1914-1915
Come Rimini visse al tempo della “grande guerra”
[Storia di Rimini, 1859-2004, Ghigi ed., Rimini 2004]

La «settimana rossa»
Ad Ancona l'8 giugno 1914 dopo un comizio a Villa Rossa di Pietro Nenni (repubblicano) e di Errico Malatesta (anarchico), c'è uno scontro con tre dimostranti uccisi. Si proclama una settimana di scioperi nazionali. In altri disordini muoiono tredici civili ed un appartenente alla forza pubblica. In Romagna e Marche c'è un vero e proprio tentativo insurrezionale. Dal 9 giugno per quattro giorni i tumulti esplodono anche a Rimini. In prima fila ci sono i contadini. La violenza dilaga in città. La gente urla: «Abbasso i preti, evviva la repubblica popolare». Si colpiscono i «casotti» del dazio, «simboli dell'immiserimento delle masse», bruciandone i registri (Conti 2000, pp. 218-219). Davanti al Seminario posto di fianco al Tempio malatestiano, esplode una bomba. C'è il tentativo d'invadere la stazione ferroviaria e d'incendiare l'ingresso del municipio. I rinforzi militari al loro ingresso in città nel borgo San Giuliano, tradizionale roccaforte anarchica, sono presi a fischi e sassate. La folla appicca il fuoco alla porta laterale del duomo, al tempietto di Sant'Antonio, alla cancelleria vescovile, alla porta della chiesa dei Servi. Pubblici esercizi sono presi d'assalto. L'ordine è ristabilito senza colpo ferire il giorno 12. La caduta di un bambino durante un comizio è scambiato per un colpo di fucile. «L'Ausa» scrive che il governo è stato «debole, impotente, vile di fronte ai sovversivi». Rimini resta una città sorvegliata speciale. «Il Giornale del Popolo» (repubblicano) parla di «provocazioni poliziesche coi 'pattuglioni'» che perquisiscono a marina gli ungheresi, ed in città o nei sobborghi il domicilio di persone insospettabili come Domenico Francolini.

Sarajevo, 28 giugno 1914
Domenica 28 giugno 1914 l'arciduca d'Austria Francesco Ferdinando e sua moglie sono uccisi a Sarajevo. Rimini vive già da due settimane nel pieno della stagione turistica. Il 28 luglio l'Austria invia la dichiarazione di guerra al governo serbo. Il primo agosto la segue la Germania nei confronti della Russia. Il giorno successivo l'Italia annuncia la sua neutralità. Intanto sull'«Ausa» un gruppo di madri accusa la «follia sensuale» della cura balneare e del costume da bagno: le donne cattoliche debbono lottare «per una moda tutta 'nostra', tutta 'italiana'», ed evitare quella francese che offende il pudore con «costumi d'inspirazione semitica» indossati dalle «ebree orientali a Tunisi e altrove».
Il 25 luglio 1914 convengono a Rimini i deputati repubblicani. Sono per la linea di resistenza all'intervento a fianco dell'Austria con cui eravamo alleati. Il 26 luglio Benito Mussolini grida sull'«Avanti!» che dirige: «Abbasso la guerra!». Nel caso di un allargamento dello scontro sarebbe toccato al «proletariato d'Italia» di muoversi per non farsi condurre «al macello un'altra volta». L'«altra volta» è la guerra di Libia. Come durante il Risorgimento anche per le imprese coloniali sono morti molti nostri giovani: in Eritrea, in Somalia (Carlo Zavagli è il più noto, 1867-1890) ed in Libia. Il 2 agosto Roma sceglie la neutralità. L'invasione tedesca del Belgio (4 agosto) spinge il governo inglese a dichiarare guerra alla Germania. Mussolini prima approda alla formula della «neutralità attiva ed operante», poi sul suo nuovo giornale «Il Popolo d'Italia» si dichiara favorevole all'intervento. La guerra può realizzare la rivoluzione sognata durante la «settimana rossa». Adesso «L'Ausa» definisce Mussolini «un ciarlatano ombroso e un arrivista qualunque» da fischiare e spazzar via. Qualche mese prima lo aveva elogiato come «battagliero nemico delle ipocrisie e delle mezze coscienze, pieno di rude franchezza romagnola». A Rimini Mussolini è ben conosciuto. C'è venuto nel 1910 per parlare a braccianti e mezzadri, poi l'anno dopo il 25 giugno: un suo comizio nell'atrio del teatro Vittorio Emanuele, disturbato dai repubblicani, è finito in baruffa con Pietro Nenni (Coccoli 2000, p. 28).

L'intervento dell'Italia in guerra
Il pomeriggio del 23 maggio 1915 i carabinieri a cavallo annunciano a tromba la guerra. Rimini avrà 644 caduti. All'alba del 24 un dirigibile gira sulla città, sostando sopra il ponte della ferrovia Bologna-Ancona che poco dopo è preso di mira da un incrociatore corazzato austriaco. L'attacco provoca un morto, Augusto Merighi. La gente canta: «La guerra è dichiarata. La città di Rimini è stata bombardata», assieme ad una precedente 'canzonetta': «Il general Cadorna ha scritto alla regina: se vuol veder Trieste la guardi in cartolina». Il deputato Facchinetti rassicura il capo del governo Antonio Salandra: «Rimini patriottica e marinara, pure attraverso i pericoli» del momento, guarda «serena e sicura al glorioso domani». Il sindaco Adauto Diotallevi proclama: «Nessuno scoramento, nessuna trepidazione, perché le sorti della Patria sono affidate al valore dei nostri soldati di terra e di mare». Pochi giorni dopo, racconterà Facchinetti (1931, p. 8), «partiva da Rimini per la guerra un forte numero di giovani volontari».
Il nemico ci riprova. Il 18 giugno un incrociatore spara ottanta granate sopra città e dintorni. Danni ancora al ponte ferroviario ed al binario per Ravenna lungo la linea inaugurata nel 1889, oltre che a qualche casa in centro ed in periferia. I guai maggiori sono per «la numerosa e povera classe marinara», dato che il governo vieta «ai trabaccoli di solcare il mare». Alla «miseria della classe priva di lavoro» s'accompagna il «deperimento dei legni». Alcuni vecchi marinai distruggono «con le loro stesse mani quei trabaccoli la cui costruzione era costata lunga fatica e penosi sacrifici». Giunge l'avanguardia dei profughi friulani che saranno ospitati lungo la Riviera. (Facchinetti 1931, pp. 9-11)
Il 15 dicembre e l'11 gennaio 1916 ci sono le prime incursioni aeree nemiche: obiettivo le officine ferroviarie inaugurate nel marzo 1915, nel momento in cui gli operai sono andati a casa per la pausa del mezzogiorno. Scrive Facchinetti: «Le aggressioni già sofferte, il ritmo normale della vita cittadina in molta parte arrestato, completamente soppressa la pesca, cessato ogni commercio dei trabaccoli che con proficui risultati raggiungevano in passato le rive di Trieste, di Zara, di Pola, di Fiume, scomparso addirittura ogni vantaggio per l'industria del forestiero; tutto ciò fa ben comprendere quale e quanto disagio andava formandosi nella popolazione con particolare ripercussione sulla economia della città» (pp. 10-11). I «trabaccoli» riminesi erano 281, per un totale di 8.041 tonnellate. Per i loro proprietari «dopo lunghe e quanto mai laboriose trattative» sono stabiliti prestiti di favore «col concorso dello Stato nel pagamento degli interessi: provvedimento che agli armatori, cui era possibile una maggiore resistenza, portò qualche sollievo». Il governo affida alla nostra città la confezione di indumenti militari sotto la direzione di Carlo Barbiani (ibid.).

Bombe dal cielo e terremoto
Dal mare non viene più nessun pericolo nemico dopo che sono state disseminate le mine, e per la presenza frequente di sottomarini che sorvegliano la costa. Invece dal cielo arrivano le bombe del terzo ed ultimo attacco aereo il 15 febbraio 1916 sempre sul mezzogiorno: «ma questa volta i velivoli, attaccati con prontezza dalla nostra artiglieria, furono obbligati a restarsene a considerevole altezza. I danni sempre limitati ai soliti edifici». Un diverso nemico s'avvicina. Il 17 maggio alle 13.50 la città è scossa da un forte terremoto: «per un vero miracolo non rimasero sotto le crollate volte i bimbi dell'Asilo d'Infanzia». Alle 9 e mezzo del mattino del 16 agosto Rimini trema dopo «un rombo fortissimo». Quattro sono i morti e trenta i feriti. Oltre quattromila persone abbandonano le case. Demoliti 615 fabbricati. Nella chiesa di Sant'Agostino le crepe dell'abside permettono di scoprire gli affreschi trecenteschi. (Facchinetti 1931, pp. 12-13) I palazzi comunali saranno restaurati fra 1919 e 1925 «con molta disinvoltura e fantasia» dall'architetto Gaspare Rastelli (Pasini 1978, p. 100). Nella primavera del 1918 si manifestano i primi segni della «spagnola», una broncopolmonite influenzale che miete vittime in tutt'Europa.

Per la bibliografia, consultare l’edizione completa di questa Storia di Rimini dal 1859 al 2004 disponibile da tempo su Internet, su questi siti:
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Antonio Montanari

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