Antonio Montanari



Profilo di una crisi.

Biografia di Galeotto di Pietramala, cardinale "malatestiano".
Edizione minore, 2016

2. Una nomina, due fughe

Ha solo ventidue anni il «protonotario Apostolico» Galeotto Tarlati di Pietramala quando l'11 settembre 1378 è creato Cardinale diacono da Urbano VI, su proposta del nonno Galeotto I Malatesti, signore di Rimini, la cui figlia Rengarda nel 1348 ha sposato Masio Tarlati di Pietramala, Magistrato municipale di Rimini dal 1346 al 1347.
L'anno prima della sua nomina a Cardinale, nel 1377, a Cesena, per volere di Gregorio XI, Pierre Roger de Beaufort (1370-1378, nipote di Papa Clemente VI [1342-1352]), quattromila cadaveri furono disseminati nelle strade e nei fossati della città (scrive l'abate Guillaume Mollat nella sua storia del Papato avignonese, Les Papes d'Avignon, 1305-1378, Parigi 1912, p. 163-164), per opera dei Bretoni guidati dal terribile Cardinal Roberto da Ginevra, il quale nel 1378 diventa il primo Antipapa, con il nome di Clemente VII.
Nel 1386 Galeotto fugge da Urbano VI, prima nella Milano di Gian Galeazzo Visconti (dove la famiglia di sua madre Rengarda Malatesti era ben conosciuta per legami militari), e poi ad Avignone. Qui nel 1387 è nominato Anticardinale.
Un figlio di Gian Galeazzo Visconti, Giovanni Maria, nel 1408 sposerà Antonia Malatesti, figlia di Andrea Malatesti nato da Gentile da Varano e Galeotto I, il quale da Elisa della Valletta aveva avuto Rengarda, madre del nostro Cardinal Galeotto. Antonia Malatesti era quindi cugina di Galeotto.
Antonia passa alla storia per il suo comportamento in occasione dell'uccisione del marito Giovanni Maria da parte di alcuni nobili di corte: lei non volle recarsi in Duomo dove era stata trasferita la salma, peraltro ignorata da tutti. L'unico omaggio al defunto fu quello di «una femina meretrice» che «tollendo una cesta de rose tutto il coperse».
L'astio di Antonia era una reazione al comportamento di Giovanni Maria, definito da Carlo Cattaneo «libertino e crudele come Nerone» (cfr. l'introduzione, p. LXXI, a «Notizie naturali e civili su la Lombardia», I, Bernardoni, Milano 1844).
Nel 1397 Galeotto si dimette da Cardinale. Nicola di Clamanges (o Clemanges), che nella celebre «Epistola XII, Mallem tibi laetiora» dà la notizia della sua scomparsa avvenuta a Vienne, infatti definisce Galeotto «nuper Cardinalis», cioè «Cardinale sino a qualche tempo addietro».
La lettera è spedita da Avignone «Ad Gontherum Colli, Galliae Regis secretarium», ovvero Gontier Col, segretario di Carlo VI e di Giovanni, duca di Berry, ed ambasciatore ad Avignone nella primavera del 1395.
L'avverbio «nuper», semplice ma fondamentale per documentare la vicenda biografica di Galeotto, è purtroppo sfuggito agli storici moderni nella ricostruzione della sua figura attraverso l'«Epistola XII», considerata fondamentale per delineare la cultura umanistica del nostro personaggio, con l'accenno alla sua biblioteca, i cui libri «multi erant et singulariter electi, perlibenter oblatos».
Di fuga di Galeotto da Avignone parla già nel XVI sec. un studioso ed uomo della Curia di Roma, Girolamo Garimberti (1506-1575), in «Vite, Overo Fatti Memorabili D'Alcuni Papi, Et Di Tutti I Cardinali Passati» (Giolito de' Ferrari, Venezia 1567), al cap. XXV, intitolato significativamente «Della Ingratitudine» (pp. 446-447): «essendo fatto Cardinale da Urbano, et compreso tra i suoi più confidenti e cari, si trouò a machinar contra della dignità sua, insieme con alcuni altri Cardinali, che per questo furono priuati dal Papa; per il che Galeotto insieme con Pileo de Prati Cardinale se ne fuggì in Auignone; doue da Clemente di nuouo fu restituito al Cardinalato; si come di nuouo poco dipoi facendo un'altra ribellione con fuggirsene da Clemente, fu reintegrato da Urbano, et premiato da lui di quella tanta ingratitudine; della quale meritaua di esser castigato; et con quella solità seuerità che forse haurebbe, se Galeotto non l'hauesse preuenuto con la morte nel Monte dell'Auernia, doue stà sepolto nella Chiesa de Frati Minori».
Quest'altra «ribellione» secondo Garimberti, dunque, non poté approdare al ritorno a Roma da vivo, per la scomparsa avvenuta, a suo dire, non a Vienne ma alla Verna, un luogo simbolico per Galeotto perché è quello della sua sepoltura, dapprima nella cappella «costruita sulla prima cella di san Francesco» [cfr. A. Giorgi, «Dal primitivo insediamento alla Verna dell'Osservanza», in «Atti del Convegno di Studi 2011», Firenze 2012, pp. 45-68, p. 52], poi nella «cappella della Maddalena» che avevano voluto i genitori di suo padre, ovvero Roberto (Uberto) da Pietramala e Caterina degl'Ubertini.
Questo particolare illumina sopra un altro aspetto: il trasferimento della salma di Galeotto avvenne, tre giorni dopo la morte, ovvero l'11 febbraio «sur le Rhône jusqu'à Avignon», come leggiamo in una lettera di Tieri di Benci, socio d'affari di Francesco Datini, grande mercante di Prato, a Francesco di Marco, imprenditore in una società di lanaioli. «Da Avignone la salma del cardinale fu portata, per le terre dei Savoia e del duca di Milano, e per la Romagna, e le terre dei conti Guidi, alla Verna» [G. Franceschini, «Alcune lettere del Cardinale Galeotto da Pietramala», in «Italia medievale e umanistica», VII, Padova 1964, pp. 375-404, p. 397].

Al cap. 3. L'epistola «Ad Romanos».
Al capitolo precedente.

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