Antonio Montanari

Galeotto di Pietramala, cardinale "malatestiano"

Da Avignone a Valence e Vienne

La storia personale di Galeotto, tra la fuga da Avignone a Valence (alla fine del 1397) e la scomparsa a Vienne (l'8 febbraio 1398), s'incrocia con quella dei difficili rapporti della monarchia di Francia con il papato di Avignone, nel periodo che porta Parigi verso la sottrazione all'obbedienza a Benedetto XIII, dichiarata il 22 maggio 1398.
Morto Clemente VII (1394), i Cardinali prima di procedere all'elezione del successore Benedetto XIII, s'impegnano per iscritto e con giuramento sui Vangeli, «que celui qui seroit élu se deposeroit lui-même et abdiqueroit le Souverain Pontificat s'il se se troivoit que ce moyen de réunir l'Eglise divisée» (Charvet, p. 488).
L'eccessiva ambizione di Benedetto XIII gli impedisce di tener fede alla parola data, per cui non vuol più sentir parlare di cessione.
La Francia inaugura una nuova politica in materia di affari ecclesiastici (Millet, p. 138): «au soutien inconditionnel de l'obédience avignonnaise succèda le désir d'en finir le plus honorablement possible. Les origines aragonaises du nouveau pape en faisait un allié moins obligé et on pouvait espérer trouver en lui un interlocuteur soucieux de l'unité de l'Église».

Cominciano così dal 3 febbraio 1395 quelle tre assemblee del clero francese, passate alla storia come «concili di Parigi».
La seconda assemblea è del 1396, la terza e più famosa è quella (appena ricordata) del 22 maggio 1398 che decide per la sottrazione all'obbedienza a Bonifacio VIII, affermando l'indipendenza temporale del re, la libertà della Chiesa gallicana, e la superiorià «des géneraux sur le pape», con una decisione confermata da editto regio il 27 luglio 1398, quando il nostro Galeotto era già scomparso.
Questo editto ha valore sino al 28 maggio 1403, quando la Francia restituisce la sua obbedienza al pontefice.
Per ognuna di queste assemblee, al clero giunge una convocazione da parte del re (Millet, p. 142).
Nella prima e nella terza di queste lettere di convocazione (ib., p. 143), i prelati sono invitati ad organizzare preghiere e processioni in favore dell'unione.
La lettera del 1396 contiene invece l'identità delle persone convocate, arcivescovi, vescovi, ed anche i più notabili abbati, e «un ou deux des plus suffisant clercs» del Capitolo e delle Università.
Sempre per quella del 1396 (come nel 1398), il testo precisa che una deliberazione del consiglio del re aveva preceduto la convocazione dei prelati. E che quindi si fa appello alle fedeltà alla corona.
Il testo del 1396 precisa che l'assemblea plenaria dei clero del regno dovrà svolgere la «finction de conseil» (ib., p. 144).
Ben presto poi la storiografia è passata da questo regio «consiglio» al regio «concilio», osserva Millet (ib.).

Tornando a Galeotto, in mancanza di documentazione pubblicata che ne attesti la sua presenza, possiamo soltanto ipotizzare la sua partecipazione all'assemblea del 1396, e la sua attività in vista di quella del 1397.
Il "concilio" del 1396 vede una dura reazione della Chiesa avignonese. Benedetto XIII si riserva di procedere contro Jean de Craon, prete della diocesi di Laon, «selon les règles du droit» (Bercastel, p. 159).
Jean de Craon dichiarava che Dio aveva guidato la vigilanza e lo zelo dell'Università di Parigi («source intarissable de la pure doctrine», «vive lumière qui ne souffrit jamais d'éclipse»), nella battaglia contro lo scisma.
Lo scontro, come si vede, tra Benedetto XIII ed il clero "regio", è al massimo livello. Forse il viaggio di Galeotto a Valence voleva essere un tentativo di raffreddare le tensioni in vista della convocazione del 1398?

Da altra fonte (Valois, p. 602), e per il periodo successivo (1408), apprendiamo che circa le questioni fiscali un'opposizione ai voleri regi è presente presso alcune Chiese locali, tra cui appunto Vienne e Valence.

Un grande amico di Galeotto è Nicolas de Clemanges, autore di tre epistole dirette a Gregorio XII per conto di Benedetto XIII (Molinier, pp. 170-171, nota 42)
Egli nel 1393 espone in una lettera in latino (p. 141, Bercastel) le idee dei dottori suoi confratelli universitari a Parigi: indica come unica via praticabile quella della cessione da parte dei due papi, preferendola all'arbitraggio ed al concilio. E calca la mano sul fatto che, se i due papi rifiutassero la proposta, senza sceglierne un'altra ugualmente utile e sicura, bisognerebbe condannarli entrambi come scismatici e mercenari indegni.
La triste divisione dello scisma, aggiunge, ha portato disordini e calamità, con l'elezione a prelati di uomini senza alcun sentimento di religione, alcun principio né di virtù né di onestà, ma con soltanto il desiderio di soddisfare la loro cupidigia e le loro passioni. (ib., p. 142)
Questi prelati, accusa (ib., p. 143), hanno saccheggiato il clero attraverso disumani esattori, per cui da tutte le parti si vedono preti ridotti alla mendacità o ai servizi più abietti. Si vendono gli oggetti sacri, i templi cadono in rovina. Così come tutta la Chiesa.
Il re legge la lettera, se ne dimostra soddisfatto, ordina che sia tradotta dal latino in francese, ma l'intervento del cardinale de Lune e del duca di Berri cambia le carte in tavola.
Il cancelliere Arnaud de Corbie dice seccamente ai dottori deputati dall'Università che il re non vuol più sentir parlare di questo affare, diffidandoli dal ricevere lettere sul quell'argomento, senza portarle allo stesso re prima di aprirle... (ib.)
Ma poi cambia idea (ib., pp. 143-144) quando gli giungono missive analoghe del re d'Aragona e del cardinale d'Alençon che era a Roma, e permette d'inviare ad Avignone la lettera presentatagli dai dottori di Parigi. I quali ne inviano anche un'altra meno lunga, in cui osservano che lo spirito dello scisma è salito a tal punto che tutte le grandi nazioni vorrebbero il loro Papa.
Clemente VII (ib., p. 144) legge le due missive con molto sangue freddo, ma mostra la sua collera quando giunge al passo in cui vede che le tre vie (cessione, compromesso o concilio) erano unicamente proposte per il solo fine della riunione, sbottando con collera: questi scritti vogliono soltanto diffamare la Santa Sede.
Un umore nero s'impossessa di Clemente VII, che scompare il 16 settembre 1694, dopo quasi sei anni di regno.
Gilles de Bellemère, vescovo di Avignone, uno degli zelanti partigiani del nuovo Papa Benedetto XIII, de Luna, si reca dal re (ib., p. 147).
Clémangis esorta il nuovo papa ad adoperarsi per chiudere lo scisma. Il papa risponde con grande stima verso Clemangis, facendolo suo segretario, e costringendolo a cambiare linguaggio rispetto al passato... (ib.).

Il vescovo di Vienne dal 1379 al 1405, Thibaud II de Rougemont, si scontra con il re per riottenere la sua giurisdizione che era stata soppressa.
Il 23 gennaio 1397 a Parigi Thibaud battezza Luigi, figlio del re di Francia Carlo VI e della regina Isabella, figlia di Stefano II, duca di Baviera, e di Taddea Visconti di Milano.
Nel frattempo è nata (1396) la lega di Carlo VI con Firenze, Ferrara, Mantova e Padova contro i Visconti. Capitano è nominato Carlo Malatesti (fratello di Rengarda, la madre del nostro Cardinale), che nel 1397 a Mantova ha fatto rimuovere un’antica statua di Virgilio, con un gesto ritenuto da Coluccio Salutati oltraggioso verso la poesia, e da Pier Paolo Vergerio indegno d’un principe che pretenda di amare gli studi e la storia.
Quello di Carlo è stato soltanto un atto politico per segnalarsi al potere ecclesiastico, «credendo un delitto che i cristiani venerassero un uomo non cristiano», come si legge nella biografia di Vittorino da Feltre scritta (1474 ca.) dal suo allievo mantovano Francesco Prendilacqua.
Nel 1398 Thibaud va a Parigi per assistere all'Assemblea generale dei Vescovi, degli Abati e delle Università di Francia, che Carlo aveva convocato. Oggetto dell'assemblea è di deliberare sul mezzo più proprio per fare cessare lo scisma (Charvet, pp. 487-488).

Tutti i principi della Cristianità avevano scritto nel 1394 ai Cardinali di Avignone per impegnarli a non fare l'elezione dell'Antipapa e per riunire le due obbedienze.
I Cardinali non aprono le lettere, vanno in Conclave ed in due giorni mettono sulla Santa Sede Pietro de Luna, appartenente ad un'illustre famiglia d'Arragon, che prende il nome di Benedetto XIII.
I Cardinali, prima di procedere all'elezione del papa, s'erano tutti impegnati per iscritto e con giuramento sui santi Evangeli, che colui il quale sarebbe stato eletto, si sarebbe dimesso lui stesso e avrebbe abdicato al Pontificato, se non avesse trovato altro mezzo per riunire la Chiesa divisa.
Ma Benedetto XIII aveva troppa ambizione per tener fede al suo giuramento. Una volta eletto, non vuol sentir più parlare di cessione. Da Parigi il potere politico risponde rifiutandogli l'obbedienza.
L'Arcivescovo di Vienne si distingue in questa occasione, acquistando un grande favore presso la Corte di Parigi. Come dimostrano eventi successivi che del 1399 e del 1400 (14 ottobre), quando Thibaud ottiene la giurisdizione temporale sul suo territorio, con gli annessi diritti utili ed onorifici che risalivano a molti secoli prima (Charvet, pp. 488-489).


Bibliografia
Berault-Bercastel A. H., VI, Gaume, Parigi 1840
Charvet M. C., Histoire de la sainte église de Vienne, Cizeron, Lyon 1761
Millet H., Du Conseil au Concile (1395-1408). Recherche sur la nature des assemblées du clergé en france pendant le grand schisme d'occident, «Journal des savants», 1985 I, 1, 1, pp. 137-159
Molinier A., Le sources de l'histoire de France, IV, Parigi 1904, pp. 170-171
Valois N., La France et le Gran Schsime, Paris 1901

PAGINE COLLEGATE:
1397. La fuga da Avignone.
1398. Vienne. Sulla data e sul luogo della sua scomparsa.
1398. Note bibliografiche.

[Alle note bibliografiche.]
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