lettera s

Christian Schmidt-Rasmussen

Ugo Sanguineti

Giovanna Salis

Oscar__Saccorotti

Skuber

Sirotti

Segnalàti - Segnàlati - Segn'alati

"SATURARTE

LUCA SCARABELLI

S. Gerolamo di Castelletto

Stefano Sommariva

Oscar_Saccorotti

Georgina Starr

Sperone

Giovanni Solari

L’immateriale umanità di Harald Szeemann

La Liguria di Luiso Sturla

smaterializzazione

Oscar Saccorotti

 

 

 

Oscar Saccorotti



A quindici anni della sua morte, Oscar Saccorotti (Roma 1898, Golfo del Paradiso- Recco 1986)

diventa presenza fissa a Palazzo Ducale con 29 opere tra incisioni, oli su tela, pastelli e ceramiche raccolti in una piccola sala del piano ammezzato.

Un’esposizione voluta (fortemente), e donata al Comune, dall’adorata moglie Raffaella Solari Saccorotti (scomparsa quest’estate) con l’obbligo d’esposizione permanente, previo ritiro delle opere da parte degli eredi.

Uno spazio, questo del Ducale, forse un po’ piccolo, quasi soffocante, adiacente al circuito della Creatività (dedicato ai giovani), area preziosa come l’oro (spostata provvisoriamente al liceo Barabino in occasione del G8, ma presto riattivabile).

Forse sarà opportuno cercare altri luoghi, più ampi, da esibire per questa ed altre (auspicabili), future, mostre permanenti.

Il professore Giorgio Olcese, amico ed estimatore dell’artista, ha presentato i lavori citando il critico Roberto Longo con la frase “L’arte nasce sull’arte” per spiegare quanto Saccorotti ci tenesse a far conoscere ai giovani la sua ricerca al fine di proporsi loro come ulteriore mezzo di arricchimento.

Ha poi raccontato l’episodio di anni fa, quando, a casa dell’artista, la televisione annunciò improvvisamente l’uccisione di Aldo Moro. A reazione di ciò Saccorotti, che teneva tra le mani una tavoletta su cui era dipinto un uccellino, la scaraventò a terra dicendo che di fronte a queste cose il suo lavoro non aveva alcuna utilità. Ma Olcese prontamente gli rispose: “Proprio a causa di quello che è accaduto il suo lavoro diventa ora necessario”.

Particolarmente felice è il noto dipinto del ’76 “Il cielo nella serra” (paragonato dall’assessore Pierantoni alla grandezza del Pontormo), già vincitore di premi, che descrive la serra nel giardino dell’artista. Un giardino che ho potuto ammirare in occasione di una mia intervista con Saccorotti e che, per effetto specchiante, si riflette nelle grandi vetrate della serra.

Nasce un mirabile gioco tra l’ambiente e il fogliame riflesso, sottoforma di un delicatissimo pizzo. Curiosa la figura dell’artista che si riflette anch’egli nella vetrata, dal capo ricoperto di un grande, enigmatico, cappello nero.

Saccorotti è artista figurativo, grande poeta-cantore della natura (sapiente descrittore di paesaggio), cacciatore instancabile (infiniti sono i dipinti e le incisioni con soggetti di uccellini da lui cacciati), come pure riconosciuto pittore e fine incisore: si è imposto sulla scena artistica specialmente negli anni ’20, ’30 ed è stato invitato a numerose Biennali di Venezia e Quadriennali romane.

Così gli scrive Camillo Sbarbaro in una lettera: “La verità è che io non so distinguere la tua arte da te; non riesco a vederla e a discorrerne a sé, talmente essa mi appare una manifestazione della tua vita…”.



Miriam Cristaldi



smaterializzazione


Oggi viviamo in una società mutante, che è soggetta a sostanziali e inimmaginabili cambiamenti. Una trasmutazione epocale sta investendo tutti i campi, sociologici, politici, economici. azzerando i parametri precedenti. Causa di tali trasformazioni è lo sviluppo tecnologico mentre i mezzi d’informazione ne sono i protagonisti.

Siamo infatti testimoni diretti di una nuova era e la tecnologia digitale sta sradicando il nostro modo di pensare, di agire e di operare. I media si sono fatti portavoce di tali innovazioni facilmente individuabili in tutte le aree: nascono in questo senso nuove professioni, nuovi modelli di business on line, nuovi rapporti interpersonali, nuove dimensioni a carattere virtuale così da poter navigare in cyber-space iper-reali.

Il denaro ha perso stabilità e spessore corporeo: i capitali fluttuano nelle borse di tutto il mondo, salgono e scendono tra rialzi e flessioni imprevedibili poiché l’incidenza sui valori economici dipende dai risultati di interscambi mondiali. Intanto in Europa si sta attuando l’internazionalizzazione della moneta, una unica, e la conoscenza giornaliera del nostro capitale la si apprende direttamente dai linguaggi soft dei media.

D’altra parte le tecnologie, in particolare Internet, si sono rivelate strumenti fondamentali per favorire scambi, affari, comunicazioni tra paesi lontani, gettando stretti e proficui “ponti informativi”. Convegni, seminari, incontri, vertici, fanno a gara per progettare massimi sviluppi raggiungibili nei più svariati settori lavorativi, cercando di captare in anticipo i cambiamenti che con ritmo sempre più veloce stanno investendo l’intera società.

E piano piano, quasi senza accorgercene, questa società si sta sempre più avviando verso un processo irreversibile di “dematerializzazione”.

Le industrie pesanti, meccaniche e le officine, che negli anni ‘50,’70 lavoravano l’acciaio o il ferro oggi non ci sono più: si sono convertite in società telematiche basate su welfare digitali, e l’azienda appare strutturata in materiale etereo, virtuale: è diventata parola, informazione, conoscenza,

Il lavoro materiale si svolge altrove, sovente nel terzo mondo poiché meno costoso e ricco di manodopera.

Caduto il welstate, lo stato sociale, è caduta al contempo la sicurezza mentre , in proporzione, è aumentata l’incertezza, sia economica che individuale. Se in quegli anni infatti c’era un eccesso di domanda (boom economico), oggi assistiamo ad un pericoloso eccesso di offerta e viviamo perciò una società che i sociologi o esperti del settore, chiamano del “rischio” in cui per smaltire l’offerta è necessario presentarla arricchita di sofisticati accessori. Nasce quindi l’obbligo di fornire un prodotto supplementato da servizi specifici che lo rendano più appetibile. Proporzionalmente viene così premuto il pedale sull’incremento al consumo allo stesso modo come, senza soluzione di continuità, il serpente si morde la coda.

Questo processo di smaterializzazione avvenuto nell’azienda tende a non tener conto del materiale umano, del suo aspetto emozionale. Nascono allora oggi dei micro-valori: quasi un “sì” creativo all’interno di significati ristretti. In quest’ottica prendono campo due vie, entrambi percorribili: dare maggiore rilievo ai micro-valori del privato e, allo stesso tempo, auspicare l’apertura verso nuovi tipi di socialità, che è quanto si sta attualmente sperimentando.

Anche nell’ambito dell’editoria, verso la metà degli anni ’80, sono avvenuti stravolgimenti irreversibili: la rivoluzione digitale ha seppellito le rotative, questi gloriosi strumenti che ora posano come dinosauri nei musei per evocare un mondo scomparso. Così pure per la fotografia: il fotoreporter si dibatte oggi tra megabyte, protocolli di trasmissione e pixel che vengono trasmessi all’unità centrale mediante collegamenti di telefonia. L’immagine che viene inviata al giornale è digitalizzata e viaggia alla velocità della luce mediante ponti firewire tesi “verso le memorie di massa allo stato solido”.

La fotografia non ha più il “peso” della pellicola e del buio della camera oscura, ma le immagini vengono memorizzate (in tempo reale) su un disco rigido e in un secondo tempo trasmesse con l’aiuto di un computer portatile.

Sarà interessante sapere come si trasformerà il linguaggio giornalistico, forse riducibile a scritti via Internet e soprattutto quale dimensione creativa e professionale il materiale umano potrà svolgere nel rispetto di un “bagaglio necessario alla cultura dei popoli”.

E’ notizia ultima che, per rivoluzionare lo scenario delle telecomunicazioni composto da alleanze di colossi di società private, si è riusciti a portare in America, attraverso cavi unici, l’informazione nelle case (televisione, telefonia e internet) ad elevatissime velocità, realizzando così un sogno con costi relativamente bassi.

Anche gli acquisti si fanno sempre più frequentemente on line: rinnovare la casa, cambiare mobili, sostituire elettrodomestici, ordinare il cibo per i pasti quotidiani stando seduti comodamente in poltrona è ormai una norma. Non più code in macchina o il peso di pacchi e pacchetti, ma visionando cataloghi web e spaziando in vari siti è possibile ordinare e ricevere il tutto sulla porta di casa.

In rete si possono anche fare, ad esempio, “safari virtuali” attraverso immagini da webcam installate in vari parchi naturali che riprendono animali di passaggio 24 ore su 24 e direttamente inviate su internet.

Così come arrangiare musica in tempo reale è oggi possibile inserendo nel computer i relativi simboli, passo dopo passo, sia tramite il mouse, sia tramite un output midi (come tastiere, chitarre o altri strumenti musicali collegabili a un amplificatore), potendo inoltre visualizzare l’intera partitura dell’intero campionamento direttamente sullo schermo, e stamparla in seguito come meglio si crede.

Le ricerche in campo dell’ingegneria genetica, delle biotecnologie, delle intelligenze artificiali e dell’industria telematica stanno trasformando l’immaginario collettivo fornendo l’occasione di avviare in tal senso nuove relazioni tra il corpo e la mente, tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda.
Sta quindi nascendo una “terza cultura” (dopo la scienza e l’arte, prime e seconde) che sta a indicare una condizione dove certamente c’entrano i computer e che al contempo si configura come “prodotto dell’incontro tra arte e scienza” (Gianni Romano <Nuovi paradigmi nell’epoca digitale>)


Luiso Sturla



La Liguria di Luiso Sturla





Alla galleria Cristina Busi di Chiavari (via Martiri della Liberazione 195, fino al 7 ottobre) è in corso una mostra (opere recenti) di Luiso Sturla: artista che alterna visioni naturali a visioni immaginifiche del pensiero.

Il cammino di questo valido pittore ligure, nato a Chiavari nel ’30, prende avvio negli anni ’50 con la fondazione del gruppo “I pittori del Golfo”, insieme agli amici Bartolomeo Sanguineti, Vittorio Ugolini, Alberto Galardi e altri. Sempre in quegli anni avviene la sua adesione al MAC milanese (storico Movimento di Arte Concreta, allora fortemente innovatore) con una serie di rassegne presso la galleria Schettini, presentando opere a carattere geometrico basate su strutture e forme astratte.

Dopo aver lavorato per qualche tempo a Milano con l’amico Lavagnino, anch’egli chiavarese, e a Firenze col gruppo Numero, nel ’60 Luiso Sturla parte per New York. Qui viene a contatto coi più grandi artisti dell’Impressionismo Astratto (ad esempio Sam Francis) che dipingono con irruenza gestuale gigantesche tele, e da cui viene influenzato soprattutto per la grande libertà interpretativa.

Sturla conoscerà infatti una nuova capacità espressiva: abbandonerà le precedenti rigidità formali per sciogliersi nella fluidità della materia pittorica, aperta all’evocazione di paesaggi mentali traboccanti di luce.

Sovente fa uso dei contrasti: i bianchi accecanti vengono sbalzati in primo piano a causa dell’ avanzata incombente di ombre nerastre.

Man mano la sua pittura si arricchisce di luminosità mediterranee: la trasparenza dei blu-cobalto e dei turchesi spesso trasforma la densità del pigmento cromatico in fluidità acquea.

Allora il cielo, il mare, la terra nella pittura dell’artista diventano spazi abissali attraversati da fasci di luce che ne scandagliano le profondità. Spazi dove stratificazioni d’aria, spessori terrestri e liquidità oceaniche rimandano a forme figurali private come il pezzo di cielo visto dalla finestra (dell’artista), il piccolo orto cintato e ombroso, o ancora il frammento di mare chiavarese.

In questo senso, l’aspra durezza del paesaggio ligure trova nella pittura di Sturla una forte corrispondenza soprattutto con gli appiombi delle masse plastiche, l’essenzialità della visione (evitati gli effetti zuccherosi di facili estetismi) e la severa definizione delle campiture.

La luce ne è il filtro che la interiorizza.



Miriam Cristaldi


L’immateriale umanità di Harald Szeemann
Articolo in stampa sulla rivista d’arte Terzoocchio nel numero di giugno
L’immateriale umanità di Harald Szeemann

I giovani della 49° Biennale

Imponente, calibratissima, immateriale, luminosa, appare questa 49° edizione della Biennale veneziana di Harald Szeemann, targata ‘Platea dell’umanità’ come simbolo, zoccolo duro di un’ideale base del mondo (Piero Manzoni insegna) su cui poggiano sculture d’aria, spazi mentali, immagini tecnotroniche, quadri brulicanti di pixell e microprocessori, still life e fotografie con reportage dall’universo intero, performance sonore, digitali e dal vivo, luoghi d’ombra (spazi per proiezioni) incisi da icone di luce. Scomparsa la pittura canonica (con qualche eccezione come l’intenso lavoro di Gherard Richter), e’ qui predominante la tecnologia come protesi naturale del pennello, come espressione di una realta’ con cui quotidianamente facciamo i conti per un welfare realizzato, mentre forti significati simbolici supportano l’intera operazione d’arte visiva.

Esemplare in questo senso e’ il lavoro sacrale e al contempo globalizzante del russo Sergei Shutov in cui fedeli in preghiera, tutti ugualmente avvolti da neri panneggi, pregano con lingue e religioni diverse. All’apparenza arcaica e di carattere antropologico, in realta’questa magistrale installazione nasconde (sotto i panneggi) sofisticatissime attrezzature elettroniche robotizzate, capaci di simulare gli oranti. Quasi un intenso abbraccio tra natura e artificio, tra contemporaneo e primitivito, tra umano e post umano, come se affacciati sull’orlo di una abissale mutazione computerizzata ci si volesse aggrappare alle salde e remote radici della storia.

E allora il curatore parte da Beuys, da questo gigante della contemporaneità che della natura ha fatto il suo parametro costante e dalla fisicita’ della pietra di ‘Olivestones’, per giungere alla nuova, mobile, vibratile materia elettronica che molti artisti invitati elaborano, ora con sguardo scanzonato, ora piu’dipendente, usandola con facilita’ come linguaggio paradigmatico del terzo millennio.

Da qui nascera’ il nuovo, probabilmente quando la distanza dal mezzo avra’ raggiunto la giusta misura.

Allo stesso tempo Szeemann punta ad un’estensione sia spaziale che linguistica della kermesse, allargandola per la prima volta al cinema e alla poesia, così da risultare fruibile più per eccesso che per difetto.

Nasce allora un tipo di fruizione nuova, basata non più sulla lettura di un libro o sul sedersi in una sala cinematografica, ma camminando e interagendo con parole e immagini di breve durata, qui realizzate attraverso serrati incontri tra cineasti, artisti e poeti.

D’altra parte, la forte umanità di Szeemann, la sua formazione culturale non priva di supporti letterari e filosofici spazia qui a tutti i livelli, svincolandosi da regole o imposizioni. Questa sua liberta’ di testa trasuda dalle opere selezionate per quest’ultima edizione della Biennale dove ‘l’attitudine e l’interesse per il comportamento umano… ampliano i confini che tendono alla creazione dell’opera totale’ e dove la realta’ trova efficaci e tragiche testimonianze di forte impatto visivo, se non proprio di denuncia alle violenze che insanguinano la scena del mondo.

Una liberta’ mentale, la sua, riscontrabile soprattutto nei lavori dei giovani artisti presenti, che non si rifanno più a miti o a ideologie storiche, ma guardano a se stessi rivolgendosi al proprio vissuto, alla dimensione privata del proprio passato per giungere poi a narrazioni più universali di intensa carica drammatica.

I disagi, le sofferenze fisiche e psicologiche, le guerre etniche, i soprusi, l’evoluzione scientifica, le conquiste delle biotecnologie, le mutazioni genetiche, sono gli argomenti che possono condurre i giovani artisti a severe riflessioni o a fantastiche e inesplorate fantasie non prive di angosce nel perseguire il nostro trasmutante destino di alieni umanoidi.

Ne sono testimonianza le numerose installazioni e video di giovani artisti come quella dell’inglese Giorgina Starr dove piccoli bimbi-coniglietto sparano uccidendo modelle che sfilano in passerella per rievocare la trama d’un drammatico film visto dall’autrice anni fa, o il video di Xu Zhen in cui in quattro minuti di forte tensione una nuda schiena anonima cambia colore e si torce sotto i colpi di sferzate invisibili o ancora quello di Regina Galindo ove il corpo femminile nudo diventa supporto e oggetto-news con implicazioni sociologiche, psicologiche ed estetiche di denuncia sociale del suo paese. Ma anche nel tragico video della giovane Chris Cunningam, i corpi innamorati e al contempo in lotta di un uomo e una donna volteggiano nello spazio sputando sangue dalla bocca, tra luci abbaglianti e nebbie cosmiche, esprimendo così una connaturata disposizione dell’umanita’ alla violenza fisica e psicologica; ma piu’ ancora si ravvisa l’apprensione per il futuro tecnologico attraverso il video amaro e poetico di due computer antropomorfi che inscenano tra loro una straziante danza rituale d’amore. Così come avviene anche nell’opera di Ene-Liis secondo cui il soggetto umano puo’ essere trattato come una ‘macchia sporca’ da eliminare (in qualita’ di ‘rifugiata culturale’) inscenando un suicidio con il cappio al collo e spingendo via lo sgabello sotto ai piedi. Con l’artista norvegese Heli Rekula e la sua opera fotografica ‘American star’, una fanciulla diventa paradigma dell’innocenza violata e il suo mostrare le stigmate alle mani diventa manifesto di anoressiche sofferenze corporali.

Con Maurizio Cattelan, il jolly di tutte le biennali di questi tempi, l’ipotesi di un’oscura minaccia si materializza nella figura del Papa caduto a terra, per colpa d’un meteorite piovuto dal cielo. Egli giace su di un tappeto rosso tra pericolosi contenitori di gasolio appartenenti allo spazio espositivo. Impressionante risulta invece il lavoro del giovane inglese Ron Mueck che, con pratica ventennale di lavoro nel campo del modellismo, lavora il silicone crudo trasformandolo in pelle umana simulata. Un iper realismo conturbante sia nella resa di piccoli lavori (un neonato nudo) come nel gigantesco ‘Boy’ installato alle corderie composto da un fanciullo accovacciato che tocca quasi il soffitto con il capo: un mostro che ci sovrasta e al contempo paurosamente vero nella simulazione sintetica di carne umana, non priva di peli e capelli. Magnus Wollin presenta un video popolato da storpi colti dal panico nel tentativo di sfuggire a un incendio; ogni qualvolta uno di loro muore si odono forti applausi: Questo video realizzato al computer, simile ai videogiochi, vuole essere una testimonianza cruda di come il corpo deforme e’ inteso dalla societa’ occidentale odierna, tutta basata sull’edonismo e sulla prestanza fisica; il pullulare di palestre insegna.

Particolarmente efficace e rappresentativo della condizione d’ immaterialita’, o dell’iconografia virtuale, anima di quest’esposizione, e’ l’opera dell’italiana Alessandra Tesi costituita da abbaglianti ‘quadri di luce’, visibili anche alla luce del giorno e realizzati con luminose video-proiezioni su tela. L’acqua, suo elemento onnipresente, appare qui in tutta la sua fisicità di materia mobile e riflettente; ‘una nuova strada da seguire’ avverte Szeemann nella sua presentazione a catalogo. Anche l’italiana Eva Marisaldi si misura con l’etereo: in questo caso col candido gesso di microformelle su cui si stagliano delicatissimi rilievi figurali.

Altre indagini riguardano le funzioni dello spazio come sintomi di condizione mutante dell’uomo, sovente espressi in toni apocalittici. Loris Cecchini espone una cella di prigione (fatta di gomma) che si dilata, quasi a denunciare la condizione di sonno mortale in cui viviamo, avvolti come siamo in un’ovattata solitudine che e’ pari a quella del condannato. Botto & Bruno decontestualizzano lo spazio esterno a loro attribuito trasformandolo (con normale carta da parati) in un paesaggio altro, cosi’ come il giovane tedesco Gregor Schneider fa interagire il luogo con l’individuo in modo che gli spazi possano ruotare o che alcuni soffitti si possano alzare o abbassare per sdoppiarne le misure (una coda interminabile caratterizza il suo padiglione). Con Vanessa Beecroft, la gigantografia della ‘sorella melanconica’ mostra una vivace lolita in posa statuaria simile a una Venere de Tiziano, ma cangiante nelle cromie dei dodici pannelli per simboleggiare l’interagire del tempo sulla nostra pelle. Anche Francesco Vezzosi denuncia l’effimera bellezza di volti famosi femminili rilevandoli con trucchi e lacrime straripanti di brillantini

Straordinaria e poetica la ‘Casa provvisoria’ di Eulalia Valdossera che, attraverso un video invasivo di tutto lo spazio circostante, proietta immagini di un arredo abitativo in cui gli oggetti ‘volano’ continuamente cosi’ da rigenerare continue ipotesi ambientali.

Una Biennale, questa, generosamente pensata, forse con qualche eccedenza di materiale video installativo, ma incisiva e puntuale sulla frammentazione degli stili, sulla contaminazione e accelerazione dei linguaggi, oggi veicoli di trasmutazioni già in atto nella scienza e nella tecnologia.



Miriam Cristaldi

Giovanni Solari

In occasione del primo anniversario della scomparsa del pittore Giovanni Solari (Genova 19O7 - I998), il circolo culturale "Il Doge" (via Luccoli 14, fino a metà aprile) presenta alcuni dipinti dell'autore realizzati con tecniche miste: pastello, acquarello, inchiostro e tempera.

Solari aveva frequentato l'accademia ligustica di Belle Arti e conseguito la maturità artistica all'accademia di Brera nel '26. Oltre a numerose mostre allestite in varie città italiane ricordiamo la sua partecipazione alla Triennale di Milano ('33 e '36), alla Quadriennale di Roma ('35 e '39) e alla Biennale di Venezia nel '36. 

Amava viaggiare: frequenti erano i suoi soggiorni in Francia, Spagna, Germania ed ancora in Belgio, Danimarca, Olanda, Portogallo. Numerosi i rapporti con la Norvegia, terra in cui aveva realizzato diversi dipinti caratterizzati da atmosfere giocate sulle tonalità dei grigi, proprie di quegli spazi nordici.

I viaggi costituivano per l'artista una ghiotta opportunità per tracciare schizzi veloci e cogliere appunti dei luoghi, sovente sviluppati in dipinti. Questi disegni rapidi, appena tratteggiati ad inchiostro, condensati in poche macchie di colori, acquarellati o a tempera, formano l'ossatura del suo lavoro dove mobili paesaggi o svelte figure fissano uno stato d'animo, un'impressione, nella trascrizione immediata di uno stato sensorio. Si attiva così una circolazione vibrante di segni che si offrono alla percezione non come opaca memoria, ma come fresca sensazione di istantanea presenza.

Amico del pittore Oscar Saccorotti, in alcuni momenti Solari sembra avvicinarsi a certe sue tematiche come nella raffigurazione di pennuti o nella rappresentazione di alcune dettagliate composizioni di paesaggio, ma la qualità evocativa del colore e la freschezza delle tecniche espressive ne fanno un abile cronista a caccia di emozioni. 

L'esiguo numero dei dipinti in mostra, dagli anni '30 in poi, tra cui citiamo "Il marinaretto", vogliono essere una piccola testimonianza che si fa appello per una revisione storica dell'opera da parte di organi competenti. 

In mostra si possono anche sfogliare alcune gustose caricature del "Giuanin": l'arguto personaggio con cui Giovanni Solari ironicamente si raffigurava per gli amici 



Sperone

Nelle afose giornate estive si può salire sulle alture di Righi, con la caratteristica funicolare se si vuole, per ammirare a 360 ° il panorama che si estende da Puntachiappa a Ventimiglia e dall'entroterra al porto di Genova. 

Volendo, si può ancora proseguire oltrepassando la Porta lungo la via delle Nuove Mura per giungere al sistema di mura e fortificazioni che racchiude ad anello la città. Si tratta di un vasto complesso recintale dotato di forti, (Castellaccio, Sperone, Begato, Puin, Diamante, ecc.) alcuni forniti di ponte levatoio sovrastante il relativo fossato, con portali in pietra, piazze d'armi, polveriere e così via, costruiti in posizioni strategiche per controllare i nemici che avrebbero potuto attaccare. 

La lunghezza delle mura a monte si estende senza interruzioni per circa 12 chilometri mentre il settore verso il mare, dalla Strega alla Lanterna, ne misura circa 7 . Questa cinta seicentesca è l'ultima e la più ampia opera fortificata continua , in epoca moderna, che abbracci nel suo perimetro l'intera città. 

Il 7 dicembre del 1626 è posta la "prima pietra" dell'opera alla presenza del Doge Lomellino. I forti invece vengono costruiti dopo, nel settecento, iniziati dalla Repubblica, ingranditi dai francesi e portati a termine dai Savoia. 

Oggi, le strutture storiche ubicate nel parco urbano delle Mura , che occupa un'area di circa 9OO ettari di terreno, non sono utilizzate attivamente dalle amministrazioni a cui appartengono per cui risultano fatiscenti, alcune in totale stato di abbandono. In questo senso è auspicabile una cessione di tali spazi alla città affinché essa possa intervenire con urgenti piani di recupero.

Eppure si tratta di eccezionali contenitori, forniti di straordinarie scenografie naturali (sia diurne che notturne!) ubicati in vaste aree che dovrebbero essere destinate ad uso urbano. Le architetture fortilizie potrebbero essere trasformate in alveoli culturali, capaci di ospitare esposizioni d'arte, performances, spettacoli teatrali e musicali, festival, cinema ecc. cosicché Genova , stretta tra monti e mare, potrebbe presto arrampicarsi in alto per recuperare gli antichi spazi militari mutandoli in luoghi socializzanti della cultura.

Un egregio esempio lo ha fornito il "Teatro della Tosse" che dall''89 presenta a Forte Sperone spettacoli ambientati all'aperto e nelle caserme (quest'anno col "Decameron"), promossi dalla Regione Liguria e con la collaborazione del Comune di Genova.



Georgina Starr

Le ultime generazioni di artisti, per intenderci quelle nate dagli anni '60 in poi, incarnano col loro lavoro la caduta degli ideali collettivi e delle utopie dirigistiche della società: se l'arte, fino al postmoderno escluso, cerca il "bello" e l'"inutile" come ideali, al contrario oggi il nuovo cerca il "personalizzato" e l'"utile"; l'arte entra così a far parte del quotidiano col quale simbioticamente scambia i ruoli; il presente diventa la cronologia principale mentre l'oggetto scivola nel ruolo di soggetto; la riflessione non si concentra più sulle domande fondamentali ma sull'universo individuale della persona, soprattutto sul suo vissuto, sul suo bagaglio esperienzale e la storia abdica alla necessità di un presente stato di "sopravvivenza" o cronaca dell'esistere.

Frutto naturale di questa trasformazione sociale è il formarsi di una visione individualista e narcisista, figlia del nuovo pensiero che il filosofo Marc Augé chiama "surmoderno".

Ciò non corrisponde né a bene, né a male, è un dato di fatto tout court.

Queste generazioni di artisti, tra cui citiamo per esempio Liliana Moro, Maurizio Cattelan o i Chapman, nate col boom economico e cresciute masticando omogeneizzati e fiction televisive, cartoons , film pop americani, hanno stratificato il loro immaginario sulla contaminazione di tali linguaggi per dare corpo alla memoria ed evocare il proprio vissuto laddove si fondono gli orizzonti tra quotidianità e finzione tecnologica.

In questo senso l'immaginario collettivo di una memoria-mediatica si mescola, bruciandone i limiti, con l'immaginario individuale.

Anche Georgina Starr (galleria Pinksummer, via Lomellini 2, fino al 15 gennaio), artista internazionale inglese nata nel '68 a Leeds, utilizza uno sguardo retrostante. In questo caso vengono rivissuti quegli anni giovanili in cui le emozioni si fissano indelebili nella coscienza. Un'affabulante narrazione creativa, carica di energia e di sinistri turbamenti materializza l'installazione-performance "The Bunny Lakes"(parte del grande progetto ispirato al film del '65 di Otto Preminger) in cui la piccola protagonista femminile rischia di essere uccisa. Qui viene riproposta in versione multipla, replicante, nelle persone adulte di otto modelle che sfilano in passerella vestite di bianco-argento, colore dell'innocenza e del sogno.

Ma sotto l'effetto dell' illuminazione stroboscopica alcuni bambini, in peluche bianco, entrano in azione e sparano alle fanciulle che, con paurose macchie di sangue sintetico, s'accasciano al suolo.

Se Vanessa Beecroft insiste sul lato spettacolare della moda, Georgina Starr con l'abito sporco di sangue tradisce invece un cambiamento, applica cioè una metamorfosi nel codice stesso di tali circuiti.

L'inquietante accadimento, carico di suspence fino a evocare la morte, mette inoltre a fuoco l'infanzia violata e allo stesso tempo l'accadere di ieri nel qui e ora, ma domani là o altrove, in una dimensione circolare-dinamica ove gelidi scenari orrifici si alternano a emozionate visioni idilliache in cui la realtà si fonde con la fiction.



Oscar_Saccorotti



A quindici anni della sua morte, Oscar Saccorotti (Roma 1898, Golfo del Paradiso- Recco 1986)

diventa presenza fissa a Palazzo Ducale con 29 opere tra incisioni, oli su tela, pastelli e ceramiche raccolti in una piccola sala del piano ammezzato.

Un’esposizione voluta (fortemente), e donata al Comune, dall’adorata moglie Raffaella Solari Saccorotti (scomparsa quest’estate) con l’obbligo d’esposizione permanente, previo ritiro delle opere da parte degli eredi.

Uno spazio, questo del Ducale, forse un po’ piccolo, quasi soffocante, adiacente al circuito della Creatività (dedicato ai giovani), area preziosa come l’oro (spostata provvisoriamente al liceo Barabino in occasione del G8, ma presto riattivabile).

Forse sarà opportuno cercare altri luoghi, più ampi, da esibire per questa ed altre (auspicabili), future, mostre permanenti.

Il professore Giorgio Olcese, amico ed estimatore dell’artista, ha presentato i lavori citando il critico Roberto Longo con la frase “L’arte nasce sull’arte” per spiegare quanto Saccorotti ci tenesse a far conoscere ai giovani la sua ricerca al fine di proporsi loro come ulteriore mezzo di arricchimento.

Ha poi raccontato l’episodio di anni fa, quando, a casa dell’artista, la televisione annunciò improvvisamente l’uccisione di Aldo Moro. A reazione di ciò Saccorotti, che teneva tra le mani una tavoletta su cui era dipinto un uccellino, la scaraventò a terra dicendo che di fronte a queste cose il suo lavoro non aveva alcuna utilità. Ma Olcese prontamente gli rispose: “Proprio a causa di quello che è accaduto il suo lavoro diventa ora necessario”.

Particolarmente felice è il noto dipinto del ’76 “Il cielo nella serra” (paragonato dall’assessore Pierantoni alla grandezza del Pontormo), già vincitore di premi, che descrive la serra nel giardino dell’artista. Un giardino che ho potuto ammirare in occasione di una mia intervista con Saccorotti e che, per effetto specchiante, si riflette nelle grandi vetrate della serra.

Nasce un mirabile gioco tra l’ambiente e il fogliame riflesso, sottoforma di un delicatissimo pizzo. Curiosa la figura dell’artista che si riflette anch’egli nella vetrata, dal capo ricoperto di un grande, enigmatico, cappello nero.

Saccorotti è artista figurativo, grande poeta-cantore della natura (sapiente descrittore di paesaggio), cacciatore instancabile (infiniti sono i dipinti e le incisioni con soggetti di uccellini da lui cacciati), come pure riconosciuto pittore e fine incisore: si è imposto sulla scena artistica specialmente negli anni ’20, ’30 ed è stato invitato a numerose Biennali di Venezia e Quadriennali romane.

Così gli scrive Camillo Sbarbaro in una lettera: “La verità è che io non so distinguere la tua arte da te; non riesco a vederla e a discorrerne a sé, talmente essa mi appare una manifestazione della tua vita…”.



Miriam Cristaldi



Stefano Sommariva

"Percorsi paralleli e in crociati. Undici artisti del Premio d'Arte Duchessa di Galliera" è il titolo della mostra inaugurata presso il museo di Villa Croce , che presenta le opere di giovani, sotto i 35 anni, col vincitore Roberto Merani e gli artisti selezionati Alessandro Bruno, Patrizia Buldrini, Lino Di Vinci, Loredana Galante, Marcello Mogni, Federico Palerma, Stefano Sommariva, Renza Tarantino, Luca Tardito, Alberto Valgimigli. 

La giuria è composta da Marzia Gallo Cataldi, Guido Giubbini, Franco Sborgi, Raimondo Sirotti, Sandra Solimano, e quest'ultima ne è anche la curatrice. Corredano il bel catalogo a colori testi scritti di Matteo Bianchi, Marco Goldin, Laura Safred, Angela Tecce.

Questa manifestazione, lodevole per le proposte di giovani, nasce all'insegna della polemica, tant'è che alcuni artisti selezionati hanno dato forfait e si sono auto esclusi dal Premio, in segno di protesta riguardo la conduzione della mostra.

Infatti, Franco Arena, Antonella Spalluto, Sabrina Boidi e Stefano Patrone, tutti selezionati, hanno poi rinunciato alla loro presenza e sono stati sostituiti da altri quattro.

Se Patrone sintetizza in catalogo la sua opinione quando spiega: "La decisione è stata presa dopo aver valutato e confrontato il mio lavoro con quello pittorico degli artisti partecipanti...", Arena adduce motivazioni diverse riguardo a divergenti punti di vista nei confronti dell'organizzazione.

Emerge il desiderio che le mostre organizzate dai rappresentanti di Villa Croce, della facoltà universitaria di Arte contemporanea, dell'Accademia Ligustica e dell'assessorato alle Politiche giovanili siano propositive con artisti a rotazione evitando le presenze fisse.

Nella mostra attualmente allestita a palazzo Ducale "Arti Visive 2" ( concorso nazionale che ha selezionato giovani under 35), non troviamo nessuna presenza del Premio Duchessa di Galliera, se non l'auto escluso Franco Arena.

Nei "Percorsi paralleli e incrociati" di Villa Croce, si evidenzia la bravura pittorica e installativa di Renza Tarantino (appartiene al gruppo ME.TA.ME) : grandi formati e strisce di pittura incastonate da sbarre metalliche esprimono una forte energia cosmica che rende l'universo molecolare proiezione di sentimenti ed emozioni intime, ribollenti di indomita grinta.

Se la quasi totalità delle opere abbraccia l'ambito della pittura non priva di qualità, a volte arricchita da collage, interventi fotografici, graffitismi ecc., come in qualche modo l'opera di Merani - dignitosa e vicina ad esperienze pittoriche giacomettiane e a certa pittura lombarda di Ossola - alla più giovane Loredana Galante (28 anni) spetta la scelta di un cammino diverso, ancora acerbo ma promettente, seguendo la lezione di Duchamp. L'oggetto è il luogo dell'evento e l'abitare uno spazio altro può conferire nuove identità: scarti di frammenti industriali sono catalogati in "vetrine" in funzione di altre categorie visive percepite dall'osservatore. Piccole gabbie argentee vuote, se si esclude la presenza di micro-oggetti, sembrano proporsi come misteriose casse armoniche, diffondenti musiche arcane...

Miriam Cristaldi

S. Gerolamo di Castelletto

Nell'originale presepe della chiesa genovese di N. S. delle Grazie e S. Gerolamo di Castelletto, ricostruito totalmente lo scorso anno in sostituzione di quello precedente andato bruciato, sono state oggi aggiunte alcune "figurine" capaci di animare e arricchire di suggestivi effetti esotici i luoghi della Natività.

Giuliana Poggi e Diana Aronni, le autrici di questo essenziale ed esclusivo presepe a quattro mani, su caloroso invito del parroco Don Marino, hanno realizzato singolari figurine in terracotta (la prima) ed efficaci elementi architettonici e scenografici (la seconda) svincolati dalle abituali casette in sughero circondate da muschio e da figurine in pose tradizionali, creando invece personaggi simbolici con atteggiamenti inconsueti ( ma carichi di significati) abitanti paesaggi cangianti nella luce del giorno alternata a quella della notte.

Infatti le "figure" di Giuliana Poggi, scolpite con forte senso plastico - vicine per certi versi a soluzioni giottesche secondo cui gesti essenziali pietrificati nella materia del cotto riescono ad imprimere cadenze e solennità alle forme - vivono nello spazio permeate dalla luce che scivola sui larghi piani di una composizione serrata.

Così come avviene ad esempio per l'immagine della Vergine rappresentata da una ragazza ebraica, seduta su di una pietra, che torce lentamente il busto compatto verso il bimbo ( che si succhia il dito) nel giaciglio di paglia, a terra.

Anche gli intrecci di sguardi tra personaggi, posti frontalmente e raffigurati con atteggiamenti inusuali, concorrono a suggerire stati d'animo profondi, legati certamente al senso delle scritture evangeliche capaci di evocare, più che a descrivere, intime emozioni e sentimenti universali.

Studi approfonditi sui costumi e sui luoghi sacri - di allora e di oggi - hanno permesso alle artiste di coordinare abiti e fisionomie corrispondenti agli usi e costumi dalle popolazioni berbere ed ebraiche di quei luoghi. Come nel caso del tuareg che affronta il deserto con il suo cammello o dei pastori che si avvicinano al Bambino e della donna al pozzo che si carica il vaso d'acqua sul capo o ancora della donna araba (dalla pelle scura) con il figlioletto in braccio che dialoga con Maria.

Particolarmente suggestivo è il corpo architettonico che fa da quinta scenografica, realizzato in cartapesta da Diana Aronni (allieva di Claudio Costa), secondo la struttura di una grande muraglia luminosa come appunto appaiono le abitazioni costruite in calce dai palestinesi.

Un presepe sicuramente da non perdere e che riesce a esprimere il mistero della Natività concentrando i gesti e le strutture in forme assolute ove niente cede alla decorazione ma tutto è finalizzato alla sintesi estrema: questo per ottenere il massimo degli effetti.



LUCA SCARABELLI

Oggi, nell'attuale scena dell'arte priva di stili e tendenze specifiche, la creatività non trova un terreno fecondo forse perché vengono a mancare le spinte innovatrici capaci di mettere criticamente in discussione la cultura dominante (sono cadute le poetiche e le ideologie) dato che assistiamo ormai all'esaurimento dell'ultimo pensiero postmoderno e non s' individua ancora un nuovo pensiero politico-culturale se non quello strisciante della performatività che è appannaggio della tecnologica.

Forse il vero potere difficile da affrontare oggi è quello del sapere performativo che ci omologa tutti in un unico villaggio globale.

Da qui l'attuale mancanza di contestazioni costruttive e, in arte, di pensiero innovativo mentre assistiamo al fenomeno di una diminuzione della socialità in favore di una esasperata individualità.

Riccardo Ferrari , con la mostra "Contemporanea-mente" supportata da catalogo in cui descrive una periferia dell'arte che tra l'altro "... va avanti con i crismi di una marginalità in cui la ricerca sembra aver imboccato la via di un'astinenza creativa...", presenta 8 giovani artisti non accomunati da un tema specifico ma liberi ciascuno di proporre il proprio lavoro allargando il canonico contesto della galleria (in questo caso Rosa Leonardi V-Idea, piazza Campetto 8) per muoversi contemporaneamente anche in altri spazi attigui come quello delle Politiche Giovanili a palazzo Ducale, del Centro Iniziativa di Sottoripa e quello eterogeneo della strada.

Questi giovani di varie regioni italiane tentano in qualche modo di interagire tra loro con rinnovato spirito di socializzazione mediante interferenze operative coinvolgendo anche gente anonima del tessuto urbano e procedendo alla desimbolizzazione dell'oggetto in virtù della creazione di nuovi statuti.

EMANUELE MAGRI gioca sul doppio significato delle parole e sulla tautologia realizzando performance in cui modelli viventi ripropongono stilemi di sapore Fluxus , di carattere concettuale. LORENZO BIGGI dispone la "quadratura del cerchio" attraverso pannelli in movimento concentrico per simbolizzare una difficoltosa ricerca condotta sullo spazio e sulla sua funzione. CARLO BUZZI occupa pareti murarie dedicate alle affissioni pubblicitarie con fotografie personali di grande formato su cui lascia intervenire gli occasionali passanti quale segno significante del proprio lavoro. PIERLUIGI FRESIA blocca il dinamismo futurista di un aeroplano da guerra raggelandolo in una gigantografia "perfettamente" combaciante col piano del tavolo chiedendosi: "Che argomenti può avere la perfezione"? LUCA SCARABELLI spoglia il significato dell' oggetto per sviarne le funzioni nell'ambito "infruttuoso" del non senso. DARIO MOLINARI con una complessa messa in scena antepone e pospone l'andamento logico di un evento rovesciandone i parametri spazio-temporali. MAURIZIO BOLOGNINI e ANGELO CANDIANO intendono mettere l'accento sull'abbrutimento dell'arte in un sistema di relazioni dissipate attraverso il brevetto "Oltrearte" capace di marchiare il lavoro di ciascun artista presente.

Miriam Cristaldi


"SATURARTE

Sotto il periodo delle feste natalizie in quasi tutti gli spazi d'arte i curatori espongono opere di artisti con cui hanno lavorato continuativamente nel tempo dando corpo a orientamenti specifici.

Nel caso dell'associazione culturale Satura - in piazza Stella 5, fino a tutto gennaio - si è inaugurata la terza rassegna d'arte contemporanea "SATURARTE", a cura di Mario Pepe, composta da un centinaio di giovani e meno giovani artisti che operano nei vari linguaggi della pittura, scultura, fotografia, installazione, video ecc.

Questo spazio culturale, fondato appena tre anni fa da Mario Napoli, si è dimostrato attento e vivace punto attenzionale della città ospitando inizialmente istanze nazionali della "Poesia visiva" come Accame e Miccini, dando in seguito voce anche a chi istituzionalmente non ne ha, ma persegue obiettivi di tutto rispetto.

Tra le opere dei liguri si evidenziano le scritte concettuali di Lorenzo Biggi che privilegia i processi dematerializzati del pensiero; le armoniose sculture di Elena Cavallo, strutturate da lamine metalliche e rivestite di vivacissimi colori plastificati; le lucenti lamiere governate da abili geometrie della scultrice Liliana Contemorra; le simboliche e metamorfiche icone di Walter di Giusto, capaci di solidificarsi in pietra così come la pietra s'ammorbidisce in sembianze umane; le istintive e non casuali figure di Luigi Grande, rese da gesti violenti e sospinte da forze opposte nel tempo e nello spazio; i corpi femminili dipinti da Bruno Liberti oscillanti tra la mimesi di un linguaggio arcaico e la trasparenza delle immagini tecnologiche; l'irrazionale e pesante sonno in cui è caduto il piccolo angelo avvolto da candide trine, installato da Susanna Lunini e la visione elettronica di immagini-video realizzata da Mauro Marcenaro, assiduo navigatore del Villaggio Globale; la violenza sociale espressa da frammenti di icone mediali interagenti con lembi di pittura, attuate da Mario Napoli con la tecnica del collage, ed infine, di Lucrezia Salerno, l'installazione di un nido "abitato" da una testina in terracotta protetta da un coperchio in vimini: pare simboleggiare l'antico desiderio del "volo", oggi fortemente compresso dagli artifici soft delle realtà virtuali.

Segnalàti - Segnàlati - Segn'alati

Al Museattivo Claudio Costa è stata inaugurata la mostra "Segnalàti - Segnàlati - Segn'alati ", organizzata dall'Istituto Materie e Forme Inconsapevoli che si prolungherà fino al 3 febbraio nella sede dell'ex ospedale psichiatrico in Via G. Maggio 6.

Si tratta di un'ampia collettiva composta da artisti, che in qualche modo hanno avuto contatti con l'IMFI (Istituto Materie e Forme Inconsapevoli, presieduto da Gianfranco Vendemiati) e che hanno promosso in quest'ambito una qualsiasi forma creativa di comunicazione (non è esclusa qualche involontaria dimenticanza), e da alcuni degenti che da tempo si applicano nelle attività terapeutiche. 

Lo scopo di questa collettiva è in primo luogo quello di veicolare nell'ex manicomio, oggi in radicale via di trasformazione, il più ampio numero possibile di operatori artistici e di visitatori affinché si attivi sempre più quel fertile scambio esperienziale tra forze esterne e interne alle istituzioni; un secondo aspetto è quello di sollecitare un arricchimento interpersonale attraverso stimolanti attività creative non disgiunte da una rinnovata socialità.

Gli invitati a questa esposizione, circa una settantina, hanno ciascuno realizzato un'opera consistente nell'elaborazione di una antica, scaduta e mai utilizzata "scheda " che, prima della riforma Basaglia, serviva per "segnalare" i casi manicomiali. Da qui il gioco di parole del titolo, su cui gli autori , con impegno e con particolare delicatezza d'animo, hanno espresso il loro pensiero, le loro intenzioni, le proprie emozioni, le personali riflessioni.

Tra gli gli elaborati, tutti particolarmente convincenti, si evidenziano: un emblematico mattone spaccato (metafora dell'ex manicomio?) da cui sembra "scendere" uno sparuto manichino; un'aerea impronta di mano metaforizzante un'ala d'uccello; corpi femminili dipinti o incisi con veli avvolgenti che s'involano leggeri nelle volte architettoniche; la sagoma d'una "finestra" nell'atto d' incurvarsi alla pressione d'uno spazio dolente; il contorno di un' algida mano indicante lo spazio cosmico d'energia blu; la frattura d'una grafite turchese capace di simbolizzare il totale cambiamento di stato; una foto della scuola elementare mostrante la regressione nel tempo dell'incanto; semi naturali di cereali che circondano sofferenti volti femminili, espressi nelle diversità della "fame" fisica e psichica; la pittura di un paesaggio d'archeologia industriale che inscena lo sconquasso di un recente passato in estinzione; l'immagine di un giardino di fiaba rievocante gli spazi perduti di una infanzia felice...



Miriam Cristaldi


Sirotti

Due fascicoli dei Quaderni di Biolda stampati dal semestrale "Pagine d'Arte", rispettivamente dedicati a Mario Chianese e Raimondo Sirotti con testi critici di Guido Giubbini e Sandra Solimano, sono stati presentati dall'assessore Ruggero Pierantoni a Villa Croce (fino al 7 gennaio) in concerto con l'esposizione di opere incisorie (del primo) e pastelli su carta (del secondo), riportati in stampa.

Le opere dei due artisti, messe a confronto nel luminoso spazio museale, ricevono osmotiche spinte e controspinte che risaltano e accentuano le rispettive differenze.

Al primo impatto balza agli occhi la brumosa atmosfera che avvolge i silenziosi paesaggi di Chianese in netto contrasto con la solare spazialità di Sirotti scossa da automatismi segnici.

Proprio in questo senso, Mario Chianese si distingue per il suo vibratile pulviscolo atmosferico composto da milioni di granelli invisibili che danno corpo all'aria, alle profondità celesti e terrestri avvolgendo e strutturando le tradizionali forme della natura.
Emblematica è l'incisione "Casa nella neve", del'62, in cui la poetica immagine di una minuscola casa affonda nel biancore silenzioso d'un volteggiante nevischio di puntini.

Se la natura è per l'artista il referente oggettuale di carattere empirico, la struttura iconografica si rifà invece ad atteggiamenti intellettuali.

Si attiva infatti una riflessione mentale sulla complessa coabitazione di svariati punti prospettici e sull'inserimento di fotogrammi composti da oggettualità ingrandite che interrompono la narrazione a favore d'una lettura multipla capace di arricchire il senso dell'opera.

Raimondo Sirotti attraverso i luminosi pastelli realizza l'incanto e la fisicità d'una natura mobile, stratificata da energetiche trame segniche.

Le sue precedenti esperienze informali, coniugate con l'espressionismo astratto americano, sono qui fuse nel linguaggio ligustico tipico dell'artista in cui grovigli gestuali evocano grappoli di glicini, liquidità marine, addensamenti aerei, granitiche scogliere, frondose vegetazioni...

In "Roccia", del '78, una candida materia calcarea, appena abbozzata su fondo azzurro-acquarello, viene trattenuta (sulla sinistra) da incisivi e taglienti segni grafici: una sorta di colonna d'Ercole da cui, in basso, si dipartono filamentose scie che attraversano diagonalmente il campo pittorico; quasi una cascata che rimbalza verso l'alto trainando il dato naturalistico in una dimensione più dichiaratamente psichica.

Miriam Cristaldi

.Skuber


Con la mostra "Progetto di strumento musicale" realizzata allo Spaziodellavolta negli anni '90, si è creato un gruppo di artisti che in seguito hanno lavorato sul tema musicale come atto evocativo di strumenti e suoni immaginari, slegato da funzioni specifiche dello strumento stesso per risolversi più propriamente nell'ambito dell'arte visiva. Oggi, nello stesso spazio, con "L'idea del suono" (piazza Cattaneo (26/3, fino a metà giugno) sono esposte opere che si riferiscono a concetti musicali attraverso immagini in assoluta libertà.

I violini di Fernando Andolcetti, materializzati con carta di spartito musicale, pare esprimano una delicatissima armonia generata da impercettibile fruscìo di pagine aperte, armonia sempre presente nel lavoro di questo autore.

I poetici oggetti-strumento di Sergio Borrini nel momento in cui richiamano il suono lo rifiutano: se le corde smollate sono impossibilitate a suonare la fantasia compositiva del lavoro riesce ad esprimersi come intima , interiore musicalità dell'anima.

Cosimo Cimino produce un cortocircuito tra immagine e suo significato: quando il martello vuole produrre suono pressando del materiale, questo ironicamente non può "suonare" perché composto da silenziosi elementi cartacei.

Anche gli strumenti di Piergiorgio Colombara idealizzano il concetto di suono che nell'opera viene negato: le trombe sono coinvolte in arabeschi simmetrici e perdono la loro funzionalità diventando eleganti oggetti "senza ombra di uno squillo".

I tronchi di cono capovolti di Mauro Ghiglione evocanti strumenti a fiato traducono la musicalità intrinseca nella virtualità di forme primarie come il cerchio e la croce, capaci di suscitare arcaiche simbologie cosmiche.

Vittoria Gualco, con aeree e trasparenti forme in plexiglas, vetro e cristallo riesce a suggerire il concetto di una melodia dello spirito dove la materia si trasforma in algida luce.

Con Mauro Manfredi tubi in plastica trasparente, a guisa di sonde, sembrano indagare nell'interiorità dell'essere facendo risuonare le "parole" racchiuse in essi.

Nadia Nava attraverso disegni iperrealisti descrive immagini di spartito sfogliate da mani di persona nell'atto di leggere: una misteriosa armonia sembra sciogliersi dalle pagine e invadere lo spazio.

Fori di chitarra dipinti a spruzzo da Riri Negri evocano questo strumento nel rigore del bianco e del nero: pittoricismo ricco di vibrazioni e fasci di luce astrali.

Berty Skuber attraverso navette in legno di telai a mano riesce a codificare nuovi oggetti-strumento capaci di effondere magici suoni attraverso la presenza di efficienti corde musicali.

Miriam Cristaldi


Oscar__Saccorotti

In occasione del centenario della nascita di Oscar Saccorotti (Roma 1898, Golfo del Paradiso-Recco 1986) - grande pittore/poeta della natura (in particolare descriveva paesaggi e animali come lepri, uccelli, pesci), appassionato cacciatore, aristocratico personaggio di cui ricordiamo occhi azzurrissimi, capelli lisci e baffi bianchi, dal carattere affabile e al contempo schivo- sono stati dedicati al maestro, dal 10 giugno a metà luglio, un seminario di studi a Palazzo Doria Spinola e una mostra di grafica. L'esposizione intitolata "Oscar Saccorotti pittore della famiglia dei poeti e il suo tempo", allestita nella sede del Museo dell'Accademia Ligustica, è composta da153 fogli incisi donati dalla moglie Raffaella.

Il valore dell'operazione fa sì che, anche se a termini scaduti, si ponga l'attenzione sulla ligure figura di questo delicato, miniaturale, pittore-incisore che già nel '26 vediamo attivo nel movimento del "Novecento" per far parte in seguito, entro un breve periodo, del gruppo di pittori sostenuti da Gussoni. 

Le riconoscenze al suo lavoro non tardano a manifestarsi e numerosissimi sono gli inviti alle Biennali di Venezia (quasi ininterrotti dal '30 al '48), così come alle Quadriennali di Roma.

Il grande amore per la natura, fonte di rispecchiamento di una personale filosofia di vita, ha permesso all'artista di trovare nella pittura, e specialmente nell'incisione, quel linguaggio costitutivo di trame segniche, ora fitte e condensate in ombrosa materia tattile, ora rade composte da luminescenti micro-universi, atte ad esprimere essenze di trasognate campagne, soffi di piume, ricamate "barbe" di porri, pungenti occhiate d'uccellino...

Correda l'esposizione delle incisioni un libriccino stampato per le edizioni S. Marco dei Giustiniani in cui è pubblicato uno scritto di Camillo Sbarbaro dedicato a Saccorotti. 

Scrive, tra l'altro, il poeta: "La verità è che io non so distinguere la tua arte da te; non riesco a vederla e a discorrerne a sé, talmente essa mi appare una manifestazione della tua vita..."; Questo è forse il messaggio più forte che ci giunge sul lavoro dell'artista scomparso : riuscire a vivere la vita ponendola come umile fonte di creatività, capace di diventare arte nel momento in cui i simboli della natura si trasferiscono nei codici linguistici della cultura.



Miriam Cristaldi

Giovanna Salis

Guanxi" (legami in cinese) è il titolo della personale che Massimo Vitangeli e Giovanna Salis hanno realizzato a quattro mani per il circolo culturale Leonardi V-Idea, in piazza Campetto 8, fino a metà giugno. 

L'operazione artistica prende spunto dal principio di Indeterminazione della meccanica quantistica secondo cui è impossibile misurare contemporaneamente con esattezza assoluta la posizione e la quantità di moto di una particella. Quanto più è precisa la misura di una delle due quantità tanto maggiore risulta l'incertezza della misura dell'altra. Si può pensare allora che a volte delle particelle vengono prodotte dal nulla ma che cessino di esistere prima del tempo necessario per essere rivelate; nello spazio vuoto ci sarebbe quindi una continua creazione e distruzione di particelle dette "virtuali" . 

Ciò implica che le teorie fisiche siano solo statistiche, non esatte, e che prevedano solo con "probabilità" che le cose accadano.

In questo senso l'operazione artistica qui espressa riflette la ricerca di continui, piccoli scarti che minano il concetto stesso di riproduzione per porre in evidenza delle possibilità con nuovi sistemi di equilibrio.

Nella prima sala "It from bit": l'origine di questo lavoro sono due piccole statuette gemelle, maschile e femminile, di origine orientale, realizzate in resina bianca e disposte sul pavimento, a terra, in una lunga fila a serie di tre. Di fronte sta un pannello che riprende le sagome delle sculturine, ma in forma sfuocata come se il tempo avesse già trasformato i soggetti che hanno dato origine a questa strana clonazione.

Nell'opera "Le tombe del tempo" (seconda sala) ovali neri contengono disegnate bolle nere come probabile percezione di un'afasia del tempo generata da "buchi neri" in cui la materia è addensata in uno spazio relativamente piccolo, tanto che , in teoria, la sua massa può essere considerata riunita in un punto. L'opera è realizzata in bianco e nero come gli oggetti celesti che esercitano un'attrazione gravitazionale così intensa da impedire alla materia e anche alla luce di allontanarsi da essi , rimanendo bui. 

La nascita di un buco nero può avvenire in seguito all'esplosione di una stella di grande massa ove il suo centro subisce un violento collasso gravitazionale: il collasso comprime la materia indefinitamente dando origine al fenomeno buco nero. 

Questo senso di catastrofe latente, di punto di non ritorno è lo scenario in cui si muovono i due artisti, dando per scontata "una situazione di deriva dell'umano".

In questo difficile passaggio epocale in cui la tecnologia segna una visione performativa del mondo essi "sorvegliano i movimenti misteriosi di cui si compongono la vita e i tentativi di manipolazioni della vita": ancora nella seconda sala "Field test 1 e 2", stampe trattate a olio, rappresentano gli animali più usati per la sperimentazione scientifica, la scimmia e il topo. Con questo termine "tangente i due ambiti, quello del marketing e quello della bio-ingegneria " si propone "un test che vuole provare la reazione di un ambiente all'immissione di un nuovo prodotto" (citazioni dal testo critico di Riccardo Ferrari), ma anche come espressione di una umanità che si vede spinta sull'orlo di nuovi assetti, continue mutazioni, il cui futuro si presenta come un' interfaccia fra l'uomo, la tecnologia e l'altro da sé, secondo un punto di non ritorno...

Miriam Cristaldi


Ugo Sanguineti

Con la mostra "Delle magie e dei miti - presenze nell'arte contemporanea in Liguria", inaugurata a Palazzo Ducale, si realizza la seconda biennale "De fabula" a cura di Franco Ragazzi (fino al 15 maggio) - organizzata dall'associazione culturale omonima - nata da un progetto avviato nel '96 con il volume di ricerche etnografiche ed una mostra d'arte allestita nella Commenda di Pré, .

Una cinquantina di opere , tra dipinti, sculture e installazioni, testimonia il lavoro di dieci artisti liguri che nel corso del loro cammino si sono imbattuti in temi mitologici e magico-favolistici 

Il lavoro di Claudio Costa - artista scomparso a cui la mostra dedica un omaggio - nasce da premesse duchampiane ma se ne discosta per collocarsi in una dimensione antropologica rivolta ai riti e ai miti dell'uomo primitivo o verso una visione alchemica del mondo che si è sviluppata verso la fine degli anni '7O per concludersi nell''86 . 

Erano quelli , gli anni in cui imperava la "Transavanguardia" con il brusco ritorno alla pittura che azzerava le precedenti esperienze. 

Costa trovò il significato di una pittura nella descrizione di iconografie alchemiche che esaltavano il mistero e la magia, procedendo inoltre verso la ricerca dell'interiorità dell'Essere. E' esemplare l'opera "Il museo dell'alchimia" esposta in questa mostra: in un grande mobile-vetrina sono esposti oggetti dipinti che esaltano la trasformazione del colore e della materia propria del concetto alchemico assumendo l'aspetto di inquietanti presenze attuate nella scioltezza dell'invenzione compositiva.

Di Piergiorgio Colombara campeggia una raffinata installazione in metallo e vetro che evoca l'immagine della nave, già ricorrente in altri lavori quale simbolico veicolo di comunicazione. Giovanni Job ha condotto ricerche sulle storie di paura qui presenti con l'opera "La nascita di una fé" dove un allarmante corpo femminile scolpito giace nell'acqua reale.

Walter di Giusto, sempre interessato a citazioni di rocce con mimesi antropomorfe, presenta un'originale visione speculare in cui si sposano mito e tecnologia. Anna Ramenghi propone il mito di Orfeo e Euridice nella teatralità di un appassionato romanticismo dove la freschezza delle carni trasmuta nell'appassire dei fiorif. Roberto Martone cita la storia, narra il mito e visualizza il presente con una pittura, ora ricca di tonalità accese, ora trasparente nelle cromìe sfocate, capace di dichiararne il senso intrinseco. Aurelio Caminati descrive "Leda e il cigno" citando la pittura di Leonardo che egli sa adattare alla modernità con grande spirito inventivo caratterizzato da una sapiente tecnica pittorica.

Ugo Sanguineti dipinge un mondo grottesco al limite della caricatura dove la bruttezza della forma viene riscattata da preziosi cromatismi. La mostra si conclude con opere di Marcella De Ferrari - raffinatissime immagini incise su ardesia - e con Rosalba Niccoli - fantasiose iconografie su vetro - entrambi fondatrici dell'associazione De Fabula.



Schmidt



Christian Schmidt-Rasmussen



"...Noi non pretendiamo di mutare qualcosa negli errori degli uomini, ma pensiamo di poter dimostrare quanto siano fragili i loro pensieri, e su quali mobili strutture, su quali cavità, essi abbiano fondato le loro vacillanti residenze...", così recita un frammento del manifesto surrealista del 1925.

Con questo "grido dello spirito" tale corrente artistica risponde al fallimento del pensiero razionalista causato dal disastro della I° guerra mondiale, dal fallimento della scienza che ha costruito con l'industria bellica una macchina per uccidere e dal fallimento di una civiltà "che si volge contro se stessa e si autodivora".

Anche Christian Schmidt-Rasmussen, giovane artista danese (Copenaghen '63) attualmente in mostra alla neonata, e vivace, galleria cittadina "Pinksummer" (via Lomellini 2, fino al 9 settembre), sa cogliere del presente i motivi del fallimento di una società telematica del futuro minacciata da un presente pericolo nucleare, da un ecosistema precario, dalla mancanza di assetti politici stabili dove "forze oscure dell'esistenza si insinuano nelle crepe del welfare (= benessere) realizzato".

Appunto con piacevoli acquarelli di piccole dimensioni (una sessantina esposti), da intendere come distillati di un fantasticare quotidiano, l'artista riesce ad esprimere un pensiero anti-logico dimostrando quanto siano false le convenzioni del reale appellandosi alle vie dell'inconscio, del meraviglioso, del simbolico e del tragico per fondare un "nuovo ordine del mondo".

I suoi acquarelli nitidi, puliti, senza ripensamenti, ritagliano figurine pungenti, formalmente impeccabili, basate su allegre e variopinte immagini , tratte dal reale, che si animano come nei fumetti per sconfinare nel territorio del magico.

E allora un martello si vitalizza con l'aggiunta di occhi curiosi, una carota si trasforma in uno strano personaggio umano, frammenti di tronco d'albero compongono silhouette movimentate, le foglie d'un fiore assumono bizzarre sembianze di un corpo dalla testa di lupo la cui coda (filo elettrico dipinto) termina con una lampadina...

Un' estrosa animazione governa questo piccolo ma simbolico mondo pittorico che, come le favole di Fedro, sa nascondere concentrati di verità. Una verità sempre accompagnata da corrosivi e drammatici brani poetici (brevi testi scritti a matita), quale timbratura a fuoco che stigmatizza l'opera.

Dall'antitesi e dall'interazione dei due linguaggi, visivo e verbale, comico e tragico, nasce la poesia dell'artista.

"Immagina di essere un freezer spento pieno di cibi che iniziano a decomporsi" è l'incisivo commento che spiega l'immagine dipinta di un frigorifero la cui presa di corrente staccata è causa della perdita d'acqua (ghiaccio sciolto). Si può quindi immaginare la fine dei cibi contenuti ! La comprensione è suggerita dalla marca dell'elettrodomestico firmato Death = Morte.

E ancora, l'immagine di una dentiera, coi denti canini pronunciati, che afferra il bulbo d' un occhio nel fondo di un bicchiere colmo d'acqua, viene commentata dalle caustiche parole: "Non chiedetemi nulla e io non racconterò bugie"...



Miriam Cristaldi













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