Riministoria© Antonio Montanari


Corilla Olimpica

ed il mio avo Giovanni Cristofano Amaduzzi

di Isabella Amaduzzi

L'intenzione di questo breve intervento è quella sottolineare come dal carteggio tra Corilla Olimpica e l'Amaduzzi, ma più in generale, dai loro percorsi artistici e intellettuali – ciascuno nella propria individualità e completa originalità - emergano con una certa nitidezza i caratteri di quel clima e dinamismo culturale che portò alla nascita dell'estetica nella sua accezione moderna.

Si potrebbe arrivare a dire - senza rischiare eccessivamente - che nell'epistolario tra la poetessa e l'abate si delinea, sul piano del quotidiano e dell'individuale quel dialogo che caratterizzò tutta la cultura del XVIII secolo; quello scambio continuo tra ragione, riflessione, spirito analitico e sensazione, passione, eccessi e immaginazione. A mio avviso si potrebbero dunque leggere proprio le personalità, e dunque non solo le loro "opere", di Corilla e l'Amaduzzi, come specchi di un'epoca che troppe volte è stata etichettata come illuminista, trionfo di una ragione acritica e che invece ha visto la fruttuosa convivenza tra la ragione e molteplici manifestazioni eccedenti, indiscrete che non accettavano una sola regola e un solo volto. In questo quadro, caratterizzato dunque dalla complessità, dalla molteplicità e dalla pluralità delle "ragioni", l'estetica, come è stato da più parti ormai sottolineato, è stata senso di questo dialogo; è infatti nell'estetica che si affrontano le questioni del sentimento, della vita, delle passioni, dell'arte come creazione, ma anche come fruizione e più in generale del gusto.

L'estetica nasce nel 1735, quando il filosofo tedesco Gotlieb Alexander Baumgarten nelle Meditazioni filosofiche su alcuni aspetti del poema, un'opera dedicata alla poetica e all'oratoria, suppone l'esistenza di una logica "altra" rispetto a quella della conoscenza filosofica, "una scienza la quale diriga la facoltà conoscitiva inferiore: o scienza del conoscere sensitivo" (1), per poi concludere, nel paragrafo successivo, che se le rappresentazioni noetiche si conoscono attraverso la facoltà conoscitiva superiore, oggetto della logica, quelle estetiche "sono oggetto della scienza estetica ovvero dell'estetica" (2). Una questione che verrà ripresa e chiarificata dallo stesso Baumgarten nel 1750 quando nell'opera Estetica fornisce una vera e propria definizione della disciplina da lui stesso scoperta; "L'Estetica (ovvero teoria delle arti liberali, gnoseologia inferiore, arte del pensare bello, arte dell'analogo della ragione) è la scienza della conoscenza sensitiva" (3).

Una premessa di carattere storico necessaria non tanto e solo perché Baumgarten ha dato un nome e una definizione a tutta una serie di ricerche che percorrevano da secoli la storia della tradizione occidentale, ma per il fatto che ha individuato quale cifra dell'estetica il carattere incerto dei suoi confini, la "confusione" che sembra esserle connaturata, in altre parole il carattere polisemantico del termine. Una definizione che conoscerà fasi di assestamento, ondeggiamento nonché di contestazione, come nel caso di Kant, ma che è estremamente indicativa delle direttive culturali che caratterizzarono tutto il Settecento. Nella definizione di Baumgarten è infatti tangibile tutto lo spirito del secolo, quello della fortunata definizione leibniziana dell'unità nella varietà. Una prospettiva di analisi che può essere interessante anche per leggere in filigrana il carteggio tra Corilla e l'Amaduzzi.

L'epistolario tra la celebre improvvisatrice e l'abate può essere sicuramente letto, come è stato sottolineato nella presentazione al volume, come testimonianza esistenziale con una indubbia portata storica, ma anche come materiale culturale di un'epoca che mai ha negato le passioni, il sentimento, gli istinti, le diversità ma le ha volute comprendere ricercandone una genesi formativa e una costruttività. Un percorso di conoscenza che può nascere solo dal confronto con l’altro, con il diverso rispetto a noi, con tutto quello che va al di là dei confini della nostra ragione

Per questo potrebbe essere interessante come prospettiva di lettura dell'epistolario tra la poetessa e l'abate quella del paradigma del viaggio; Paul Hazard, nel suo libro La crisi della coscienza europea, ha identificato proprio nel passaggio dalla stasi al movimento il cambiamento radicale che caratterizzò il passaggio tra Seicento e Settecento. Il viaggio non è solo quello del grand tour, il viaggio è il viaggiare di idee, di volumi e di persone. Il viaggio è importante per l'antropologia, per la conoscenza di popoli e culture differenti rispetto a quella europee, ma il viaggio ha anche delle ripercussioni di carattere etico filosofico: la conoscenza della diversità è non a caso uno dei paradigmi su cui si arrovellerà tutta l'estetica del Settecento, nata - come abbiamo visto - sotto il segno dell'analogia e della differenza rispetto, di un modello altro di sapere.

L’epistolario è un viaggio nelle umane passioni di una donna delusa dall’amato e amareggiata dalla patria e dalle malelingue, le lettere sono un viaggio nella dotta prosa di un pensatore che cerca di consolarla, ma sono anche un viaggio nella vita romana dell’epoca, sono indirettamente pagine in cui si accenna ai tre viaggi nella conoscenza – i tre discorsi pronunciati in Arcadia - e sono il viaggio di due spiriti liberi dell’epoca che fecero del relativismo, nell’accezione più positiva del termine, un dimensione reale e culturale

Il viaggio però forse più bello e anche commuovente è quello che l'Amaduzzi compie quando descrive l'arte di Corilla al Bertola in una lettera del 29 aprile del 1777. E' il viaggio nella dimensione della sensibilità, nell'arte, nei sensi, è il viaggio nella gradazione del fuoco poetico così proprio di Corilla. Un entusiasmo nascente, progressivo e sublimato a norma di quei gradi coi quali la stessa natura procede. Un viaggio descrittivo nella sensibilità in tutta la potenzialità dell'immediatezza. Un autentico documento, come è stato già sottolineato – di vera psicologia dell’improvvisatore. La descrizione dell'arte della poetessa sembra inoltre non discostarsi molto dalla definizione che Locke diede nel suo Saggio sull'intelletto umano, più volte citato dall'Amaduzzi e mandato all'indice negli anni Trenta del secolo, del wit quale fulcro dell'attività elaborativa; il wit è quella capacità di raccogliere idee con rapidità e varietà formando nella fantasia quadri piacevoli e gradevoli. Dove il giudizio separa il wit, con echi baconiani, unisce e si muove nell'ambito dell'immaginazione, dove regna il mondo confuso della metafora, la lingua immaginosa che gioca con il concetto e la sensazione.

L'Amaduzzi ammira poi il verseggiare di Corilla perché non ha nulla di meccanico e mediato; è invece un qualcosa di progressivo e graduale in grado di contagiare, coinvolgere il pubblico. La descrizione di Amaduzzi che rivela dunque una grande acutezza psicologica sembra quasi poi assumere connotati romantici in particolare quando si sottolinea l'individualità e l'unicità dell'esperienza poetica. Il poetare di Corilla non conosce limiti, è espressione delle facoltà produttive dell’immaginazione. Nelle sue liriche trovano forma concreta e sensibile, l’invisibile e l’inesprimibile. Le parole non scritte di Corilla non dovevano essere all’epoca, come non dovrebbero esserlo nemmeno per noi oggi, un muro, un limite, bensì condizioni di infinita possibilità creativa ed espressiva. Una ricerca tutta settecentesca delle ragioni dell’arte e del mondo sensibile.

Le lettere sono dunque testimonianza non di un interesse superficiale, momentaneo, bensì profondo e duraturo; uno scoprire, un addentrarsi nelle differenti espressioni della natura, della sensibilità e non solo della ragione.

Note

G. A. Baumgarten, Meditazioni filosofiche su alcuni aspetti del poema, a cura di F. Piselli, Vita e Pensiero, Milano 1992, p. 102.

2 Ivi, p. 104.

3 G. A. Baumgarten, Estetica, a cura di F. Piselli, Vita e Pensiero, Milano 1992, p. 17.


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