LETTERA G

Lorenzo Garaventa
Loredana Galante
S. Gerolamo
Genetica di un'immagine
Gualco
Mauro Ghiglione
Grondona
Guido Gelcich
Ghiglione
Alfonso Gialdini
Mario Giovino
Clearco Giuria
GIOVANELLI
Giancarlo Gelsomino
Giancarlo Gelsomino
Arte genovese
Cornelio Geranzani
Loredana Galante
Garozzo
Grondona
Gimmi
FONDAZIONE GIULIANI
S. Gerolamo

Lorenzo Garaventa

Il novecento se l'è portato via, non ce l'ha fatta a vedere l'alba del duemila: Lorenzo Garaventa è scomparso il 3O dicembre a 86 anni, in punta di piedi lasciandoci in trepida attesa per la seconda statua, quella del doge Giò Andrea Doria che andrà a far coppia con l'altra di Andrea Doria, appena inaugurata in piazza S. Matteo.

Garaventa era intervenuto nella coppia di sculture con opera di completamento, mancavano le teste e frammenti di gambe e braccia, e questa risulta l'ultima fatica che ha impegnato lo scultore fino alla fine. Se n'è andato senza fare rumore, com'era il suo stile , lasciando a tutti una lezione di vita, una vita che aveva dedicato completamente all'arte.

Nato a Genova nel '13 era stato allievo del noto scultore Eugenio Baroni, aveva frequentato l'accademia di Genova e quella di Firenze.

Persona colta e letterariamente preparata vantava amicizie di rilievo come quelle del pittore Rosai, dello scrittore Papini e di Primo Conti.

Aveva avuto grandi riconoscimenti con gli inviti alle biennali di Venezia del '48, '50, '54 e alle quadriennali di Roma del '48 e '52.

Apprezzato come uno tra i più grandi scultori italiani di questo secolo, l'artista aveva insegnato a una marea di giovani, sia come insegnante del liceo artistico Barabino che dell'accademia Ligustica.

Il suo retroterra culturale affondava le radici soprattutto nella classicità romana (in questo senso era vicino all'amico Alfieri, anch'egli scomparso qualche anno fa) e gotica, nell'espressionismo e nel cubismo.

Tuttavia queste "scuole" si trasformavano nella sua espressività in capisaldi teorici e tecnici. Infatti egli utilizzava con estrema libertà - interiore ed esteriore - questi presupposti per costruire un suo linguaggio che cambiava a seconda di ciò che nel momento in cui fondeva o scolpiva aveva urgenza di esprimere.

Nella spasmodica ricerca di una "realtà assoluta" l'artista si serviva di piani cubisti che nella loro forma sintetica esaltavano volumi a scapito di rese naturalistiche.

Da qui nasceva un gioco di fughe prospettiche (studiate attraverso la scultura gotica) che idealmente tracciavano un'intersezione di piani entro cui si spalancavano vuoti alternati a pieni con evidenti in alcuni esiti i richiami a Moore.

Le forme si collegavano tra loro con molta naturalezza raggiungendo a volte risultati organici, altre più spiritualistici, in cui ogni parte risultava coerente col tutto.

Il suo linguaggio personalissimo era teso a scavare a fatica la materia informe del marmo bianco per far emergere figure che nella loro complessità raggiungevano un equilibrio di classica perfezione.

Un'opera a cui era molto affezionato era la "Niobe" degli anni '8O resa con una particolare geometrizzazione che faceva uso della sezione aurea.

Era estremamente valido nella ritrattistica: l'ultimo suo busto scolpito è stato quello somigliantissimo e solenne del cardinale Siri, nell'atrio dell'ospedale Galliera , commissionato dall'amministrazione dell' Ente e dall'ordine dei Cavalieri del S. Sepolcro.

Oggi Genova lo rimpiange.


Loredana Galante
"Percorsi paralleli e in crociati. Undici artisti del Premio d'Arte Duchessa di Galliera" è il titolo della mostra inaugurata presso il museo di Villa Croce , che presenta le opere di giovani, sotto i 35 anni, col vincitore Roberto Merani e gli artisti selezionati Alessandro Bruno, Patrizia Buldrini, Lino Di Vinci, Loredana Galante, Marcello Mogni, Federico Palerma, Stefano Sommariva, Renza Tarantino, Luca Tardito, Alberto Valgimigli. 

La giuria è composta da Marzia Gallo Cataldi, Guido Giubbini, Franco Sborgi, Raimondo Sirotti, Sandra Solimano, e quest'ultima ne è anche la curatrice. Corredano il bel catalogo a colori testi scritti di Matteo Bianchi, Marco Goldin, Laura Safred, Angela Tecce.

Questa manifestazione, lodevole per le proposte di giovani, nasce all'insegna della polemica, tant'è che alcuni artisti selezionati hanno dato forfait e si sono auto esclusi dal Premio, in segno di protesta riguardo la conduzione della mostra.

Infatti, Franco Arena, Antonella Spalluto, Sabrina Boidi e Stefano Patrone, tutti selezionati, hanno poi rinunciato alla loro presenza e sono stati sostituiti da altri quattro.

Se Patrone sintetizza in catalogo la sua opinione quando spiega: "La decisione è stata presa dopo aver valutato e confrontato il mio lavoro con quello pittorico degli artisti partecipanti...", Arena adduce motivazioni diverse riguardo a divergenti punti di vista nei confronti dell'organizzazione.

Emerge il desiderio che le mostre organizzate dai rappresentanti di Villa Croce, della facoltà universitaria di Arte contemporanea, dell'Accademia Ligustica e dell'assessorato alle Politiche giovanili siano propositive con artisti a rotazione evitando le presenze fisse.

Nella mostra attualmente allestita a palazzo Ducale "Arti Visive 2" ( concorso nazionale che ha selezionato giovani under 35), non troviamo nessuna presenza del Premio Duchessa di Galliera, se non l'auto escluso Franco Arena.

Nei "Percorsi paralleli e incrociati" di Villa Croce, si evidenzia la bravura pittorica e installativa di Renza Tarantino (appartiene al gruppo ME.TA.ME) : grandi formati e strisce di pittura incastonate da sbarre metalliche esprimono una forte energia cosmica che rende l'universo molecolare proiezione di sentimenti ed emozioni intime, ribollenti di indomita grinta.

Se la quasi totalità delle opere abbraccia l'ambito della pittura non priva di qualità, a volte arricchita da collage, interventi fotografici, graffitismi ecc., come in qualche modo l'opera di Merani - dignitosa e vicina ad esperienze pittoriche giacomettiane e a certa pittura lombarda di Ossola - alla più giovane Loredana Galante (28 anni) spetta la scelta di un cammino diverso, ancora acerbo ma promettente, seguendo la lezione di Duchamp. L'oggetto è il luogo dell'evento e l'abitare uno spazio altro può conferire nuove identità: scarti di frammenti industriali sono catalogati in "vetrine" in funzione di altre categorie visive percepite dall'osservatore. Piccole gabbie argentee vuote, se si esclude la presenza di micro-oggetti, sembrano proporsi come misteriose casse armoniche, diffondenti musiche arcane...

Miriam Cristaldi
S. Gerolamo

Nell'originale presepe della chiesa genovese di N. S. delle Grazie e S. Gerolamo di Castelletto, ricostruito totalmente lo scorso anno in sostituzione di quello precedente andato bruciato, sono state oggi aggiunte alcune "figurine" capaci di animare e arricchire di suggestivi effetti esotici i luoghi della Natività.

Giuliana Poggi e Diana Aronni, le autrici di questo essenziale ed esclusivo presepe a quattro mani, su caloroso invito del parroco Don Marino, hanno realizzato singolari figurine in terracotta (la prima) ed efficaci elementi architettonici e scenografici (la seconda) svincolati dalle abituali casette in sughero circondate da muschio e da figurine in pose tradizionali, creando invece personaggi simbolici con atteggiamenti inconsueti ( ma carichi di significati) abitanti paesaggi cangianti nella luce del giorno alternata a quella della notte.

Infatti le "figure" di Giuliana Poggi, scolpite con forte senso plastico - vicine per certi versi a soluzioni giottesche secondo cui gesti essenziali pietrificati nella materia del cotto riescono ad imprimere cadenze e solennità alle forme - vivono nello spazio permeate dalla luce che scivola sui larghi piani di una composizione serrata.

Così come avviene ad esempio per l'immagine della Vergine rappresentata da una ragazza ebraica, seduta su di una pietra, che torce lentamente il busto compatto verso il bimbo ( che si succhia il dito) nel giaciglio di paglia, a terra.

Anche gli intrecci di sguardi tra personaggi, posti frontalmente e raffigurati con atteggiamenti inusuali, concorrono a suggerire stati d'animo profondi, legati certamente al senso delle scritture evangeliche capaci di evocare, più che a descrivere, intime emozioni e sentimenti universali.

Studi approfonditi sui costumi e sui luoghi sacri - di allora e di oggi - hanno permesso alle artiste di coordinare abiti e fisionomie corrispondenti agli usi e costumi dalle popolazioni berbere ed ebraiche di quei luoghi. Come nel caso del tuareg che affronta il deserto con il suo cammello o dei pastori che si avvicinano al Bambino e della donna al pozzo che si carica il vaso d'acqua sul capo o ancora della donna araba (dalla pelle scura) con il figlioletto in braccio che dialoga con Maria.

Particolarmente suggestivo è il corpo architettonico che fa da quinta scenografica, realizzato in cartapesta da Diana Aronni (allieva di Claudio Costa), secondo la struttura di una grande muraglia luminosa come appunto appaiono le abitazioni costruite in calce dai palestinesi.

Un presepe sicuramente da non perdere e che riesce a esprimere il mistero della Natività concentrando i gesti e le strutture in forme assolute ove niente cede alla decorazione ma tutto è finalizzato alla sintesi estrema: questo per ottenere il massimo degli effetti.




Genetica di un'immagine

Con la mostra "Genetica di un'immagine" a cura di Margherita Levo Rosenberg, presentata al Museattivo Claudio Costa e organizzata dall'Istituto delle Materie e Forme Inconsapevoli, l'artista Riri Negri ripropone, dopo vent'anni, un grande dipinto (metri 5 x 2) che aveva realizzato nell''88 per gli spazi ospedalieri di Quarto. 

Si tratta di un' unica , imponente immagine in bianco e nero i cui confini sembrano infiniti: pare cogliervi l'universo cosmico composto da galassie, scie luminose, corpi celesti, strutture gassose, voragini spiraliformi; un ambiente concreto ma al contempo una realtà intangibile, una sorta di geografia della mente capace di plasmare un mondo personale, non ancora esplorato, dove immagini simulate forniscono energia , spazio per crescere, catarsi per la liberazione totale.

Nell'iperrealtà nasce l'immaginazione che richiede la cosa vera e per ottenerla bisogna fabbricare il falso assoluto: in questo senso Riri Negri dialoga col falso . Il suo lavoro, dipinto a spruzzo con la vernice nera al nitro, è la simulazione perfetta di una resa fotografica (in bianco e nero) di un probabile cosmo. Un linguaggio, questo, attuato in sottrazione: l'intensità dello sfumato si ottiene cancellando, con gomma abrasiva, le zone scure degradando successivamente dall'ombra alla luce.

Umberto Eco ha scritto"L'irrealtà assoluta è offerta come una "presenza vera.": in questo caso l'artista simula la tecnica fotografica accentuando gli effetti del medium facendo interagire la luce con l'ombra, proprio come avviene sulla lastra fotografica quando rimane impressionata. 

Risulta così un tentativo di fedele realismo nel full- immersion della fantasia.

Nasce un immaginario denso di pittoricismo che permette l'estrinsecarsi di profonde emozioni e di gesti liberatori, nei ritmi vertiginosi di una corsa in orbita.

E i corpi celesti della Negri si nutrono di sensorialità ; gli spazi attraversati da lame di luce acquistano diffuse attrazioni polari mentre il realismo supremo dell'iconografia germina mondi virtuali nella complessità del villaggio globale.



Miriam Cristaldi


Gualco

"L'Extra-vaganza e il rito" è il titolo della mostra con cui Caterina Gualco, a suo tempo compagna di Claudio Costa, festeggia nello spazio di via Bixio 2 (fino al 24 novembre) i suoi trent'anni di attività galleristica, calcando in questo lungo arco di tempo la scena artistica contemporanea con intelligenza e spirito innovativo, sovente rivolto alla sperimentazione. Ha richiamato a Genova presenze di artisti nazionali e internazionali che altrimenti non si sarebbero potuti conoscere, come Ben Vautier, Daniel Spoerry, Alik Cavaliere, Philip Corner...

Nel corso del trentennale lavoro la gallerista ha dettato gusti e alimentato una nutrita schiera di fedelissimi collezionisti; ha inoltre rivolto l'attenzione a molti artisti genovesi tra cui Colombara, Merello, Porcelli, Fantin, Ruggeri, sostenendoli con varie personali.

Questa extra-vagante mostra si basa sull'originale quanto rituale esposizione di "scatole-ritratti" creati ed espressamente pensati come doni-omaggio, a lei dedicati, da artisti con cui vi sono stati contatti di lavoro o di semplice amicizia. L'esposizione è inoltre corredata di un numero del periodico d'arte contemporanea "Non capovolgere" (edito Giuseppina Salvagni) interamente dedicato alla Gualco con testo esaustivo di Sandro Ricaldone.

Certo, il ritratto fin dagli etruschi ha sempre coinvolto l'ambito dell'artisticità come espressione di un'identità da fissare nella storia quale memoria indelebile, oggi da intendere più tecnicamente come icona digitalizzata da depositare in banca-dati.

Qui, nella doppia combinazione di scatola-ritratto, il contenitore riesce a farsi luogo dell'evento, reliquiario di essenze estrapolate dall'ostensiva società dell'apparire, rielaboratore di fantastiche immagini con citazioni del passato.

Si distinguono, tra gli altri, il lavoro di Claudio Costa (iniziatore della serie) intitolato "Fortuna maior" composto da cristalli di solfato di rame affogati nella cera; e ancora, di Joseph Beuys, Ben Vautier, Allan Kaprow, Berty Skuber, Ben Patterson, Ugo Carrega, George Brecht, Takako Saito, John Taylor, Aurelio Caminati, Plinio Mesciulam, Vittoria Gualco.



Miriam Cristaldi
Mauro Ghiglione

Con la mostra "Progetto di strumento musicale" realizzata allo Spaziodellavolta negli anni '90, si è creato un gruppo di artisti che in seguito hanno lavorato sul tema musicale come atto evocativo di strumenti e suoni immaginari, slegato da funzioni specifiche dello strumento stesso per risolversi più propriamente nell'ambito dell'arte visiva. Oggi, nello stesso spazio, con "L'idea del suono" (piazza Cattaneo (26/3, fino a metà giugno) sono esposte opere che si riferiscono a concetti musicali attraverso immagini in assoluta libertà.

I violini di Fernando Andolcetti, materializzati con carta di spartito musicale, pare esprimano una delicatissima armonia generata da impercettibile fruscìo di pagine aperte, armonia sempre presente nel lavoro di questo autore.

I poetici oggetti-strumento di Sergio Borrini nel momento in cui richiamano il suono lo rifiutano: se le corde smollate sono impossibilitate a suonare la fantasia compositiva del lavoro riesce ad esprimersi come intima , interiore musicalità dell'anima.

Cosimo Cimino produce un cortocircuito tra immagine e suo significato: quando il martello vuole produrre suono pressando del materiale, questo ironicamente non può "suonare" perché composto da silenziosi elementi cartacei.

Anche gli strumenti di Piergiorgio Colombara idealizzano il concetto di suono che nell'opera viene negato: le trombe sono coinvolte in arabeschi simmetrici e perdono la loro funzionalità diventando eleganti oggetti "senza ombra di uno squillo".

I tronchi di cono capovolti di Mauro Ghiglione evocanti strumenti a fiato traducono la musicalità intrinseca nella virtualità di forme primarie come il cerchio e la croce, capaci di suscitare arcaiche simbologie cosmiche.

Vittoria Gualco, con aeree e trasparenti forme in plexiglas, vetro e cristallo riesce a suggerire il concetto di una melodia dello spirito dove la materia si trasforma in algida luce.

Con Mauro Manfredi tubi in plastica trasparente, a guisa di sonde, sembrano indagare nell'interiorità dell'essere facendo risuonare le "parole" racchiuse in essi.

Nadia Nava attraverso disegni iperrealisti descrive immagini di spartito sfogliate da mani di persona nell'atto di leggere: una misteriosa armonia sembra sciogliersi dalle pagine e invadere lo spazio.

Fori di chitarra dipinti a spruzzo da Riri Negri evocano questo strumento nel rigore del bianco e del nero: pittoricismo ricco di vibrazioni e fasci di luce astrali.

Berty Skuber attraverso navette in legno di telai a mano riesce a codificare nuovi oggetti-strumento capaci di effondere magici suoni attraverso la presenza di efficienti corde musicali.

Miriam Cristaldi


Grondona

Pitto-Scultura rovesciata all'interno"



I lavori che Stefano Grondona espone al Museattivo Claudio Costa, fino al 3 maggio (accanto all'esposizione fotografica nel chiostro di S Maria di Castello, fino al 3 maggio), in concomitanza con la mostra di Palazzo Ducale "Figure dell'anima" , sono stati realizzati negli ultimi due anni e fanno parte di un nuovo ciclo intitolato "Attuali dichiarazioni dell'essere". 

Infatti, per l'artista non è importante creare nuove situazioni, ma organizzare la narrazione di una realtà in trasformazione, oggi particolarmente aggressiva e in crisi nei suoi modelli referenziali.

Per questo il suo immaginario allude a una pratica della violenza espressa nelle soluzioni formali di figure appuntite , spesso fornite di artigli, e nella scelta di personaggi-mostri come Frankenstain o maschere demoniache, cercando di operare un riscatto al dolore dell'umanità attraverso tecniche di straniamento. 

In questo senso la freddezza del taglio sostituisce l'enfasi del gesto, una piatta stesura cromatica evita espressioni emozionali: si sviluppa così un racconto sollecitato dalle provocazioni dell'ambiente urbano e dalle elaborazioni fantastiche che l'artista riesce a sviluppare volgendo lo sguardo al mondo del cinema, dei videogames , della letteratura, della fotografia e del fumetto.

La passione per l'abilità artigianale lo porta ad utilizzare fogli di cartone dipinto entro cui ritaglia immagini che fanno riferimento alla civiltà contemporanea secondo una concezione scenografica dello spazio.

Grondona attraverso un linguaggio inusuale ed inconfondibile stratifica, uno sull'altro, una decina di cartoni secondo un montaggio che può ricordare le celebri "fette" di legno dello sculture Mario Ceroli ; ma qui il procedimento è rovesciato. 

Le sagome dipinte e ritagliate di Grondona partono dal fondo ed avanzano verso lo spettatore creando uno spessore volumetrico entro cui il vuoto dell'intaglio "scolpisce" all'interno la figura. In questo caso l'assenza costruisce la presenza , la profondità è sinonimo di rilievo, le silhouettes si connotano tridimensionalmente e il cartone dipinto realizza l'idea.

Inoltre lo spostamento del fruitore attorno all'opera crea punti di vista differenti: nasce un movimento di ombre capace di destrutturare l'immagine e rinnovare stimolanti letture in cui il buio scavato dai vuoti interni diventa vibratile percezione tattile-visiva.



Miriam Cristaldi 
Guido Gelcich

Guido Gelcich, allievo di Kokoscka, goriziano d’origine, ma abitante a Genova, si esprime con il linguaggio canonico della pittura (in questo caso ad olio) per descrivere un’umanità ingigantita nelle sue forme corporali, plasticamente intese.Le figure che egli definisce hanno il capo rimpicciolito (sovente senza connotazioni, anonimo), come allontanato in distanti atmosfere, mentre il dorso, ma soprattutto le gambe e le braccia, s’ingrossano a dismisura secondo una concezione prospettica di ravvicinamento che li risucchia in primo piano.

Nascono allora questi personaggi titanici, vicini a certe deformazioni sironiane o a quelle di Permeke, articolati nello spazio secondo ritmi classicheggianti, occupandolo totalmente in una specie di horror vacui.

Allo stesso tempo le forme sono sintetizzate in moduli geometrici così da avvicinarsi alla lezione cezanniana ove tutto si riassume in cilindro, sfera, cono per definire un’umanità dolente attraverso tonalità calde, ottenute da una felice sapienza pittorica. La mostra , a cura di Giannina Scorza, è in esposizione alla galleria Satura (piazza Stella 5, fino al 20 marzo).

Sempre da Satura, nello spazio del Porticato espone Chiara Lombardo, presentata da Germano Beringheli. La pittrice stende sulla tela un’amalgama di sabbia, gesso, calce e collante con cui ottiene una superficie materica che, nella fase di essiccazione dà origine a crepe, screpolature, tracce. Su questo supporto grumoso, di carattere musivo, sono depositati pigmenti cromatici capaci di creare composizioni oscillanti tra figura e astrazione.

Attorno ad un orizzonte irregolare, sempre presente, si compongono libere geometrie.

Originale è la proiezione ingrandita di un particolare su un altro pannello, più piccolo, posto davanti al corrispettivo quadro secondo un’operazione concettuale che avvia un complesso quanto intelligente gioco d’echi e di rimandi.

Lorenzo Penco, nello spazio del Pozzo di Satura, presenta i suoi “pittograffiti” composti dall’esecuzione pittorica di un variegato alfabeto capace di richiamare quelli antichi e i graffitismi metropolitani d’oggi, riferendosi anche alle simbologie alchemiche e alle scienze matematiche.

Il suo lavoro può allora essere letto come richiamo ad un’arcaica sapienza perduta e contemporaneamente può trovare linfa vitale nella cultura mediatica dei software televisivi dove forme semplificate di disegni infantili e fumetti vengono rielaborate in raffinate immagini sintetiche.

Miriam Cristaldi

 


Ghiglione
Video-immagini primordiali di Mauro Ghiglione





Se le artiste internazionali Mariko Mori e Pipilotti Rist potenziano inverosimilmente l’uso mediatico dell’elettronica quasi come enfatizzante e rispondente adesione all’era tecnologica, al contrario, l’italiana Grazia Toderi e in particolare il genovese Mauro Ghiglione, ne prendono le debite distanze. Attuano in pratica un allontanamento dai mezzi tecnologici, quasi uno straniamento dalle capacità macchiniche attraverso l’uso ridotto, rallentato o fermo delle immagini video.

Questo per evitare pesanti dipendenze e avviare un processo di superamento di tali mezzi, operando al loro stesso interno.

Addirittura Ghiglione sembra rivolgersi alle immagini primordiali tipiche degli storici film-Luce, quasi a codificarne la memoria storica e recuperare attraverso la telecamera quelle sequenze estremamente rallentate di fotogrammi in bianco e nero.

Ciò è possibile verificare nel video-lavoro “My heart, my shoes”, in esposizione al teatro della Corte Lambruschini, composto di un doppio pannello su cui vi si proiettano due filmati aventi lo stesso soggetto, ma con immagini, frequenze e tempi differenti.

Il giovane artista - che ha potuto crescere con me e Claudio Costa nella comune esperienza artistica della “Casa virtuale dell’opera” (’95, galleria Rotta e appartamenti privati, Genova), protratta in seguito con le mostre-evento “Mille anni dopo” (’96, Torre degli Embriaci, Genova) e “Trasfigura” (’98, galleria Dialoghi, Biella), supportate da relativi cataloghi da me curati – cerca infatti di condurre l’attenzione sull’esclusiva immagine di un uomo. Ripreso di fronte e di dietro che scende le scale all’infinito (sequenza reiterata) seguendo i ritmi del battito cardiaco dell’autore (Gilardi insegna).

Uno specchio sottostante riflette la scena, rimandando all’immagine speculare della salita.

Ogni allusione al paesaggio è vanificata dalla linearità della scala con la sola funzione di scansione spaziale, mentre la persona è posta al centro nell’atto d’inchiodare lo sguardo all’anima.

Allora pare qui cogliere, attraverso la metafora dell’uomo che scende (o sale) le scale - già affrontata da altri artisti tra cui Duchamp - la chiara simbologia del “passaggio” come emblematico spostamento da un piano all’altro, da un livello all’altro; ovvero da una dimensione terrestre a quella spirituale, in cui gli opposti possono integrarsi nella totalità della persona.



Miriam Cristaldi








Alfonso Gialdini

La scultura di Alfonso Gialdini si sviluppa attorno a un nucleo centrale ed è sovente concepita come composizione di piani che si espandono nello spazio.

Un nucleo da intendere come concentrato di forze che premono verso l’esterno e che spingono la materia a dilatarsi in superficie, come lo “smallarsi” della noce, per comunicare con l’ambiente circostante.

E lo “zoccolo duro” della materia scultorea, la pietra, riesce così a subire trasformazioni subliminali capaci di virtualizzare la sostanza stessa per arricchirla d’ulteriori significati.

La pietra, infatti, rappresenta per lo scultore ciò che questo simbolo effettivamente nasconde e al contempo ri-vela: il senso d’indistruttibilità e di coesione. Dunque convincente richiamo all’eternità attraverso la sua durata illimitata, pari alla struttura rocciosa su cui si fonda l’universo.

Ma anche come principio maschile nella condizione di elemento fallico proiettato verso l’alto e, al contempo, principio femminile nella specificità di corpo sgrossato dallo scalpello.

L’opera dello scultore Gialdini si basa infatti su qualità ossimoriche che la fanno vivere e la nutrono di polarità opposte: se la materia denuncia un’evidente possanza in virtù del suo peso specifico, al contrario la tattilità morbida e scivolosa della sua superficie conferisce alla percezione visiva un senso etereo di leggerezza. E ancora: alla densità corposa del blocco petrigno corrisponde la levigatezza dei piani formali che, inondati di luce, riescono a creare vellutati effetti di diafane trasparenze.La staticità del blocco si trasforma allora in mobilità luministica mentre la fisicità della pietra, virtualmente, pare acquisire aspetti di liquidità.

Anche il linguaggio artistico subisce continue oscillazioni: nel lavoro dello scultore si possono infatti cogliere espressioni figurali capaci di convivere con soluzioni astratte. Qui, accenni di corpi umani vengono assorbiti da gonfiori della materia come se essa fosse spinta da un’energia endogena in forte espansione.

Una scultura, quella di Gialdini, che per certe soluzioni può ricordare Viani o Brancusi ma che, per altre, si stacca completamente in modo da suggerire valori mutevoli così da identificarsi con la complessità del vivere odierno.



Miriam Cristaldi

Sotto indicazione del preside, prof . Massimo Angelini, è stato installato
nella scuola tecnica I.P.S.I.A. Meucci, a Genova, un grande tornio da metallo dellaprima metà del secolo scorso.
E’ questo, uno splendido pezzo di archeologia industriale di colore nero (inforte risalto con la parete bianca retrostante), installato nel luminosoatrio della scuola con tale maestria da apparire, a prima vista, unascultura antropomorfica di Jean Tinguely.
Infatti, le sue lunghe, nere, cinghie di trasmissione - montate su un unico
albero con pulegge e comandate dal motore –che avevano il compito di farfunzionare anche un trapano a colonna- permettevano di costruire viti, bulloni e, in genere,pezzi meccanici a forma cilindrica.
Ma questo tornio, estrapolato dal suo contesto originario, (qui accostato aduno più piccolo) acquisisce nell’ampio e nudo spazio della scuola un’auraquasi sacrale. Pare quasi che le forme meccaniche, pensate - secondo la lorofunzione - in movimento (come nel lavoro del grande artista francese sopracitato), possano evocare fantastici dinosauri della preistoria.
Ed è per questo e in questo senso che l’opera scultorea di Alfonso Gialdini,intitolata “Gondrano”(nome del cavallo della “Fattoria degli animali”, di Orwell, che desiderava un mondo migliore e più giusto), s’incastraperfettamente nell’installazione archeologica attraverso un’ombrosa e mobiletesta di cavallo (scolpita in pietra nera) entro cui prendono corpo richiamia possibili frammenti industriali.
Secondo un forte abbraccio tra natura e cultura.
Nasce allora una scultura in piena armonia col tutto e perciò in grado diconnotare l’intera installazione della qualità dell’arte.
Alfonso Gialdini ha appena curato la mostra di archeologia industriale
intitolata “Industria, creatività, memoria” esposta nella sala mostre dellaBiblioteca Berio.
E’ anche maestro di scultura all’interno dell’ex ospedale psichiatrico di
Genova-Quarto e fa parte del direttivo dell’I.M.F.I. (Istituto delle
Materie e Forme Inconsapevoli) fondato dall’artista Claudio Costa ,
scomparso nel ’95.
Artista con cui Gialdini ha lavorato in un clima di collaborazione e
amicizia.


Miriam Cristaldi 

Sito gialdini
Progetto fontana di ALFONSO GIALDINI


“Uomo e donna” è il tema ricorrente nel lavoro di Alfonso Gialdini, scultore
di un immaginifico universo archetipale che trova corrispondenza e sintonia
nell’organicità della natura.
Sovente le sue sculture vogliono recuperare la primordiale unità dell’uomo
sia in qualità di meraviglia del creato che nella capacità ri-generatrice di
ulteriori vite nella fertilità della procreazione.
Proprio come si evidenzia nel progetto per una fontana circolare (cm. 350 di
diametro) entro cui si circoscrive un blocco unico modellato armonicamente
secondo la composizione, appena leggibile, di una allungata forma femminile
coricata accanto a quella maschile, distesa in senso opposto.
Vicino alla sensibilità di Henry Moore e ad una certa astrazione
surrealista, Gialdini struttura nella materia del cotto mobili corpi
sfuggenti, arrotondati (completamente evitate le spigolature) e scivolosi
nella loro duttilità compositiva tanto da apparire come morbida superficie
sussultoria oscillante tra gibbosità e avallamenti, là dove si
materializzano corpi umani e si stratificano ombre (nelle cavità).
Le figure umane creano ritmi nello spazio secondo musicalità dolci e
sincopate.
Alla sommità delle varie altezze formali fuoriescono rivoli d’acqua che
lambiscono solo parzialmente la scultura dando origine a speciali effetti
luministici e a vibratilità tattili.
Quasi come se la materia proliferasse in acqua sorgiva con cui si compenetra
e se ne avvolge in un delicato quanto immediato significato simbolico di
purificazione e rigenerazione.
Una fontana lontana dai progetti canonici degli zampilli.
Piuttosto una innovativa visione che privilegia un sentire sommesso e
profondo dove lo sgorgare silenzioso di un’acqua invasiva e carezzevole può
invitare lo spettatore ad un’intima comunicazione nel sottile gioco
organico-inorganico che la scultura propone.

Miriam Cristaldi 




Alfonso M.Gialdini.

Nasce a Genova il 6-9-1948.

A 25 anni si laurea in ingegneria elettronica,poi si iscrive al 4° anno della facolta’ di matematica.Dichiarato dal consiglio di facolta’ di Ingegneria “Studioso della materia Plasmi”riceve l’incarico di addetto alla esercitazioni su questa disciplina:elabora diverse pubblicazioni(Studi di modelli matematici per il plasma,Modelli matematici di dielettrico,Applicazioni delle microonde nella cura dei tumori,Scariche ad alta frequenza in Argon ecc.).Nello stesso periodo conosce la futura moglie che lo aiuta nel riscoprire le sue innate doti di creativita’ e manualita’,applicandole istintivamente alla scultura, prima su legno,poi su materiale duro( pietra ed in parallelo a quest’ultima su comglomerato costituito da: cementi speciali/bronzo/pietra ).

Si sposa e sceglie definitivamente l’attivita’ di docente di elettronica/telecomunicazioni negli istituti superiori(preferendo il contatto umano all’isolamento della ricerca).Dal 1974 rende sempre piu’consapevole ed attiva la sua produzione di scultore ,aprendo un laboratorio e partecipando a concorsi regionali e nazionali in cui si classifica al primo posto.Partecipa inoltre a numerose mostre collettive a Genova,Savona,Modena, Cagliari e Finlandia(musei di stato su selezione della direzione museale).Nel 1993 conosce Claudio Costa: appassionatosi allo studio del rapporto arte/malattia mentale,dal 1995 inizia a condurre corsi di scultura(in funzione di arte-terapia)presso gli atelier di Ge-Quarto con la psichiatra –artista Margherita Levo Roemberg.A supporto teorico di tale esperienza ,che prosegue a tutt’oggi,pubblica “Considerazioni sulla scultura”(1998) ed “Approfondimento di considerazioni sulla scultura:sulla frustrazione”(2000) su Psychomedia e “Puntualizzazioni e sintesi di considerazioni sulla scultura”(2001)su “La via del sale “(rivista di aggiornamento della ausl3 genovese).Nel 2000 inizia la collaborazione con la giornalista /critico d’arte Miriam Cristaldi nell’ambito del riordino del Museo Attivo Claudio Costa –Giardino delle Sculture(Ge-Quarto).



Riferimenti principali :

“Repertorio illustrato di artisti liguri” a cura di Germano Beringheli,ed. De Ferrari (1995)

C-D rom “Gli artisti liguri” a cura di Germano Beringheli,ed.De Ferrari (1998)

“Dizionario degli artisti liguri” a cura di Germano Beringheli,ed.De Ferrari (2001)

“Per via di levare” di Luca Trabucco:Psychomedia ;La via del Sale(1997)

“Un giardino di sculture per il centro Basaglia”di Margherita Levo Roemberg:Psychomedia;La via del sale(2000)

“Il fare Artistico “Tesi di Laurea di Roberta Agostini presso Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova;anno accademico 1998/1999



Opere in esposizione permanente:

Aula Magna I.T.I.S. G.Giorgi(Ge)—-Atrio I.P.S.I.A. Meucci(Ge)—-Giardino delle Sculture(Ge-Quarto)—-Museo Attivo Claudio Costa (Ge-Quarto)---Framura/giardino municipale(Ge)---Celle Ligure(Sv),lungomare,atrio municipale,sala attesa sindaco---Nuova sede Sindacato C.G.I.L.(Ge-Cornigliano)---Quadreria C.G.I.L.(Ge-Cornigliano)---Istituto Ligure Storia della Resistenza(Ge,in fase di acquisizione).



Interazioni col pubblico:

Coordinatore ed ideatore progetto “Libere dune d’occupazione” su incarico ass.Cultura di Genova(1997)

Estensore “progetto Dolmen” su incarico Giunta comunale di Celle Ligure(Sv)1998

Ideatore e realizzatore del”Giardino delle Sculture( Ge-Quarto, presso Museo Attivo Claudio Costa)

Curatore Mostra/Conferenza /Seminario “Interferenze”:Industria,Creativita’,Memoria Ass.Cultura Comune di Genova /Biblioteca Berio(2002)

Curatore e Responsabile di “Sconfinamento”mostra permanente presso ex Ospedale Psichiatrico di Ge-Quarto.

Responsabile e costruttore del sito Internet I.M.F.I.-Museo Attivo Claudio Costa

Responsabile e costruttore del sito Internet Artisti C.G.I.L.-Associazione Presenze 2000(linkato al sito regionale C.G.I.L. Liguria)



Indirizzo :c.so Montegrappa 29/7(Ge)—tel.010/888682,laboratorio:cso Montegrappa 80r

e-mail:[email protected] oppure [email protected]—sito internet:http://digilander.iol.it/dagarossa



Mario Giovino


Ad una prima impressione, la pittura astratta di Mario Giovino (Milano ‘58) – in mostra da “Satura” con “Corrispondenze arbitrarie”, a cura di Andrea Beolchi – richiama visibilmente la storia dell’arte del secolo scorso, specialmente Kandinsky, Klee, Picasso, Capogrossi, Vedova…ma l’evocazione sa arricchirsi di nuovi orizzonti fatti di sguardi contemporanei. Infatti, su di un leggero, quasi volatile supporto cartaceo, l’artista dissemina concettualmente, con rigore e ordine logico, segni, forme, colori, in modo che nascano tra loro identità di rapporti. In questo senso: la forma diventa campo entro cui il segno prende vita e sostanza, mentre il colore sottolinea ed accompagna l’intensità del gesto.

Nasce allora una forte connessione tra gli elementi cosicché ognuno prende corpo e ragione di esistere in funzione della loro inscindibile correlazione.

La drammaticità, la violenza gestuale, il debordare della materia, tipici del recente passato, lasciano qui spazio a una visione più serena e mentale che coordina sentimenti e irrazionalità in una dimensione interiorizzata. Nascono allora due piani di lettura: se il primo, di carattere simbolico-naturalistico si basa sulle cromie delle terre che concorrono a sviluppare sensazioni di materialità, l’altro, più psichico, si fonda invece su di una progettualità libera e rarefatta.

Sempre a Satura (piazza Stella 1, fino al 15 aprile), Giglia Montanella presenta le installazioni “Non connesso” dove reperti scientifici, fotografie, fotomontaggi, codici cromosomici, si propongono alla lettura come elementi di denuncia e come interrogazioni di carattere etico riguardanti le scoperte attuali della biogenetica.

L’artista, che è anche laureata in scienze, dichiara a gran forza di “voler sapere”, di essere informata sulle conquiste e sulle frontiere che quotidianamente la scienza raggiunge e supera per riflettere e interagire sui destini cui l’umanità tende. Vale per tutte l’opera in cui giganteggia la pecora Dolly. Quest’immagine bucolica nasconde in realtà una bomba: il pericolo terrificante di un’umanità clonata.



Miriam Cristaldi


Clearco Giuria

"Clearco e Paolo T. - due figli di " è il titolo della mostra installata alla galleria Leonardi V - Idea (piazza Campetto 8 a, fino a metà luglio) dei due giovanissimi genovesi Clearco Giuria e Paolo Tedeschi, artisti neo concettuali che considerano l'idea come la componente principale dell'opera, capace di muovere il lavoro, tendendo a privilegiare processi analitici basati più sul concetto che non sull'oggetto.

Duchamp insegna: attraverso i suoi molteplici rimandi trova il senso della labilità delle cose secondo lo spirito dadaista, distruttore dell'arte tradizionale, giocando abilmente col non/finito che diventa in/finito (vale a dire eterno) così come non/ finita o in/finita etichetterà la sua vita facendo scolpire sulla sua tomba l'epitaffio "D'altronde sono sempre gli altri a morire".

Anche Giuria e Tedeschi s'interrogano sulla vita e sulla morte, sulle domande fondamentali con cui da sempre l'uomo s' interroga e soprattutto analizzano la condizione dell'esserci oggi in quanto artista, oscillando tra deliri di onnipotenza "... immaginavamo di restare sospesi in aria, seppure per un istante, con la grazia e l'abbandono fiducioso del tuttofare che non valuta la profondità, ma si getta ,come in un abbraccio, nella vertigine che lo accoglie e custodisce..." e sconfortante presa di coscienza dell'essere "... non più destinato al fuori che avresti voluto infinito, ma condannato al dentro , al dentro assoluto, senza riscatto se non nella ricaduta... " o ancora scrive Tedeschi all'amico "...credevamo di possedere una qualche leggerezza, non essenti, assenti, destinati si sarebbe detto per natura al volteggio inconsistente, eppure non c'è grave più vincolato al suolo di noi...".

In realtà, con questa mostra i due giovani proseguono il racconto iniziato nel giugno del '98, con l'esposizione a S. Maria di Castello intitolata "Clearco e Paolo T. stanno morendo", intendendo appunto la complessa condizione dell'artista di fine millennio, stretto tra i maestri del passato e teso verso dinamiche non ancora individuabili.

L'installazione di Giuria presenta appunto le paternità che pesano: i ritratti serigrafati di Kafka, Platone, Duchamp, ecc. occhieggiano su trance di specchio, appese, cui sul pavimento corrispondono un paio di scarpe in gesso argentate come evocazione degli illustri scomparsi. Si attua così uno spazio denso di echi e di rimandi dove l'immagine corre da un riflesso all'altro, da un senso all'altro, all'in/finito e per l'eternità... Conclude Paolo nella sua opera scritta: "Non siamo riusciti a oltrepassare la memoria che ci ha estenuati, né ho mai capito se avessimo sbagliato qualcosa, o se fossimo stati noi, invece, a estenuare la memoria. Tutto il resto non è servito a niente".



Miriam Cristaldi
GIOVANELLI

"Il romanticismo dell'ostacolo" è il titolo della cartella, composta da 50 esemplari, presentata dagli artisti A. Bove, P. Assmann, V. Vasta, R. Hammerstiel, R. Huber-Wilkoff nello spazio della galleria Leonardi V - Idea (piazza Campetto 8) e, al contempo, titolo della mostra che gli stessi hanno allestito nell' ampio ambiente.

Il gruppo, dopo tre anni di mostre, convegni e dibattiti rivolti alle problematiche della malattia mentale e a stretto contatto coi degenti psichiatrici, è riuscito con questa esposizione a trasmettere all'osservatore le esperienze accumulate nel tempo e, allo stesso modo, ha saputo cogliere le specificità delle espressioni carenti di creatività interagendo attivamente con una comunicazione del "cuore a cuore" (vedi testo di Claudio Costa sul Museo Attivo delle Materie e Forme Inconsapevoli), attraverso l'uso di differenti codici linguistici.

In questo caso, la parola "ostacolo" è riferibile al disagio psichico dove la comunicazione diventa afasica, mancante, ma che sa arricchirsi di qualità "romantiche" nel momento in cui si riesce, nel nome dell'artisticità, a superare le barriere delle incomprensioni e a cogliere nella "malattia" quei germi di libertà laddove i comportamenti si svincolano dalle norme societarie.

Paradigmatico è il disegno di Assmann dove una mano sicura, di adulto, sembra accogliere e proteggere una piccola mano indifesa di bimbo. Quasi a simulare la saggezza dell'uomo maturo che sa capire e fare propria la fragilità del debole.

Bove presenta un suo apparecchio fantastico capace di materializzare i sogni: uno di questi si visualizza nella forma autentica d'un pane integrale che assume la connotazione magica d'imbarcazione su cui campeggiano piccole "vele" elaborate con immagini di neuroni cerebrali.

Hammerstiel propone la gigantografia di una persona disabile che viene risucchiata nel vortice della pittura come elemento interattivo capace di scuotere la superficie del quadro diventando tutt'uno con l'opera.

Huber mostra un complesso quanto interessante alfabeto di segni coincidenti col regno animale: insetti e frammenti corporei si dispongono in dinamismi ritmici andando a tessere una sorta di scrittura misteriosa.

Vasta esibisce una serie di fotografie di grande formato raffiguranti il "popolo dei senza nome" (piuttosto che chiamarli matti), persone cioè cacciate dal "paradiso normale" che attendono ed esigono il "diritto alla riconoscibilità".



Miriam Cristaldi 


Giancarlo Gelsomino

Giancarlo Gelsomino (Varazze '58) è un artista genovese che, per ragioni familiari, ha sovente contatti con la terra australiana dalla quale ha assorbito una visione immaginifica del mondo, concretizzata in un linguaggio evocante in alcuni aspetti la cultura aborigena di quei luoghi.

Il lavoro dell'artista si basa sull'elemento percettivo che sa veicolare l'emozione dal piano della fisicità a quello trascendente del pensiero.

In questo senso le sue opere pitto-incise e pitto/scultoree-incise, si appercepiscono come "messaggi" necessari per la comprensione dell'universo contemporaneo, sofferente nelle crisi di trasformazioni societarie, dilaniato da conflitti etnici e carente di comunicazione umana. Messaggi in grado di sollecitare un risveglio della coscienza attraverso l'uso di "immagini-simbolo".

Nel "pozzo" del centro culturale SATURA (piazza Stella 3, fino al 31 marzo - tutti i giorni dalle 16 alle 19 escluso sabato e festivi) Gelsomino ha installato le sue opere con una precisa interazione tra la vastità degli ambienti psico-dinamici in cui sono state concepite e le caratteristiche spazio-fisiche, anguste ed ombrose, del luogo espositivo.

Si raggiungono così i tempi di una statica sacralità in virtù di un processo mediato tra pulsioni vitali e pulsioni di morte, proprio come l'intreccio tra il vuoto e il pieno dove l'ottimismo e il pessimismo convivono nella rappresentazione dialettica della vita umana.

Il materiale che l'artista usa sovente allo stato primario è il legno.

Tronchi d' albero o frammenti lignei si offrono come mezzi evolutivi della costruzione: l'incidere la forma nella materia naturale, operando in sottrazione, rappresenta una progressiva crescita dell'immagine, paradossalmente ottenuta con l'azione opposta dello scavo attraverso il "togliere", percorrendo un progressivo passaggio dal pieno al vuoto.

Si attua un'icona "in negativo", scolpita col vuoto, annidata nella fisicità di uno spazio circostante pieno. Questo stratificarsi dell'assenza ai margini della presenza, simbolicamente sembra richiamare in vita ciò che è perduto, passato, diventato memoria, mediante un semplice atto evocativo espresso dall'opera.

Mani aperte scavate nel legno, organizzate a cerchio, incrociate o elevate verso l'alto rappresentano l'icona-metafora onnipresente nei lavori dell'artista: se la mano "è il massimo utensile" per Aristotele e "quasi parla", secondo Quintiliano, nel caso di Gelsomino si fa "parola".

"Uomini posano nell'universo dei numeri, qui vi trascorrono un tempo del loro percorso. Senza capire il perché, senza capire il chi è. Sospesi, cadenti, legati devoti, colpiti, impauriti, non si stringono mai la mano... le mani sono pugni di rabbia o isolate incitazioni staccate dal resto del corpo..." scrive in poesia l'autore, sottolineando l'enorme capacità espressiva di tale parte del corpo umano.

Ma le sue mani, accanto alla pittura di edulcorati paesaggi e di scoordinati alfabeti , s' imprimono come tatuaggi di fuoco in arditi tronchi-totem, senza mai toccarsi, quasi a sottolineare l'urgenza di una comunicazione invocata ma dolorosamente negata.



Giancarlo Gelsomino



Giancarlo Gelsomino

Come espressione dell'artisticità contemporanea, Giancarlo Gelsomino (vincitore del premio "Satura - Anlaids 2000" indetto dall'associazione culturale Satura) opera multi-medialmente usando differenti linguaggi di cui ciascuno è veicolo di aspetti creativi specifici, interagenti tra loro.

Avviene quindi che simboliche "lunette" o "icone sacrali" scolpite in legno e dipinte nella maniacalità del dettaglio ( quasi una fame onnivora che divora la superficie in una sorta di horror vacui) convivano nell'ampia spazialità dell'ambiente espositivo ("Porticato" del Centro culturale Satura, piazza Stella 1, fino al 10 gennaio) con ampollosi vasi in ceramica (sempre realizzati dall'artista) e con fluide installazioni di forte impatto visivo.

La pittura si contamina quindi con la scultura e la scultura entra a tutto tondo nello spazio assumendo anche connotazioni installative.

La visione postmoderna secondo cui il mondo è spettacolo di acrobazia multicolore composto da figuralità e valori decorativi (espressioni equiparabili alle caratteristiche della tecnologia elettronica) trova qui conferma.

La "dolce conquista" (Renato Barilli) di uno spazio-tempo illimitato dove tutto ciò che avviene si deposita in banca-dati in un eterno presente si materializza in Gelsomino nell'"esplosiva" visione miniaturizzata di paesaggi da sogno con prati, giardini fioriti, torri, atti a dipingere una scintillante favola contemporanea come quella delle fiction televisive, ma con sinistri presagi: l'onnipresente silhouette di elicottero-aereo (simbolo futurista della velocità), ritagliata nel legno, si trasforma qui in "implosiva" minaccia dagli obliqui presentimenti mentre le immagini scavate nell'ombra, di mani infantili (simbolo dell'innocenza) che non si toccano mai tra loro, sembrano evocare i disagi di un'infanzia negata.

Queste "icone in negativo" scolpite nel vuoto attraverso l'operazione del "togliere" stratificano assenze ai margini di forti presenze, come nel caso delle installazioni.

Nella prima, metaforici uccellini morti, dipinti d'oro e appesi ad una ruota a soffitto, pare richiamino l'infinito ciclo secondo cui dalla vita nasce la morte e dalla morte la vita; nell'altra, da un unico tronco ligneo si dipartono due figure, maschile e femminile, che s' accoppiano in un impossibile amplesso.

Si possono allora percepire le opere di Gelsomino anche come emblematici "messaggi" necessari per la comprensione dell'universo contemporaneo, sofferente nelle crisi di trasformazioni societarie, dilaniato da conflitti etnici e carente di comprensione umana.

E cioè oggi, paradossalmente, proprio quando la comunicazione è sviluppata a livelli interplanetari la solitudine nella persona si fa più forte che mai.


Arte genovese

Villa Croce si presenta alla città con la mostra "1950-2000 Arte genovese e ligure dalle collezioni del Museo d'arte contemporanea di Villa Croce" composta da oltre 3000 opere di cui 100 esposte per 38 artisti selezionati - disposte in tutti i piani della palazzina - e corredata di catalogo (edito Silvana, Milano) a cura di Guido Giubbini e Sandra Solimano, quali direttore e vice del museo stesso.

Entrambi dichiarano che il materiale conservato "vuole essere una documentazione parziale delle collezioni per la parte relativa agli artisti e una storia dell'arte genovese e ligure della seconda metà del novecento" ricordando che tali opere sono state raccolte in 15 anni di lavoro, cioè da quando si è costituito il Museo nell'85 - da allora fino ad oggi sempre diretto dalle stesse persone - grazie all'attuazione di alcuni acquisti ma soprattutto grazie alle donazioni degli artisti o dei loro eredi.

Sistema che può andare bene, anzi la città ringrazia la generosità di tali artisti, ma che appare insufficiente laddove sono presenti (talvolta in sovrabbondanza) opere donate da artisti minori mentre mancano assolutamente alcuni nomi genovesi importanti. Alcuni esempi: Emilio Scanavino (in mostra con un quadro imprestato da un collezionista privato ed appeso nello scalone), Giannetto Fieschi (qui presente solo con un piccolo dipinto), Emilio Prini, Ugo Carrega e ancora tanti altri artisti come luigi Tola e Rodolfo Vitone, ed ancora i bravi esponenti del levante Luiso Sturla, Italo Primi, Vittorio Ugolini ecc., come pure sono assenti, tra i giovani, Formento, Sossella, Viel, Vitone junior, Arena, Ghiglione (apprezzati in campo nazionale e alcuni internazionale).Assente inoltre la collezione Cernuschi-Ghiringhelli appartenente al Museo.

Lacune ammesse dagli stessi curatori-direttori ma che impediscono comunque una serena e completa lettura di una "storia dell'arte ligure" anche se esiste la buona volontà e l'impegno per futuri acquisti.

Certo, manca la strategia degli sponsor. Nei musei americani, prima di approvare un progetto si chiede lo sponsor, e la bravura di un direttore dipende molto dalla sua capacità manageriale di trovarlo.

Poiché le risorse economiche delle aziende pubbliche risultano spesso e volentieri esigue sarebbe auspicabile che anche noi, a Genova, ci muovessimo in tal senso, per essere liberi nella scelte artistiche e nelle acquisizioni di opere.

Anche perché sembra giusto che sia il museo ad aiutare l'artista e non viceversa.

L'esposizione segue l'ordine classico cronologico e si divide in tre sezioni: anni '50-'60 rappresentati dalle ultime avanguardie con l'astrazione geometrica del MAC, attraverso pezzi esemplari di Mesciulam, l'astrattismo informale di Fasce, Cherchi, Sirotti, Chianese e l'astrazione nucleare di Allosia.

Gli anni '60-'70 iniziano con le neo-avanguardie di M. Oberto, per la sua ricerca rivolta alla "poesia visiva", dell'"arte programmatica" di Tempo 3 e dei significativi "cromemi" e "Guard rail" di Borella. La seconda decade vede, tra gli altri, le ricerche concettuali e antropologiche di Costa, le tangenze poveristiche di Dellepiane, la bravura tecnica dell'iperrealismo di Caminati. E ancora, tra gli esponenti degli anni '80, Porcelli, Carioti, Pretolani e fra i più giovani (anni '90) Galante e Merani e tanti altri artisti, ugualmente bravi, con cui mi scuso poiché non riesco a citarli per brevità di spazio.

Una mostra da vedere, anche se resta impossibile per i portatori di handicap a causa dei complessi e affastellati spazi del museo.



Miriam Cristaldi


Cornelio Geranzani

Da Rinaldo Rotta (via XX Settembre 181 r.) è in corso l'omaggio a "Cornelio Geranzani", colui che ha fatto esclamare al padre del gallerista: "Un giorno si accorgeranno di Geranzani, ma io non ci sarò più", in occasione della prima mostra postuma a lui dedicata.

Geranzani è un artista che si avvicina al Futurismo attraverso il linguaggio puntinista di Giacomo Balla, portandolo però ad una razionalizzazione estrema, quasi astratta, raggiungendo in alcuni casi esiti decorativi.

In precedenza, precisamente nel 1902, Geranzani lascia gli studi di giurisprudenza per entrare all' Accademia Ligustica e dedicarsi completamente alla pittura.

Vive il clima simbolista e divisionista di quegli anni frequentando Plinio Nomellini e arricchendo le opere d'intensa luminosità vicina agli esiti di Gaetano Previati.

Nel 1907 inizia ad esprimersi con il codice del pointillisme francese, ma trasformandolo in cifra espressiva attraverso un irrigidimento geometrico di quella tecnica.

Un linguaggio che la pubblicistica genovese di quel tempo non riesce a comprendere.

In un secondo tempo (verso il 1916), l'artista abbandona questa prassi operativa per giungere ad una figurazione più realistica nell'ambito del naturalismo, pur mantenendo costantemente i valori luministici.

Valori raggiunti coi forti contrasti di luce/ombra, mentre le forme si traducono in sintesi geometriche.

Particolarmente efficace, risolto con la tecnica divisionista, è il dipinto "Cesare al mare" ,del 1908, in cui un ragazzino d'età scolare ci guarda da uno scoglio sul mare.

Qui le forme del viso sono ritagliate da una luce accecante, mentre un cappellino di paglia ripara gli occhi con l'ombra. Il vestito giallo-sole si contrappone al blu di onde-anellari marine, sempre più assottigliate in finissime lingue che sfumano in lontananza nell'azzurro atmosferico.

Altro dipinto inteso nello splendore cromatico è "Maria" (sorella del pittore), del 1908, in cui un corpo femminile, fasciato da un vestito azzurro su colletto bianco e cappellino turchese, si staglia su fondo ovale di un blu-cobalto.

L'originalità sta nella squadrettatura della superficie pittorica in migliaia di quadratini-pointillisme capaci di tessere una finissima trama simile a certi delicati dipinti su avorio.

Straordinario è anche il "Ritratto della madre", del 1904, intesa ancora con la tecnica pittorica normale, senza divisionismi, ma così intensamente efficace nel suo proporsi in forma lievitante, da apparire come in procinto di scomparire, mediante la fugacità e mobilità pittorica di cromie ancora basate sulle gradazioni dei marroni e delle ocre.

Miriam Cristaldi





Loredana Galante

Nello spazio interattivo denominato "Contaminazione" (in vico Colalanza 12r, fino al 1O maggio), luogo inaugurato da pochi mesi e caratterizzato da capacità relazionali in grado di unificare sistema/narrazione/persona, è visibile l'installazione intitolata "Night and day , personals rooms", realizzata "a quattro mani" dalla coppia di artisti Loredana Galante (tra i vincitori del premio Duchessa di Galliera) e Lino Di Vinci - in questa occasione compagni di lavoro, oltre che di vita - a cura di Elisabetta Rota.

Loredana Galante è una giovane promettente artista che si muove nell'orbita duchampiana nel senso che intende l'oggetto (in genere materiale industriale di scarto) come luogo dell'evento e l'abitare spazi altri può conferirgli nuove identità. Ma la direzione è rovesciata: se Duchamp porta l'oggetto nel museo, l'autrice lo porta fuori dalle istituzioni, verso la gente, in spazi dove s'intrecciano rapporti preferenziali ruotanti tra autore-fruitore-ambiente.

Il giovane Lino di Vinci traccia col rullo impronte segniche su materiali plastici e metallici a volte interagenti con sistemi luministici al neon. Nascono categorie di immagini che sanno eludere la visione creando inganni percettivi: là dove si concentra il segno si materializza un'icona che a tratti si sfalda, si sottopone a fratture capaci di monitorare profondità spaziali di carattere virtuale, al limite dell'inconsistenza formale.

Il titolo di questa installazione è di per sé emblematico, "Il giorno e la notte" si danno come polarità interconnesse e inscindibili: dove l'uno inizia l'altra finisce, secondo il perpetuo alternarsi della scena universale. 

Se il primo ambiente installativo in cui ci si imbatte corrisponde alla razionalità del giorno, privo di ombre e lucido nell'affermazione delle opere mostrate , tra ordinate ed armoniche "canne d'organo" e circolari "oblò segnici" evocanti la circolarità della forma perfetta, nel l'incedere nel secondo spazio, invece, si ha l'impressione di essere colti dal mistero delle ombre. 

Nel regno della notte e del sogno, si allentano i freni inibitori e si scandagliano nello spazio emozioni, sensazioni inconsce , vapori di energie latenti, coaguli di materie oniriche.

Qui sembra cogliere l'impressione mobile di un abissale alveolo marino, percepibile nelle riflettenti volte murali rivestite di lamine plastificate blu e nel lucido pavimento ricoperto di argentee lamiere specchianti in cui segni arcuati, oggetti pseudo-scientifici, ciotole contenenti liquidi cobalto, possibili "oblò" aggettanti, concorrono a evocare l'immagine d'un involucro significante quale luogo simbolo, stigmatizzato da incessante spirito di trasformazione.

Un evento-spia rivela la presenza nell'opera di questo spirito trasformativo-rigenerante, ad esempio attraverso il processo ininterrotto di vaporizzazione e condensazione dell'acqua: ciò avviene continuativamente nei vasi-crogiuolo dove, per fenomeno naturale del calore, si distillano liquidi turchini in piccole gocce, coagulantesi nella superficie inferiore del coperchio trasparente.



Miriam Cristaldi


Galante

Nello spazio interattivo denominato "Contaminazione" (in vico Colalanza 12r, fino al 1O maggio), luogo inaugurato da pochi mesi e caratterizzato da capacità relazionali in grado di unificare sistema/narrazione/persona, è visibile l'installazione intitolata "Night and day , personals rooms", realizzata "a quattro mani" dalla coppia di artisti Loredana Galante (tra i vincitori del premio Duchessa di Galliera) e Lino Di Vinci - in questa occasione compagni di lavoro, oltre che di vita - a cura di Elisabetta Rota.

Loredana Galante è una giovane promettente artista che si muove nell'orbita duchampiana nel senso che intende l'oggetto (in genere materiale industriale di scarto) come luogo dell'evento e l'abitare spazi altri può conferirgli nuove identità. Ma la direzione è rovesciata: se Duchamp porta l'oggetto nel museo, l'autrice lo porta fuori dalle istituzioni, verso la gente, in spazi dove s'intrecciano rapporti preferenziali ruotanti tra autore-fruitore-ambiente.

Il giovane Lino di Vinci traccia col rullo impronte segniche su materiali plastici e metallici a volte interagenti con sistemi luministici al neon. Nascono categorie di immagini che sanno eludere la visione creando inganni percettivi: là dove si concentra il segno si materializza un'icona che a tratti si sfalda, si sottopone a fratture capaci di monitorare profondità spaziali di carattere virtuale, al limite dell'inconsistenza formale.

Il titolo di questa installazione è di per sé emblematico, "Il giorno e la notte" si danno come polarità interconnesse e inscindibili: dove l'uno inizia l'altra finisce, secondo il perpetuo alternarsi della scena universale. 

Se il primo ambiente installativo in cui ci si imbatte corrisponde alla razionalità del giorno, privo di ombre e lucido nell'affermazione delle opere mostrate , tra ordinate ed armoniche "canne d'organo" e circolari "oblò segnici" evocanti la circolarità della forma perfetta, nel l'incedere nel secondo spazio, invece, si ha l'impressione di essere colti dal mistero delle ombre. 

Nel regno della notte e del sogno, si allentano i freni inibitori e si scandagliano nello spazio emozioni, sensazioni inconsce , vapori di energie latenti, coaguli di materie oniriche.

Qui sembra cogliere l'impressione mobile di un abissale alveolo marino, percepibile nelle riflettenti volte murali rivestite di lamine plastificate blu e nel lucido pavimento ricoperto di argentee lamiere specchianti in cui segni arcuati, oggetti pseudo-scientifici, ciotole contenenti liquidi cobalto, possibili "oblò" aggettanti, concorrono a evocare l'immagine d'un involucro significante quale luogo simbolo, stigmatizzato da incessante spirito di trasformazione.

Un evento-spia rivela la presenza nell'opera di questo spirito trasformativo-rigenerante, ad esempio attraverso il processo ininterrotto di vaporizzazione e condensazione dell'acqua: ciò avviene continuativamente nei vasi-crogiuolo dove, per fenomeno naturale del calore, si distillano liquidi turchini in piccole gocce, coagulantesi nella superficie inferiore del coperchio trasparente.



Miriam Cristaldi

Garozzo

"Un inno alla vita vuole essere il mio lavoro", spiega Giovanni Garozzo, pittore siciliano (Catania '38) ma residente a Genova, in mostra alla galleria "Il Doge" (via Luccoli 14, fino al 20 gennaio), a cura di Giannina Scorza.

Infatti, questo apprezzato artista si abbandona oggi più che mai alla felicità del colore sentito quasi come un solfeggio musicale capace di "suonare" fughe e ritmi serrati; una pittura, la sua, che evoca le terre infuocate del sud, le brumose Langhe del Monferrato, gli ulivi argentati della Liguria, i cieli tersi d'una giornata estiva, le acque cobalto del nostro mediterraneo... Cromie luminose, quindi, intese nella loro forza timbrica, in grado di rappresentare l'energia della materia allo stato puro, quasi a voler descrivere una Natura rigenerata e brillante, imbevuta di sole dopo una giornata di pioggia.

Ma alla frenesia dei colori che concretizzano rigogliosi campi d'erba, frutti carnosi, verdeggianti fogliami, si accompagna sempre una ricerca analitica, una sintassi scientifica che mette in risalto lamiere industriali, strutture geometriche, scansioni spaziali, affondi prospettici: una salda struttura lineare atta a inglobare il fiorire di forme naturalistiche accostate a metalliche presenze tecnologiche.

I sinistri presagi d'un progresso incombente, tipici della pittura di Garozzo degli anni '80, cedono qui il passo a una rasserenata ed estetizzante visione, e queste "Petites Affiches" (simbolici micro-manifesti) riescono a suggerire "spaccati d'ambiente in cui sono narrate storie <ecologiche> che disaminano l'origine e l'essenza della vita...".

In questo senso, Giovanni Garozzo pare avvicinarsi al mitico mondo dei simboli: se la tartaruga che fuoriesce dall'uovo cosmico vuole rappresentare l'antica origine del nostro universo, l'immagine d'una muraglia in cotto può forse indicare la presenza di un blocco, di un limite oltre cui non è possibile andare, né conoscere. La figura di un bimbo appena nato potrebbe invece alludere al millennio ora iniziato e proiettarsi quindi come auspicio nello spazio curvo d'un cielo che si fonde con la terra, proprio come nella potente allegoria espressa dal gioioso dipinto <Albero della vita>.



Grondona

"Rom" è il titolo della mostra fotografica che Stefano Grondona (Genova 1952) espone alla biblioteca Berio (via del Seminario 12, fino al 15 marzo), curata da Sergio Noberini, costituita da fotografie scattate diversi anni fa, ma proposte oggi in ricorrenza del "Giorno della Memoria".

Si tratta di grandi formati, in bianco e nero, con immagini sgranate in modo da evidenziare giochi chiaroscurali e dare così corpo a un forte pittoricismo. I soggetti fotografati sono appunto gli zingari, messi in posa o colti nell'intimità familiare, accampati sulla spiaggia di Voltri in agglomerate tende e roulotte.

Da questi visi selvatici, sorridenti o in lacrime, coi capelli spettinati o raccolti in avvolgenti foulard, si possono cogliere sguardi interrogativi, occhiate taglienti, aspre ombrosità o addirittura sentimenti di stupore e meraviglia. Molto poetici alcuni scatti come quello della ragazza accovacciata sulla spiaggia mentre soffia sul fuoco o quello dei due fratellini che prendono il cibo (con le mani) dalla pentola in alluminio posata a terra.

I profili dei corpi inondati di luce si stagliano nitidi sulle gradazioni chiaroscurali dei fondi mentre luminescenze marine rendono impalpabili le vaporose spazialità.

Grondona, artista di rara sensibilità, negli anni '8O ha realizzato prospettici ambienti architettonici sconfinanti nell'illusorietà attraverso ossessivi, precisi, e reiterati ritagli cartacei. In seguito si è mosso verso figuralità stravolte in cui l'uomo vive la dolorosa scissione del sé, per poi realizzare grandi formati ove la complessità dell'essere si manifesta in sequenze di quinte scenografiche capaci di operare un riscatto alla sofferenza umana attraverso tecniche di straniamento.


Gimmi.

Nella splendida cornice dell'antica abbazia di San Nicolò del Boschetto sulle alture di Cornigliano, fondata nel 13oo dai Grimaldi e diventata in seguito cenobio per opera dei monaci Benedettini, si è inaugurata la mostra di pittura "Pensieri in libertà" (fino al 6 aprile, tutti i giorni dalle I3 alle 18,3O), organizzata dal centro cattolico d'arte LA SPIGA, composta da opere realizzate da giovani e meno giovani che hanno in comune una creatività risolta in termini figurativi.

Gli oli di Federica Fusco propongono un linguaggio consapevole e immediatamente comunicativo, capace di avvalersi di esperienze storiche morandiane o impressioniste, creando osmosi continue tra la concretezza strutturale della natura morta e lo spazio in cui essa vive. Il tempo dell'esistenza si accompagna in questo senso al tempo del vissuto: i registri freddi dei toni variano la frequenza delle proprie onde luminose in rapporto alle forme che si aprono nello spazio secondo arcuate e seducenti fattezze.

Raffaella Bisio si esprime con la tecnica della pirografia su legno per incarnare processi metamorfici condotti sulle trasformazioni della figura umana evolventesi in corpi di animali e di vegetali, processi propri di simbologie popolari e mitologiche suggerenti un metaforico abbraccio tra le infinite energie cosmiche della creazione.

Nicoletta Arcella nel passato recente indagava sulla figura umana partendo dallo studio sull'immagine fotografica riproposta in pittura: oggi l'attenzione si sposta nell'universo scientifico del microcosmo riflettendo sui rapporti cromatici e cromosomici del magmatico mondo biologico.

Tra gli artisti meno giovani si distinguono: Marcella De Ferrari per la singolare e delicatissima incisione su ardesia raffigurante fantastiche composizioni segniche capaci di accendere candidi paesaggi nel buio della materia; Dirce Bigazzi che tratta la ceramica creando un repertorio iconografico altamente simbolico dove la lucentezza degli smalti sottolineano gli stati dell'essere come la vita e la morte, la gioia e il dolore, l'infanzia e la vecchiaia, la guerra e la pace; Elsa Cebocli in grado di materializzare visionari paesaggi ad olio provocatoriamente giocati su registri cupi, richiamanti atmosfere incombenti nell'atto di risucchiare lo spazio esterno in dimensioni più propriamente intime; Giuliana Petrolini per la scelta linguistica dell'inchiostro a spruzzo con cui sa allacciare rapporti preferenziali con seducenti immagini femminili (in questo caso raffiguranti le stagioni rese nella tecnica della fotografia serigrafata) e con paesaggi liguri, liberati dal peso della gravità per dare luogo a sottili giochi di trasparenze e di leggerezza.

Altrettanto bravi gli artisti presenti: Vasco Luppi, Leonardo Caruso Rosalba Niccoli, Dario Re, Giorgio Malveni, Ivo Vassallo, Carla Costellano, Carlo Pedivella in arte Delisa, Giuseppina Mancuso e Gimmi.


FONDAZIONE GIULIANI


Galante
"Percorsi paralleli e in crociati. Undici artisti del Premio d'Arte Duchessa di Galliera" è il titolo della mostra inaugurata presso il museo di Villa Croce , che presenta le opere di giovani, sotto i 35 anni, col vincitore Roberto Merani e gli artisti selezionati Alessandro Bruno, Patrizia Buldrini, Lino Di Vinci, Loredana Galante, Marcello Mogni, Federico Palerma, Stefano Sommariva, Renza Tarantino, Luca Tardito, Alberto Valgimigli. 

La giuria è composta da Marzia Gallo Cataldi, Guido Giubbini, Franco Sborgi, Raimondo Sirotti, Sandra Solimano, e quest'ultima ne è anche la curatrice. Corredano il bel catalogo a colori testi scritti di Matteo Bianchi, Marco Goldin, Laura Safred, Angela Tecce.

Questa manifestazione, lodevole per le proposte di giovani, nasce all'insegna della polemica, tant'è che alcuni artisti selezionati hanno dato forfait e si sono auto esclusi dal Premio, in segno di protesta riguardo la conduzione della mostra.

Infatti, Franco Arena, Antonella Spalluto, Sabrina Boidi e Stefano Patrone, tutti selezionati, hanno poi rinunciato alla loro presenza e sono stati sostituiti da altri quattro.

Se Patrone sintetizza in catalogo la sua opinione quando spiega: "La decisione è stata presa dopo aver valutato e confrontato il mio lavoro con quello pittorico degli artisti partecipanti...", Arena adduce motivazioni diverse riguardo a divergenti punti di vista nei confronti dell'organizzazione.

Emerge il desiderio che le mostre organizzate dai rappresentanti di Villa Croce, della facoltà universitaria di Arte contemporanea, dell'Accademia Ligustica e dell'assessorato alle Politiche giovanili siano propositive con artisti a rotazione evitando le presenze fisse.

Nella mostra attualmente allestita a palazzo Ducale "Arti Visive 2" ( concorso nazionale che ha selezionato giovani under 35), non troviamo nessuna presenza del Premio Duchessa di Galliera, se non l'auto escluso Franco Arena.

Nei "Percorsi paralleli e incrociati" di Villa Croce, si evidenzia la bravura pittorica e installativa di Renza Tarantino (appartiene al gruppo ME.TA.ME) : grandi formati e strisce di pittura incastonate da sbarre metalliche esprimono una forte energia cosmica che rende l'universo molecolare proiezione di sentimenti ed emozioni intime, ribollenti di indomita grinta.

Se la quasi totalità delle opere abbraccia l'ambito della pittura non priva di qualità, a volte arricchita da collage, interventi fotografici, graffitismi ecc., come in qualche modo l'opera di Merani - dignitosa e vicina ad esperienze pittoriche giacomettiane e a certa pittura lombarda di Ossola - alla più giovane Loredana Galante (28 anni) spetta la scelta di un cammino diverso, ancora acerbo ma promettente, seguendo la lezione di Duchamp. L'oggetto è il luogo dell'evento e l'abitare uno spazio altro può conferire nuove identità: scarti di frammenti industriali sono catalogati in "vetrine" in funzione di altre categorie visive percepite dall'osservatore. Piccole gabbie argentee vuote, se si esclude la presenza di micro-oggetti, sembrano proporsi come misteriose casse armoniche, diffondenti musiche arcane...

Miriam Cristaldi
S. Gerolamo

Nell'originale presepe della chiesa genovese di N. S. delle Grazie e S. Gerolamo di Castelletto, ricostruito totalmente lo scorso anno in sostituzione di quello precedente andato bruciato, sono state oggi aggiunte alcune "figurine" capaci di animare e arricchire di suggestivi effetti esotici i luoghi della Natività.

Giuliana Poggi e Diana Aronni, le autrici di questo essenziale ed esclusivo presepe a quattro mani, su caloroso invito del parroco Don Marino, hanno realizzato singolari figurine in terracotta (la prima) ed efficaci elementi architettonici e scenografici (la seconda) svincolati dalle abituali casette in sughero circondate da muschio e da figurine in pose tradizionali, creando invece personaggi simbolici con atteggiamenti inconsueti ( ma carichi di significati) abitanti paesaggi cangianti nella luce del giorno alternata a quella della notte.

Infatti le "figure" di Giuliana Poggi, scolpite con forte senso plastico - vicine per certi versi a soluzioni giottesche secondo cui gesti essenziali pietrificati nella materia del cotto riescono ad imprimere cadenze e solennità alle forme - vivono nello spazio permeate dalla luce che scivola sui larghi piani di una composizione serrata.

Così come avviene ad esempio per l'immagine della Vergine rappresentata da una ragazza ebraica, seduta su di una pietra, che torce lentamente il busto compatto verso il bimbo ( che si succhia il dito) nel giaciglio di paglia, a terra.

Anche gli intrecci di sguardi tra personaggi, posti frontalmente e raffigurati con atteggiamenti inusuali, concorrono a suggerire stati d'animo profondi, legati certamente al senso delle scritture evangeliche capaci di evocare, più che a descrivere, intime emozioni e sentimenti universali.

Studi approfonditi sui costumi e sui luoghi sacri - di allora e di oggi - hanno permesso alle artiste di coordinare abiti e fisionomie corrispondenti agli usi e costumi dalle popolazioni berbere ed ebraiche di quei luoghi. Come nel caso del tuareg che affronta il deserto con il suo cammello o dei pastori che si avvicinano al Bambino e della donna al pozzo che si carica il vaso d'acqua sul capo o ancora della donna araba (dalla pelle scura) con il figlioletto in braccio che dialoga con Maria.

Particolarmente suggestivo è il corpo architettonico che fa da quinta scenografica, realizzato in cartapesta da Diana Aronni (allieva di Claudio Costa), secondo la struttura di una grande muraglia luminosa come appunto appaiono le abitazioni costruite in calce dai palestinesi.

Un presepe sicuramente da non perdere e che riesce a esprimere il mistero della Natività concentrando i gesti e le strutture in forme assolute ove niente cede alla decorazione ma tutto è finalizzato alla sintesi estrema: questo per ottenere il massimo degli effetti.


"L'Extra-vaganza e il rito" è il titolo della mostra con cui Caterina Gualco, a suo tempo compagna di Claudio Costa, festeggia nello spazio di via Bixio 2 (fino al 24 novembre) i suoi trent'anni di attività galleristica, calcando in questo lungo arco di tempo la scena artistica contemporanea con intelligenza e spirito innovativo, sovente rivolto alla sperimentazione. Ha richiamato a Genova presenze di artisti nazionali e internazionali che altrimenti non si sarebbero potuti conoscere, come Ben Vautier, Daniel Spoerry, Alik Cavaliere, Philip Corner...

Nel corso del trentennale lavoro la gallerista ha dettato gusti e alimentato una nutrita schiera di fedelissimi collezionisti; ha inoltre rivolto l'attenzione a molti artisti genovesi tra cui Colombara, Merello, Porcelli, Fantin, Ruggeri, sostenendoli con varie personali.

Questa extra-vagante mostra si basa sull'originale quanto rituale esposizione di "scatole-ritratti" creati ed espressamente pensati come doni-omaggio, a lei dedicati, da artisti con cui vi sono stati contatti di lavoro o di semplice amicizia. L'esposizione è inoltre corredata di un numero del periodico d'arte contemporanea "Non capovolgere" (edito Giuseppina Salvagni) interamente dedicato alla Gualco con testo esaustivo di Sandro Ricaldone.

Certo, il ritratto fin dagli etruschi ha sempre coinvolto l'ambito dell'artisticità come espressione di un'identità da fissare nella storia quale memoria indelebile, oggi da intendere più tecnicamente come icona digitalizzata da depositare in banca-dati.

Qui, nella doppia combinazione di scatola-ritratto, il contenitore riesce a farsi luogo dell'evento, reliquiario di essenze estrapolate dall'ostensiva società dell'apparire, rielaboratore di fantastiche immagini con citazioni del passato.

Si distinguono, tra gli altri, il lavoro di Claudio Costa (iniziatore della serie) intitolato "Fortuna maior" composto da cristalli di solfato di rame affogati nella cera; e ancora, di Joseph Beuys, Ben Vautier, Allan Kaprow, Berty Skuber, Ben Patterson, Ugo Carrega, George Brecht, Takako Saito, John Taylor, Aurelio Caminati, Plinio Mesciulam, Vittoria Gualco.



Miriam Cristaldi

GHIGLIONE

Con la mostra "Progetto di strumento musicale" realizzata allo Spaziodellavolta negli anni '90, si è creato un gruppo di artisti che in seguito hanno lavorato sul tema musicale come atto evocativo di strumenti e suoni immaginari, slegato da funzioni specifiche dello strumento stesso per risolversi più propriamente nell'ambito dell'arte visiva. Oggi, nello stesso spazio, con "L'idea del suono" (piazza Cattaneo (26/3, fino a metà giugno) sono esposte opere che si riferiscono a concetti musicali attraverso immagini in assoluta libertà.

I violini di Fernando Andolcetti, materializzati con carta di spartito musicale, pare esprimano una delicatissima armonia generata da impercettibile fruscìo di pagine aperte, armonia sempre presente nel lavoro di questo autore.

I poetici oggetti-strumento di Sergio Borrini nel momento in cui richiamano il suono lo rifiutano: se le corde smollate sono impossibilitate a suonare la fantasia compositiva del lavoro riesce ad esprimersi come intima , interiore musicalità dell'anima.

Cosimo Cimino produce un cortocircuito tra immagine e suo significato: quando il martello vuole produrre suono pressando del materiale, questo ironicamente non può "suonare" perché composto da silenziosi elementi cartacei.

Anche gli strumenti di Piergiorgio Colombara idealizzano il concetto di suono che nell'opera viene negato: le trombe sono coinvolte in arabeschi simmetrici e perdono la loro funzionalità diventando eleganti oggetti "senza ombra di uno squillo".

I tronchi di cono capovolti di Mauro Ghiglione evocanti strumenti a fiato traducono la musicalità intrinseca nella virtualità di forme primarie come il cerchio e la croce, capaci di suscitare arcaiche simbologie cosmiche.

Vittoria Gualco, con aeree e trasparenti forme in plexiglas, vetro e cristallo riesce a suggerire il concetto di una melodia dello spirito dove la materia si trasforma in algida luce.

Con Mauro Manfredi tubi in plastica trasparente, a guisa di sonde, sembrano indagare nell'interiorità dell'essere facendo risuonare le "parole" racchiuse in essi.

Nadia Nava attraverso disegni iperrealisti descrive immagini di spartito sfogliate da mani di persona nell'atto di leggere: una misteriosa armonia sembra sciogliersi dalle pagine e invadere lo spazio.

Fori di chitarra dipinti a spruzzo da Riri Negri evocano questo strumento nel rigore del bianco e del nero: pittoricismo ricco di vibrazioni e fasci di luce astrali.

Berty Skuber attraverso navette in legno di telai a mano riesce a codificare nuovi oggetti-strumento capaci di effondere magici suoni attraverso la presenza di efficienti corde musicali.

Miriam Cristaldi



Grondona

Pitto-Scultura rovesciata all'interno"



I lavori che Stefano Grondona espone al Museattivo Claudio Costa, fino al 3 maggio (accanto all'esposizione fotografica nel chiostro di S Maria di Castello, fino al 3 maggio), in concomitanza con la mostra di Palazzo Ducale "Figure dell'anima" , sono stati realizzati negli ultimi due anni e fanno parte di un nuovo ciclo intitolato "Attuali dichiarazioni dell'essere". 

Infatti, per l'artista non è importante creare nuove situazioni, ma organizzare la narrazione di una realtà in trasformazione, oggi particolarmente aggressiva e in crisi nei suoi modelli referenziali.

Per questo il suo immaginario allude a una pratica della violenza espressa nelle soluzioni formali di figure appuntite , spesso fornite di artigli, e nella scelta di personaggi-mostri come Frankenstain o maschere demoniache, cercando di operare un riscatto al dolore dell'umanità attraverso tecniche di straniamento. 

In questo senso la freddezza del taglio sostituisce l'enfasi del gesto, una piatta stesura cromatica evita espressioni emozionali: si sviluppa così un racconto sollecitato dalle provocazioni dell'ambiente urbano e dalle elaborazioni fantastiche che l'artista riesce a sviluppare volgendo lo sguardo al mondo del cinema, dei videogames , della letteratura, della fotografia e del fumetto.

La passione per l'abilità artigianale lo porta ad utilizzare fogli di cartone dipinto entro cui ritaglia immagini che fanno riferimento alla civiltà contemporanea secondo una concezione scenografica dello spazio.

Grondona attraverso un linguaggio inusuale ed inconfondibile stratifica, uno sull'altro, una decina di cartoni secondo un montaggio che può ricordare le celebri "fette" di legno dello sculture Mario Ceroli ; ma qui il procedimento è rovesciato. 

Le sagome dipinte e ritagliate di Grondona partono dal fondo ed avanzano verso lo spettatore creando uno spessore volumetrico entro cui il vuoto dell'intaglio "scolpisce" all'interno la figura. In questo caso l'assenza costruisce la presenza , la profondità è sinonimo di rilievo, le silhouettes si connotano tridimensionalmente e il cartone dipinto realizza l'idea.

Inoltre lo spostamento del fruitore attorno all'opera crea punti di vista differenti: nasce un movimento di ombre capace di destrutturare l'immagine e rinnovare stimolanti letture in cui il buio scavato dai vuoti interni diventa vibratile percezione tattile-visiva.



Miriam Cristaldi




















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