Rimini ieri. Cronache dalla città [5]
1946. Dal Rubicone all'Ausa
"il Ponte", Rimini, 09.04.1989
Giulio Cesare cambia piazza, va all'arco d'Augusto e cede il passo ai Tre Martiri. Le roventi polemiche in Consiglio Comunale.

«Squarciato rimani bel Tempio d'Iddio/ al sole che splende, all'acqua che sferza/ al vento che muove, all'occhio che piange...». La professoressa F. Canaletti racconta sull'«Arengo» la sua commozione provata davanti all'opera dell'Alberti, dopo le distruzioni belliche.
Gino Ravaioli sulle stesse colonne parla della Madonna della Colonnella, «coperta nel secolo scorso da un viscido strato di pellicole ad olio...» ed auspica che si intervenga ulteriormente, con il distacco dell'intonaco e con il riporto su tela, per completare il lavoro.
Su «Città Nuova» (periodico delle sinistre) Sergio Zavoli parla di «Popolarità e proletarietà dell'arte», tirando in ballo anche la figura di Cristo: dice che sinora la cultura non ha educato e liberato il popolo, ed annota tra parentesi che «non libera Cristo quando invita gli uomini a macerarsi in terra per guadagnarsi il cielo».
La redazione di «Città Nuova» tira le orecchie al futuro «socialista di Dio».
Vale la pena di rileggere quella nota per intero: «Riguardo al Cristo Zavoli non solo pecca di schematismo. Cristo non solo non è stato cultura consolatrice o informatrice, Cristo non è stato propriamente nemmeno cultura, perché egli è stato vita, non nel senso di via all'altra vita, intendo perché a questo si può anche non credere, ma nel senso di vita di questa vita ed a questo tutti non possiamo non credere. [...] Come si può ignorare il contributo che Cristo ha dato alla liberazione della persona umana, alla sistemazione di un concetto di giustizia, alla più umana pratica di amore? Non si può ignorare Cristo come suscitatore dell'uomo».

Gli alleati se ne vanno, la prima notizia è dell'aprile 1946. L'«Arengo» invita un sergente maggiore di Rimini (reduce dalla Russia, che degente in un ospedale della Moravia aveva conosciuto un sottotenente triestino interprete dei bersaglieri), a mettersi in contatto con la famiglia De Giovanni Giannini.
L'affresco di Piero della Francesca, dopo varie emigrazioni in città del Nord, è a Bologna. Rimini attende che venga restituito. All'appello mancano in tanti, oltre all'affresco.
Il 20 luglio l'«Arengo» esce listato a lutto per le vicende jugoslave. Si vuole ricordare così chi ha preferito la morte alla dittatura di Tito.

Ottobre 1946. Dopo le prime elezioni amministrative, si tiene il 25 l'ultima seduta della giunta del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), il cui scioglimento è stato annunciato da Decio Mercanti il 3 agosto.
Il responso delle urne è questo: 18 consiglieri comunisti, 10 socialisti, 9 democristiani e 3 repubblicani.
Le schede nulle e bianche sono 2.356, cioè 480 in più rispetto alle politiche del due giugno.
Le sinistre governano la città con 28 seggi su 40 e oltre ventimila voti. Quelli della dc sono stati 6.492.
La prima seduta del Consiglio comunale si tiene il primo novembre. Primo argomento, i nomi da cambiare a strade e piazze. Giulio Cesare lascia il posto ai Tre Martiri, e si trasferisce all'Arco di Augusto.
A difesa di Giulio Cesare, Gino Zannini (dc) sostiene che il personaggio romano non c'entra con il fascismo: «Prima di essere un simbolo, Giulio Cesare è un genio».
Gli risponde Guido Nozzoli (pci): «È necessario anteporre le glorie recenti a quelle del passato. Giulio Cesare è il simbolo di ambizioni mancate, può essere sostituito senza rimpianti».
Nel riportare la discussione del Consiglio comunale nel suo volume «Bandiera rossa la trionferà» (1979), Oreste Cavallari commenta: «Ritorna in questi giovani comunisti, il ricordo del primo amore infranto. E la frase del giovane Nozzoli, che mi pare faccia, in queste prime sedute del Consiglio Comunale, la parte di Robespierre, è rivelatrice di questo stato d'animo che ha portato molti da una passione che li ha ingannati ad un'altra di segno opposto alla quale riversare una passione riparatrice».
I Tre Martiri, scriveva Cavallari, «devono stare insieme in un'arca del Tempio: quello è il loro posto».

Nel marzo 1947 toccherà al teatro Vittorio Emanuele cambiare nome. Lo battezzeranno con quello di Amintore Galli, colui che musicò l'«Inno dei Lavoratori». Ma che aveva esordito con un'opera dal titolo di «Cesare al Rubicone».
In una veloce carrellata, Flavio Lombardini ricostruisce quegli anni in «Rimini XX secolo»: ad appena un anno dalla fine della guerra, si parla già di Rimini «come della più bella spiaggia d'Italia». «In tanto fervore d'opere non mancano certe note stonate che mal si confanno con la riappacificazione degli animi. Sembra di ritornare ai tempi del primo dopoguerra... ma fra i riminesi torna a prevalere il buon senso e le passioni di parte vengono presto superate dalla generale volontà di pace e di lavoro», scrive Lombardini.
Riprendendo un brano dello storico latino Sallustio, Cavallari chiudeva il suo racconto relativo al 1946 con una citazione: «s'alternavano gioia e pianto, lutto ed esultanza». Quelli erano i sentimenti che s'alternavano in quei giorni, nella città. [4]

Scheda [XII.2011], non presente nell'articolo del 9 aprile 1989, su Sergio Zavoli scrittore, tolta dal mio volume "I giorni dell'ira".

Rimini ieri. Cronache dalla città
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1552, 19.12.2011. Modificata, 19.12.2011, 17:21
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