Riministoria
il Rimino


Rimini ieri. Cronache dalla città [Scheda 2011]
Sergio Zavoli

Dal mio volume "I giorni dell'ira"
Capitolo II. "Giovinezza", addio

L’ultima manifestazione del fascio riminese il 23 marzo ’43 ha un "entusiasmo di facciata". Tre mesi prima su segnalazione di una spia della Polizia sono stati arrestati Guido Nozzoli e Gino Pagliarani. L’imputazione, "attività politica contraria al regime" mediante volantini intitolati "Non credere, non obbedire, non combattere". Nozzoli è stato preso a Bologna, dove svolgeva servizio militare: lo hanno anche accusato di essere detentore di libri proibiti dal regime come il Tallone di ferro di London o La madre di Gor’kij che peraltro venivano venduti anche sulle bancarelle. Pagliarani, che aveva redatto il volantino, ne aveva mandato copie ad una persona rivelatasi agente provocatore dell’Ovra.

"Gino e Guido, i nostri aedi inquieti e prediletti, erano finiti in galera, primi fra gli studenti di tutta la regione", scrive Sergio Zavoli: "I due giovani intellettuali riminesi erano diventati due piccoli leader sui quali cominciava ad orientarsi un po’ la bussola dell’antifascismo riminese. La notizia attraversò la città e fece correre, soprattutto in noi giovani, un piccolo brivido". Le vicende personali di quei giovani, tutti nati attorno al ’20, appartengono al più vasto mosaico della storia cittadina, nel travaglio dei cambiamenti che segnano la vita del Paese. C’erano minoranze che non cercavano affidandosi al "credere, obbedire, combattere" o che avevano cominciato a cercare confusamente, senza trovare; e c’era la grande maggioranza degli studenti intruppati che non cercavano e non trovavano, ma si rassegnavano e si lasciavano trasportare, "specchio della maggioranza nazionale degli italiani di tutte le classi: borghesia, ceto medio, proletariato" [L. Faenza].

Il 24 marzo ’43 due classi del liceo scientifico Serpieri, al termine delle lezioni di ginnastica, rifiutano l’invocazione al duce. Gridano soltanto il "saluto al Re". Tra quegli studenti c’è Sauro Casadei che scrive: "Il 3 aprile arrivano a scuola esponenti della milizia per arrestare e interrogare sette ragazzi: un compagno ha fatto i loro nomi segnalandoli come presunti sobillatori". Al fascio, spiega Faenza, pensarono che si trattasse di "una pericolosa minaccia all’ordine pubblico" e convocarono il capitano dei carabinieri Giovanni Bracco, il cui figlio Cesare faceva parte della scolaresca incriminata. "Ne era seguita la denuncia dei giovani e la condanna di tutti a un anno di sospensione dalle scuole del Regno. Sei di essi avevano subìto anche una punizione aggiuntiva", il carcere a Forlì dopo esser stati malmenati e frustati alla Rocca, le prigioni di Rimini: Sauro Casadei ed Abner Fascioli passeranno trenta giorni in cella, quindici in più degli altri compagni.

Il 18 luglio l’ultima sfilata dei giovani fascisti percorre le vie di Rimini, con inni e discorsi. La banda della GIL intona gli inni della patria e della rivoluzione. La solita musica. Che stava per cambiare. I primi manifesti antifascisti apparsi nel giugno ’43 nelle sale d’aspetto delle stazioni ferroviarie fra Rimini e Imola, sono nati nelle riunioni della parrocchia di San Nicolò fra Ercole Tiboni, Renato Zangheri e don Angelo Campana, insegnante di Religione al liceo classico. Tiboni diventerà socialista, Zangheri comunista. Oggetto degli incontri, ha ricordato Vincenzo Cananzi, erano temi vari: "dal significato della democrazia, al valore dell’economia di mercato, dai rapporti fede e politica alla liceità della ribellione ai regimi totalitari, dalle differenze ideologiche tra i vari partiti politici ai mutamenti da introdurre nell’economia al termine della guerra".

"Qualcosa allora aveva cominciato a muoversi nel sottosuolo della città, sia pure impercettibilmente", ha scritto Faenza raccontando il periodo tra la fine del ’42 e l’inizio del ’43: "Alcuni giovani, toccati dalla resistenza armata russa e dalla sua capacità controffensiva a Stalingrado, avevano cercato contatti con elementi antifascisti. Altri giovani tra cui lo Zangheri, allora attento lettore di scritti tomistici, si erano invece interessati agli incontri di studio sulla dottrina sociale della Chiesa e sul pensiero di don Sturzo, presso la Fuci di via Bonsi, a cui era presente l’ex popolare Giuseppe Babbi e qualche volta Benigno Zaccagnini".

A Rimini "c’erano poi i ragazzi sfollati dalle città del Nord. Un centinaio circa, disseminati per le varie scuole e nei due licei. Costoro avevano portato con sé, nelle classi, un’atmosfera diversa, il clima del dramma delle loro città che poteva per essi volgersi in tragedia, ma che intanto imponeva agli altri, anche ai meno sensibili, una pausa di riflessione, scuotendoli da una sonnolenta atmosfera provinciale".

Zangheri, che nella primavera del ’43 organizza la lettura di un dattiloscritto che riproduce la vita di Gramsci scritta da Togliatti, a diciassette anni nel 1942 ha collaborato al periodico studentesco fascista riminese Testa di Ponte scrivendo contro "i vigliacchi di pensiero e dell’azione". Ma ha pure polemizzato con Glauco Jotti portavoce di quegli squadristi a cui prudevano le mani e stavano in attesa di un semplice ordine per usare il manganello: "Assaltiamo per ora noi stessi […] perché ognuno ha le sue colpe, e se qualcosa vi è ancora di lercio nella nostra coscienza, togliamolo".

A Testa di Ponte ha collaborato anche Sergio Zavoli: "Oggi più di ieri abbiamo bisogno di scuotere i famosi "montoni belanti", "pecore rognose"… Attorno a te c’è ancora troppa gente che non sa e non è degna di vivere questo grande momento… Deve essere dato a tutti il privilegio di ‘vivere’ e ‘vincere’. Con ogni mezzo". In un altro suo articolo si legge: "Io non sono psicologo: pure con la fiducia nelle nostre idee e in quelle delle generazioni capaci di comprenderci, arriveremo!".

La tragedia della guerra, con la constatazione di quanto fosse stato illusorio il sogno di un conflitto rapido e con la scoperta di un’impreparazione militare che andava a scontrarsi con i miti del guerriero fascista, costringe ad una scelta i ragazzi allevati al canto di Giovinezza. Sono studenti, operai, contadini. Le documentazioni storiche limitano spesso il discorso a quel gruppo di giovani, quasi sempre intellettuali, che hanno potuto e saputo riproporre le vicende della guerra, attraverso scritti ed interventi. Per gli altri basta riandare alle cronache dolorose di quei mesi tra ’43 e ’44, ed allora ritroviamo accanto ad un professore di scuola media come il santarcangiolese Rino Molari, il ferroviere di Rimini Walter Ghelfi, entrambi fucilati a Fossoli nel luglio ’44 assieme ad Edo Bertaccini di Coriano, capitano dell’ottava brigata Garibaldi.

La contestazione, tra serietà di un impegno politico che s’affacciava pallido nell’ansietà giovanile e goliardate che avevano mosso alcuni nelle occasioni ufficiali del regime, diventa opposizione, sacrificio personale, rischio della lotta. È la guerra. La guerra civile. Compagni delle stesse classi e nelle stesse adunate si ritrovano nemici su barricate opposte. Le strade si sono divise.

Capitolo XIV. Tra ieri ed oggi

"Salvò quei giorni di ragazzo […] con franco pudore": Sergio Zavoli ricorda il 25 luglio 1943 vissuto da suo padre che con "una dignità doverosa" fa sparire nell'orto, in una fossa profonda quasi un metro, "le apparenze" del credo fascista, "giacca, pantaloni, camicia, cravatta, cinturone, mostrine e stivali". Nei mesi successivi "quando qualcosa di ridotto al minimo, di irrimediabile e violento tenterà di riprodurre quel potere sconfessato, sarà come se nulla del falò riacceso potesse più riguardarlo. E ciò che del regime venne dopo restò al di fuori della sua storia e si svolse senza di lui, persino contro".

Come furono i "giorni di ragazzo" di Sergio Zavoli poco più che ventenne, al tempo in cui il falò si riaccese? Quando all'inizio del 1943 Gino Pagliarani e Guido Nozzoli erano finiti in carcere, si istruirono "dei processi agli amici di Gino. Si voleva stabilire chi stava con Gino, chi ci stava tiepidamente, chi invece con convinzione: o, peggio, chi non ci stava affatto; o, peggio ancora, chi non ne voleva sapere neanche un po'. E nascevano delle sentenze inappellabili che scavavano degli abissi, oppure cementavano delle solidarietà che durano ancora da allora. Ecco quindi profilarsi la presa di coscienza di ciò che stava avvenendo: e fu grazie ai miei due amici", Gino e Guido. Questo dichiara il 23 gennaio 1983 Sergio Zavoli alla tavola rotonda intitolata Autobiografia di una generazione.

Nel 1994 Gino Pagliarani interviene su Chiamami Città a proposito di una polemica avuta nel '48 con "l'amico -si fa per dire- Sergio". Al termine della lettera, a proposito dell'orazione commemorativa tenuta da Zavoli ai funerali di Federico Fellini, Pagliarani scrive: "Mi dicono che […] incantò la folla. Non mi stupisce. Conosce e pratica virtuosamente l'arte della retorica (fin dai temi del liceo che puntualmente mi leggeva). Gli riconosco -nonostante qualche bidone- anche la volontà e il merito di aver riparato con molte delle sue iniziative televisive certi trascorsi giovanili non di antifascista".

Qualcuno ricorda Zavoli in compagnia di Tacchi, al tempo del "falò riacceso". Ha scritto Elio Ferrari: "A Rimini chi non lo vedeva in divisa e con il mitra a tracolla (teste Stelio Urbinati) pure alla colonia Montalti?", sede del fascio repubblichino.

Amici di Zavoli spiegano che egli fu "costretto" a finire tra le file di Salò. Aggiunge Ferrari che Zavoli "è stato tranquillo, facendo l'avanguardista, il soldato nella Repubblica sociale, libero di andare dove voleva".
"Libero" anche di trovarsi a Coriano nell'aprile '44, come rammentarono in quel paese quando, in anni ormai lontani, giunse una troupe della Rai per un'inchiesta televisiva sul fascismo diretta da Zavoli. Gli operatori non furono però guidati dallo stesso Zavoli, ma da un giornalista della sede Rai di Bologna. Nell'aprile '44 a Coriano avvenne la cattura di due "disertori", Libero Pedrelli e Vittorio Giovagnoli, poi affidati al tribunale tedesco che li fece fucilare il 18 maggio ad Ancona.

Finito il secondo conflitto mondiale, Zavoli organizza con amici comunisti un "giornale parlato" diffuso per altoparlante nel centro di Rimini. Ad una trasmissione è invitato anche Alberto Marvelli che però non si reca all'appuntamento. Marvelli, nato in una famiglia che era stata colpita dalla politica della dittatura (suo padre Alfredo era stato licenziato senza liquidazione, per non aver voluto aderire al fascismo, dal quale lo teneva lontano la sua coscienza di cristiano democratico), durante l'invasione nazista era entrato nella organizzazione tedesca Todt che lavorava alle fortificazioni costiere, non per collaborare con i tedeschi, ma per "tentare di impedire la deportazione di tanti giovani, tentare di salvare molte vite e cercare di fare in modo che i tedeschi non attuassero il loro piano di demolizione totale delle ville sul mare, per far posto a fortificazioni antisbarco", come ha scritto il suo biografo ufficiale mons. Fausto Lanfranchi. Nel dopoguerra Marvelli fu fedele alle istanze di cristiano democratico che rifiutava ogni dittatura, sia nera che rossa.

La sua mancata partecipazione all'appuntamento radiofonico con Zavoli fu probabilmente dettata da motivi politici. Il clima della città di allora è ben descritto in un documento del Cln del 5 marzo '45 (firmato da Cesare Bianchini futuro primo sindaco comunista di Rimini, e pubblicato nel '97 da Valerio Lessi), nel quale si legge: "Gli uomini come l'ing. Marvelli sono quelli che hanno portato l'Italia alle attuali condizioni e saranno quelli che la rovineranno ancora di più".

Il 21 marzo '46 la dc cittadina preannuncia al Cln le dimissioni di Marvelli dall'incarico di assessore per gli alloggi al Comune di Rimini.

Nel '96 Zavoli ha parlato a Rimini di Alberto Marvelli. Ripensando alla "grande tragedia della guerra", ha detto: "Siamo stati davvero la comunione dei Santi perché eravamo la società del dolore".

In molti dopo il 25 luglio seppellirono le apparenze del loro passato fascista. Avevano creduto in Mussolini, rifiutarono l'appoggio ai repubblichini. Ci fu chi si chiuse nel silenzio della delusione. Altri sbarcarono su opposte sponde, non sappiamo se per convinzione o convenienza. Qualcuno cercò di accreditarsi come antico nemico del regime senza averne titolo.

Ancora oggi sono vive le polemiche. Al di là dei riferimenti alle singole persone, certe notizie servono a ricostruire un momento storico. Flavio Lombardini ha ricordato un episodio capitatogli il 6 agosto '45. Viene avvicinato da "un gruppo di giovani appena in età della ragione" che vogliono conoscere quale ruolo abbia avuto con il suo insegnamento di Educazione fisica nelle "scuole fasciste": "Mi rifiuto di rispondere perché non ho niente da giustificare". Lombardini sta per essere picchiato dal più giovane del gruppo, un ragazzo sui diciassette anni, che ha al collo un fazzoletto rosso.

In soccorso di Lombardini giunge "un ‘vecchio camerata' che occupa un posto di rilievo nel Comitato di Liberazione", il comunista Arnaldo Zangheri.



2009. Zavoli il sempreverde

Rimini ieri. Cronache dalla città
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Antonio Montanari

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1552, 19.12.2011. Modificata, 19.12.2011, 17:21