Antonio Montanari

Galeotto di Pietramala, cardinale "malatestiano"

Francesco Petrarca, Cola di Rienzo e la Chiesa di Avignone.

Di Cola di Rienzo parliamo nella pagina L'epistola "Ad Romanos" del 1394: il modello di Francesco Petrarca.
Altra pagina su Cola, dedicata alla sua morte violenta.

Citazioni dal volume di E. DUPRÉ-THESEIDER, "I papi di Avignone e la questione Romana", Firenze 1939.

[p. 83] «Abbiamo nominato dianzi Francesco Petrarca. Sappiamo che la Curia avignonese non ebbe più aspro e tenace avversario di lui, che adunò ed espresse in modo specialmente incisivo la massima parte delle accuse che da parte italiana si movevano al sistema avignonese. [...] importante è per noi il contributo positivo che il poeta arrecò alla soluzione della «questione romana».

[p. 84] «Egli fu in relazione personale con quasi tutti i papi avignonesi. [...] Di tale sua favorevole posizione egli non mancò di valersi, e non tanto per ricavarne vantaggi personali, quanto per combattere una nobile lotta in prò del ritorno a Roma, lotta che, iniziata verso il 1334, durerà per quasi un quarantennio, senza tregua, e sarà condotta con tutte le armi che l'arte e l'amor di patria offrivano al poeta.
Scrivendo a Benedetto XII, egli fa parlare la città stessa, in sembianza di matrona, stanca e negletta al punto che deve nominarsi, affinché il papa la riconosca: ohimè, che non era così un tempo, quando ambedue i suoi sposi la accompagnavano! Se il pontefice ha espresso un giorno il desiderio che la sua salma sia tumulata in Vaticano, perché non traduce in atto ancor da vivo tale suo lodevole proponimento? Anche a Clemente VI Roma parla in figura di sposa abbandonata, esalta le glorie sue antiche e piange le presenti miserie. Ha ricevuto or ora un annuncio che l'ha riempita di gioia: la promessa concessione del Giubileo. Potrà essa allora, abbracciando tutti i suoi figli, contemplare in essi i lineamenti dello sposo e padre assente!
Siamo negli anni in cui il Petrarca si incontra in Avignone con un altro "fedele di Roma"»: Cola di Rienzo, e la questione romana entra in una nuova fase».

[p. 88] «Sul finire del 1342 giungeva in Curia la consueta ambasceria dei Romani, che veniva ad offrire al nuovo papa la signoria sulla città, rinnovando, come sempre in quella occasione, le più calde preghiere perché il sovrano ritornasse alla sua legittima sede.»
Clemente VI, «buon parlatore ed esperto di scappatoie diplomatiche, [...] in sostanza, non promise nulla.»

[p. 89] «Un oscuro scrivano, tale Nicola di Lorenzo, detto al modo dialettale Cola di Rienzo [...] davanti al papa ed al consesso dei cardinali, ripetè anch'egli il fervido appello per il ritorno a Roma e per la concessione del Giubileo, ed in più portò al papa le lamentele del popolo di Roma contro i baroni, "derobbatori de strada", e causa principale per cui la città giaceva desolata. Lo ascoltò il papa con interesse e diletto di conoscitore, perché Cola parlava assai bene, con copia di citazioni classiche e sacre, con mirabile oratoria. Ma nemmeno l'appassionata eloquenza di Cola potè convincere il papa al grande passo».

[p. 98] Il 1° agosto 1347 Cola conferisce in modo solenne la cittadinanza romana a tutta l'Italia.

[p. 102] «Cola di Rienzo si trovò prestissimo, quasi senza volerlo, spinto nella posizione estrema di ribelle contro l'autorità delle somme chiavi, ed obbligato ad affrontare la realtà che, in modo veramente incomprensibile, aveva misconosciuta. Costretto a prender posizione, egli dovette fatalmente rivolgersi contro la Curia ed il papa, di cui tuttavia continuava a professarsi figlio devoto; e riprendere l'accusa municipale romana, aver il Papato avignonese causato la rovina della città con la sua ostinata assenza.»

[pp. 103-104] «Cola di Rienzo — nel luglio del 1350 — si presenta in Praga a Carlo IV, e gli comunica un vaticinio di carattere spiritualistico, relativo agli eventi immediatamente futuri, il quale era ricavato dalle letture fatte sulla Maiella e specialmente dai colloqui con il misterioso frate Angelo. Come leggiamo in una fonte non italiana, Cola aveva detto al re che entro un anno e mezzo vi sarebbe stata una grande persecuzione del clero, per cui il papa stesso avrebbe corso grave pericolo, e molti cardinali sarebbero periti. Poi sarebbe succeduto un altro papa "pauper", che avrebbe ricondotto la sede in Roma, dove avrebbe edificato un tempio in onore dello Spirito Santo. Sarebbe conseguita la conversione di tutti gli infedeli, in modo che dopo quindici anni vi sarebbe stato "unus papa et una fides", ed il pontefice, il re ed il tribuno insieme avrebbero costituito in terra quasi una immagine della Trinità!»

[p. 107] «Cola distrusse con le sue stesse mani ciò che aveva edificato.»

[pp. 139-140] «Se Cola di Rienzo, riecheggiando Sant'Agostino, aveva scritto "noi lavoriamo come quelli che sono posti sul confine della sesta età, e già il sesto angiolo previsto da Giovanni ha posto la bocca alla tromba della quale in breve s'udirà il clangore ed il terribile suono", anche Petrarca partecipava della credenza che l'ultima età del mondo fosse ormai cominciata. "Piangemmo l'anno 1348 [quello della peste] di questa ultima età, ma ora sappiamo che quello non era se non l'inizio dell'età del pianto" [Seniles, III, 1].

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Antonio Montanari
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