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Bonito Oliva

Serena Olivari

 

 

 

 

Serena Olivari 

Paesaggi d'oriente



Con "paesaggi d'Oriente" s' inaugura la personale di Serena Olivari alla galleria Rotta (via xx Settembre, fino a metà aprile), artista e arte-terapista, attiva nell'ex ospedale psichiatrico di Ge-Quarto.

Negli ultimi dipinti si registra una svolta: se in precedenza Serena affidava l'opera a micro-segni e a piccoli prelievi di pelle-pittura come appunti sintetici di labili evocazioni, oggi l'artista parte da un referente reale per edificare la struttura creativa dell'invenzione.

Il soggetto che ha ispirato gli acquarelli è riferibile all'antica Mesopotamia , in particolare a quelle civiltà che hanno abitato la "terra tra i due fiumi" fissando l'attenzione agli stili architettonici che si sono sovrapposti con l'avvicendarsi, nel tempo, dei vari sultani.

Sono stati consultati antichi testi di "Edifici islamici" riguardanti moschee e palazzi regali per una ideale ricostruzione da attuare in pittura.

Con grande sensibilità segnica e con veloci pennellate d'acquarello, Serena riesce a materializzare delle vere e proprie "apparizioni"

Infatti, paesaggi architettonici composti da realistiche rovine di palazzi orientali vengono dipinti su carta senza collocazioni spaziali indicative, proprio come avviene per il "miraggio" in cui l'immagine risulta perfetta alla percezione visiva ma isolata in un contesto indefinito, etereo, come l'assolato deserto.

E in questo misterioso silenzio, nel vuoto apneumatico dello spazio, l'artista scopre delicatamente un micro universo fatto di piccolissimi pensieri, di oggetti minimi, quali appunti di un diario mentale camminando in punta di piedi per non far rumore ...

Nascono così armoniosi accordi tra piccole frecce indicatrici, gocce di luce, granelli di sabbia, frammenti di corallo, fili di lana, bave di colla, reliquie di stoffa...

Un mondo al microscopio, leggero e vibratile, quasi sfocato nella luce dei bianchi del fondo e impercettibilmente sussultorio , scosso da tracce di colore o da tatuaggi di pelle capaci di trasformare il paesaggio in magico incantesimo.

Qui l'artista diventa Alice perché è riuscita a oltrepassare la "soglia"...



Miriam Cristaldi.


A fronte del "diluvio" di immagini mediali con cui il villaggio globale quotidianamente ci informa (spesso in tempo reale), diventa oggi necessario operare in campo artistico una "scrematura", un' oculata selezione che ci possa permettere di scegliere e di "difendere" dall'invasione iconografica quell'unica immagine "numinosa", essenziale, auratica, simbolica, la TRAS - FIGURA capace di diventare fulcro significante dell'oggetto estetico .

In questo senso, cogliere oggi un'immagine "forte", che contenga significati profondi, ancestrali, da sempre appartenenti al nostro codice psichico/genetico e quindi immediatamente riconoscibili dall'inconscio, significa ricercare quell'immagine archetipale nel ricco universo dei simboli primari. Universo cui spesso l'artista inconsapevolmente o coscientemente attinge per poter meglio incidere sulla coscienza e realizzare un'opera universalmente comprensibile.

In questo modo è possibile raggiungere un'esperienza estetica quando i sensi si lasceranno penetrare dalla forza della trasfigura: un'energia che attraversa la scena del mondo per raggiungere il nostro intimo, ci persuade e ci incanta col nuovo frammento di verità "svelata" .

E' un percepire l'esperienza dei sensi al di là della funzione della mente ed agiscono in forma attiva quando possono collegarsi a qualità spirituali.

Nelle cose che si vedono (la manifestazione) e si sentono (ad es.la musica) è necessario sviluppare una capacità di capire (non élitaria) la loro intrinseca qualità spirituale, riuscendo ad unire l'"ispirazione" con lo "stile", la "voce interiore", che si annuncia all'uomo, con la "forma".



Il lavoro di numerosi artisti (consapevoli o no) è fornito di una ricca presenza di simboli o tras - figure, di cui la religione, la mitologia, l'esoterismo, l'alchimia e la psicanalisi hanno fatto largamente uso per esprimere concetti fondamentali.

Alcuni sono particolarmente riconoscibili:

l'igloo di Merz in questo senso può simboleggiare la "cupola celeste" (la sfera dello spirituale) e al contempo la "casa" dell'uomo; la canoa di Zorio l"arca" dell'alleanza e il "viaggio" come mezzo di comunicazione; l'albero di Penone l'"elemento di "congiunzione" tra terra e cielo", ; la pietra di Anselmo l'incorruttibilità "eterna" e la "fisicità" della materia ; lo specchio di Pistoletto "l'altra parte di noi", il doppio; il fuoco e il carbone di Kounellis la "fiamma" della passione e la materia che lo alimenta; il cervello di Costa l"uomo pensante" nell'universo cosmico; il taglio di Fontana l'"asse del mondo" che congiunge la fisicità della materia con la spazialità infinita; la ruota di bicicletta di Duchamp il "cerchio" della perfezione; la croce di Beuys come simbolo religioso che può riassumere l'idea di occidentalità e così via...

Nel percorso precedente del '94, compiuto con un gruppo di artisti , caratterizzato dalla presenza della virtualità come possibilità in nuce non ancora inverate (vedi "Arte come pre-, la trilogia della Virtualità"), si sono rivelate le tappe archetipiche di quei processi di conoscenza con la totalità dell'universo.

In quel cammino l'artista aveva fatto l'esperienza di una sorta di intuizione rivelatrice e, attraverso i tre momenti dell'"annuncio", dell'"incubazione" e della "rinascita", aveva potuto ascoltare quella voce rivelatrice, che nella confusione delle tante immagini presenti nella mente, suggerì proprio quell'"unica" immagine che poteva meglio rappresentare l'intenzionalità profonda.

Oggi, con l'operazione "Tras-figura", realizzata nello spazio canonico della galleria (scelta come luogo attuale di trasformazione alla ricerca di nuovi parametri e nuove modalità della comunicazione artistica), si vuole evidenziare quella intenzionalità profonda quale fulgida espressione del simbolo (tras-figura), colto nello svelamento di alcuni suoi significati.

Ciò è ben lontano dal ridurre o negare valore alla personalità individuale dell'artista e al suo linguaggio tecnico, ma si raffigura come elastico ponte capace di metterlo in contatto anche con l'aspetto universale della spiritualità attraverso valori e immagini presenti in tutti i tempi e i luoghi della terra.



Miriam Cristaldi


In occasione della cena di beneficenza , inaugurata il 24 ottobre nell'ex ospedale psichiatrico di Genova-Quarto ( via Giovanni Maggio 6 ), a favore dell'"Istituto Materie e Forme Inconsapevoli" ( forma di volontariato nato nel 1988 attualmente guidato da Gianfranco Vendemiati) affinché possa proseguire le sue attività di sensibilizzazione e supporto al disagio psico-fisico , si è contemporaneamente allestita un'importante rassegna nella "sala-mostre" dell'Istituto stesso, sita nel palazzo del Presidio socio-sanitario dell'ospedale .

Con questa esposizione s' inaugura l'anno I997-'98, arco di tempo in cui si alterneranno mostre di artisti professionisti con opere provenienti dagli ateliers di arte-terapia .

L'intento di tali mostre non risiede tanto nello scopo di stabilire i gradi di artisticità delle opere , quanto nel favorire l'uso dei mezzi dell'artisticità per consentire una "cultura del dialogo" attraverso l'approfondimento di un vicendevole scambio esperienziale , creativo , razionale ed emotivo tra persone sane e persone portatrici di disagi psico-fisici.

In questo senso è da intendere la dinamica espositiva dei lavori , provenienti dall'atelier arte-terapeutico dell' ospedale di Ge-Quarto (diretto da Margherita Levo Rosenberg), insieme alle opere pittoriche delle artiste e arte-terapeute volontarie, Giovanna Morgavi e Serena Olivari.

Gli elaborati dell' atelier , sotto il titolo "Guardare dentro di sé", spaziano tra la figurazione esemplificata della natura con paesaggi sciolti nelle linee compositive e autoritratti spesso essenzializzati in forme geometriche fornite di dettagli, così da suggerire attitudini segrete dell'autore ; ma si accompagnano anche vaste campiture cromatiche tese a immaginare spazi infiniti dove piccoli interventi segnici sembrano coordinare un mondo interiorizzato.

"Tra il corpo e la mente" è il tema cui ruotano attorno i dipinti di Giovanna Morgavi : una pittura figurativa con accenti neo-espressionistici, vicina a certe deformità beconiane, che rappresenta corpi acefali, sanguinolenti - resi nei toni vividi dei rossi in contrasto coi neri e con le terre- quale possibile metafora delle difficoltà della persona a cogliere la totalità , scissa tra gli istinti emotivi, la dimensione razionale e l'anelito alla trascendenza.

Col titolo "Ai piedi della montagna" si snoda sulle tele di Serena Olivari un racconto pittorico composto da linee purissime, concentrate in segni minimi, alternate a trasparenti campi cromatici atti a strutturare scenari mitopoietici e personalissime fantasie, sviluppatesi a livello sapienzale fin dai primissimi esordi dell'artista.



Miriam Cristaldi



Evitando sofisticati intellettualismi, la pittura di Serena Olivari cattura il senso delle trasformazioni tecnologiche che caratterizzano la nascita del terzo millennio. A suon di globalizzazione e di tecnicismo si è giunti alla nascita di un nuovo elemento, la materia immateriale: qualcosa che caratterizza la riduzione del mondo a un villaggio (il “villaggio globale” di McLuhan) e che lo attraversa alla velocità della luce mediante reti telecomunicazionali web.

E proprio il senso di questo inarrestabile processo di dematerializzazione, di perdita del peso corporeo dell’oggetto, affiora continuamente nei dipinti della Olivari dove trasparenza, leggerezza e inconsistenza costringono le immagini a sfibranti attese, mentre luci ed ombre si elidono e si annunciano a vicenda.

Una storia sommessa, la sua, (in esposizione allo Studio Ghiglione, piazza S. Matteo 6r, fino al 24 ottobre) equivalente a fragili sinopie, a calchi di sfuggenti memorie o a sfaldate amnesie che visualizzano fragili incrostazioni, minimi tatuaggi.

Una pittura, questa, al contempo cronaca e romanzo, in cui spettri di tazzine da caffè galleggiano nello spazio etereo e rarefatto del quadro, o si mimetizzano fissandosi su liquide pareti, o ancora, volando agravitazionali in masse d’aria assemblando un universo di segni in continua metamorfosi.

Un intricato miscuglio di ansia e di desiderio che non conoscono inizio né fine costringono l’osservatore a un afasico disorientamento spaziale: si trova così, senza precise coordinate a galleggiare tra pungenti graffitismi, minimi bassorilievi (in gesso o terracotta), pigmenti cromatici, trasparenze epiteliali, cicche di sigaretta incapsulate, alzati architettonici, trasalimenti di macchie, geometrie libere… Labili apparizioni di un’intimità svelata.



All’attenzione di Marco Matteini e Stefano Bigazzi, grazie della bella impaginazione della Crespo





“Kahve” (= bevanda eccitante) è il termine con cui la pittrice genovese Serena Olivari nomina il suo lavoro consegnandocelo nella scottante evocazione di una classica e quotidiana tazzina di caffè, “apportatrice di felicità, spazio e brillantezza…” (in esposizione allo Studio Ghiglione, piazza S. Matteo 6r, fino al 24 ottobre).

Tazzine da caffè (dipinte e in rilievo), infatti, sembrano volare eteree, leggere, agravitazionali in spazi afasici, senza precisi punti di riferimento costringendo la percezione visiva a galleggiare tra pungenti graffitismi, minimi bassorilievi (in gesso o terracotta), pigmenti d’acquarello, trasalimenti di macchie…per tessere una storia sommessa fatta di fragili sinopie, di sfuggenti calchi oggettuali che materializzano sfaldate incrostazioni, evanescenti tatuaggi.

Un lavoro, quello della Olivari, che se da un lato è romanzo, immaginazione, volo pindarico, dall’altro si contamina continuamente con la cronaca, col pedissequo vissuto giornaliero oscillando tra memoria e amnesia, tra lucidità del ricordo e dimenticanza di un presente ingombrante.

Per questo, spettri di tazzine da caffè ruotano nello spazio rarefatto del quadro o si mimetizzano fissandosi su liquide pareti o, ancora, vengono risucchiate in masse d’aria: il loro proporsi sa descrivere un universo segnico in continua metamorfosi capace di suggerire labili apparizioni di un’intimità svelata…





Miriam Cristaldi


Bonito Oliva

Al centro culturale SATURA (fondato da Mario Napoli, in piazza Stella 3) si è svolto l'evento culturale in cui Viana Conti e il noto poeta Edoardo Sanguineti hanno presentato il libro intitolato "L'ideologia del traditore", del '79 - oggi rieditato in "Arte, maniera, manierismo" - scritto dall'inossidabile e sanguigno critico d'arte Achille Bonito Oliva, vivace teorizzatore nel bene e nel male dell'ultima avanguardia (nel senso di sradicamento del contesto precedente), denominata "Transavanguardia".

Con questa tendenza, che ha avuto diffusione mondiale negli anni '8O, il critico partenopeo ha ribadito il suo concetto del "traditore", di colui che vive una posizione di lateralità rispetto al centro: "la cultura ha decapitato il significato, ha perso la coscienza felice di operare secondo i canoni sperimentali dell'avanguardia ed ha perso i parametri a cui appigliarsi...nasce una soggettività che è ripresa di un piacere dell'arte fatto di labirinti mentali ma anche di manualità..." spaziando magistralmente con analogie e parallelismi tra storia dell'arte e contemporaneità.

"Teorizzai la posizione del traditore" aggiunge Bonito Oliva "nella riserva del linguaggio, collegandomi col Manierismo di fine '5OO come categoria artistica che coincide col momento storico di crisi rispetto alle precedenti certezze della centralità rinascimentale".

Così come negli anni '50, '60, '70, le neo avanguardie col loro ottimismo sperimentale parteciparono al progressismo, all'ottimismo della produzione che sembrava inarrestabile nel tempo, con la successiva crisi dei mercati e dell'economia degli anni '8O si precipitò in una fase di turbamento acuto, di perdita delle certezze che, attraverso il termine "trans", l'autore ha codificato quale ultima neo avanguardia.

Come nel Manierismo , nella Transavanguardia l'artista non ha più fiducia nel futuro, nella ragione, ma vive la crisi soffrendo solitario e allontanandosi dal mondo avvalendosi della posizione "laterale" e della "distanza", usate come scudi per poter liberamente servirsi, a piene mani, degli stili del passato remoto e recente, modificandoli all'interno della loro stessa "ossatura". Nasce il concetto di "dissociazione" dell'artista e questa tendenza " si pone come categoria patologica che esorcizza ma non ambisce alla guarigione, che opera nell'ombra saturnina ma non cerca il superamento catartico..." , precisa ancora il critico che ha cercato, in questo senso, di elaborare una strategia della "sopravvivenza" per quell'artista che non si riconosce nel mondo.

Con il suo noto slogan "Critici si nasce, artisti si diventa e pubblico si muore", Bonito Oliva ha scolpito il suo concetto della scena dell'arte basato sulla citazione e sulla memoria riferendosi anche alla differenza linguistica tra manierismo e barocco , passibili di analogie col presente, (corsi e ricorsi della storia) usando come metafora contemporanea il disagio giovanile della bulimia-anoressia.

Se il manierismo può essere letto come una fame-bulimica nel bisogno citazionistico di differenti stili del passato, l'ottimismo barocco della controriforma può essere visualizzato come forma del vento, della leggerezza, del vuoto che s'invola nella centralità di una nuova cultura: quella mediale della tecnologia. 

Per deduzione, con la fine della Transavanguardia-bulimica, parrebbe ora attuarsi una sorta di barocchismo -anoressico.



Miriam Cristaldi

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