Due maestri riminesi al Seminario di Bertinoro.
Lettere inedite (1745-51) a Giovanni Bianchi (Iano Planco)
di Antonio Montanari
"Studi Romagnoli 1996", pubblicati nel volume apparso nel 1999

1. La setta dei Bianchisti

Tra 1749 e 1751 il vescovo di Bertinoro mons. Francesco Maria Colombani indirizzò quattro lettere al celebre medico, scienziato e filosofo riminese Giovanni Bianchi (Iano Planco, 1693-1775). L’argomento principale affrontato in tre di esse (1), riguarda le vicende di due insegnanti riminesi presso il Seminario della stessa diocesi, Mattia Giovenardi e Lucantonio Cenni. In quel giro d’anni, anch’essi furono in rapporto epistolare con Bianchi.
Entrambi appartennero alla "setta" dei "Bianchisti" (2), cioè al gruppo di intellettuali che ruotavano attorno a Bianchi, formando quella "Scuola di Rimino" abituata a segnare le proprie pagine con "velenoso inchiostro". (3) Bianchi aveva creato attorno a sé, nella propria abitazione, un circolo di studiosi e di studenti sia nel liceo privato (4), sia nella rinnovata (1745) Accademia dei Lincei.
Bianchi conobbe il vescovo Colombani il 14 novembre 1749: "Arrivato in Bertinoro m’incontrai subito nel Sig. Vicario del Vesc[ov]o che [era] un tal Ab[at]e Brighi, che era stato a mio tempo, cioè verso l’anno 1720 Scolaro in Bologna. […] Venne poco dopo il sig. Ab[at]e Cenni, col quale e col Sig.r Vicario s’andò alla Rocca, ossia nelle residenza del Vescovo", che, partito per Meldola, giunse soltanto nel pomeriggio. Dopo il pranzo al Seminario, dove "si mangiò alquanto", ci fu una visita alla chiesa nuova ("assai propria, e bella") delle Monache Benedettine, dove Bianchi s’incontrò con alcune di loro: "si parlò con una Sig.ra Fontani Monaca Gentildonna di Cesena, giovane, e poi con la Madre Camerlenga, che era di Forlì bella giovane, e spiritosa, e con altra Monaca di Ravenna figliuola del Sig. Avv[ocat]o Giorgetti bellissima giovane". (5)
Giovenardi e Cenni lavorarono a Bertinoro rispettivamente dal 1745 al ’49, e dal ’49 al ’51.
Il canonico Mattia Giovenardi (6) proviene dalla dinastia che espresse tre arcipreti della parrocchia riminese di San Vito, Gaudenzo (1683-1749), Giampaolo (1708-1789) e Giovenardo (1758-1841). Egli era cugino di Giampaolo, il quale pronuncerà l’elogio funebre di Bianchi (7), su indicazione testamentaria di quest’ultimo. (8) Da una lettera di Giampaolo a Bianchi, sappiamo che Mattia fu autore di "novelle". (9) "Bravo discepolo di Bianchi, e dotto assai nelle Scienze migliori, nella Filosofia cioè, e nelle Matematiche", lo definì L. Tonini (10), sulla scorta di quanto aveva scritto Giampaolo Giovenardi: "uomo quanto modesto, ed umile, altrettanto versato nelle Filosofiche cose, e nelle Matematiche, ed in ogni maniera di Scienze, Sacre e Profane, e peritissimo nelle Lingue Latina, Greca, ed Ebraica". (11) Mattia fece parte dei Lincei planchiani sin dalla loro fondazione. (12)
Anche Lucantonio Cenni fu allievo di Bianchi (13) che nel 1750 lo nominò Linceo, dopo un tirocinio durato "per aliquot annos", durante i quali Cenni recitò "dissertationes aliquas" nell’Accademia riminese (14). Cenni è poeta degno di qualche menzione, se Carlo Tonini nella sua Coltura gli ha dedicato cinque pagine. (15) Nato nel 1721, oltre che pubblico maestro di Lettere, fu anche regista ed attore, recitando pure, secondo gli usi del tempo, in parti femminili. (16) Nel ’69 scrisse un Componimento drammatico per l’avvento al Sommo Pontificato di Clemente XIV, pubblicato a Fano. Cenni fu raccomandato a mons. Colombani da Bianchi "per mezzo del sig[no]r Co[nte] Garampi". (17)
Nelle epistole che Cenni e Mattia Giovenardi inviarono a Bianchi, troviamo oltre ai chiarimenti indispensabili per comprendere le vicende di cui furono protagonisti (e su cui nelle lettere di mons. Colombani incontriamo soltanto vaghi accenni), anche numerose informazioni sulla vita a Bertinoro e nel suo Seminario. (18)
Sia Mattia Giovenardi sia Cenni furono cacciati dalla loro cattedra, per cattiva condotta. Di Cenni sappiamo che si sposò. (19)

2. Mattia Giovenardi
Del comportamento di Giovenardi, il vescovo tratta nella lettera del 19 marzo 1749, dopo averlo appena licenziato. È un riferimento indiretto, mentre sta raccontando a Bianchi di Cenni: "avrò per lui tutta la parzialità, basta solo, che volentieri affatichi nelle Lettere, e non manchi alla convenienza, del che non lo voglio credere capace, non parendomi dell’indole del Giovenardi". Nella successiva lettera, datata 3 maggio ’49, il vescovo ricorda le "male procedure del Giovenardi", aggiungendo a Bianchi: "La supplico a dispensarmi da qualsiasi attestato da Lui non ricercato, e per cui potrebbe forse far comparire non affatto vere le cose, che egli hà operato senza convenienza, e per cui prego il Sig[no]re ad illuminarlo, e scioglierlo dalla sua testardaggine".
È Cenni ad informare Bianchi il 30 aprile ’49: "Godo poi che il Sig. D[on] Giovenardi venga giovato dagli amici col volerlo trar fuori dalle taverne di Cesena". Non sappiamo precisare, in base ai documenti esistenti, se il comportamento di quei giorni fosse abituale per Giovenardi, o soltanto una conseguenza momentanea della sua vicenda.
Il 3 maggio Cenni dà notizia della partenza dal Seminario di un ragazzo "che l’istesso Giovenardi si vantò a presso alcuni che già sarebbe partito, ed altri ancora partiranno. La qual cosa esaccerbò oltremodo l’animo di Monsignore". Sull’episodio Giovenardi osserva il 12 dicembre ’49 nella lettera scritta a Bianchi da Savignano: "La colera di quel Monsig[no]re si è accresciuta, perché un seminarista, che recitava nella commedia, si partì subito dopo, che io fui licenziato, il che egli vuole che sia stato fatto da me per farli dispetto".
Giovenardi, subito dopo la sua espulsione, il 9 febbraio ’49 aveva scritto da Cesena: "Il V[escov]o di Bertinoro non si è contentato di cacciarmi via dal Seminario, dalla Diocesi; ma ancora ha procurato di farmi catturare quì in Cesena, e se dal V[escov]o di Cesena io non era avvertito, sarei caduto nella trappola. Io temo di molto che non tenti lo stesso in codesta Diocesi di Rimino; e perciò io prego V[ostra] S[ignori]a Ill.ma, ed Eccel.ma a procurare che il V[escov]o di Rimino non sottoscriva il mandato di quel V[escov]o fanatico di Bertinoro, acciocché almeno io possa ritornare a casa sicuramente".
La lettera reca come post scriptum: "Si crede ancora che quel fanatico di V[escov]o abbia impiegato la Legazioardinale santarcangiolese Lorenzo Ganganelli, il futuro Clemente XIV. Amaduzzi ha 22 anni, Ganganelli 57. Fra la visita ad un museo e la consultazione di una biblioteca, Amaduzzi ha anche tempo per allacciare rapporti con altri studiosi.
Dotato di un carattere vivace e battagliero, Amaduzzi per le sue idee politiche e religiose, nella Roma di Clemente XIII (1758-69) non ha vita facile. Agli occhi di molti lo rendono sospetto i rapporti che intrattiene con ecclesiastici chiamati giansettera, subito prima Giovenardi ha riferito: "Monsig[no]re Colombani scrisse a quello di Cesena che io era fuggito dalla sua Diocesi, quando egli mi avea comandato ch’io sloggiassi dal Seminario, e dalla Diocesi in termine di tre giorni, nel che fu ubidito prontamente".

3. Lo zio Arciprete
Il 28 ottobre ’48 Giovenardi aveva scritto a Bianchi: "Io poi non ho accettato la scuola di Savignano, siccome da principio io aveva deliberato fra me stesso, dalla quale deliberazione [di non accettare, n.d.r.] m’avea distolto mio zio Arciprete [Gaudenzo, n.d.r.], il quale avendomi fatto fare la prima corbelleria di lasciare il Seminario di Rimino, ora mi voleva far fare la seconda persuadendomi ad abandonare questo di Bertinoro". Non troviamo spiegato nei documenti il perché lo zio fosse giunto a questi suggerimenti.
Nei confronti dello zio (che scompare all’inizio del ’49), Mattia non è tenero. Il 5 novembre ’48 scrive: "A questa volta io non ho fatto la corbelleria di abandonare questo Seminario [di Bertinoro, n.d.r.], e me ne trovo molto contento. […] Io sono allei di molto obbligato di questo ancora, perché già mio zio mi aveva quasi indotto, scrivendomi che ella approvava di molto una tal cosa; quando ella per sua gentilezza mi ha scritto tutto il contrario".
Infatti il 29 ottobre ’48 Bianchi ha comunicato (21) a Mattia Giovenardi: "Io credo che abbia fatto bene a non accettare la Scuola di Savignano per la ragione che le dissi che è meglio ad avere che fare con un galantuomo solo, che con tante teste d’un consiglio, nel quale di più entrino de’ villani, senzaché quei di Savignano sono più dati al giuoco che ad altra cosa, la onde andando là poco onore, e meno utile ci avrebbe ricavato".

4. "Una colonna dipinta"
Giovenardi era giunto a Bertinoro nell’ottobre ’45, quand’era vescovo Gaetano Galvani. (22) La prima impressione sul paese è questa: "non mi è venuto fatto di poter ritrovare alcuna cosa ordinaria, non che singolare; onde io conosco esser vero ciò, che dicono: A Bertinoro sol son buoni i vini". (23) Nella stessa epistola si legge di "una colonna dipinta con molte annella di ferro attorno, la quale dicono i Bertinoresi che era di marmo posta in mezo la piazza; alle annella della quale anticamente i forastieri legavano i loro giumenti. Io non [so] con quale fondamento ciò asseriscono: è vero che a tempi antichi si davano le fiere […], ma queste si facevano un miglio e mezo in circa lontano da Bertinoro; onde io non so capire, come i forastieri si volessero incomodare di venire a legare i loro giumenti quasi sulla cima di questo monte, dove è posta la piazza di Bertinoro".

Parte seconda

5. Lucantonio Cenni

Il 27 settembre 1751 Giovenardi scrive a Bianchi: "sento a dire che il Sig[no]re Abbate Cenni si sia fatto lo sposo, e che sia stato licenziato dal Seminario di Bertinoro". È del 18 settembre la lettera del vescovo a Bianchi: "Ritornato da Ferrara, sentendo compiuta la cerimonia, e per conseguenza pubblicato il matrimonio trà l’Abbate Cenni, e la giovane con cui da tanto tempo pratticava […] non manco di darle rispettoso avviso, rappresentandole il mio grave ramarico".
Bianchi era già al corrente della vicenda sentimentale del suo scolaro. A maggio dello stesso 1751, gli ha inviato quella che Cenni stesso chiama "la dolce esortazione" a lasciar andare certi "pur troppo pericolosi amoretti", a causa dei quali, ma non solo per essi, egli avrebbe voluto lasciare il Seminario di Bertinoro, dove comandavano un cuoco presuntuoso ed un nuovo Prefetto, perfetto "homo bilinguis". A quell’esortazione Cenni ha risposto: "Quanto all’andare a divertirsi, ed attendere agli amoretti, io intendo di far quello che il Capo, e tutta la corte fa". Planco deve avergli suggerito di "prender moglie". Cenni infatti replica: "non mi riesce cosa ora più odiosa di questa stante le mie insufficienti forze, ed il troppo desiderio, che ora ho di vedermi libero, che anzi prego il Cielo a tenermi lontano da una sì pericolosa risoluzione". (24)
Cenni è secolare: non ha voluto divenir sacerdote, nonostante la sua condizione di "pover uomo" lo richiedesse. Ma sentiva di non aver la "vocazione" sufficiente. (25) Sposandosi, si trova tuttavia amaramente accontentato.
Cenni apprende del proprio licenziamento all’inizio dell’agosto 1751. Lo sostituiscono con un prete. (26) Cenni viene accolto nella "corte di Monsig[no]re, dal quale per un mio infortunato accidente ho ricevuto molte distinte convenienze, ed assistenza rimarchevole". (27) L’accidente è la gravidanza della fanciulla da lui frequentata. (28)
Il primo settembre Cenni scrive a Bianchi: "Quanto al mio sinistro accadutomi non posso a meno di non piangere con me stesso, e per sottrarmi da ciò io avea fatto dal canto mio, ma il pessimo consiglio di questo nostro Sig. Vicarjo, e la facile condiscendenza di questo Prelato mi [h]anno condotto a tale stato".
Il "pessimo consiglio" del vicario è spiegato nella lettera successiva (9 ottobre): "feci ogni sforzo per mandare lontana la Giovane, come difatti io feci, perlocché essendo ella lontana mi credeva avere operato ciocché era necessario per sottrarmi da un repentino matrimonjo. Ma è stato al contrario, mentre la mandarono a prendere che era fuori di Diocesi senza mia saputa, e così il Sig[no]r Vicarjo mandò ad effetto quanto forse pensò per lo meglio". Cenni si lamenta soltanto della "poco o nulla decorosa prestezza", perché "di prenderla, io non me ne sono lagnato, e non me ne lagnerò per l’obbligo che mi correva".
Il vescovo, per quanto dispiaciuto a causa di quelle nozze, cerca di aiutare Cenni, raccomandandolo per la scuola pubblica di Bertinoro. L’abate riminese otterrà questo incarico soltanto nel ’58. (29)

6. La fine di un’amicizia
Cenni e Giovenardi un tempo erano stati amici. I loro rapporti ben presto però si guastarono. Quando Giovenardi nel ’49 resta senza posto, Cenni (che gli subentra a Bertinoro), si dichiara disposto a cedergli la cattedra che occupava, con un patto di cui scrive lo stesso Giovenardi: "voleva ancora ch’io gli dassi la mettà di ciò, ch’io avessi ricavato, e disse che così avea pattuito con l’abate Galli". (30) Aggiunge Giovenardi: "Se io avessi campo di mostrarle le lettere del Cenni, vorrei ch’ella le conoscesse che son piene di bugie, e di raggiri poco onesti". (31)
Cenni a suo volta il 14 luglio ’51 racconta a Bianchi di aver parlato ad un’autorità di Meldola dei "progetti, che io li dissi, aver fatto a codesto mio Antecessore, questo Mons[igno]re Ill.mo; ed è rimasto a tale, che egli stenta di crederlo". Cenni sembra sospettare che, a manovrare per la sua cacciata da Bertinoro, sia stato lo stesso Giovenardi, nel frattempo passato a Santarcangelo come canonico. (32) Giovenardi, nella lettera del 27 settembre ’51 con cui informa Bianchi delle nozze di Cenni, ironizza contemporaneamente sul licenziamento del collega e sul vescovo di Bertinoro che lo decretò: "Quel Mons[igno]re è un dappoco, poiché l’abbate Cenni sarebbe stato più diligente per l’avvenire di quello, che sia stato per lo passato, e la sua moglie avrebbe potuto con poca spesa servire ad ambedue". Cenni stava per compiere trent’anni. Mons. Colombani, ne aveva soltanto tre di più. (33) La moglie di Cenni si chiamava Domenica Mangelli. La creatura nata dalla loro storia d’amore, fu una bambina, battezzata il 20 novembre 1751 con i nomi di Rusticiana Lucia Felicia. (34)

Note al testo

1 Le quattro lettere sono datate 11 marzo 1749, 3 maggio 1749, 4 novembre 1750 e 18 settembre 1751. L’unica che non tocca il nostro argomento, quella del 1750, contiene una raccomandazione inviata da Bianchi a mons. Colombani, tramite Cenni, per tale Domenico Brunelli. Tutte le lettere di vari autori, indirizzate a Giovanni Bianchi, che saranno qui citate, sono conservate nel Fondo Gambetti della Biblioteca Gambalunghiana di Rimini (BGR), ad vocem.
2 Giovenardi parla di "quelli della nostra setta" (27 ottobre ’45). Cenni cita i "Bianchisti" (2 giugno ’51).
3 La definizione è tolta da una lettera da Bertinoro (2 luglio ’49) del forlivese dottor Vincenzo Galbani a Bianchi, in cui si tratta di una polemica suscitata da Cenni a proposito dell’iscrizione dettata dallo stesso Galbani per una campana della Cattedrale di Bertinoro. Le Note Critiche composte da Cenni e la relativa risposta di Galbani, si trovano nella cartella "Cenni L." del Fondo Gambetti, Miscellanea Manoscritta Riminese (BGR). Nella lettera del 2 luglio ’49 Galbani dice di aver letto "un foglio di riflessioni critiche" su quella iscrizione, "tinte d’un velenoso inchiostro, col quale (e non altro) franca[men]te dissi segnarsi le pagine dalla Scuola di Rimino, quando per essa vuolsi a qualchuno stringer adosso il giubbone, o quando si pretende avilirlo, come nel mio caso, che sono una pagliaresca casa". Le parole di Galbani, indirettamente, evidenziano uno degli aspetti della personalità di Bianchi (spirito polemico, intolleranza verso le critiche e le opinioni contrarie alle sue), che dovette riflettersi in modo inevitabile anche sopra la sua scuola ed i suoi seguaci. G. L. Masetti Zannini, in pochi tratti, ha delineato efficacemente la personalità di Bianchi: spiccatissima "coscienza del proprio indiscusso valore", "studio di primeggiare", "diffidenza verso gli altri (un uomo come lui, in relazione con innumerevoli persone, ebbe in realtà pochissimi amici)": cf. Vicende accademiche del Settecento nella carte inedite di Iano Planco, in "Accademie e Biblioteche d’Italia", xlii, 1-2, 1974, p. 54. (Vincenzo Galbani era stato nel ’40 medico di Longiano: cf. Viaggi 1740-1774 di G. Bianchi [SC-MS. 973, BGR], c. 14v.)
4 "Una gratuita scuola, o per meglio dire una pubblica Università di ogni sorte di Studj": cf. G. Giovenardi, Orazion funerale in lode di mons. Giovanni Bianchi, Venezia 1777, p. xxvii.
5 Cf. Viaggi 1740-1774 , ms. cit., c. 365r.
6 Nelle lettere, egli si firma talora anche Matteo, oppure Matteo Domenico. Per il cognome, troviamo pure Giovanardi. Anche nelle lettere di Cenni e del vescovo il cognome subisce la stessa variazione. Noi abbiamo uniformato la grafia in Giovenardi, senza ulteriori precisazioni nei luoghi interessati.
7 Si tratta della cit. Orazion funerale.
8 Cf. L. Giovenardi, I Giovenardi nei 122 anni successivi di possesso della chiesa dei SS. Vito e Modesto, Diocesi di Rimini, Gatteo 1892, passim. L’autore era pure lui sacerdote. A p. 15 si legge: "Bello era il vedere allorché il Canonico Mattia Giovenardi passeggiando accompagnava il cugino Giampaolo che, fatta la scuola, ritornava ai SS. Vito e Modesto: perciocché dopo breve tratto di strada, rissando quasi nemici si separavano, e la causa era questa che il Canonico Giovenardi avvegnaché dotto, pure non trovando mai nel discorrere la parola che confacesse all’idea, o meglio non avendo punto di comunicativa, l’altro indispettito lo lasciava brontolando". Nella lettera del 4 agosto ’44 inviata da Lorenzantonio Santini a Bianchi, si legge: "Giovanardi Junior è fuori un’altra volta dal Seminario". Sulla figura di Giampaolo G., si veda lo studio di P. Meldini, Il medico di Parrocchia, in "San Vito e Santa Giustina, contributi per la storia locale", Rimini 1988, pp. 173-187. Giampaolo era figlio di un altro Giovenardo e di Lucia Arcangeli (cf. in SC-MS. 375, BGR, la biografia inedita di Giampaolo, opera di anonimo, e raccolta dal bibliotecario della stessa BGR, Antonio Bianchi [1784-1840]). Sul testamento di G. Bianchi, cf. in Atti di Francesco Masi, 1775, c. 591r, Archivio di Stato Rimini. In alternativa a Giovenardi, per l’elogio funebre, sono qui fatti i nomi di Cesare Torri e Lorenzo Drudi.
9 Cf. la lettera datata 16 giugno ’48: "Due sole copie delle novelle del Sig. Ab[at]e Giovenardi di Bertinoro erano venute nelle mie mani".
10 Cf. L. Tonini, Indicazioni, o Memorie di Scrittori, e d’Opere Riminesi (1841), SC-MS. 1306, BGR, p. 316. In lettera del 12 settembre 1741 al dottor Francesco Pedroni di Santarcangelo, nel Minutario di Bianchi (MS-SC. 969, BGR), troviamo che Mattia "per molti anni è stato" discepolo di Bianchi stesso "in Filosofia, e Lingua Greca".
11 Cf. la cit. Orazion funerale, pp. xxxii-xxxiii.
12 Dall’Album Lynceorum, pubblicato nelle Novelle Letterarie di Firenze, vi, 1745, coll. 842-846, ricaviamo l’elenco degli accademici fondatori: "Ianus Plancus, Restitutor perpetuus; Stephanus Gallus, Scriba perpetuus; Franciscus Marius Pasinius, Censor; Ioannes Paullus Iuvenardus, Censor; Matthias Iuvenardus, Ioannes Antonius Battarra, Comes Iosephus Garampius, Gregorius Barbettus, Laurentius Antonius Santinius, Ioannes Maria Cella".
13 Negli anonimi (ma dello stesso Bianchi) Recapiti del Dottore Giovanni Bianchi di Rimino (1751), il finale "catalogo degli scolari" cita "il sig. canonico Mattia Giovenardi, professore pubblico di Filosofia in s. Arcangelo" e il "sig. abate Lucantonio Cenni, maestro di rettorica nel seminario di Bertinoro" (p. VI).
14 Cf. Lynceorum restitutorum codex, SC-MS. 1183, BGR, cc. 13r/v.
15 Cf. C. Tonini, La Coltura letteraria e scientifica in Rimini, Rimini 1884, ii, pp. 325-329. A p. 329 si ricorda il duplice plauso epistolare, tributato da Federico il Grande di Prussia nel ’69 e nel ’70 al nostro poeta.
16 Il 16 febbraio ’51, a proposito della rappresentazione de I due gemelli veneziani di Carlo Goldoni, Cenni scrive a Bianchi: "mi conviene ogni dì impazzire a diriggerla in meglio, ed io per mancanza di soggetto devo sostenere la parte di servetta".
17 Così si legge nella lettera (datata 19 marzo 1749) del vescovo di Bertinoro, che apre il carteggio. Si tratta del futuro card. Giuseppe Garampi
18 Il carteggio di Mattia Giovenardi comprende 42 lettere: 28 sono degli anni 1745-48, datate Bertinoro. Quello di Cenni ne contiene 135: le prime 50 (1749-52) sono spedite da Bertinoro, così come le nn. 94-112 (1758-63).
19 La disavventura di Cenni per il suo "amoretto con una giovane di Bertinoro", è ricordata da C. Tonini, Coltura, cit., p. 326.
20 Si legge il 9 febbraio ’49: "il frate P: F: a lei noto per mezo del Sig[no]re Abbate Cenni". Giovenardi allude forse ad un colloquio intervenuto fra Cenni e Bianchi. Non esiste infatti nessuna lettera di Cenni anteriore a quella data: il carteggio di Cenni inizia l’11 aprile ’49. Contro i frati, Giovenardi scrive anche in altre epistole. Il 30 aprile ’46, ad esempio, ricorda che arcivescovo di Ravenna e vescovo di Cervia erano fuori sede "mangiando, e bevendo alle spese de loro preti", e precisa: "Sono frati ambedue tanto che basta".
21 La lettera di Bianchi è allegata al foglio di Giovenardi datato 8 giugno ’49 (lettera "che io le rimando indietro, siccome ella desidera", scrive Giovenardi).
22 Mons. Galvani ("prelato tutto dedito agli studi"), è stato vescovo di Bertinoro dal ’34 al ’47: cf. L. Gatti, Bertinoro, Notizie storiche, Forlì 1938, p. 84.
23 È la lettera datata 27 ottobre ’45. Il verso riportato conclude una composizione del XVIII sec. che riproduciamo integralmente: "Son Goti irresoluti i Ravennati / Son Ebrei di Romagna i Forlivesi / Son padri delle balie i Cesenati / Son scimmie di Bologna gl’Imolesi / I Riminesi son tutti spiantati / Sarsina e Cervia stan male in arnese / Mantengon le gallere i Faentini / E in Bertinoro son son buoni i vini" (cf. N. Matteini, Romagna una terra, Rimini 1995, p. 94).
24 Cf. lettera del 27 maggio ’51. Qui si parla del Prefetto "homo bilinguis" (è una citazione della favola iv del libro ii di Fedro, nella quale si ricorda il "male che può ordine una lingua infida e doppia").
25 Ibidem.
26 Cf. lettera dell’11 agosto ’51.
27 Cf. lettera del 24 agosto ’51.
28 Scrive C. Tonini, Coltura, cit., p. 326: sembra che Cenni "lasciasse in istato, come suol dirsi, interessante" il suo "amoretto".
29 Nel sonetto allegato alla lettera del 30 agosto ’60, Cenni si firma "maestro pubblico della Città di Bertinoro". [Il sonetto, dedicato a Sant’Eufemia, gli era stato richiesto da Bianchi per l’antico monastero riminese a lei intitolato: esso è stato da noi pubblicato in Pagine di Storie & Storia, n. 2, supplemento al settimanale riminese "Il Ponte", n. 3 del 3 marzo 1996.] Cenni resterà a Bertinoro fino al ’63, quando si trasferirà a San Marino (cf. lettera del 30 agosto ’63: "sono stato fatto Maestro della Repubblica di S. Marino con la paga di scudi 100, e la Casa, ma ò l’obligo di tenere, e pagare il Sotto Maestro"; in precedente lettera, del 5 luglio, accusa il vescovo Colombani di aver tramato ai suoi danni, per escluderlo dalla riconferma "nel pubblico impiego" a Bertinoro; riconferma che il 23 agosto dichiarava di "aver ottenuto da Roma […] ad onta de’ pochi nemici, che qui tengo"). A San Marino Cenni fu "institutore dell’Accademia de’ Titanici" (cf. Schede Gambetti, BGR). Dopo San Marino, sarà la volta di Urbania, nel ’69. Prima del ritorno a Bertinoro era stato maestro pubblico a Comacchio, dal ’53.
30 Si tratta dell’abate Stefano Galli (1721-88), allievo di Bianchi e poi Minutante alla Segreteria di Stato a Roma. Planco quando, come si è visto sopra, nel ’45 ricostituisce a Rimini l’Accademia dei Lincei, nomina "Stephanus Gallus Ariminesis, probibliotecarius publicus, vir græce et latine doctus, scriba perpetuus", cioè segretario perpetuo. Da un documento inedito del 1748, conservato nell’Archivio di Stato di Rimini (cf. Archivio Storico Comunale di Rimini, AP 690), si apprende che Galli era stato sino ad allora "custode" (cioè, "probibliotecarius" o vicebibliotecario) della Gambalunghiana di Rimini da sette anni, assumendo poi "per modo di provisione" la carica principale, tra la cacciata per motivi politici di Lodovico Bianchelli (giugno ’48) e l’assunzione di Bernardino Brunelli (dicembre ’48, su raccomandazione del cardinal Legato). Per le vicende di Galli e Bianchelli alla Gambalunghiana, cf. il nostro articolo Il contino Garampi ed il chierico Galli alla "Libreria Gambalunga". Documenti inediti di prossima pubblicazione su "Romagna arte e storia".
31 Cf. lettera dell’11 aprile ’49.
32 Il 4 maggio ’49 Giovenardi si dichiarava in attesa di un priorato o di un canonicato, propendendo per quest’ultimo perché per il priorato "è assai maggiore la spesa, e la soggezione, altresì dicono che sia minore la rendita". (Cenni in calce alla lettera del 30 aprile, scrive a Bianchi di aver saputo dallo stesso Mattia Giovenardi che questi stava per esser "proveduto del Priorato di Santarcangelo".) Nella lettera del 26 dicembre ’49, egli si firma: "Mattia Canonico Giovenardi". Egli vide realizzato il suo desiderio probabilmente per interessamento di suo cugino Giampaolo che a Santarcangelo fu pubblico lettore di Scienze dal ’39 al ’49, anno in cui successe allo zio Gaudenzo come arciprete di San Vito. (Sulla morte dello zio Gaudenzo, cf. la lettera di Giampaolo a Bianchi dell’8 aprile ’49: "Quantunque in questo avvenimento, come ho fatto ancora in altri, abbia ricorso alla Filosofia, con tutto ciò non hò potuto ottenere da questa, di non provare una di quelle perturbazioni d’animo, dalle quali è agitata la nostra umanità, quantunque faccia ogni possa la ragione, per mantenersi ferma, e stabile contro gli urti di così fatte percosse".) Mattia era stato raccomandato da Bianchi, nella cit. lettera del 12 settembre 1741, al dottor Francesco Pedroni (per fargli ottenere una cattedra al Seminario di Ravenna), come "uomo dottissimo […] in ogni genere d’ottimi studi molto versato". Il 13 settembre ’41, don Mariangelo Fiacchi di Ravenna parla con Bianchi dell’abate Giovenardi e del "negozio" con l’arcivescovo per tale cattedra. In data precedente (9 luglio), don Fiacchi dice che Giovenardi sotto la "disciplinata scuola" di Bianchi "si è fatto quel valente letterato che è, e a cui istanza verrebbe a seminare in questo paese le sue virtù". Da un’epistola inviata da don Fiacchi a Bianchi il 10 febbraio ’45, ed avente per oggetto una raccomandazione per il cit. abate Galli, apprendiamo che nel ’41 l’istanza di Giovenardi, "dotto discepolo" di Bianchi, "non ebbe buono effetto". L’arcivescovo di Ravenna era Ferdinando Romualdo Guiccioli. Suo fratello Alessandro il 21 maggio ’45 viene eletto alla sede vescovile di Rimini, facendo iniziare per la città un’"epoca infausta", secondo il cronista M. Zanotti, perché Rimini divenne in quell’anno suffraganea della chiesa ravennate (cf. L. e C. Tonini, Rimini dal 1500 al 1800, ii, Rimini 1888, pp. 336-339).
33 Ricaviamo i dati anagrafici di mons. Colombani dal cit. volume di L. Gatti, Bertinoro, p. 84: egli morì nel 1788 dopo 40 anni di vescovato.
34 Ringrazio mons. Antonio Drudi di Bertinoro per avermi cortesemente fornito copia dell’atto di battesimo (Archivio Diocesano di Bertinoro, vol. 15, 1751-1766), ove si legge che i coniugi Cenni provenivano dalla parrocchia "SS. Trinitatis". Il sacerdote che officiò il battesimo, fu il Sacrista Stefano Galamini. Rusticiana è "patrona particolare di Bertinoro", mi ha spiegato mons. Drudi, mentre a Lucia era dedicata un’originaria devozione della Cattedrale del luogo. Il nome del "patrinus", Filippo Mangelli, è preceduto da un’abbreviazione quasi illeggibile, per i tratti della grafia e la qualità dell’inchiostro: ma pare possibile interpretarla come "Adv" (avvocato). Non è stato possibile rintracciare il registro dei matrimoni del 1751.
Antonio Montanari

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