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"Quarto di Raggio"

MAURA RAMPONE HUNGER

Roberto Rustichelli

terza rassegna d'arte

Anna Ramenghi

Christian Schmidt-Rasmussen

Oliviero Rainaldi

Cristina Ruffoni

Silvano Repetto

 

"Quarto di Raggio"



Al Museattivo Claudio Costa è stata inaugurata la mostra di Davide Raggio (fino al 18 novembre) intitolata "Quarto di Raggio", organizzata dall'Istituto per le Materie e Forme Inconsapevoli nell' ex ospedale psichiatrico di Genova-Quarto, in via G. Maggio 6.

Gli ultimi dipinti, selezionati per questa mostra, s'ispirano agli spazi dell'ex manicomio: qui Davide sembra aver trovato il suo "giardino delle delizie" : una sorta di border line tra le boscaglie e le aiuole che circondano le fatiscenti architetture ospedaliere, interpretate con smaglianti colori, sovente sottolineate da rapidi tocchi neri.

I grandi spazi sono il referente di un immaginario magico-narrativo, caratterizzato da poderosi palmizi simili a robuste colonne, da figurine di degenti che scompaiono tra l'intrico degli alberi, da pali-spauracchio ingarbugliati da cascami di fili elettrici e da occhieggianti padiglioni ottocenteschi, oggi in via di smantellamento, un tempo emblematiche "cattedrali della follia".

In questo senso i disegni e i dipinti di Raggio si fanno preziosa testimonianza, diario, segno, cifra di un universo ospedaliero in via di estinzione.

Nasce un codice essenziale non costituito da arabescate morbidità, ma da gesti aspri risolti in durezze rettilinee o in metallici ritmi arcuati. Questi si rincorrono incalzanti e vitalistici e tutto contribuisce a rendere l'idea di una natura madre-matrigna, al contempo gioiosa e terribile, quale ruvido grembo entro cui sciogliere emozioni e asperità.

Al contrario, le silhouette di automobili parcheggiate tra i viali, le sagome degli amici-degenti e i profili delle architetture sono spesso disegnati senza colore così da apparire fragili fantasmi tra le robuste selve della struttura pubblica.

Ma la peculiarità di Davide Mansueto Raggio sta nel cercare sempre nuovi linguaggi: l'ultimo esempio, già sperimentato nel '95, consiste nel recuperare scatole di cartone: esse vengono disfatte e ricostruite per fornire parvenze di personaggi-guerrieri in rilievo, con relativi denti ringhianti, ritagliati a maschera.

In tal modo si concreta l'universo magico di un uomo che sa cogliere, in tutto ciò che si offre alla visione, un aspetto antropomorfo capace di tradurre in spalancati occhi e sgranate bocche la meravigliata seduzione di un'inesauribile poesia del cuore.



Miriam Cristaldi


MAURA RAMPONE HUNGER



Maura Rampone Hunger è una giovane esordiente (Genova 1972) che è già stata selezionata nel concorso "Saturarte, giovani artisti emergenti", del '99, e che ha partecipato alla mostra "Segnalàti, Segnàlati, Segn'alati", del '98, organizzata dal Museattivo Claudio Costa. Ha compiuto studi artistici (maturità artistica e frequentato accademia Ligustica di Belle Arti) e studi sulla recitazione con frequentazione di corsi a Roma.

Si è inoltre impegnata in studi professionali di ginnastica aerobica e insegnato in palestre.

La sua visione dell'arte la porta a riflettere sulla società odierna, coi suoi miti e riti attuali, secondo cui la bellezza fisica della donna coincide coi corpi magri, stereotipati, delle top model; un modello di riferimento pericoloso per tante ragazze cadute nella trappola dell'anoressia o bulimia.

Disagi questi, che sovente denunciano la complessità del vivere odierno dominato da accelerati processi tecnologici con la conseguente perdita del patrimonio naturale.

Maura Rampone Hunger ci indica un suo percorso che rimette in gioco l'ambito dalla natura creando un cortocircuito tra di essa e la contemporaneità del sistema mediatico.

Infatti coi semi di ceci, soia, piselli, lenticchie, fagioli, ecc. l'artista ci propone un gigantesco, ideale, "mosaico" composto da migliaia di "tessere" (corrispondenti ciascuna a un seme) al cui interno vengono inserite scintillanti immagini massmediali tratte da pagine patinate alla moda, quasi a voler creare un benefico e rivitalizzante abbraccio tra arcaici passati e incombenti presenti, tra realtà e artificio, tra natura e cultura. Sovente l'esteticità delle immagini viene interrotta da deformanti metamorfosi capaci di sottolineare le devianze del disagio psicologico.

La PERFORMANCE "Anime contro" che l'artista esegue alle ore 18,30 esprime simbolicamente tali problematiche.



Roberto Rustichelli

I dipinti e le opere che Roberto Rustichelli ha installato alla galleria Leonardi V-Idea (piazza Campetto 8) sembrano evocare paesaggi lunari dagli aspetti apocalittici dove piogge di "meteoriti" strutturano un micro-universo secondo coordinate spaziali ben definite.

La pietra dipinta, reale o sottoforma di calco, è l'immagine ricorrente nel lavoro di questo artista, insegnante del nostro liceo artistico Paul Klee.

Pietra da intendere come espressione di energia cosmica compressa, come richiamo antropologico dell'era neolitica, come struttura primaria costitutiva dei menhir e come simbolica forma primigenia di carattere fallocratico.

Esplicativa e di forte impatto visivo risulta l'installazione "Senza titolo" composta da calchi di pietra reiterati, ordinati secondo una successione modulare formante una colonna adagiata su zolle di terra allineate sul pavimento.

Si viene allora a creare un lungo filare di pseudo-pietre, simili per fattezze ad una sinuosa colonna vertebrale che si tende da parete a parete, andando così ad occludere il passaggio.

Si forma in questo senso un impedimento, un blocco che fisicamente e psicologicamente sembra proporsi come barriera capace di interrompere la comunicazione per dirigerla verso le altezze di una dimensione spirituale.

Nella terra è stata seminata dell'erba e all'inaugurazione è già visibile una piccola crescita destinata ad aumentare e a trasformare l'opera nello scorrere del tempo. Nasce in questi termini il concetto di trasformazione del lavoro come misura del tempo.

Nello stesso momento la luce, quale strumento creativo che sa ritagliare la forma, incide i calchi di pietra in fogge sempre diverse e decrescenti a seconda della loro posizione rispetto alla fonte luminosa stessa.

Avviene allora che la ricostruzione di un universo perduto di un Richard Long, qui ritrova coordinate assiali per un nuovo ordine mentale dove le forme ridisegnate di un mondo desolato da day-after si organizzano in cadenze ritmiche secondo precisi ed armonici rapporti logico-formali.



Miriam Cristaldi



terza rassegna d'arte

Sotto il periodo delle feste natalizie in quasi tutti gli spazi d'arte i curatori espongono opere di artisti con cui hanno lavorato continuativamente nel tempo dando corpo a orientamenti specifici.

Nel caso dell'associazione culturale Satura - in piazza Stella 5, fino a tutto gennaio - si è inaugurata la terza rassegna d'arte contemporanea "SATURARTE", a cura di Mario Pepe, composta da un centinaio di giovani e meno giovani artisti che operano nei vari linguaggi della pittura, scultura, fotografia, installazione, video ecc.

Questo spazio culturale, fondato appena tre anni fa da Mario Napoli, si è dimostrato attento e vivace punto attenzionale della città ospitando inizialmente istanze nazionali della "Poesia visiva" come Accame e Miccini, dando in seguito voce anche a chi istituzionalmente non ne ha, ma persegue obiettivi di tutto rispetto.

Tra le opere dei liguri si evidenziano le scritte concettuali di Lorenzo Biggi che privilegia i processi dematerializzati del pensiero; le armoniose sculture di Elena Cavallo, strutturate da lamine metalliche e rivestite di vivacissimi colori plastificati; le lucenti lamiere governate da abili geometrie della scultrice Liliana Contemorra; le simboliche e metamorfiche icone di Walter di Giusto, capaci di solidificarsi in pietra così come la pietra s'ammorbidisce in sembianze umane; le istintive e non casuali figure di Luigi Grande, rese da gesti violenti e sospinte da forze opposte nel tempo e nello spazio; i corpi femminili dipinti da Bruno Liberti oscillanti tra la mimesi di un linguaggio arcaico e la trasparenza delle immagini tecnologiche; l'irrazionale e pesante sonno in cui è caduto il piccolo angelo avvolto da candide trine, installato da Susanna Lunini e la visione elettronica di immagini-video realizzata da Mauro Marcenaro, assiduo navigatore del Villaggio Globale; la violenza sociale espressa da frammenti di icone mediali interagenti con lembi di pittura, attuate da Mario Napoli con la tecnica del collage, ed infine, di Lucrezia Salerno, l'installazione di un nido "abitato" da una testina in terracotta protetta da un coperchio in vimini: pare simboleggiare l'antico desiderio del "volo", oggi fortemente compresso dagli artifici soft delle realtà virtuali.

Anna Ramenghi

Con la mostra "Delle magie e dei miti - presenze nell'arte contemporanea in Liguria", inaugurata a Palazzo Ducale, si realizza la seconda biennale "De fabula" a cura di Franco Ragazzi (fino al 15 maggio) - organizzata dall'associazione culturale omonima - nata da un progetto avviato nel '96 con il volume di ricerche etnografiche ed una mostra d'arte allestita nella Commenda di Pré, .

Una cinquantina di opere , tra dipinti, sculture e installazioni, testimonia il lavoro di dieci artisti liguri che nel corso del loro cammino si sono imbattuti in temi mitologici e magico-favolistici 

Il lavoro di Claudio Costa - artista scomparso a cui la mostra dedica un omaggio - nasce da premesse duchampiane ma se ne discosta per collocarsi in una dimensione antropologica rivolta ai riti e ai miti dell'uomo primitivo o verso una visione alchemica del mondo che si è sviluppata verso la fine degli anni '7O per concludersi nell''86 . 

Erano quelli , gli anni in cui imperava la "Transavanguardia" con il brusco ritorno alla pittura che azzerava le precedenti esperienze. 

Costa trovò il significato di una pittura nella descrizione di iconografie alchemiche che esaltavano il mistero e la magia, procedendo inoltre verso la ricerca dell'interiorità dell'Essere. E' esemplare l'opera "Il museo dell'alchimia" esposta in questa mostra: in un grande mobile-vetrina sono esposti oggetti dipinti che esaltano la trasformazione del colore e della materia propria del concetto alchemico assumendo l'aspetto di inquietanti presenze attuate nella scioltezza dell'invenzione compositiva.

Di Piergiorgio Colombara campeggia una raffinata installazione in metallo e vetro che evoca l'immagine della nave, già ricorrente in altri lavori quale simbolico veicolo di comunicazione. Giovanni Job ha condotto ricerche sulle storie di paura qui presenti con l'opera "La nascita di una fé" dove un allarmante corpo femminile scolpito giace nell'acqua reale.

Walter di Giusto, sempre interessato a citazioni di rocce con mimesi antropomorfe, presenta un'originale visione speculare in cui si sposano mito e tecnologia. Anna Ramenghi propone il mito di Orfeo e Euridice nella teatralità di un appassionato romanticismo dove la freschezza delle carni trasmuta nell'appassire dei fiorif. Roberto Martone cita la storia, narra il mito e visualizza il presente con una pittura, ora ricca di tonalità accese, ora trasparente nelle cromìe sfocate, capace di dichiararne il senso intrinseco. Aurelio Caminati descrive "Leda e il cigno" citando la pittura di Leonardo che egli sa adattare alla modernità con grande spirito inventivo caratterizzato da una sapiente tecnica pittorica.

Ugo Sanguineti dipinge un mondo grottesco al limite della caricatura dove la bruttezza della forma viene riscattata da preziosi cromatismi. La mostra si conclude con opere di Marcella De Ferrari - raffinatissime immagini incise su ardesia - e con Rosalba Niccoli - fantasiose iconografie su vetro - entrambi fondatrici dell'associazione De Fabula.



Christian Schmidt-Rasmussen



"...Noi non pretendiamo di mutare qualcosa negli errori degli uomini, ma pensiamo di poter dimostrare quanto siano fragili i loro pensieri, e su quali mobili strutture, su quali cavità, essi abbiano fondato le loro vacillanti residenze...", così recita un frammento del manifesto surrealista del 1925.

Con questo "grido dello spirito" tale corrente artistica risponde al fallimento del pensiero razionalista causato dal disastro della I° guerra mondiale, dal fallimento della scienza che ha costruito con l'industria bellica una macchina per uccidere e dal fallimento di una civiltà "che si volge contro se stessa e si autodivora".

Anche Christian Schmidt-Rasmussen, giovane artista danese (Copenaghen '63) attualmente in mostra alla neonata, e vivace, galleria cittadina "Pinksummer" (via Lomellini 2, fino al 9 settembre), sa cogliere del presente i motivi del fallimento di una società telematica del futuro minacciata da un presente pericolo nucleare, da un ecosistema precario, dalla mancanza di assetti politici stabili dove "forze oscure dell'esistenza si insinuano nelle crepe del welfare (= benessere) realizzato".

Appunto con piacevoli acquarelli di piccole dimensioni (una sessantina esposti), da intendere come distillati di un fantasticare quotidiano, l'artista riesce ad esprimere un pensiero anti-logico dimostrando quanto siano false le convenzioni del reale appellandosi alle vie dell'inconscio, del meraviglioso, del simbolico e del tragico per fondare un "nuovo ordine del mondo".

I suoi acquarelli nitidi, puliti, senza ripensamenti, ritagliano figurine pungenti, formalmente impeccabili, basate su allegre e variopinte immagini , tratte dal reale, che si animano come nei fumetti per sconfinare nel territorio del magico.

E allora un martello si vitalizza con l'aggiunta di occhi curiosi, una carota si trasforma in uno strano personaggio umano, frammenti di tronco d'albero compongono silhouette movimentate, le foglie d'un fiore assumono bizzarre sembianze di un corpo dalla testa di lupo la cui coda (filo elettrico dipinto) termina con una lampadina...

Un' estrosa animazione governa questo piccolo ma simbolico mondo pittorico che, come le favole di Fedro, sa nascondere concentrati di verità. Una verità sempre accompagnata da corrosivi e drammatici brani poetici (brevi testi scritti a matita), quale timbratura a fuoco che stigmatizza l'opera.

Dall'antitesi e dall'interazione dei due linguaggi, visivo e verbale, comico e tragico, nasce la poesia dell'artista.

"Immagina di essere un freezer spento pieno di cibi che iniziano a decomporsi" è l'incisivo commento che spiega l'immagine dipinta di un frigorifero la cui presa di corrente staccata è causa della perdita d'acqua (ghiaccio sciolto). Si può quindi immaginare la fine dei cibi contenuti ! La comprensione è suggerita dalla marca dell'elettrodomestico firmato Death = Morte.

E ancora, l'immagine di una dentiera, coi denti canini pronunciati, che afferra il bulbo d' un occhio nel fondo di un bicchiere colmo d'acqua, viene commentata dalle caustiche parole: "Non chiedetemi nulla e io non racconterò bugie"...



Miriam Cristaldi

Oliviero Rainaldi

“Per Oliviero Rainaldi, ogni materia dà origine a un proprio dialogo specifico: la terracotta ha l’odore della madre Terra e dell’iconografia primitiva, il luminoso candore del gesso sottintende uno spirito puro ed incontaminato, l’uso del bronzo porta con sé il peso del cerimoniale religioso e della tradizione classica…”, così scrive Jonathan Tumer riferendosi al delicato lavoro di questo artista, attualmente in esposizione alla galleria Ellequadro in vico Falamonica 3 (fino al 31 ottobre).

E in effetti , in queste sculture, dipinti e tecniche miste, affiora continuamente il richiamo alla tradizione , ma risolto con linguaggi che si diramano ed estendono nella contemporaneità.

Se ad esempio le figure umane allungate, filiformi, possono richiamate certe valenze etrusche e certe definizioni giacomettiane, al contempo sanno suggerire la dimensione di una delicatezza eterea che è propria della scena artistica odierna.

I visi allungati, con appena l’accenno dei caratteri somatici, i corpi espressi nella loro fragilità materica con appena suggerite le forme anatomiche, creano le premesse di una scena artistica in cui un’umanità fragile, chiusa in una spazialità aliena, si mostra in tutta la sua incapacità di comunicare, in tutta la sua difficoltà ad esprimersi, quasi calata in involucri a bozzolo che nascondano le emozioni intime come se, essa, sprofondata in un sonno pesante, attendesse trepidante un catartico risveglio.

E la luce, che sfiora radente le forme, pare consegnarle a un limbo provvisorio; allo stesso tempo sa sciogliere la materia terrestre per proiettarla nella volta celeste, in una dimensione spirituale capace di trasfigurare l’opacità di un presente doloroso nella trasparenza di un futuro liberato e rappacificato.



Miriam Cristaldi


Cristina Ruffoni

Cristina Ruffoni presenta al centro Culturale Satura (piazza Stella 1), una lunga carrellata di dipinti acrilici, disposti in successione filmica, così da tagliare lo spazio nella sua dimensione di orizzontalità.

Si tratta di una serie di piccoli quadri dipinti con colori vivaci, dagli effetti televisivi, che si allineano a parete e si collegano tra loro mediante i classici "dentini" neri delle pellicole da film.

Le immagini creano dunque una storia idealmente in movimento, da scorrere nella mente di chi osserva proprio attraverso la velocità di un feedback, con la fulmineità dell'attraversamento di un pensiero.

Infatti se le immagini e le parole scritte all'interno di ogni singolo formato sono all'apparenza statiche, la percezione visiva e l'immaginazione riescono a "muoverle" con gli occhi della mente.

Le immagini scelte dall'artista (e psicanalista) vogliono rappresentare un racconto di Savinio (fratello di Giorgio De Chirico), tradotto in linguaggio artistico-visivo, attraverso una sorta di narrazione illustrata.

Nasce allora una felice corrispondenza tra il pensiero creativo saviniano e l'interpretazione fantastico-immaginativa della Ruffoni, congiunti nella fusione dei due differenti codici espressivi.

Le scritte a stampatello dipinte dall'autrice corrispondono a sintesi verbali (tratte sempre dal racconto del noto pittore-scrittore) che ella stessa crea e dissemina pittoricamente nell'economia del lavoro, perseguendo il risultato di un armonico connubio tra immagine e parola.

Di lontana memoria futurista, il lavoro della Ruffoni appare quindi come una ricostruzione ipotetica del villaggio globale in cui le immagini mediali, coloratissime e arcinote della comunicazione, ri-vivono una storia personale che ciascuno può re-interpretare secondo la propria sensibilità.



Miriam Cristaldi


Silvano Repetto

Il disinvolto yuppismo degli anni '8O con le conseguenti strategie studiate a tavolino hanno lasciato il posto negli anni '90 all'incertezza e allo smarrimento causati dalla crisi del sistema dell'arte (si badi bene non dell'arte). Oggi , con la svolta epocale del nuovo millennio, si assiste alla nascita di una nuova luce che illumina le coscienze degli artisti: il vento di una ritrovata fede soffia sulle ultime generazioni spingendole a credere nella forza del messaggio artistico capace di obliare le insicurezze del mercato.

Questo è verificabile anche nel lavoro, svolto in tandem dai giovani artisti di frontiera Gian Paolo Minelli e Silvano Repetto, abitanti a Chiasso.

Un lavoro di carattere concettuale basato sull'interazione di due linguaggi: video (Repetto) e fotografico (Minelli).

Se l'uno riporta nell'opera lo spazio o il luogo dell'azione attraverso immagini statiche, l'altro ne propone la rappresentazione temporale composta da movimentate video-icone.

Entrambi presentano allo Studio Leonardi V-Idea (piazza Campetto 8, fino ai primi di ottobre) le installazioni intitolate "Allarme" e "Minelli & Repetto" in cui si cerca di scuotere il sistema dell'arte attraverso una provocante ironia.

Nella prima, con un pericoloso stato d' allerta si cerca in realtà di contaminare le persone mediante l'insidia d' un messaggio pungente capace di far riflettere sui valori dell'artisticità. Paradigmatici i "manifesti" abusivi ove spicca l'immagine di una maschera antigas nell'atto di difendere gli artisti da possibili veleni inquinanti l'arte.

Nella successiva installazione i due giovani presentano una finta operazione di marketing in cui loro stessi si offrono come oggetti da pubblicizzare.

Hanno perciò realizzato una vera campagna pubblicitaria con un falso prodotto (apparendo con le loro persone su giornali e televisioni in qualità di opera) cercando in questo senso di procurare nell'osservatore uno stato di shock atto a condurlo, in un secondo momento, verso la dimensione alta dell'artisticità.
Le performances infatti si concludono all'interno di un museo dove il fruitore può comprendere appieno il senso dell'opera e il suo grado di coinvolgimento all'azione.




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