GIUSEPPE PARINI |
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IL MERIGGIO |
La trascrizione delle opere di
Giuseppe Parini viene offerta per far comprendere la grandezza artistica e l'attualit�
del Poeta. Tale trascrizione non ha per il momento alcuna pretesa di accuratezza
filologica, ma sarebbe desiderio del curatore di questo sito accettare correzioni e
suggerimenti e poter offrire anche uno spazio per annotazioni di carattere
filologico. Chiunque abbia qualcosa da dire, da aggiungere o da far sapere � vivamente
pregato/a di collaborare al miglioramento del sito. Grazie. |
IL MERIGGIO |
Ardir� ancor fra i desinari illustri Sul meriggio innoltrarmi umil cantore, Poi che troppa di te cura mi punge Signor, ch'io spero un d� veder maestro E dittator di graziosi modi All'alma giovent� che Italia onora. |
Tal fra le tazze e i coronati
vini Onde all'ospite suo fe' lieta pompa La punica regina, i canti alzava Jopa crinito; e la regina in tanto Dal bel volto straniero iva beendo L'oblivion del misero Sich�o: E tale, allor che l'orba Itaca in vano Chiedea a Nettun la prole di Laerte, Femio s'udia co' versi e con la cetra La facil mensa rallegrar de' proci, Cui dell'errante Ulisse i pingui agnelli E i petrosi licori e la consorte Convitavano in folla. Amici or china Giovin Signore al mio cantar gli orecchi, Or che tra nuove Elise e nuovi proci E tra fedeli ancor Penelop�e Ti guidano a la mensa i versi miei. |
Gi� dall'alto del cielo
il sol fuggendo Verge all'occaso: e i piccoli mortali Dominati dal tempo escon di novo A popolar le vie ch'all'oriente Spandon ombra gi� grande. A te null'altro Dominator fuor che te stesso � dato Stirpe di numi: e il tuo meriggio � questo. |
Al fin di consigliarsi al
fido speglio La tua dama cess�. Cento gi� volte O chiese o rimand� novelli ornati; E cento ancor de le agitate ognora Damigelle or con vezzi or con garriti Rovesci� la fortuna. A s� medesma Quante volte convien piacque e dispiacque; E quante volte � d'uopo a s� ragione Fece e a' suoi lodatori. I mille intorno Dispersi arnesi al fin raccolse in uno La consapevol del suo cor ministra: Al fin velata di legger zendado � l'ara tutelar di sua beltade: E la seggiola sacra un po' rimossa Languidetta l'accoglie. Intorno a lei Pochi giovani eroi van rimembrando I cari lacci altrui, mentre da lunge Ad altra intorno i cari lacci vostri Pochi giovani eroi van rimembrando. Il marito gentil queto sorride A le lor celie; o, s'ei si cruccia alquanto, Del tuo lungo tardar solo si cruccia. Nulla per� di lui cura te prenda Oggi o Signore. E s'ei del vulgo a paro Prostr� l'animo imbelle; e non sdegnosse Di chiamarsi marito, a par del vulgo Senta la fame esercitargli in petto Lo stimol fier de gli oziosi sughi Avidi d'esca: o se a i mariti alcuno D'anima generosa impeto resta, Ad altra mensa il pi� rivolga; e d'altra Dama al fianco si assida, il cui marito Pranzi altrove lontan d'un'altra al fianco Che lungi abbia lo sposo: e cosi nuove Anella intrecci a la catena immensa Onde alternando Amor l'anime avvince. |
Pur sia che vuol; tu
baldanzoso innoltra Ne le stanze pi� interne. Ecco precorre Ad annunciarti al gabinetto estremo Il noto scalpiccio de' piedi tuoi. Gi� lo sposo t'incontra. In un baleno Sfugge dall'altrui man l'accorta mano De la tua dama: e il suo bel labbro in tanto Ti apparecchia un sorriso. Ognun s'arretra Che conosce tuoi dritti; e si conforta Con le adulte speranze, a te lasciando Libero e scarco il pi� beato seggio. Tal, col� dove in fra gelose mura Bizanzio ed Ispa�n guardano il fiore De la belt� che il popolato Eg�o Manda e l'Armeno e il Tartaro e il Circasso Per delizia d'un solo, a bear entra L'ardente sposa il grave Musulmano. Nel maestoso passeggiar gli ondeggiano Le late spalle, e su per l'alta testa Le avvolte fasce: dall'arcato ciglio Intorno ei volge imperioso il guardo: Ed ecco al suo apparire umil chinarsi E il pi� ritrar l'effeminata occhiuta Turba che d'alto sorridendo ei spregia. |
Or comanda o signor che tutte a
schiera Vengan le grazie tue; si che a la dama Quanto elegante esser pi� puoi ti mostri. Tengasi al fianco la sinistra mano Sotto al breve giubbon celata; e l'altra Sul finissimo lin posi, e s'asconda Vicino al cor; sublime alzisi il petto; Sorgan gli omeri entrambi; a lei converso Scenda il duttile collo; a i lati un poco Stringansi i labbri; ver lo mezzo acuti Escano alquanto; e da la bocca poi, Compendiata in forma tal, sen fugga Un non inteso mormorio. Qual fia Che a tante di beltade arme possenti Schermo si opponga? Ecco la destra ignuda Gi� la bella ti cede. Or via la strigni; E con soavi negligenze al labbro Qual tua cosa l'appressa; e cader lascia Sovra i tiepidi avorj un doppio bacio. Siedi fra tanto; e d'una mano istrascica Pi� a lei vicin la seggioletta. Ognaltro Tacciasi; ma tu sol curvato alquanto Seco susurra ignoti detti, a cui Concordin vicendevoli sorrisi E sfavillar di cupidette luci, Che amor dimostri o che il somigli al meno |
Ma rimembra o signor che
troppo nuoce In amoroso cor lunga e ostinata Tranquillit�. Nell'oce�no ancora Perigliosa � la calma. Ahi quante volte Dall'immobile prora il buon nocchiero Invoc� la tempesta; e s� crudele Soccorso ancor gli fu negato; e giacque Affamato assetato estenuato Dal venenoso aere stagnante oppresso Fra le inutili ciurme al suol languendo! Dunque a te giovi de la scorsa notte Ricordar le vicende; e con obliqui Motti pugnerla alquanto, o se nel volto Paga pi� che non suole acc�r fu vista Il novello straniero, e co' bei labbri Semiaperti aspettar quasi marina Conca la soavissima rugiada De' novi accenti; o se cupida troppo Col guardo accompagn� di loggia in loggia L'almo alunno di Marte, idol vegliante De' femminili voti, a la cui chioma Col lauro trionfal mille s'avvolgono E mille frondi dell'Idalio mirto. Colpevole o innocente allor la bella Dama improvviso adombrer� la fronte D'un nuvoletto di verace sdegno O simulato, e la nevosa spalla Scoter� un poco; e volgeransi al fine Gli altri a bear le sue parole estreme. Fors'anco rintuzzar di tue rampogne Sapr� l'agrezza, e noverarti a punto Le visite furtive a i cocchi a i tetti E all'alte logge de le mogli illustri Di ricchi popolari, a cui sovente Scender per calle dal piacer segnato La maest� di cavalier non teme. Felice te, se mesta o disdegnosa Tu la guidi a la mensa; o se tu puoi Solo piegarla a tollerar de' cibi La nausea universal! Sorridan pure A le vostre dolcissime querele I convitati; e l'un l'altro percota Col gomito maligno. Ahi non di meno Come fremon lor alme! e quanta invidia Ti portan te mirando unico scopo Di si bell'ire! Al solo sposo � dato In cor nodrir magnanima quiete, Aprir nel volto ingenuo riso e tanto Docil fidanza ne le innocue luci. |
Oh tre fiate avventurosi e quattro Voi del nostro buon secolo mariti Quanto diversi da' nostr'avi! Un tempo Uscia d'averno con viperei crini, Con torbid'occhi irrequieti, e fredde Tenaci branche un indomabil mostro, Che ansando e anelando intorno giva A i nuziali letti, e tutto empiea Di sospetto e di fremito e di sangue. Allor gli antri domestici le selve L'onde le rupi alto ulular s'udi�no Di femminili stridi. Allor le belle Dame con mani incrocicchiate, e luci Pavide al ciel tremando lagrimando Tra la pompa feral de le lugubri Sale vedean dal truce sposo offrirsi Le tazze attossicate o i nudi stili. Ahi pazza Italia, il tuo furor medesmo Oltre l'alpe oltre il mar dest� le risa Presso a gli emuli tuoi, che di gelosa Titol ti di�ro; e t'� serbato ancora Ingiustamente. Non di cieco amore Vicendevol desire alterno impulso, Non di costume simiglianza or guida Giovani incauti al talamo bramato: Ma la prudenza co i canuti padri Siede librando il molto oro e i divini Antiquissimi sangui: e allor che l'uno Bene all'altro risponda, ecco Imen�o Scoter sue faci; e unirsi al freddo sposo, Di lui non gi� ma de le nozze amante La freddissima vergine, che in core Gi� i riti volge del bel mondo; e lieta La indifferenza maritale affronta. Cosi non fien de la crudel Megera Pi� temuti gli sdegni. Oltre Pirene Contenda or pur le desiate porte A i gravi amanti; e di femminee risse Turbi oriente. Italia oggi si ride Di quello ond'era gi� derisa: tanto Puote una sola et� volger le menti. |
Ma gi� rimbomba d'una in altra sala Signore il nome tuo. Di gi� l'udiro L'ime officine ove al volubil tatto De gl'ingenui palati arduo s'appresta Solletico che molle i nervi scota E varia seco volutt� conduca Fino al centro dell'alma. In bianche spoglie Affrettansi a compir la nobil opra Gravi ministri: e lor sue leggi detta Una gran mente del paese uscita Ove Colberto e Risceli� fur chiari. Forse con tanta maestade in fronte Presso a le navi ond'Ilio arse e cad�o A gli ospiti famosi il grande Achille Disegnava la cena: e seco in tanto Le vivande cocean su i lenti fochi P�troclo fido e il guidator di carri Automedonte. O tu sagace mastro Di lusinghe al palato, udrai fra poco Sonar le lodi tue dall'alta mensa. Chi fia che ardisca di trovar mai fallo Nel tuo lavoro? Il tuo signor fia tosto Campion de le tue glorie: e male a quanti Cercator di conviti oseran motto Pronunciar contro a te; ch� sul cocente Meriggio andran peregrinando poi Miseri e stanchi; e non avran cui piaccia Pi� popolar de le lor bocche i pranzi. |
Imbandita � la mensa. In pi�
d'un salto Alzati e porgi almo garzon la mano A la tua dama; e lei dolce cadente Sopra di te col tuo valor sostieni, E al pranzo l'accompagna. I convitati Vengan dopo di voi: quindi lo sposo Ultimo segua. O prole alta di numi, Non vergognate di donar voi anco Brevi al cibo momenti. A voi non vile Cura fia questa. A quei soltanto � vile Che il duro irrefrenabile bisogno Stimola e caccia. All'impeto di quello Cedan l'orso la tigre il falco il nibbio L'orca il delfino e quanti altri animanti Crescon qua gi�: ma voi con rosee labbra La sola voluttade al pasto appelli, La sola volutt� che le celesti Mense apparecchia, e al n�ttare convita I viventi per s� dei sempiterni. |
Vero forse non �; ma un giorno � fama Che fur gli uomini eguali: e ignoti nomi Fur nobili e plebei. Al cibo al bere All'accoppiarse d'ambo i sessi al sonno Uno istinto medesmo un'egual forza Sospingeva gli umani: e niun consiglio Nulla scelta d'obbietti o lochi o tempi Era lor conceduto. A un rivo stesso A un medesimo frutto a una stess'ombra Convenivano insieme i primi padri Del tuo sangue o signore e i primi padri De la plebe spregiata: e gli stess'antri E il medesimo suol porgeano loro Il riposo e l'albergo, e a le lor membra I medesmi animai le irsute vesti. Sola una cura a tutti era comune Di sfuggire il dolore: e ignota cosa Era il desire a gli uman petti ancora. L'uniforme de gli uomini sembianza Spiacque a' celesti: e a variar lor sorte Il Piacer fu spedito. Ecco il bel Genio, Qual gi� d'Ilio su i campi Iride o Giuno A la terra s'appressa: e questa ride Di riso ancor non conosciuto. Ei move E l'aura estiva del cadente rivo E dei divi odorosi a lui blandisce Le vaghe membra; e lenemente sdrucciola Sul tondeggiar de' muscoli gentile. A lui giran dintorno i vezzi e i giochi; E come ambrosia le lusinghe scorrono Da le fraghe del labbro; e da le luci Socchiuse languidette umide fuora Di tremulo fulgore escon scintille, Ond'arde l'aere che scendendo ei varca. Al fin sul dorso tuo sentisti o terra Sua prima orma stamparsi: e tosto un lento Fremere soavissimo si sparse Di cosa in cosa; e ognor crescendo tutte Di natura le viscere commosse: Come nell'arsa state il tuono s'ode, Che di lontano mormorando viene, E col profondo suon di monte in monte Sorge; e la valle e la foresta intorno Mugon di smisurato alto rimbombo. Oh beati fra gli altri e cari al cielo Viventi a cui con miglior man Tit�no Form� gli organi egregi, e meglio tese E di fluido agilissimo inondolli! Voi l'ignoto solletico sentiste Del celeste motore. In voi ben tosto La voglia s'infiamm�, nacque il desio: Voi primieri scopriste il buono il meglio Voi con foga dolcissima correste A possederli. Allor quel de i duo sessi, Che necessario in prima era soltanto, D'amabile e di bello il nome ottenne. Al giudizio di Paride fu dato Il primo esempio: tra femminei volti A distinguer s'apprese: e fur sentite Primamente le grazie. Allor tra mille Sapor fur noti i pi� soavi. Allora Fu il vin preposto all'onda; e il vin si elesse Figlio de' tralci pi� riarsi, e posti A pi� fervido sol ne' pi� sublimi Colli dove pi� zolfo il suolo impingua. Cosi l'uom si divise: e fu il signore Da i mortali distinto, a cui nel seno Giacquero ancor l'�beti fibre, inette A rimbalzar sotto a i soavi colpi De la nova cagione onde fur tocche; E quasi bovi al suol curvati ancora Dinanzi al pungol del bisogno and�ro; E tra la servitude e la viltade E il travaglio e l'inopia a viver nati Ebber nome di plebe. Or tu garzone Che per mille feltrato invitte reni Sangue racchiudi, poi che in altra etade Arte forza o fortuna i padri tuoi Grandi rendette; poi che il tempo al fine Lor divisi tesori in te raccolse, Godi de gli ozj tuoi a te da i numi Concessa parte: e l'umil vulgo in tanto Dell'industria donato a te ministri Ora i piaceri tuoi, nato a recarli Su la mensa regal, non a gioirne. |
Ecco splende il gran
desco. In mille forme E di mille sapor di color mille La variata eredit� de gli avi Scherza in nobil di vasi ordin disposta. Gi� la dama sappressa: e gi� da i servi Il morbido per lei seggio sadatta. Tu signor di tua mano allagil fianco Il sottopon si che lontana troppo Ella non sieda o da vicin col petto Ahi di troppo non prema: indi un bel salto Spicca, e chino raccogli a lei del lembo Il diffuso volume: e al fin tassidi Prossimo a lei. A cavalier gentile Il lato abbandonar de la sua dama Non fia lecito mai; se gi� non sorge Strana cagione a meritar chei tolga Tanta licenza. Un nume ebber gli antiqui Immobil sempre, che al medesmo padre De gli dei non cedette allor chei scese Il Campidoglio ad abitar, sebbene E Giuno e Febo e Venere e Gradivo E tutti gli altri dei da le lor sedi Per riverenza del tonante usciro. |
Indistinto ad ognaltro il
loco sia Allalta mensa intorno: e, salcun arde Ambizioso di brillar fra gli altri, Brilli altramente. Oh come i varj ingegni La libert� del genial convito Desta ed infiamma! Ivi il gentil motteggio, Malizioso svolazzando reca Sopra le penne fuggitive ed agita Ora i raccolti da la fama errori De le belle lontane, or de gli amanti Or de mariti i semplici costumi; E gode di mirar lintento sposo Rider primiero, e di crucciar con lievi Minacce in cor de la sua fida sposa I timidi segreti. Ivi abbracciata Co festivi racconti esulta e scherza Lelegante licenza. Or nuda appare Come le Grazie; or con leggiadro velo Solletica pi� scaltra; e pur fatica Di richiamar de le matrone al volto Quella rosa natia che caro fregio Fu dellavole nostre; ed or ne campi Cresce solinga; e tra i selvaggi scherzi A le rozze villane il viso adorna. Forse a la bella di sua man le dapi Piacer� ministrar, che novi al senso Gusti otterran da lei. Tu dunque il ferro, Che forbito ti giace al destro lato, Quasi spada sollecito snudando, Fa che in alto lampeggi; e chino a lei Magnanimo lo cedi. Or si vedranno De la candida mano allopra intenta I muscoli giocar soavi e molli: E le grazie piegandosi con essa Vestiran nuove forme, or da le dita Fuggevoli scorrendo, ora su lalto De bei nodi insensibili aleggiando, Ed or de le pozzette in sen cadendo Che de nodi al confin vimpresse Amore. Mille baci di freno impazienti Ecco sorgon dal labbro a i convitati: Gi� sarrischian gi� volano gi� un guardo Sfugge da gli occhi tuoi, che i vanni audaci Fulmina ed arde e tue ragion difende. Sol de la fida sposa a cui se caro Il tranquillo marito immoto siede: E nulla impression lagita o move Di brama o di timor; per� che Imene Da capo a pi� fatollo. Imene or porta Non pi� serti di rose al crine avvolti; Ma stupido papavero grondante Di crassa onda let�a, che solo insegna Pur dianzi era del Sonno. Ahi quante volte La dama delicata invoca il Sonno Che al talamo presieda; e seco in vece Trova Imen�o; e timida sarretra Quasi al meriggio stanca villanella, Che fra lerbe innocenti adagia il fianco Lieta e secura; e di repente vede Un serpe, e balza in piedi inorridita, E le rigide man stende, e ritragge Il cubito, e lanelito sospende, E immota e muta e con le labbra aperte Il guarda obliquamente. Ahi quante volte Incauto amante a la sua lunga pena Cerc� sollievo; e dinvocar credendo Im�ne, ahi folle! invoc� il Sonno: e questi Di fredda oblivion lalma gli asperse; E dinvincibil noia e di torpente Indifferenza gli ricinse il core. |
Ma se a la dama
dispensar non piace Le vivande o non giova, allor tu stesso La bellopra intraprendi. A gli occhi altrui Pi� cos� smaglier� lenorme gemma, Dolcesca a gli usurai che quella os�ro A le promesse di signor preporre Villanamente; e contemplati fi�no I manichetti, la pi� nobil opra Che tessesser giammai angliche Aracni. Invidieran tua delicata mano I convitati; inarcheran le ciglia Al difficil lavoro: e doggi in poi Ti fia ceduto il trinciator coltello Che al cadetto guerrier serban le mense. Sia tua cura fra tanto errar su i cibi Con sollecita occhiata, e prontamente Scoprir qual dessi a la tua bella � caro; E qual di raro augel, di stranio pesce Parte le aggrada. Il tuo coltello Amore Anatomico renda, Amor che tutte De gli animanti annoverar le membra Puote, e discerner sa qual aggian tutte Uso e natura. Pi� dognaltra cosa Per� ti caglia rammentar mai sempre Qual pi� cibo le noccia o qual pi� giovi; E lun rapisci a lei, laltro concedi Come duopo a te pare. Oh dio, la serba Serbala a i cari figli. Essi, dal giorno Che le allevi�ro il delicato fianco Non la rivider pi�: dignobil petto Esaurirono i vasi: e la ricolma Nitidezza lasci�ro al sen materno. Sgridala, se a te par chavida troppo Al cibo agogni; e le ricorda i mali, Che forse avranno altra cagione, e chella Al cibo imputer� nel d� venturo. N� al cucinier perdona, a cui non calse Tanta salute. A te ne servi altrui Ragion fu data in quel beato istante Che la noia e lamore ambo vi strinse In dolce nodo; e pose ordini e leggi. Per te sgravato dodioso incarco Ti fia grato colui che dritto vanta Dimpor novo cognome a la tua dama; E pinte strascinar su gli aurei cocchi Giunte a quelle di lei le proprie insegne: Dritto sacro a lui sol, chaltri giammai Audace non tent� divider seco. Vedi come col guardo a te fa cenno Pago ridendo, e a le tue leggi applaude; Mentre lalta forcina in tanto ei volge Di gradite vivande al piatto ancora. |
Non per� sempre a
la tua bella intorno Sudin gli studj tuoi. Anco tal volta Fia lecito goder brevi riposi; E de la quercia trionfale allombra, Te de la polve olimpica tergendo, Al vario ragionar de gli altri eroi Porgere orecchio; e il tuo sermone a i loro Frammischiar ozioso. Uno gi� scote Le architettate del bel crine anella Su la guancia ondeggianti; e ad ogni scossa De convitati a le narici manda Vezzoso nembo dArabi profumi. A lo spirto di lui lalma natura Fu prodiga cosi che pi� non seppe Di che il volto abbellirgli; e allarte disse: Tu compi il mio lavoro: e larte suda Sollecita dintorno allopra illustre. Molli tinture preziose linfe Polvi pastiglie delicati unguenti Tutto arrischia per lui. Quanto di novo E mostruoso pi� sa tesser spola O bulino intagliar gallico ed anglo A lui primo concede. Oh lui beato Che primo ancor di non pi� viste forme Tabacchiera mostr�. Letica invidia I grandi eguali a lui lacera e mangia; Ed ei pago di s�, superbamente Crudo, fa loro balenar su gli occhi Lultima gloria onde Parigi ornollo. Forse altera cosi dEgitto in faccia Vaga prole di S�mele apparisti I giocondi rubini alto levando Del grappolo primiero: e tal tu forse Tessalico garzon mostrasti a Jolco Lauree lane rapite al fero drago. |
Or vedi or vedi qual
magnanimira Nelleroe che dellaltro a canto siede A s� novo spettacolo si desta! Vedi quanto ei saffanna; e il pasto sembra Obliar declamando! Al certo al certo Il nemico � a le porte. Oim� i Penati Tremano e in forse � la civil salute! Ma no; pi� grave a lui pi� preziosa Cura lo infiamma. Oh depravato ingegno De gli artefici nostri! In van si spera Da la inerte lor man lavoro egregio Felice invenzion duom nobil degna. Chi sa intrecciar chi sa pulir fermaglio A patrizio calzar; chi tesser drappo Soffribil tanto che dornar presuma I membri di signor che un lustro a pena Conti di feudo? In van sadopra e stanca Chi la lor mente sonnolenta e crassa Cerca destar: di l� dallAlpi � duopo Appellar leleganza: e chi giammai Fuor che il genio di Francia osato avria Su i menomi lavori i grechi ornati Condur felicemente? And� romito Il bongusto finora spaziando Per le auguste cornici e per gli eccelsi Timpani de le moli a i numi sacre O a gli uomini scettrati; ed or ne scende Vago al fin dagitar gli austeri fregi Entro a le man di cavalieri e dame. Ben tosto si vedr� strascinar anco Fra i nuziali doni e i lievi veli Le greche travi: e docile trastullo Fien de la moda le colonne e gli archi Ove sedeano i secoli canuti. |
"Commercio"
alto gridar, gridar "commercio" Allaltro lato de la mensa or odi Con fanatica voce: e tra il fragore Dun peregrino deloquenza fiume Di bella novit� stampate al conio Le forme apprendi, onde assai meglio poi Brillantati i pensier picchin lo spirto. Tu pur grida "commercio": e un motto ancora La tua bella ne dica. Empiono � vero Il nostro suol di Cerere i favori, Che per folti di biade immensi campi Ergesi altera; e pur ne mostra a pena Tra le spighe confuso il crin dorato. Bacco e Vertunno i lieti poggi e il monte Ne coronan di poma: e Pale amica Latte ne preme a larga mano; e tonde Candidi velli; e per li prati pasce Mille al palato uman vittime sacre. Sorge fecondo il lin soave cura De verni rusticali: e dinfinita Serie ne cinge le campagne il tanto Per la morte di Tisbe arbor famoso. Che vale or ci�? Su le natie lor balze Rodan le capre; ruminando il bue Per li prati natii vada; e la plebe Non dissimile a lor si nudra e vesta De le fatiche sue: ma a le grandalme Di troppo agevol ben schife Cillenio Il comodo ministri, a cui le miglia Pregio acquistino e loro: e dognintorno "Commercio" risonar soda "commercio". Tale da i letti de la molle rosa Sibari un d� gridar soleva; e i lumi Disdegnando volgea da i frutti aviti Troppo per lei ignobil cura; e mentre Cartagin dura a le fatiche e Tiro Pericolando per limmenso sale Con loro altrui le volutt� cambiava, Sibari si volgea su laltro lato; E non premute ancor rose cercando Pur di commercio novellava e darti. |
Ma chi � quelleroe
che tanta parte Col� ingombra di loco; e mangia e fiuta E guata; e de le altrui fole ridendo S� superba di ventre agita mole? Oh di mente acutissima dotate Mamme del suo palato! Oh da mortali Invidiabil anima che siede Fra lammiranda lor testura, e quindi Lultimo del piacer deliquio sugge! Chi pi� acuto di lui pen�tra e intende La natura migliore? O chi pi� industre Converte a suo piacer laria la terra E il ferace di mostri ondoso abisso? Qualora ei viene al desco altrui paventano Suo gusto inesorabile le smilze Ombre de gli avi, che per laria lievi Aggiransi vegliando ancor dintorno A i ceduti tesori; e piangon lasse Le mal spese vigilie, i sobrj pasti, Le in preda allaquilon case, le antique Digiune rozze, gli scommessi cocchi Forte assordanti per stridente ferro Le piazze e i tetti: e lamentando vanno Glinvan nudati rustici, le fami Mal desiate, e de le sacre toghe Larmata in vano autorit� sul vulgo. |
Laltro vicin chi
fia? Per certo il caso Congiunse accorto i duo leggiadri estremi, Perch� doppio spettacolo campeggi; E lun dellaltro al par pi� lustri e splenda. Falcato dio de gli orti, a cui la greca L�msaco dasinelli offrir solea Vittima degna, al giovane seguace Del sapiente di Samo i doni tuoi Reca sul desco. Egli ozioso siede Aborrendo le carni; e le narici Schifo raggrinza; e in nauseanti rughe Ripiega i labbri; e poco pane in tanto Rumina lentamente. Altro giammai A la squallida inedia eroe non seppe Durar s� forte: n� lassezza il vinse N� deliquio giammai n� febbre ardente: Tanto importa lo aver scarze le membra Singolare il costume e nel bel mondo Onor di filosofico talento. Qual anima � volgar la sua pietate Serbi per luomo: e facile ribrezzo D�stino in lei del suo simile i danni O i bisogni o le piaghe. Il cor di questo Sdegna comune affetto; e i dolci moti A pi� lontano limite sospigne. "Pera colui che prima os� la mano Armata alzar su linnocente agnella E sul placido bue: n� il truculento Cor gli pieg�ro i teneri belati, N� i pietosi mugiti, n� le molli Lingue lambenti tortuosamente La man che il loro fato aim� stringea". Tal ei parla o signor: ma sorge in tanto A quel pietoso favellar da gli occhi De la tua dama dolce lagrimetta Pari a le stille tremule brillanti, Che a la nova stagion gemendo vanno Da i palmiti di Bacco entro commossi Al tiepido spirar de le primaure Fecondatrici. Or le sovvien del giorno, Ahi fero giorno! allor che la sua bella Vergine cuccia de le Grazie alunna, Giovanilmente vezzeggiando, il piede Villan del servo con gli eburnei denti Segn� di lieve nota: e questi audace Col sacrilego pi� lanciolla: ed ella Tre volte rotol�; tre volte scosse Lo scompigliato pelo, e da le vaghe Nari soffi� la polvere rodente: Indi i gemiti alzando, aita aita Parea dicesse; e da le aurate volte A lei la impietosita eco rispose; E dallinfime chiostre i mesti servi Asceser tutti; e da le somme stanze Le damigelle pallide tremanti Precipit�ro. Accorse ognuno: il volto Fu dessenze spruzzato a la tua dama: Ella rinvenne al fine. Ira e dolore Lagitavano ancor: fulminei sguardi Gett� sul servo; e con languida voce Chiam� tre volte la sua cuccia: e questa Al sen le corse; in suo tenor vendetta Chieder sembrolle: e tu vendetta avesti Vergine cuccia de le Grazie alunna. L'empio servo trem�; con gli occhi al suolo Ud� la sua condanna. A lui non valse Merito quadrilustre: a lui non valse Zelo darcani ufici. Ei nudo andonne De le assise spogliato onde pur dianzi Era insigne a la plebe: e in van novello Signor sper�; ch� le pietose dame Inorridiro; e del misfatto atroce Odi�r lautore. Il perfido si giacque Con la squallida prole e con la nuda Consorte a lato su la via spargendo Al passeggero inutili lamenti: E tu vergine cuccia idol placato Da le vittime umane isti superba. |
N� senza i miei precetti
o senza scorta Inerudito andrai signor, qualora Il perverso destin dal fianco amato Ti allontani a la mensa. Avvien sovente Che con laio seguace o con lamico Un grande illustre or lAlpi or loce�no Varchi e scenda in Ausonia, orribil ceffo Per natura o per arte, a cui Ciprigna Rose le nari; o sale impuro e crudo Snud� i denti ineguali. Ora il distingue Risibil gobba, or furiosi sguardi Obliqui o loschi: or rantoloso avvolge Fra le tumide fauci ampio volume Di voce, che gorgoglia, ed esce al fine Come da inverso fiasco onda che goccia; Or davi or di cavalli ora di Frini Instancabile parla; or de celesti Le folgori deride. Aurei monili E nastri e gemme gloriose pompe Lingombran tutto: e gran titolo suona Dinanzi a lui. Qual pi� tra noi risplende Inclita stirpe chonorar non voglia Dun ospite s� degno i Lari suoi? Ei per� col compagno ammessi fi�no Di Giuno a i fianchi: e tu lontan da lei Co Silvani capripedi nandrai Presso al marito; e pranzerai negletto Fra il popol folto de gli dei minori. |
Ma negletto non gi� da
gli occhi andrai De la dama gentil, che a te rivolti Incontreranno i tuoi. Laere a quellurto Arder� di faville: e Amor con lali Lagiter�. Nel fortunato incontro I messagger pacifici dellalma Cambieran lor novelle: e alternamente Spinti ritorneranno a voi con dolce Delizioso tremito su i cori. Allor tu le ubbidisci; o se tinvita Le vivande a gustar, che a lei vicine Lordin dispose; o se a te chiede in vece Quella che innanzi a te sue voglie pugne Non col soave odor, ma con le nove Leggiadre forme onde abbellir la seppe Dellammirato cucinier la mano. Con la mente si pascono le dive Sopra le nubi del brillante Olimpo: E lor labbra immortali irrita e move Non la materia, ma il divin lavoro. N� allor men destro ad ubbidir sarai Che di raro licor la bella strigne Colmo bicchiere, a lo cui orlo intorno Serpe striscia dorata; e par che dica: "Lungi o labbra profane: a i labbri solo De la diva che qui soggiorna e regna � il castissimo calice serbato: N� cavalier con alito maschile Osi appannarne il nitido cristallo; N� dama convitata unqua presuma I labbri apporvi; e sien pur casti e puri, E quanto esser pu� mai cari allAmore". Tu al cenno de bei guardi e de la destra, Che reggendo il bicchier sospesa ondeggia Affettuoso attendi. I lumi tuoi Di gioia sfavillando accolgan pronti Il brindisi segreto: e ti prepara In simil modo a tacita risposta. |
Ecco destro gi�
punta ecco la Musa Brindisi grida alluno e allaltro amante; Allaltrui fida sposa a cui se caro, E a te signor sua dolce cura e nostra. Quale annoso licor Li�o vi mesce, Tale Amore a voi mesca eterna gioia Non gustata al marito, e da coloro Invidiata che gustata lhanno. Veli con lali sue sagace oblio Le alterne infedelt� che un cor dallaltro Porieno un giorno separar per sempre: E solo a gli occhi vostri Amor discopra Le alterne infedelt�, che in ambo i petti Ventilar ponno le cedenti fiamme. Di sempiterno indissolubil nodo Canti augurj per voi vano cantore: Nostra nobile musa a voi desia Sol quanto piace a voi durevol nodo. Duri fin che a voi piace: e non si scioglia Senza che Fama sopra lale immense Tolga lalta novella; e grande nempia Col reboato dellaperta tromba Lampia cittade e dellEnotria i monti, E le piagge sonanti, e sesser puote, La bianca Teti e Guadiana e Tule. Il mattutino gabinetto il corso Il teatro e la mensa in vario stile Ne ragionin gran tempo. Ognun ne chieda Il dolente marito: ed ei dallalto La lamentabil favola cominci. Tal su le scene, ove agitar solea Lombre tinte di sangue Argo piagnente, Squallido messo al palpitante coro Narrava come furiando Edipo Al talamo sen corse incestuoso, Come le porte rovescionne, come Al subito spettacolo ristette Quando vicina del nefando letto Vide in un corpo solo e sposa e madre Pender strozzata; e del fatale uncino Le mani armosse; e con le proprie mani A s� le care luci da la testa Con le man proprie misero strapposse. |
Ma gi� volge al suo fine
il pranzo illustre: Gi� Como e Dionisio al desco intorno Rapidissimamente in danza girano Con la libera Gioia. Ella saltando Or questo or quel de convitati lieve Tocca col dito: e al suo toccar scoppiettano Brillanti vivacissime scintille, Chaltre ne destan poi. Sonan le risa: Il clamoroso disputar saccende: La nobil vanit� pugne le menti: E lamor di s� sol, baldo scorrendo, Porge un scettro a ciascuno; e dice: "regna". Questi i concili di Bellona, e quegli P�netra i tempj de la Pace. Un guida I condottieri: a i consiglier consiglio Laltro dona; e divide e capovolge Con seste ardite il pelago e la terra. Qual di Pallade larti e de le Muse Giudica e libra; qual ne scopre acuto Lalte cagioni; e i gran principj abbatte Cui cre� la natura, e che tiranni Sopra il senso de gli uomini regn�ro Gran tempo in Grecia, e nel paese Tosco Rinacquer poi pi� poderosi e forti. |
Cotanto adunque di saper
fia dato A nobil capo? Oh letti oh specchi oh mense Oh corsi oh scene oh feudi oh sangue oh avi Che per voi non sapprende? Or tu signore Co voli arditi del felice ingegno Sovra ognaltro tinnalza. Il campo � questo Ove splender pi� dei. Nulla scienza, Sia quantesser mai puote arcana o grande, Ti spaventi giammai. Se cosa udisti O leggesti al mattino onde tu deggia Gloria sperar; qual cacciator che segue Circuendo la fera, e s� la guida E volge di lontan che a poco a poco A le insidie saccosta e dentro piomba, Tal tu il sermone altrui volgi sagace Fin che l� cada ove spiegar ti giove Il tuo novo tesoro. E se pur ieri Scesa in Italia pellegrina forma Del parlar t� gi� nota, allor tu studia Materia espor che favellando ammetta La nova gemma; e poi che il punto hai colto, Ratto la scopri; e sfolgorando abbaglia Qual altra � mente che superba andasse Di squisita eloquenza a i gran convivj. In simil guisa il favoloso mago, Che fe gran tempo desiar lamante Allanimosa vergin di Dordona, Da i cavalier che lassalien bizzarri Oprar lasciava ogni lor possa ed arte Poi ecco in mezzo a la terribil pugna Strappava il velo a lo incantato scudo; E quei sorpresi dal bagliore immenso Ciechi spingeva e soggiogati a terra. |
Talor di Zoroastro o
dArchimede Discepol seder� teco a la mensa. Tu a lui ti volgi, seco lui ragiona, Suo linguaggio ne apprendi; e quello poi Qual se innato a te fosse alto ripeti. N� paventar quel che lantica fama Narra de lor compagni. Oggi la diva Urania il crin compose; e glirti alunni Smarriti vergognosi balbettanti Trasse da le lor cave, ove gi� tempo Col profondo silenzio e con la notte Tenean consiglio: e le servili braccia Fornien di leve onnipotenti, ondalto Salisser poi piramidi obelischi Ad eternar de popoli superbi I gravi casi: o pur con feri dicchi Stavan contra i gran letti: o di pignone Audace armati, spaventosamente Cozzavan con la piena, e gi� a travers Spezzate rovesciate dissipavano Le tetre corna: decima fatica DErcole invitto. Ora i selvaggi amici Urania ingentil�. Baldi e leggiadri Nel gran mondo li guida, o tra il clamore De frequenti convivi, o pur tra i vezzi De gabinetti; ove a la docil dama E al caro cavalier mostran qual via Venere tenga, e in quante forme o quali Suo volto lucidissimo si cangi. N� del poeta temerai che beffi Con satira indiscreta i detti tuoi; O che a maligne risa esponer osi Tuo talento immortale. Allalta mensa Voi lo innalzaste; e tra la vostra luce Beato lavvolgeste; e de le Muse A dispetto e dApollo al sacro coro Lascriveste de vati. Ei de la mensa Fece il suo Pindo: e guai a lui se quindi Le dee sdegnate gi� precipitando Con le forchette il cacciano. Meschino! Pi� non poria su le dolenti membra Del suo infermo signor chiedere aita Da la buona Salute; o con alate Odi ringraziar, n� tesser inni Al barbato figliuol di Febo intonso. Pi� del giorno natale i chiari albori Salutar non potrebbe; e lauree frecce Nomi-sempiternanti allarco imporre. Non pi� gli urti festevoli, o sul naso Lelegante scoccar dillustri dita Fora dato sperare. A lui tu dunque Non disdegna o signor volger talora Tu amabil voce; a lui tu canta i versi Del delicato cortigian dAugusto, O di quel che tra Venere e Li�o Pinse Trimalcion: la Moda impone ChArbitro o Flacco a i begli spirti ingombri Spesso le tasche. Oh come il vate amico Te udr� meravigliando il sermon prisco O sciogliere o frenar qual pi� ti piace! E per la sua faretra e per li cento Destrier focosi che in Arcadia pasce Ti giurer� che di Donato al paro Il difficil sermone intendi e gusti! |
E questo ancor di
rammentar fia tempo I novi Sofi che la Gallia o lAlpe Ammirando persegue; e dir qual arse De volumi infelici, o and� macchiato Dinfame nota; e quale asilo appresti Filosofia al morbido Aristippo Del secol nostro, e qual ne appresti al novo Diogene dellauro sprezzatore E della opinione de mortali. Lor famosi volumi, o a te discesi Per calle obliquo e compri a gran tesoro, O da cortese man prestati, fi�no Lungo ornamento a lo tuo speglio innante. Poi che brevi gli avrai scorsi momenti Ornandoti o a la man garrendo indotta Del parrucchier; poi che tavran pi� notti Conciliato il facil sonno, al fine Anco a lo speglio passeran di lei, Che comuni ha con te studj e lic�o, Ove togato in cattedra elegante Siede interprete Amore. Or fia la mensa Il favorevol loco, onde al sol esca De brevi studj il glorioso frutto. Chi por freni oser� dinclita stirpe Allanimo a la mente? Il vulgo tema Oltre natura: e quei cui dona il vulgo Titol di saggio mediti romito Il ver celato; e al fin cada adorando La sacra nebbia che lo avvolge intorno. Ma tu come sublime aquila vola Dietro a i sofi novelli. Alto dia plauso Tutta la mensa al tuo poggiare audace. Te con lo sguardo e con lorecchio beva La dama da le tue labbra rapita: Con cenno approvator vezzosa il capo Pieghi sovente: e il calcolo e la massa E la inversa ragion sonino ancora Su la bocca amorosa. Or pi� non odia De le scole il sermone Amor maestro: E laccademia e i portici passeggia De filosofi al fianco; e con la molle Mano accarezza le cadenti barbe. Ma guardati o signor guardati oh dio Dal tossico mortal che fuora esala Da i volumi famosi: e occulto poi Sa per le luci penetrato allalma Gir serpendo ne cori; e con fallace Lusinghevole stil corromper tenta Il generoso de le stirpi orgoglio, Che ti scevra dal vulgo. Udrai da quelli Che ciascun de viventi allaltro � pari; E caro a la natura e caro al cielo E non manco dite colui che regge I tuoi destrieri e quel chara i tuoi campi; E che la tua pietade o il tuo rispetto Devrien fino a costor scender vilmente. Folli sogni dinfermo! Intatti lascia Cos� strani consigli: e solo attigni Ci� che la dolce volutt� rinfranca, Ci� che scioglie i desiri e ci� che nudre La libert� magnanima. Tu questo Reca solo a la mensa; e sol da questo Plauso cerca ed onor: cos� dellapi Lindustrioso popolo ronzando Gira di fiore in fior di prato in prato; E i dissimili sughi raccogliendo Tesoreggia nellarnie: un giorno poi Ne van colme le p�tere dorate Sopra lara de numi; e dogni lato Ribocca la fragrante alma dolcezza. Or versa pur dallodorato grembo I tuoi doni o Pomona; e lampie colma Tazze che doro e di color diversi Fregia il Sassone industre. E tu da i greggi Rustica Pale coronata vieni Di melissa olezzante o di ginebro; E co lavori tuoi di presso latte Declina vergognando a chi ti chiede; Ma deporli non osa. In su la mensa Porien deposti le celesti nari Pungere ahi troppo; e con ignobil senso Gli stomachi agitar: soli torreggino Sul ripiegato lino in varia forma I latti tuoi cui di serbato verno Assodarono i sali, e fecer atti A dilettar con subito rigore Di convitato cavalier le labbra. |
Tu signor che farai poi
che la dama Con la mano e col pi� lieve puntando Move in giro i begli occhi; e altrui d� cenno Che di sorger � tempo? In pi� dun salto Balza primo di tutti; a lei soccorri, La seggiola rimovi, la man porgi, Guidala in altra stanza, e pi� non soffri Che lo stagnante de le dapi odore Il celabro le offenda. Ivi con gli altri Gratissimo vapor la invita, ondempie Laere il caff�, che preparato fuma In tavola minor, cui vela ed orna Indica tela. Ridolente gomma Quinci arde in tanto, e va lustrando e purga Laere profano, e fuor caccia de cibi Le volanti reliquie. Egri mortali, Che la miseria e la fidanza un giorno Sul meriggio guid�ro a queste porte Tumultuosa ignuda atroce folla Di tronche membra e di squallide facce E di bare e di grucce, or via da lunge Vi confortate; e per le alzate nari Del divin prandio il nettare beete, Che favorevol aura a voi conduce: Ma non osate i limitari illustri Assediar, fastidioso offrendo Spettacolo di mali a i nostri eroi. |
E a te nobil garzon la
tazza in tanto Apprestar converr�, che i lenti sorsi Ministri poi de la tua bella a i labbri E memore avvertir sella pi� goda, O sobria o liberal temprar col dolce La bollente bevanda: o se pi� forse Lami cos� come sorbir la gode Barbara sposa, allor che molle assisa Ne broccati di Persia al suo signore Con le dita pieghevoli il selvoso Mento vezzeggia; e la svelata fronte Alzando il guarda; e quelli sguardi han possa Di far che a poco a poco di man cada Al suo signore la fumante canna. Mentre i labbri e la man voccupa e scalda Lodoroso licor, sublimi cose Macchiner� tua infaticabil mente. Quale oggi coppia di corsier de il carro Condur de la tua bella; o lalte moli Che per le fredde piagge educa il Cimbro; O quei che abbever� la Drava; o quelli Che a le vigili guardie un d� fuggiro De la stirpe Campana: oggi qual meglio Si convegna ornamento a i dorsi alteri; Se semplici e negletti, o se pomposi Di ricche nappe e variate stringhe Andran su lalto collo i crin volando, E sotto a cuoi vermigli e ad auree fibbie Ondeggeranno li ritondi fianchi. Quale oggi cocchio trionfanti al corso Vi porter�; se quel cui loro copre Fulgido al sole; e de vostralti aspetti Per cristallo settemplice concede Al popolo bearsi; o quel, che tutto Caliginoso e tristo e a la marmorea Tomba simil che de vostravi chiude I cadaveri eccelsi, ammette a pena Cupido sguardo altrui. Cotanta mole Di cose a un tempo sol nellalto ingegno Tu verserai; poi col supremo auriga Arduo consiglio ne terrai; non senza Qualche lieve garrir con la tua dama. Servi lauriga ogni tua legge: e in tanto Altra cura subentri. Or mira i prodi Compagni tuoi che, ministrato a pena Dolce conforto di vivande a i membri, Gi� scelto il campo, e gi� distinti in bande Preparansi giocando a fieri assalti. Cos� a queste, o signore, illustre inganno Ore lente si faccia. E saltri ancora Vuole Amor che singanni; altronde pugni La turba convitata; e tu da un lato Sol con la dama tua quel gioco eleggi, Che due soltanto a un tavoliere ammetta. Gi� per ninfa gentil tacito ardea Dinsoffribile ardor misero amante, Cui nullaltra eloquenza usar con lei Fuor che quella de gli occhi era concesso: Poi che il rozzo marito ad Argo eguale Vigilava mai sempre; e quasi biscia Ora piegando or allungando il collo Ad ogni verbo con gli orecchi acuti Era presente. Oim�, come con cenni O con notate tavole giammai O con servi sedotti a la sua bella Chieder pace ed aita? Ogni dAmore Stratagemma finissimo vincea La gelosia del rustico marito. Che pi� lice sperare? Al tempio ei viene Del nume accorto che le serpi annoda Allaurea verga, e il capo e le calcagna Dali fornisce. A lui si prostra umile; E in questi detti lagrimando il prega. "O propizio a gli amanti, o buon figliuolo De la candida Maia, o tu che dArgo Deludesti i centocchi, e a lui rapisti La guardata giovenca, i preghi accogli Dun amante infelice; e a lui concedi Se non gli occhi ingannar, gli orecchi almeno Dimportuno marito". Ecco si scote Il divin simulacro, a lui sinchina, Con la verga pacifica la fronte Gli percote tre volte: e il lieto amante Sente dettarsi ne la mente un gioco, Che i mariti assordisce. A lui diresti Che lali del suo pi� concesse ancora Il supplicato dio, cotanto ei vola Velocissimamente a la sua donna. L� bipartita tavola prepara, Ov�bano ed avorio intarsiati Regnan sul piano, e partono alternando In due volte sei case ambe le sponde. Quindici nere d�bano rotelle E davorio bianchissimo altrettante Stan divise in due parti; e moto e norma Da duo dadi gittati attendon, pronte Gli spazj ad occupar, e quinci e quindi Pugnar contrarie. Oh cara a la fortuna Quella che corre innanzi allaltre; e seco Trae la compagna, onde il nemico assalto Forte sostenga! Oh giocator felice Chi pria lestrema casa occupa; e laltro De gli spazj a s� dati ordin riempie Con doppio segno! Ei trionfante allora Da la falange il suo rival combatte; E in proprio ben rivolge i colpi ostili. Al tavolier sassidono ambidue Lamante cupidissimo e la ninfa. Quella una sponda ingombra e questi laltra. Il marito col gomito sappoggia Allun de lati; ambo gli orecchi tende; E sotto al tavolier di quando in quando Guata con gli occhi. Or lagitar de i dadi Entro a sonanti b�ssoli comincia, Ora il picchiar de b�ssoli sul piano, Ora il vibrar lo sparpagliar lurtare Il cozzar dei duo dadi, or de le mosse Rotelle il martellar. Torcesi e freme Sbalordito il geloso: a fuggir pensa, Ma rattienlo il sospetto. Il fragor cresce Il rombazzo il frastono il rovinio: Ei pi� regger non puote, in piedi balza, E con ambe le man tura gli orecchi. Tu vincesti o Mercurio. Il cauto amante Poco disse: e la bella intese assai. Tal ne la ferrea et�, quando gli sposi Folle superstizion chiamava allarme Giocato fu. Ma poi che laureo venne Secol di novo; e che del prisco errore Si spogli�ro i mariti, al sol diletto La dama e il cavalier volsero il gioco Che la necessit� trovato avea. Fu superfluo il romor: di molle panno La tavola vestissi e de patenti B�ssoli il sen: lo schiamazzio molesto Tal rintuzzossi: e dur� al gioco il nome, Che ancor lantico strepito dinota. |