Antonio Montanari

Galeotto di Pietramala, cardinale "malatestiano"

Guido Vescovo ed il suo tempo.

Attorno al 1324, Marsilio da Padova compone il Defensor pacis contro Giovanni XXII ed a favore delle posizioni assunte da Ludovico il Bavaro.
Difensore della pace, come osserva Gianmarco Altieri (in un saggio in «Storia delle dottrine politiche», 2010, sul web), è l'imperatore: «Lo scopo dell'opera dell'imperatore, dunque il suo fine, è proteggere l'ordine e difendere la pace nei territori europei». Altieri definisce Marsilio «uomo molto colto e curioso».
Marsilio vuole confutare le posizioni teocratiche e teorizzare un governo "democratico" in cui tocca al popolo di fare la legge «a beneficio della comunità», seguendo il dettato aristotelico contenuto nella «Politica» (III, IV), come lo stesso Marsilio dichiara (I, 3, 6): ogni cittadino dev'essere libero e non accettare l'altrui "dispotismo".
Per questi motivi, spiega Cesare Vasoli, «il nome di Marsilio resta legato ad una grande battaglia per la libertà civile dello Stato, ad una strenua difesa di quel piano di civile convivenza umana ove le differenze delle fedi, i contrasti delle ideologie e delle credenze debbono cedere dinnanzi alla sovranità della legge "umana" ed all'uguale diritto di tutti i cittadini». [1]
La «grande battaglia per la libertà civile dello Stato» di cui parla Vasoli per Marsilio da Padova, è stata giustamente definita un «contributo veramente rivoluzionario della teoria dello Stato di Marsilio soprattutto perché pone a tutti i cittadini - indipendentemente dalle ideologie e dalle fedi - uguali doveri (cedere di fronte alla sovranità della legge) e uguale diritto» [2].
Marsilio, come spiega Vasoli [3], si distacca dalla tematica tradizionale del pensiero politico medievale, «segnando il punto d'inizio di una considerazione dello Stato e delle società umane destinata a restare per secoli a fondamento della nuova scienza politica».
Con Marsilio, «non è più la giustizia a fondare la legge, ma questa quella» [4]. Con Marsilio da Padova, dunque, si entra nell'ambito culturale il quale prelude all'Umanesimo civile che vediamo raffigurato a Rimini nelle immagini della Cappella delle Arti liberali al Tempio di Sigismondo, tutte giocate a dimostrare che il loro scopo principale è educare alla "polis", creando Concordia tra i cittadini, ai quali tocca di costruire la "città giusta" con leggi per formare persone moralmente integre.
Quelle immagini rispecchiano e realizzano i progetti albertiani di un "umanesimo civile" ben espresso da un passo del suo trattato «Della famiglia»: Iddio volle negli animi umani «un fermo vincolo a contenere la umana compagnia, giustizia, equità, liberalità, e amore» per meritare grazie e lode presso «li altri mortali», e pietà e clemenza presso il Procreatore.
Marsilio termina il suo trattato a Parigi il 24 giugno 1324. L'opera è condannata da Giovanni XXII per cinque tesi in essa sostenute, il 23 ottobre 1327.
L'opera di Marsilio, come ha osservato Jacques Le Goff [5], «introduce il pensiero politico nella letteratura e nell'universo delle idee».
Di quest'opera si serve Huss, pur non condividendola tutta [6]. Ed Huss ci rimanda alle fiamme del Concilio di Costanza.
Oggi, la direzione intrapresa dal pensiero politico di Marsilio, sottolinea Umberto Eco, «ci appare fortemente “laica”», perché difende il potere temporale da ogni ingerenza ecclesiastica, come succede pure in Wycliff [7].
Conferma Stefano Simonetta: Wycliff e Marsilio difendono il potere da ogni ingerenza ecclesiastica [8].
Essendo la storia non soltanto dibattito di idee, ma pure “rappresentazione” con personaggi reali, leggiamo infine questo efficace ritratto di Giovanni XXII, da una bella pagina di Anna Maria Voci: fu «dotato di un'indole imperiosa, volitiva, energica, austera e pia, ma spietata nel perseguimento dei suoi obiettivi di politica ecclesiastica, intransigente e ostinata», e fu «un brillante canonista e un vero genio dell'amministrazione» [9].
Nel 1327 Lodovico il Bavaro si reca a Trento nel mese di febbraio, «e quivi tenuto fu un gran parlamento», a cui interviene pure Guido Tarlati vescovo d'Arezzo [10]. Guido Tarlati incorona Lodovico, a Milano in Sant'Ambrogio, essendo assente l'Arcivescovo di Milano, il francescano Aicardo Antimiani, «che non aveva osato» recarsi in città, ma in realtà “impedito” dai Visconti [11].
Marsilio è detto «perfido, ed empio eresiarca» e «primo architetto del mostruoso scisma» [12]. In Girolamo Tiraboschi si legge: «non vi ha scrittore che con maggior diligenza, con maggior forza e con eloquenza maggior di quella di Marsiglio abbia combattuta l'autorità del romano pontefice», sino a condurre l'imperatore «a quelle risuluzioni che cagionarono un funesto scisma alla Chiesa». Giovanni XXII ordinò che fosse arrestato, «ma non poté ottenere esecuzione a' suoi comandi» [13].
Secondo József Nagy, nella teoria di Marsilio «ha un ruolo fondamentale il concetto di sovranità popolare, riconducibile ad alcuni elementi della teologia di San Tommaso» [14].
Sembra, scrive Baldassarre Labanca [15], che Marsilio non sia stato né prete, né monaco» (p. 18). Lo stesso autore racconta: Giovanni XXII, uomo dotto sì, come scrive il Dottore Alzog, ma di carattere ardente ed ostinato, non volle sapere delle promesse e delle proposte di Lodovico IV. Il dì 21 Marzo 1824 emanò contro lui la scomunica. L'Imperatore protestò, e nell'Aprile del medesimo anno 1324 dichiarò il Papa "nemico della pace". In questo tempo, i più son d'avviso, com'è probabile per molte ragioni, che Marsilio abbia composto il suo classico libro del defensor pacis, che dovea costituire il futuro programma politico dell'assoluta sottomissione della Chiesa allo State. È certo che partì da Parigi, avendo scritto il suo libro, e verso il 1324. Viaggiò per Monaco, e vi giunse, com'è detto, nella state del i320, circa due anni dopo che il Papa avea scomunicato l'imperatore. Questi, dal canto suo, composte varie quistioni in Germania, soprattutto col suo competitore Federigo d' Austria, si trovava in buon punto a muovere per l'Italia. Ormai avea, ch'è più al caso nostro, anche allato un uomo italiano, sul quale egli confidava interamente, della potenza d' ingegno e della virtù di volere di Marsilio da Padova» (pp. 30-31). «Papa Giovanni XXII temeva forte l'influsso dello scrittore politico italiano su l'animo dell' Imperatore. Già il libro del Defensor pacìs, conosciutolo, avea molto impensierito il Papa, che, uomo di molto studio, a differenza dell' Imperatore, poteva in gran parte accorgersi del bersaglio, a cui quello tirava risolutamente» (p. 34).
Leggiamo in Lorenza Tromboni [16]: Marsilio è «autore di uno dei testi più innovativi di tutto il Trecento, in cui vengono poste le basi per una discussione del problema politico in termini inusitati e sicuramente più vicini ad una sensibilità moderna piuttosto che a quella medievale […] Di particolare interesse, oltre alla netta presa di posizione di Marsilio, è la sua concezione antropologica, che gli permette di svolgere una riflessione sul senso della comunità e sulle leggi che la regolano che si stacca decisamente dalla concezione medievale di lex come espressione della razionalità divina, cristallizzata nella dottrina tomistica. Marsilio sviluppa il suo discorso a partire dalla nascita della comunità civile, frutto della naturale inclinazione umana e pone la legge come un patto tra i cives che rende possibile la convivenza mediante il sistema di punizione/premio. A garanzia del funzionamento di questo sistema anche Marsilio vede un principans, ma la sua preferenza non è per un sistema unitario ed universale come nel caso di Dante, piuttosto per una partecipazione dei cives all'elezione del governante e, tramite lo strumento della votazione, alla gestione del potere. […] Naturale, per Dante così come per Marsilio, è la tendenza dell'uomo a vivere in comunità e, se anche per Dante l'uomo è destinato a realizzarsi prima nella sua esistenza terrena, per Marsilio il distacco dalla prospettiva tradizionale è ancora più netto. Il nuovo paradigma che Marsilio introduce per interpretare il significato della comunità umana e la sua intrinseca finalità è sicuramente uno dei motivi che resero inevitabile la sua condanna e che, in occasione della sua morte (1343), spinsero il pontefice Clemente VI a definirlo “il peggior nemico della chiesa”. Nonostante l'offensiva da parte dell'autorità ecclesiastica l'opera si diffuse ampiamente in tutta Europa».
A proposito di Europa, e della genesi del pensiero politico italiano, Eugenio Guccione (in Genesi e sviluppo dell'idea di Europa nel pensiero politico italiano, sul web) parla di Marsilio in questi termini: «Marsilio da Padova, nello stesso secolo di Dante, individuando una unità occidentale latina e distinguendola dal mondo orientale greco, sottolinea nel suo Defensor Pacis, seppure non in maniera del tutto esplicita, l'opportunità di un'intesa tra i popoli europei sulla base di un comune diritto e nel rispetto del principio di uguaglianza tra gli uomini» (in nota si rimanda al Defensor Pacis, I, 17, 1- 13).
Secondo Pietro Costa (Ordinario di Storia del diritto medievale e moderno all'Università di Firenze, lezione «La sovranità popolare» del 24.03.2014», corso su «La democrazia costituzionale e il suo passato», sul web) Marsilio è «uno scrittore audace ed eterodosso. Una tesi scandalosa della sua opera è la tesi della netta distinzione fra la sfera temporale e la sfera spirituale e la pretesa di togliere alla Chiesa il potere di intromettersi negli affari mondani. Non è però questa tesi che ci interessa in questo momento. Ci interessa l'altra grande linea direttrice della riflessione marsiliana: l'analisi dell'ordinamento politico, della civitas. È un'analisi che Marsilio porta avanti commentando e sviluppando originalmente il testo aristotelico. Nelle pagine di Marsilio il populus è effettivamente protagonista protagonista. Il popolo non
è più, nel discorso marsiliano, un simbolo evanescente, i cui contenuti restano indeterminati. Si tenga presente un aspetto non secondario, che riguarda il contesto in cui si è formato Marsilio e non può non avere influito sulla sua riflessione».
Una traduzione del Defensor pacis è completata nel 1363: «una versione che lascia trasparire il pieno accordo dell'anonimo volgarizzatore con le principali tesi marsiliane, ed anche con l'ispirazione fondamentale del testo», come osserva Lorenza Tromboni nel cit. suo saggio.

NOTE
[1] Per il testo di Marsilio, rimandiamo all'ed. della sua opera, con traduzione di Cesare Vasoli, Torino 1960. Qui, nell'«Introduzione», curata dallo stesso Vasoli alle pp. 9-78, troviamo la parte da noi citata (cfr. p. 77). Circa il testo di Marsilio, leggiamo in Battaglia, La vita di Marsilio da Padova e la filosofia politica del Medio Evo, Firenze 1928, p. 45 che si ipotizza con argomenti esigui una collaborazione ad esso di Giovanni di Jandun, il quale «almeno indirettamente» dovette collaborare con Marsilio (p. 43). Giovanni di Jandun fu «magister artium» e docente nel collegio di Navarra (p. 38). Giovanni era «uomo di svelta ed acuta intelligenza» che ben presto «salì in gran fama, sia per l'insegnamento ai quale si dedicò, sia per le dotte sue opere di filosofia» (p. 38). Ricorda poi Battaglia (p. 50): «Compiuto cosi il Defensor pacis, Marsilio si sottrasse al pettegdlo scandalistico ambiente parigino, e con il suo amico Giovanni di Jandun fuggì in Germania presso l'imperatore Ludovico», a Norimberga (cfr. p. 182). Su ciò, si veda pure alla p. 180 dove si ricostruisce la cronologia dei fatti: il 19 giugno 1324 Marsilio affitta una casa a Parigi, che non abierà mai, non pensando alla minaccia papale, mentre il 24 dello stesso mese termina il Defensor. Quando «forse ancora si svolgeva il processo del vescovo di Parigi, Giovanni XXII in una sua bolla del 3 aprile 1327 accennava ai due eretici Marsilio e Jandun, e rimproverava a Ludovico, per la seconda volta scornunicato, di trattenerli presso di sé» (p. 183).
Per le notizie biografiche, cfr. G. C. Garfagnini, Alcune osservazioni intorno al Defensor pacis di Marsilio da Padova, «Annali del Dipartimento di Filosofia. Università di Firenze», 9-10, 2003-2004 [ma 2005], pp. 33-41,33-34, dove leggiamo: «Il 24 giugno 1324, a Parigi, Marsilio pone la parola fine al Defensor pacis; il 23 ottobre 1327, ad Avignone, il pontefice Giovanni XXII condanna al rogo l'opera (dopo che l'autore era già stato scomunicato il 9 aprile); il 10 aprile 1343, in concistoro, Clemente VI, dà notizia della morte del maestro e proclama ufficialmente che è finalmente venuto meno il peggiore nemico della Chiesa che si fosse mai visto. Sono tre date che tratteggiano, in controluce, la figura di un grande filosofo e pensatore politico che, nel corso della seconda parte della sua vita, ha cercato, sia nell'agire politico che negli scritti, di porre in pratica gli elementi fondamentali dell'intuizione da cui era nato il Defensor pacis e con cui aveva cercato di risolvere una serie di problemi che avevano ossessionato i maestri delle arti sin dalla prima apparizione dell'Etica aristotelica e, successivamente, della Politica: che cos'è lo stato, quale sia l'organizzazione migliore per una effettiva «congregatio civium», su che cosa riposi la legittimità di qualsivoglia comunità politica e quale sia il vero fine di essa».
Qui leggiamo pure: «Il Defensor pacis è un'opera complessa (e non solo dal punto di vista quantitativo), che fonde insieme le caratteristiche dell'originalità di pensiero del suo autore con quelle della struttura formale articolata in "dictiones", in cui elementi di concettualizzazione politica, argomenti di polemica esegetica e conclusioni autoritative trovano la loro giusta collocazione secondo le norme della trattatistica scolastica e con tutto il massiccio apporto delle necessarie "auctoritates". Ma vi è anche un altro elemento che merita di essere sottolineato, soprattutto tenendo d'occhio il contesto temporale e la vicenda personale di Marsilio, e cioè l'altissima levatura spirituale che accompagna l'indubbia padronanza filosofica dell'autore. Lo scomunicato ed "eretico" Marsilio, infatti, si mostra in queste pagine, in massima parte concepite come una deliberata e netta contestazione dell'operato della Chiesa, come un uomo partecipe di sentimenti di elevata spiritualità; e ciò non sembri un paradosso. Il Padovano, certamente, non è uno "spirituale" né è la sua militanza antiavignonese, in comune con Guglielmo d'Ockham e Michele da Cesena, nelle file dei sostenitori di Ludovico il Bavaro a dare un senso a questa spiritualità, né la sua partecipazione all'aspra discussione originata dall'interpretazione della "povertà" di Cristo e degli Apostoli all'interno ed all'esterno dell'ordine francescano; anzi, le sue prese di posizione sul problema della povertà nella Chiesa vanno in direzione diversa da quella presa dai due frati minori. Esse provengono da una precisa presa di coscienza sia di ciò che l'uomo è, nel suo essere composto di un elemento spirituale e di uno materiale, nella sua fattuale singolarità sia di ciò che significa per quell'uomo, così come di fatto è, il messaggio cristiano» (pp. 35-36).
Cfr. pure, sulla biografia, l'opera ed il contesto storico, E. Emerton, The Defensor pacis of Marsiglio of Padua, Cambridge 1920.
[2] Cfr. S. Guglielmino-H. Grosser, Il sistema letterario, I. Duecento e Trecento, Milano 1987, p. 329.
[3] Cfr. nell'«Introduzione» cit., p. 75.
[4] Cfr. R. Esposito, Il pensiero politico, pp. 81-93 in «Manuale di letteratura italiana», a cura di F. Brioschi e C. Di Girolamo, Torino 1993, p. 87.
[5] Cfr. J. Le Goff, Alle origini del lavoro intellettuale in Italia, in «Letteratura italiana, I, Il letterato e le istituzioni», Torino 1982, pp. 649-679. La cit. è da p. 665. Le Goff osserva che il «Defensor pacis» non «giustifica» la democrazia ma la ragion di Stato.
[6] Cfr. G. Reale-D. Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, I, Brescia 1983, pp. 485-486. Qui (p. 486) si legge anche per Marsilio, che i «due pilastri innovativi» della sua «originale teoria politica» sono «sovranità popolare» e «Stato di diritto».
[7] Cfr. U. Eco, Introduzione a «Il Medioevo. 8. Basso Medioevo. Filosofia, Scienza, Musica», Milano 2009, pp. 12-17, 17. Di Marsilio, Eco tratta anche nella Introduzione a «Il Medioevo. 7. Basso Medioevo. Storia», Milano 2009, pp. 12-37, p. 32, per spiegare che è l'«universitas civium» a delegare il potere al principe, così come nella Chiesa è l'«universitas fidelium, di cui è espressione il Concilio» a delegare il Papa.
[8] Cfr. S. Simonetta, La riflessione politica, «Introduzione» a «Il Medioevo. 8», cit., pp. 391-399, 398-399.
[9] Cfr. A. M. Voci, Il papato avignonese, «Il Medioevo. 7», cit. pp. 98-107, 101.
[10] Cfr. L. A. Muratori, Annali d'Italia, VIII, Dall'Anno 1301 dell'Era volgare fino all'anno 1400, Olzati, Monaco 1763, p. 143. qui si ricorda poi che «in quel Parlamento Lodovico pubblicò, che Papa Giovanni XXII era Eretico, e non degno Papa, opponendogli varj articoli, secondoché a lui era stato suggerito da due dotti ribaldi, cioè da Marsilio da Padova, e da Giovanni Giandone, o sia di Gant, che co i loro velenosi scritti condussero il Bavaro a varie empietà e pazzie».
In questa edizione, alla pag. IV della «Prefazione critica di Giuseppe Catalano», si legge che, invitato dai Ghibellini d'Italia, nel mese di febbraio 1327 si reca a Trento, «ove tenne gran parlamento... presente pure Guido Tarlati Vescovo d'Arezzo (pp. III-IV). Quindi, il 16 Maggio entrò in Milano «e prese nel dì della Pentecoste la corona di ferro in S. Ambrosio per mano di tre Vescovi scomunicati Federigo Maggi di Brescia, Guido Tarlati di Arezzo, e Arrigo di Trento» (p. IV). È il riassunto del testo che si legge a p. 143: «fecero quella funzione tre Vescovi, scomunicati e interdetti dal Papa».
[11] Cfr. F. Gregoretti, L'Italia nella Divina commedia, Barbéra, Firenze 1872, p. 367.
[12] Cfr. Della istoria ecclesiastica dell' eminentissimo cardinale Giuseppe Agostino Orsi proseguita da F. Filippo Angelico Becchetti, XVI, 1307-1333, Giunghi, Roma 1784, p. 351.
[13] Cfr. G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, II, Dall'anno MCLXXXIII al MD, Bettoni, Milano 1833, p. 294.
[14] Cfr. J. Nagy, Dante e Marsilio: dalla trascendenza all'immanenza (Monarchia; Defensor Pacis), in A. Nuzzo-J. W. Somogyi, In memoriam Hajnóczi Gábor, Piliscsaba 2008, pp. 187-200.
[15] Cfr. B. Labanca, Marsilio da Padova riformatore politico e religioso del secolo XIV, Salmin, Padova 1822.
[16] Cfr. L. Tromboni, Filosofia politica e cultura cittadina a Firenze tra XIV e XV secolo: i volgarizzamenti del Defensor pacis e della Monarchia, «Studi Danteschi», LXXV, Firenze 2010, pp. 79-114, 87-88.


Alla pagina La memoria cancellata, dove si parla di Guido Vescovo.
Alla pagina Umanesimo malatestiano, dove si parla di:
1. Rilettura della cappella delle Arti liberali, nel Tempio di Rimini.
2. Prima di L. B. Alberti: Marsilio da Padova e il Defensor pacis.
Continua
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Antonio Montanari
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