Antonio Montanari



Profilo di una crisi.

Biografia di Galeotto di Pietramala, cardinale "malatestiano".
Edizione minore, 2016

10. Vecchio mondo, nuove idee

Per tornare al quadro generale del tempo, va ricordato che allora si diffondono le idee di Marsilio da Padova che, nel «Defensor Pacis» (composto a Parigi nel 1324), attacca alle fondamenta l'origine divina del Primato di Pietro, oltre a tutta la struttura gerarchica della Chiesa, parlando di «sovranità popolare» e di «Stato di diritto».
Marsilio (che era stato Rettore dell'Università parigina tra 1312 e 1314) fa «una grande battaglia per la libertà civile dello Stato» ed «una strenua difesa di quel piano di civile convivenza umana ove le differenze delle fedi, i contrasti delle ideologie e delle credenze debbono cedere dinnanzi alla sovranità della legge "umana" ed all'uguale diritto di tutti i cittadini», come scrive Cesare Vasoli, nell'introduzione alla sua traduzione del «Defensor Pacis» [Torino 1960, p. 77].
Nel 1407, osserva R. Sabbadini [«Le scoperte dei codici latini e greci ne' secoli XIV e XV», Firenze 1914, p. 74] «alcuni mesi prima che scoppiasse la nuova bufera con la scomunica lanciata da Benedetto XIII contro il re di Francia», Nicolas de Clamanges si allontana dalla Curia avignonese, «ritirandosi per alcuni mesi a Genova», e vivendo un «periodo di solitudine e scoramento», simile a quello del suo antico protettore, Galeotto di Pietramala.
Andandosene da Avignone, Galeotto segue l'esempio del collega di fuga da Urbano VI nel 1385, ovvero di Pileo da Prata che nel 1389 appoggia il Papa romano Bonifacio IX, il quale gli affida nuovamente l'Arcidiocesi di Ravenna dove era stato destinato già nel 1370.
Stefano Baluzio (1630-1718) sostiene il contrario: cioé Galeotto non ebbe la stessa «leggerezza» del collega Arcivescovo di Ravenna dal 1370 («Vitae Paparum avenionensium», a cura di G. Mollat, Parigi 1927, I, col. 1364).
Secondo l'abate Eugenio Gamurrini (1620-1692), il Cardinal Galeotto, «era ornato di una finissima prudenza e di un coraggio insuperabile, per il che si era reso in posto di gran stima e desiderabile a tutti i Principi» («Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane et umbre», I, Onofri, Firenze, 1668, p. 197).

Galeotto giunge a Vienne in un momento particolare della storia politico-religiosa di questa città. Nell'estate del 1395 muore l'Arcivescovo Humbert III [M. Mermet, «Histoire de la ville de Vienne de l'an 1040 à 1801», Parigi 1853, p. 184].
Gli abitanti di Vienne erano esenti dai tributi, ed il delfino aveva mantenuto i loro privilegi e le loro immunità [ib., p. 183], ma il 22 maggio 1390, il giudice maggiore di Vienna Antoine Tholosani emise una sentenza definitiva interamente favorevole alla Chiesa [cfr. pure F. Z. Collombet, «Histoire de la Sainte Église de Vienne», II, Parigi, 1847, p. 356].
Negli antefatti (1339) è coinvolto anche il Cardinale "Gocio de Batagliis d'Aréminie" [p. 156] quale inviato pontificio per conoscere i fatti, onde risolvere le situazioni di contrasto tra potere politico e Papato avignonese. Il quale si esprime il 20 novembre 1340 [p. 157] con una multa al Delfino, da pagare alla Camera apostolica. E con l'ordine che Arcivescovo e Capitolo esercitassero la giurisdizione come un tempo. Clemente VI, succeduto a Benedetto XII, fa assolvere il delfino [p. 162].
Il 2 settembre 1344 Clemente VI annulla il giuramento di fedeltà degli abitanti di Vienne prestato il 22 agosto 1338 [p. 165].
Il 29 marzo 1349 Humbert cede puramente e semplicemente i suoi Stati a Carlo, figlio del duca di Normandia, a condizione che assumessero lui ed i suoi successori il titolo di "delfino" [p. 166].
Schiavo dei Papi, egli sottopose a loro non soltanto i suoi progetti ma pure i suoi atti amministrativi. Il Papa avignonese lo porta a poco a poco a spogliarsi d'una sovranità che avrebbe poi rimpianto [pp. 166-167]. Anche se il delfino sperava di salire in alto nelle dignità ecclesiastiche. Ma poi si sposa con Jeanne de Bourbon [p. 168].
Nel 1389 Carlo VI andando da Parigi ad Avignone si ferma a Vienne, desiderando d'esser considerato come vicario dell'impero [p. 179].

Ritorniamo a Thibaud de Rougement che, come si è già visto, nel 1398 provoca un grave scontro con gli ufficiali reali di Santa Colomba, colpendo con interdetto e scomunica questo antico sobborgo di Vienne [p. 195]. Ne nasce una forte tensione che arriva a coinvolgere Papa e Re. [Cfr. pure «Histoire de la Sainte Église de Vienne», II, p. 341.]
Thibaud de Rougement, nominato da Benedetto XIII Arcivescovo di Vienne il 17 settembre 1395, entra solennemente nella città l'8 dicembre dello stesso anno. Resta a Vienne sino al 1405, quando è trasferito dal Papa a Besançon, dopo che le truppe di Thibaud hanno avuto pesanti scontri (con vari castelli bruciati), durante la guerra tra lo stesso Thibaud ed i fratelli Guy et Jean de Torchefelon che avevano rifiutato di rendergli omaggio.
Le fonti storiche riferiscono di «aspri conflitti» sorti fra Thibaud (che aveva anche il titolo di Conte di Vienne) e Charles de Bouville, governatore del Delfinato, per i "diritti temporali" che gli sono restituiti soltanto nel 1401, dopo un intervento regio dell'agosto 1399. [Cfr. A. Devaux, «Essai sur la langue vulgaire du Dauphiné septentrional au moyen âge», Parigi-Lione 1892, p. 82]
Thibaud accusa gli ufficiali regi di averlo privato della sua giurisdizione temporale, e li scomunica.

Documenti.
Thibaud è protagonista nel 1402 di un terribile scontro con Guy e Jean de Torchefelon, su cui rimandiamo a questa scheda, tratta da «http://empireromaineuropeen.over-blog.org».
Thibaud de Rougemont, prince-archevêque de Vienne de 1395 à 1405, devenu ensuite archevêque de Besançon (1405)
Famille illustre dans le comté de Bourgogne. En 1382, le dauphin Charles II devient roi sous le nom de Charles VI. Par un arrêt de 1400, il rétablit l'archevêque Thibault et son chapitre dans leurs prérogatives temporelles sur Vienne. En 1402 les archevêques de Vienne deviennent abbés perpétuels de l'ordre de Saint-Chef et seigneurs du bourg et de ses dépendances, le château de Saint-Chef est pris et ruiné dans la guerre acharnée que se font Thibaud de Rougemont et les frères Guy et Jean de Torchefelon, ceux-ci ayant refusé de faire hommage à l'archevêque de leur château de Montcarra. Le fougueux prélat attaque brusquement ce château et le brûle. Les Torchefelon prennent et incendient celui de Saint-Chef, en font autant de celui de Seysseul et ravagent tous les environs. Lorsque le gouverneur du Dauphiné intervient pour chercher à arrêter ces désordres scandaleux, Thibaud excommunie les officiers du roi. L'année suivante, les Torchefelon brûlent le château de Mantaille. Les troupes de l'archevêque incendient à leur tour le château de Torchefelon. Le pape Benoît XIII saisit avec empressement l'occasion de transférer de Rougemont à Besançon.

Al cap. 11. Il ricordo di Cola di Rienzo.
Al capitolo precedente.

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