecchie polemiche o suscitare nuovi contrasti, ma soltanto meditare sul bene supremo della pace.
La pace non è un romantico idillio fatto di sogni ed illusioni. È una meta fondamentale del processo storico e della vita sociale. Ciò è doppiamente vero, sotto il profilo religioso e sotto l'aspetto politico. Gli spiriti più sensibili hanno sempre avvertito l'inevitabile, reciproco scambio fra questi due elementi, il civile e lo spirituale, come ideale a cui ispirare le nostre azioni.
Per questo, il racconto storico diventa qualcosa di più di una semplice curiosità. Da cronaca sale a parabola da cui trarre insegnamento per non dover più vivere o scrivere pagine intrise di dolore e disperazione.

3. «Tutti ragazzi...».
Montelicciano, una dolce mattina d'ottobre 1989. Nel piccolo groviglio di case che s'arrampicano lungo la costa dopo la chiesa, incontramo Guerrino Casadei, classe 1915.
L'8 settembre 1943 era soldato a Rimini. Anche lui scappò, ritornò qui, al suo paese dove visse nascosto sino alla Liberazione. «I fascisti di Salò passavano spesso, facevano paura.»
«Sì, i repubblichini venivano da fuori», conferma Giuseppe Bartoli, classe 1905, primo sindaco del dopoguerra a Montegrimano. «Li guidava Marino Fattori, un colonnello di San Marino. Erano tutti ragazzi...».
«Fattori era micidiale», ricorda amaramente Guerrino Casadei. La moglie, con qualche frase mozza e con lo sguardo, sembra invitarlo alla moderazione nei giudizi. Casadei aggiunge: «Sono fatti veri, poi sono tutti morti», i protagonisti.
Marino Fattori, dopo la Liberazione, fu fucilato nei pressi di Sondrio. Stessa sorte ebbe suo figlio Federico, tenente dei repubblichini. Il ricordo delle antiche paure è ancora ben vivo in questa gente, associato a quello delle vendette che si ebbero allora.
Questo piccolo paese di Montelicciano ritorna spesso nelle cronache di quei giorni. Ascoltiamo Pippo Bartoli: «Nel febbraio 1944 i fascisti arrestarono me e Galliano Severi, classe 1897», quello che assisterà alle torture inflitte al sarto. «Ci trasferirono a Mercatino Conca, in camera di sicurezza. Per una settimana. Senza mangiare, dovevamo portarcelo da casa i nostri».
Sorride vagamente, Bartoli: «Era una commedia. Bisognava piangere ma veniva anche da ridere. Perché? Mah, di giorno ci tenevano fuori dalla caserma, non in camera di sicurezza». Forse volevano metterli nella tentazione di fuggire, e di chiudere così i conti con una fucilata alle spalle?
Un giorno arriva da Pesaro la convocazione ai repubblichini di Mercatino. «Cosa vorranno da noi?», chiedono i militi a Bartoli e Severi. «Vi manderanno a combattere al Nord», gli rispondono i passeggeri. «Fu allora che i repubblichini scapparono tutti», conclude Bartoli.

4. Nella casa del sarto.
A Montelicciano, la casa del sarto non è frequentata soltanto dai clienti. Paolini possiede uno dei rari apparecchi radio della zona. Lui la sintonizza sulle stazioni di Londra e di Mosca.
Nel paese e nei dintorni, Paolini lo conoscono tutti. È un antifascista tenace. Ama fare commenti coloriti. Per quella radio, Paolini ha avuto delle beghe. Nel 1943 è stato arrestato e condannato ad un mese di carcere. L'apparecchio fu sequestrato. Tornato libero, ne acquistò un altro.
Il sarto sospetta che a denunciarlo sia stato un certo Dominici, abituale frequentatore delle serate radiofoniche nella sua abitazione. In Domini identifica quella «spia fascista dell'Ovra» di cui gli ha parlato confidenzialmente il maresciallo deo Carabinieri di Mercatino Conca.
I repubblichini arrivano spesso a Montelicciano guidati dai Fattori, padre e figlio, che viaggiavano «a bordo di una motocicletta Guzzi», che aveva incorporata sopra il manubrio una mitragliatrice. Venivano in paese per intimidire la popolazione», raccolta il figlio Elio Paolini.
Una sera, tra fine 1943 3e inizio 1944, prosegue Elio, «abbiamo visto arrivare un camion di fascisti che, appena scesi, si sono precipitati in casa nostra con le pistole spianate, urlando: "Chi è Paolini Duilio?". Quando io li ho sentiti arrivare ho subito spento la luce e detto a mio padre: "I fascisti, i fascisti". Mio padre, pronto, scappò sul terrazzo e di lì si buttò nella sottostante macchia, mentre i fascisti urlavano: "Sparagli, sparagli!"».
Perché Paolini è ricercato dai repubblichini? Non poteva essere colpa ancora una volta della radio. Il sarto svolgeva un'intensa attività politica di propaganda tra i giovani, precisa Primo Marani.
Dopo quel tentativo di cattura fallito, perché Pasolini non prese precauzioni? «Era troppo sicuro di sé», ci dice Bartoli, «perché credeva di non aver fatto del male a nessuno. Era convinto delle sue idee di giustizia. Accanito. Era uno che ci sapeva fare. Parlava di politica con tutti. Col poliziotto, col fascista, col prete».
In quei giorni a Montelicciano, il parroco è un anziano sacerdote, don Giuseppe Villa. È l' dal 1927, ed ha sui settant'anni. «Una brava persona», ci confida Guerrino Casadei. Dopo l'8 settembre, dopo la nascita della Repubblica di Salò ed i richiami per gli "sbandati", dice confidenzialmente ai ragazzi del paese: «Non andate via, sotto le armi. Non date retta a quello che dico in chiesa», cioè agli ordini per arruolarsi che i fascisti facevano diffondere anche dall'altare.
«Duilio Paolini viveva diviso dalla moglie. In paese si era legato con Olga Geri che da lui ebbe un figlio, morto di recente a Roma», ricostruisce Pippo Bartoli. La Geri abitava in un'altra casa, vicina a quella di Paolini, che aveva sul retro una porta da cui uscire nei campi. «Bastava che si fosse nascosto lì quella notte, ma forse era destino che finisse così».
Ma come finì veramente Paolini?
[Prosegue qui.]

Nota bibliografica. Sono contenute nel volume di Bruno Ghigi (curatore ed editore, 1984) «La Repubblica di San Marino, Storia e Cultura, Il passaggio della guerra, 1943-1944», le testimonianze di Elio Paolini (pp. 188-191) e Primo Marani (p. 156).

Antonio Montanari



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